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Guido Coletti – Terre bruciate
Periodica presenza di un qualificato artista friulano nell’Associazione Culturale “la roggia” di Pordenone
Comunicato stampa
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La serie “terre bruciate” appartiene a dei lavori eseguiti alternativamente dal 1975 al 1985.
Come nei lavori che hanno preceduto questa serie -”I muri di Berlino“, “Dove vai Man” “le nastrature” o gli “a-c-cettati con onere”-cerco di mettere in evidenza il rapporto che intercorre tra la materia, il linguaggio e l’uso -deterritorializzazione- che l’uomo ne fa, nel tentativo -utopico- di evidenziarne l’abuso. Non è la materia ad essere violenta ma il suo abuso. Un lavoro è anche svolto per dar valenza alle sue ragioni necessitanti, in questo caso la mia poetica, che tenta divincolarsi dal “rito” della velocità contemporanea, e che forse riuscirà anche a stimolare qualche altra coscienza. Per coscienza intendo la consapevolezza dei valori, soprattutto quelli morali; da piccolo sentivo dire “ a le un galant’om” a quei tempi la menzogna veniva additata come disonorante. Ma il “rito”, si sa , ha bisogno di velocità non di coscienza, e tantomeno di onore, caso mai di onorificenze. Ha bisogno di speculazioni non di sensi di responsabilità, o di strane poetiche, opposte. L’accelerazione in corso compenetra sempre più il nostro modus vivendi, tanto che ripone in secondo piano il valore “uomo”, e l’anelato “ritorno alla natura , al mondo agreste” è del tutto illusorio. Heidegger sosteneva che solo un dio ci può salvare. Infatti il costante attacco verso l’identità appena acquisita è visibile attraverso lo stratagemma moda. L’effimero determina la fretta che diventa anche fretta della materia. Induzione e fretta bruciano tutto creando indifferenza. Chi potrebbe mai fermarsi a raccogliere un sacchetto di plastica gettato in strada, quando nemmeno ci si ferma davanti a degli esseri viventi in difficoltà!?
C’è dunque differenza tra il divenire eracliteo, o, il divenire altro di Deluze, e la sua patologia …. la vita contemporanea. C’è differenza tra la “pazienza del concetto”e il non “lasciarsi afferrare dal concetto”. La pazienza del concetto è riflessione serena fatta al riparo dei ritmi frenetici imposti dal “mercato”….. Il non lasciarsi afferrare dal concetto , è il paradossale non avere mai tempo, e questo impedisce l’acquisizione di un senso critico, con conseguente assuefazione all’advertaising. Tutto si traduce in “ tempo dell’oblio”, dell’essere-senza-tempo, quindi senza memoria….. Il cartellone recita: “chi mi ama mi segua”, e giù un culo accattivante che scientemente produrrà una trasmigrazione di significati. L’insieme dei valori -coscienza- dunque viene modificato e sistematicamente sostituito con dei valori d’uso, forti a tal punto da corrodere ogni opposizione rispetto ai valori di scambio. Non c’è nulla da fare se il modello comportamentale diventa esclusivamente economico, tutto il resto non conta, ne conterà. Anche nel mondo dell’espressione artistica vale il mercato , che aderisce solo al presente. Quindi eternizzazione del presente desertificazione del futuro. Va da se che l’essere economico assume il significato di essere bugiardo. Il linguaggio diventa quella cosa che serve per mentire poiché motiva e muove solo valori d’uso, valori di produzione. L’economia stessa è una bugia intrinseca dato che innesca metalinguaggi, psicochimiche mentali, attesa e tradimento delle attesa. Un gioco infinito - non finito- di deterritorializzazione, di sradicamento, dove le certezze referenziali sono continuamente rimesse in questione. Il futuro viene assorbito dal presente, cognizione e linguaggio mutano come il vento. Osserviamo i nostri politici….nella loro distrazione presentista -ben pagata da noi-dove tutto muove intorno a loro, si evidenzia il pensiero di Hobsbawm sul” secolo breve“, oppure quello di Guattari nell”incoscient machinique”: “non vi è nulla di meno logico del linguaggio”……. i suddetti “signori” sono l’eccellenza roboante della soggettività nazionalizzata -esattamente come lo fu per l’ENEL - dove tutte le transazioni sono possibili. Ogni loro enunciato cristalizza danze sorde. La loro linguistica è l’amplificato esempio dell’incapacità di mettersi in gioco dato che scivolano, perennemente scivolano, sui valori di scambio rispetto ai valori d‘uso. I modelli di comportamento esibiti e giostrati, da questi “signori” sono talmente impersonali che si possono accostare al denaro, tanto che assunti come modello vengono purtroppo socialmente epigonati. Le loro declinazioni non sono altro che la rinuncia alle promesse inevase, un vero giro-tondo,tra le quali e prima di tutte quella di un futuro diverso e migliore. Quando non ci sono più valori di riferimento e la vita diventa accelerazione autoreferenziale sciolta da ogni passione esistenziale; nasce il tempo del nichilismo, il processo della svalutazione dei valori supremi…nasce l’aridità che ineludibilmente brucia tutto.
