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Guido Strazza
Opere 1960-2006
Comunicato stampa
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"Strazza. Opere 1960-2006", II titolo della mostra dedicata a Guido Strazza che il Museo Civico Umberto Mastroianni di Marino ospiterà dal 21 ottobre al 7 dicembre ne sottolinea il carattere antologico. Se ne potrebbe per la precisione parlare come di un'antologica "ristretta"; un numero contenuto di opere (trentanove), tutte emblematiche del significato della ricerca dì uno dei più raffinati interpreti dell'astrattismo italiano del secondo '900.
L'architettura limpida e spoglia del singolare spazio espositivo - il museo Mastroiarmi è alloggiato in una chiesa gotica sconsacrata - si rivela cornice perfetta di un allestimento finalizzato ad evidenziare l'andamento "sinfonico" assunto dal lavoro di Strazza a partire dai primi anni ’60. I cicli che da quel momento si susseguono nella sua pittura non vanno infatti intesi come tante ricerche disgiunte, ma come movimenti di una grande partitura unitaria costruita su un tema: il segno come primo moto dì qualsiasi creatività.
“La guerra era appena iniziata. Io ero uno studente d'ingegneria con la passione per il disegno. Nessuna istruzione artistica, nessun contatto col mondo dell'arte. Un giorno leggo sul giornale che Marinetti avrebbe tenuto una conferenza: Metto i miei migliori disegni in una cartella e vado ad incontrarlo. I disegni non li guarda nemmeno ma mi dice: venga a trovarmi”.
L'incontro con Marinetti segna l'inizio della formazione artistica di. Guido Strazza, interprete tra i più originali e sensibili della linea lirica dell'arte astratta italiana del dopoguerra.
“ Siamo andati avanti così per lungo tempo. Appena potevo mi presentavo in quel suo studio stipato di libri e riviste e ascoltavo, ogni tanto tirava fuori un volume dagli scaffali e me lo regalava. Mi ha aperto gli occhi sull'arte contemporanea, ha portato i miei quadri alle mostre di Aeropittura e alla Biennale di Venezia del ’42. L'amicizia con quel vecchio maestro era un'esperienza straordinaria, ma io tiravo dritto per la mia strada. Mi sono laureato e ho fatto l’ ingegnere per due anni.”
Poi la decisione che rivoluziona la sua vita di tranquillo ragazzo borghese: tentare la carriera artìstica. Lascia il lavoro e si imbarca per il Perù.
“Sì, il Perù. Naturalmente a quell'epoca i giovani che sognavano di fare gli artisti partivano semmai per Parigi, ma io in quel campo era un perfètto autodidatta. Da ragazzo avevo letto delle cose sulla civiltà incaica che mi avevano affascinato, così partire per il paese delle mie fantasie infantili mi è sembrata la cosa più naturale de! mondo.”
A Lima trova un ambiente accogliente, la possibilità di fare mostre arriva subito.
“Gli intellettuali del posto erano assolutamente eurodipendenti, accoglievano con favore tutto quello che arrivava dall 'Europa, me compreso, ma erano estranei alla cultura indigena. Nessun amore per l'arte
incaica che a me invece interessava tanto. Comunque, al di là del calore che mi circondava, all'inizio di quadri ne vendevo pochi e quando, finiti i soldi che mi ero portato, maledicendo il mio destino, mi sono dovuto adattare a riprendere il lavoro di ingegnere.”
Invece è la sua fortuna.
“Dovevo effettuare il rilievo topografico di una tenuta a nord di Lima, un'area vastissima, mi ci sono voluti sei mesi. Il posto si è rivelato fantastico, ricco di archeologia e completamente diverso da tutto quello che avevo visto sino a quel momento: un paesaggio di assoluta sintesi e immensità. Mi sono reso conto che il linguaggio della pittura figurativa non mi consentiva l'accesso a quel mondo e ho cominciato a fare l'astratto, per necessità, non per una scelta concettuale. Poi sono diventato un pittore di successo in Sud America, ma alla fine degli anni '50 ho deciso di rientrare in Europa, perché il vero dibattito culturale era ancora lì.”
Nel racconto dell'avventuroso esordio di Guido Strazza si coglie lo spirito con cui questo artista colto e sensibile ha attraversato mezzo secolo di storia dell'arte del '900.
Strazza si è mantenuto costantemente in lìnea con gli umori del suo tempo. Nel corso della sua lunga ricerca si è posto le domande che gli artisti più aggiornati della sua generazione si ponevano, fornendo risposte caratterizzate da una forte impronta di originalità.
Per questa ragione risulta difficile inquadrarlo in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra al quale ha tuttavia fornito un autorevole contributo, sia nel campo della pittura, che in quelli dell'incisione e della didattica.
L'antologica che il Comune dì Marino ora gli dedica non ha l'intento di raccontare una carriera quanto di indagarne le ragioni.
L'inizio del percorso è fissato al 1960, la stagione della massima adesione di Strazza all’informale, ma anche quella in cui matura l'esigenza di superare quell'esperienza. Da quel momento procede dipingendo per cicli che, al di là delle differenze formali e stilistiche, vanno letti come momenti strettamente collegati di una ricerca condotta con logica rigorosa sempre intorno ad un unico tema: il segno.
O meglio, il segno e la sua doppiezza: presenza in sé, senza alcun nome, ma anche evocatrice di infiniti nomi e realtà. Un’ambivalenza che affascina Strazza e conferisce alla sua astrazione un carattere fortemente lirico, mai rigidamente asettico e geometrico. Nell'antica basilica sconsacrata di S. Lucia la pittura di Guido Strazza si mostra così: logica che produce poesia, poesia che rimanda alla logica.