Le mie “terre bruciate” intendono connotare una serie di termini , come territorializzazione-deterritorializzazione-riterritorializzazione; non è una serie di termini nuovi per esprimere concetti vecchi, ma termini che designano delle modalità di trasformazione. Processi che si ridefiniscono nel costante scambio con l’ambiente e nel costate mutare delle cose. Il mio operare, che definisco cognitivo, non può prescindere dalla “fotografia del sociale” e dato che l’economia, cioè la bugia, cambia sia che si tratti di una crisi, che di una opportunità., impedendo di capire ciò che accade, diventa in ultima analisi tutto e niente. Tutto rispetto alla modellizzazione ed al controllo sociale, niente rispetto ad una efficienza social-reale..L’economia di tempo si risolve in ultima istanza in ogni economia. Così il tempo determina anche il risultato dei miei quadri. Il tempo li fa non io: infatti si sviluppano da soli, maturano in assoluta libertà. Materia combinata con il clima decidono il risultato, come nelle vostre vacanze, tanto che spesso li distruggo. Intendo compiere con questa attività una operazione soggetto-oggetto, dove la liberazione dall’identità - nel mio caso del quadro- non deve diventare perdita dell’identità. Così come i controeffetti dei materiale usati per questi lavori si oppongono alla realtà tutta da ridefinire, autodefinendosi.
Le mie “terre bruciate” sono colorate, e il colore è l’unica connotazione positiva che corrispondente al lato poetico, al restante lato poetico, di questa società protesa ad assorbire ed avvallare solo ciò che produce utili economici. Non è un lavoro in avanzamento -come potrebbe essere il dipingere tradizionale- ma un lavoro che si autodetermina su quella superficie in maniera irripetibile. Tento di fare cose uniche, che non si possono copiare, si potranno rifare delle altre, forse simili, ma mai quella. Il mio quadro è un gioco finito, o se si preferisce una cosa finita. Un conto è una “cosa” altro è un prodotto. La “cosa”non perde di identità come il prodotto, non lascia il vuoto del tempo, non si libera della sua presenza, non c’è bisogno di ridefinirla …… una “cosa” è sempre diversa da un’altra “cosa”. Diverso ,o differente , ha per me il significato di essere altro, di divenire altro. E’ essere capace di mettere in gioco il se rispetto ad un processo nel quale il se non esiste, poiché vige la deferenza Di fronte all’omologazione resta solo la divergenza e la testimonianza. La testimonianza è esibizione, e i quadri esibendosi diventano testimoni, responsabili. Dimostro che far vedere qualche cosa non è rappresentare qualche cosa, ma è convocare, cioè chiamare, mettere in questione… se i miei lavori si identificheranno con la loro materia e con la mia poetica, tanto più questo li rimanderà alla realtà fisica della situazione sociale che mette in gioco e in produzione termini come ansia, depressione, panico, paura, attesa. Questa costellazione la butto dentro e sopra la tela come un gioco finito, e, non un gioco infinito come sta tutto diventando psicopatologicamente nell’economia, perciò vita, di carta.
guido coletti 1985
Come nei lavori che hanno preceduto questa serie -”I muri di Berlino“, “Dove vai Man” “le nastrature” o gli “a-c-cettati con onere”-cerco di mettere in evidenza il rapporto che intercorre tra la materia, il linguaggio e l’uso -deterritorializzazione- che l’uomo ne fa, nel tentativo -utopico- di evidenziarne l’abuso. Non è la materia ad essere violenta ma il suo abuso. Un lavoro è anche svolto per dar valenza alle sue ragioni necessitanti, in questo caso la mia poetica, che tenta divincolarsi dal “rito” della velocità contemporanea, e che forse riuscirà anche a stimolare qualche altra coscienza. Per coscienza intendo la consapevolezza dei valori, soprattutto quelli morali; da piccolo sentivo dire “ a le un galant’om” a quei tempi la menzogna veniva additata come disonorante. Ma il “rito”, si sa , ha bisogno di velocità non di coscienza, e tantomeno di onore, caso mai di onorificenze. Ha bisogno di speculazioni non di sensi di responsabilità, o di strane poetiche, opposte. L’accelerazione in corso compenetra sempre più il nostro modus vivendi, tanto che ripone in secondo piano il valore “uomo”, e l’anelato “ritorno alla natura , al mondo agreste” è del tutto illusorio. Heidegger sosteneva che solo un dio ci può salvare. Infatti il costante attacco verso l’identità appena acquisita è visibile attraverso lo stratagemma moda. L’effimero determina la fretta che diventa anche fretta della materia. Induzione e fretta bruciano tutto creando indifferenza. Chi potrebbe mai fermarsi a raccogliere un sacchetto di plastica gettato in strada, quando nemmeno ci si ferma davanti a degli esseri viventi in difficoltà!?
C’è dunque differenza tra il divenire eracliteo, o, il divenire altro di Deluze, e la sua patologia …. la vita contemporanea. C’è differenza tra la “pazienza del concetto”e il non “lasciarsi afferrare dal concetto”. La pazienza del concetto è riflessione serena fatta al riparo dei ritmi frenetici imposti dal “mercato”….. Il non lasciarsi afferrare dal concetto , è il paradossale non avere mai tempo, e questo impedisce l’acquisizione di un senso critico, con conseguente assuefazione all’advertaising. Tutto si traduce in “ tempo dell’oblio”, dell’essere-senza-tempo, quindi senza memoria….. Il cartellone recita: “chi mi ama mi segua”, e giù un culo accattivante che scientemente produrrà una trasmigrazione di significati. L’insieme dei valori -coscienza- dunque viene modificato e sistematicamente sostituito con dei valori d’uso, forti a tal punto da corrodere ogni opposizione rispetto ai valori di scambio. Non c’è nulla da fare se il modello comportamentale diventa esclusivamente economico, tutto il resto non conta, ne conterà. Anche nel mondo dell’espressione artistica vale il mercato , che aderisce solo al presente. Quindi eternizzazione del presente desertificazione del futuro. Va da se che l’essere economico assume il significato di essere bugiardo. Il linguaggio diventa quella cosa che serve per mentire poiché motiva e muove solo valori d’uso, valori di produzione. L’economia stessa è una bugia intrinseca dato che innesca metalinguaggi, psicochimiche mentali, attesa e tradimento delle attesa. Un gioco infinito - non finito- di deterritorializzazione, di sradicamento, dove le certezze referenziali sono continuamente rimesse in questione. Il futuro viene assorbito dal presente, cognizione e linguaggio mutano come il vento. Osserviamo i nostri politici….nella loro distrazione presentista -ben pagata da noi-dove tutto muove intorno a loro, si evidenzia il pensiero di Hobsbawm sul” secolo breve“, oppure quello di Guattari nell”incoscient machinique”: “non vi è nulla di meno logico del linguaggio”……. i suddetti “signori” sono l’eccellenza roboante della soggettività nazionalizzata -esattamente come lo fu per l’ENEL - dove tutte le transazioni sono possibili. Ogni loro enunciato cristalizza danze sorde. La loro linguistica è l’amplificato esempio dell’incapacità di mettersi in gioco dato che scivolano, perennemente scivolano, sui valori di scambio rispetto ai valori d‘uso. I modelli di comportamento esibiti e giostrati, da questi “signori” sono talmente impersonali che si possono accostare al denaro, tanto che assunti come modello vengono purtroppo socialmente epigonati. Le loro declinazioni non sono altro che la rinuncia alle promesse inevase, un vero giro-tondo,tra le quali e prima di tutte quella di un futuro diverso e migliore. Quando non ci sono più valori di riferimento e la vita diventa accelerazione autoreferenziale sciolta da ogni passione esistenziale; nasce il tempo del nichilismo, il processo della svalutazione dei valori supremi…nasce l’aridità che ineludibilmente brucia tutto.