L'architettura limpida e spoglia del singolare spazio espositivo - il museo Mastroiarmi è alloggiato in una chiesa gotica sconsacrata - si rivela cornice perfetta di un allestimento finalizzato ad evidenziare l'andamento "sinfonico" assunto dal lavoro di Strazza a partire dai primi anni ’60. I cicli che da quel momento si susseguono nella sua pittura non vanno infatti intesi come tante ricerche disgiunte, ma come movimenti di una grande partitura unitaria costruita su un tema: il segno come primo moto dì qualsiasi creatività.
“La guerra era appena iniziata. Io ero uno studente d'ingegneria con la passione per il disegno. Nessuna istruzione artistica, nessun contatto col mondo dell'arte. Un giorno leggo sul giornale che Marinetti avrebbe tenuto una conferenza: Metto i miei migliori disegni in una cartella e vado ad incontrarlo. I disegni non li guarda nemmeno ma mi dice: venga a trovarmi”.
L'incontro con Marinetti segna l'inizio della formazione artistica di. Guido Strazza, interprete tra i più originali e sensibili della linea lirica dell'arte astratta italiana del dopoguerra.
“ Siamo andati avanti così per lungo tempo. Appena potevo mi presentavo in quel suo studio stipato di libri e riviste e ascoltavo, ogni tanto tirava fuori un volume dagli scaffali e me lo regalava. Mi ha aperto gli occhi sull'arte contemporanea, ha portato i miei quadri alle mostre di Aeropittura e alla Biennale di Venezia del ’42. L'amicizia con quel vecchio maestro era un'esperienza straordinaria, ma io tiravo dritto per la mia strada. Mi sono laureato e ho fatto l’ ingegnere per due anni.”
Poi la decisione che rivoluziona la sua vita di tranquillo ragazzo borghese: tentare la carriera artìstica. Lascia il lavoro e si imbarca per il Perù.
“Sì, il Perù. Naturalmente a quell'epoca i giovani che sognavano di fare gli artisti partivano semmai per Parigi, ma io in quel campo era un perfètto autodidatta. Da ragazzo avevo letto delle cose sulla civiltà incaica che mi avevano affascinato, così partire per il paese delle mie fantasie infantili mi è sembrata la cosa più naturale de! mondo.”
A Lima trova un ambiente accogliente, la possibilità di fare mostre arriva subito.
“Gli intellettuali del posto erano assolutamente eurodipendenti, accoglievano con favore tutto quello che arrivava dall 'Europa, me compreso, ma erano estranei alla cultura indigena. Nessun amore per l'arte
incaica che a me invece interessava tanto. Comunque, al di là del calore che mi circondava, all'inizio di quadri ne vendevo pochi e quando, finiti i soldi che mi ero portato, maledicendo il mio destino, mi sono dovuto adattare a riprendere il lavoro di ingegnere.”
Invece è la sua fortuna.
“Dovevo effettuare il rilievo topografico di una tenuta a nord di Lima, un'area vastissima, mi ci sono voluti sei mesi. Il posto si è rivelato fantastico, ricco di archeologia e completamente diverso da tutto quello che avevo visto sino a quel momento: un paesaggio di assoluta sintesi e immensità. Mi sono reso conto che il linguaggio della pittura figurativa non mi consentiva l'accesso a quel mondo e ho cominciato a fare l'astratto, per necessità, non per una scelta concettuale. Poi sono diventato un pittore di successo in Sud America, ma alla fine degli anni '50 ho deciso di rientrare in Europa, perché il vero dibattito culturale era ancora lì.”
Nel racconto dell'avventuroso esordio di Guido Strazza si coglie lo spirito con cui questo artista colto e sensibile ha attraversato mezzo secolo di storia dell'arte del '900.
Strazza si è mantenuto costantemente in lìnea con gli umori del suo tempo. Nel corso della sua lunga ricerca si è posto le domande che gli artisti più aggiornati della sua generazione si ponevano, fornendo risposte caratterizzate da una forte impronta di originalità.
Per questa ragione risulta difficile inquadrarlo in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra al quale ha tuttavia fornito un autorevole contributo, sia nel campo della pittura, che in quelli dell'incisione e della didattica.
L'antologica che il Comune dì Marino ora gli dedica non ha l'intento di raccontare una carriera quanto di indagarne le ragioni.
L'inizio del percorso è fissato al 1960, la stagione della massima adesione di Strazza all’informale, ma anche quella in cui matura l'esigenza di superare quell'esperienza. Da quel momento procede dipingendo per cicli che, al di là delle differenze formali e stilistiche, vanno letti come momenti strettamente collegati di una ricerca condotta con logica rigorosa sempre intorno ad un unico tema: il segno.
O meglio, il segno e la sua doppiezza: presenza in sé, senza alcun nome, ma anche evocatrice di infiniti nomi e realtà. Un’ambivalenza che affascina Strazza e conferisce alla sua astrazione un carattere fortemente lirico, mai rigidamente asettico e geometrico. Nell'antica basilica sconsacrata di S. Lucia la pittura di Guido Strazza si mostra così: logica che produce poesia, poesia che rimanda alla logica.
21
ottobre 2006
Guido Strazza
Dal 21 ottobre al 07 dicembre 2006
arte contemporanea
Location
MUSEO CIVICO UMBERTO MASTROIANNI
Marino, Piazza Matteotti, 13, (Roma)
Marino, Piazza Matteotti, 13, (Roma)
Orario di apertura
da martedì alla domenica 10-13 e 16-20
Vernissage
21 Ottobre 2006, ore 18
Ufficio stampa
SCARLETT MATASSI
Autore
Curatore