Le mie “terre bruciate” intendono connotare una serie di termini , come territorializzazione-deterritorializzazione-riterritorializzazione; non è una serie di termini nuovi per esprimere concetti vecchi, ma termini che designano delle modalità di trasformazione. Processi che si ridefiniscono nel costante scambio con l’ambiente e nel costate mutare delle cose. Il mio operare, che definisco cognitivo, non può prescindere dalla “fotografia del sociale” e dato che l’economia, cioè la bugia, cambia sia che si tratti di una crisi, che di una opportunità., impedendo di capire ciò che accade, diventa in ultima analisi tutto e niente. Tutto rispetto alla modellizzazione ed al controllo sociale, niente rispetto ad una efficienza social-reale..L’economia di tempo si risolve in ultima istanza in ogni economia. Così il tempo determina anche il risultato dei miei quadri. Il tempo li fa non io: infatti si sviluppano da soli, maturano in assoluta libertà. Materia combinata con il clima decidono il risultato, come nelle vostre vacanze, tanto che spesso li distruggo. Intendo compiere con questa attività una operazione soggetto-oggetto, dove la liberazione dall’identità - nel mio caso del quadro- non deve diventare perdita dell’identità. Così come i controeffetti dei materiale usati per questi lavori si oppongono alla realtà tutta da ridefinire, autodefinendosi.
Le mie “terre bruciate” sono colorate, e il colore è l’unica connotazione positiva che corrispondente al lato poetico, al restante lato poetico, di questa società protesa ad assorbire ed avvallare solo ciò che produce utili economici. Non è un lavoro in avanzamento -come potrebbe essere il dipingere tradizionale- ma un lavoro che si autodetermina su quella superficie in maniera irripetibile. Tento di fare cose uniche, che non si possono copiare, si potranno rifare delle altre, forse simili, ma mai quella. Il mio quadro è un gioco finito, o se si preferisce una cosa finita. Un conto è una “cosa” altro è un prodotto. La “cosa”non perde di identità come il prodotto, non lascia il vuoto del tempo, non si libera della sua presenza, non c’è bisogno di ridefinirla …… una “cosa” è sempre diversa da un’altra “cosa”. Diverso ,o differente , ha per me il significato di essere altro, di divenire altro. E’ essere capace di mettere in gioco il se rispetto ad un processo nel quale il se non esiste, poiché vige la deferenza Di fronte all’omologazione resta solo la divergenza e la testimonianza. La testimonianza è esibizione, e i quadri esibendosi diventano testimoni, responsabili. Dimostro che far vedere qualche cosa non è rappresentare qualche cosa, ma è convocare, cioè chiamare, mettere in questione… se i miei lavori si identificheranno con la loro materia e con la mia poetica, tanto più questo li rimanderà alla realtà fisica della situazione sociale che mette in gioco e in produzione termini come ansia, depressione, panico, paura, attesa. Questa costellazione la butto dentro e sopra la tela come un gioco finito, e, non un gioco infinito come sta tutto diventando psicopatologicamente nell’economia, perciò vita, di carta.
guido coletti 1985
30
aprile 2011
Guido Coletti – Terre bruciate
Dal 30 aprile al 26 maggio 2011
arte contemporanea
Location
LA ROGGIA
Pordenone, Viale Trieste, 19, (Pordenone)
Pordenone, Viale Trieste, 19, (Pordenone)
Orario di apertura
dal martedì al sabato ore 16 - 19,30
Vernissage
30 Aprile 2011, ore 12
Autore