Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
HAND LAND
Hand Land è un progetto espositivo sulla condizione dell’artista, che analizza il processo di
concepimento e realizzazione di un’opera d’arte e di chi la crea attraverso il prisma del materialeutilizzato dall’artista e la sua “mano d’opera” come identità.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Quando lo spirito non collabora con le mani non c’è arte
Leonardo da Vinci
L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima
Vassily Kandinsky
Hand Land è un progetto espositivo sulla condizione dell’artista, che analizza il processo di
concepimento e realizzazione di un’opera d’arte e di chi la crea attraverso il prisma del materiale
utilizzato dall’artista e la sua “mano d’opera” come identità. Partendo dall’affermazione della storica
dell’arte e curatrice Sharon Hecker, per cui “la bellezza è la scoperta di un nuovo punto di vista su
un’opera d’arte”, il dialogo che la mostra collettiva Hand Land intende attivare è quello tra il corpus di
un’opera d’arte e la sua metamorfosi visiva attraverso i lavori delle cinque artiste internazionali
selezionate.
I materiali utilizzati per creare un’opera d’arte sono in grado di codificare la/le individualità dell’artista
stesso in base al come e perché vengono interpretati. Il percorso della mostra diventa un’installazione in
sé che invita lo spettatore a fare un viaggio atemporale nella Hand Land, dove il tatto è anche il terzo
occhio delle opere, mentre la manualità riacquisisce il valore e svela i diversi livelli dell’io delle artiste.Artista francese, vincitrice del Premio Xiaomi HyperCharge dell’ultima edizione di Artissima 2021, “la
cui ricerca meglio comunica la carica che l’innovazione e la cultura sanno dare alla società
contemporanea e di come l’arte possa essere il punto di partenza per riavviare un processo di
trasformazione”(1), Gillian Brett (Parigi, 1990), sceglie di usare gli scarti tecnologici come materiale per
le sue sculture e installazioni – realizzate da componenti elettrici, resina, plexiglass, acciaio, alluminio,
motori, degli schermi danneggiati o rotti – che vengono riciclati per dargli una nuova identità. Il fascino
che troviamo all’interno dello schermo di E 170 Sc (After Hubble) (2020) o osservando la scultura Bionic
Leaf (2021) è delicato e contrastante rispetto alla materia prima. I lavori della serie Smart Food: better
for you and the planet (2020), sono una metafora della cecità contemporanea. La poesia si recepisce
attraverso una costruzione nel presente dell’universo eterno, la (ri)nascita, e quindi la (re)identificazione
di sé stessi all’interno della società del consumo che viene ripensata e riletta con sguardo critico.
Opera come medium.
Ayobola Kekere-Ekun (Lagos, 1993), artista nigeriana che lavora prevalentemente con la tecnica del
quilling, in cui strisce di carta vengono modellate individualmente per creare forme, come una
manifestazione tridimensionale di linee, creando insenature di luce e ombra. Il processo della creazione
provoca e spinge la ricerca di sé in una modalità multistrato, come se il lavoro fosse una raccolta delle
esperienze, un rituale, un esorcismo verso la propria identità attraverso società e culture circostanti.
Secondo l’artista, i suoi quadri sono “tentativi di svelare le connessioni tra il sé e l’identità e il modo in
cui si interfacciano con la memoria individuale e collettiva”. Le opere di Kekere-Ekun sono notevoli per
la loro finitura perfetta e la natura tattile – ciò testimonia una propensione al lavoro visivamente
stimolante. Nel dittico Founding members (2022) vediamo la costruzione di una nuova oggettività in
dialogo tra l’immaginario e il reale: la rivelazione di essere noi stessi osservatori e giudici del proprio
subconscio, del nostro essere semi-aperti, socchiusi verso entrambe le realità, esistente e surreale.
Ricordando il pensiero di Umberto Eco, per cui “l’arte sempre nasce da un contesto storico, lo riflette ne
promuove l’evoluzione”2
, questo dittico acquisisce al contempo una connotazione psicologica e socioculturale. La sua riflessione concettuale porta in luce un dialogo tra le tradizioni e la contemporaneità,
sia all’interno della cultura nigeriana sia globalmente, ponendo delle domande su stratificazione/unione
e sull’identità personale/collettiva come principali quesiti del suo lavoro. Opera come anamnesi.
Olivia Parkes (1989) artista anglo-americana che vive e lavora a Berlino, utilizza la pittura per esplorare
il modo in cui i media condizionano la nostra percezione sia della storia che della vita quotidiana.
L’identità sociale è l’oggetto dell’analisi profonda attraverso i fotogrammi su cartone telato che ricordano
un po’ il cinema muto, un po’ i tabloid americani, assomigliando a collage della cultura visiva
contemporanea. I quadri di Parkes presenti in mostra (tutti datati 2020) sono una narrazione creata dagli
stop motions, carica di emozioni ed espressività. Influenze nord-europee si leggono in Can’t find the
words, mentre Hand Land –– da cui deriva il titolo di questo progetto espositivo –– presenta un carattere
surrealista, ed è una metafora della vita costantemente controllata da qualcuno. Che sia una forza
superiore o il controllo mediatico, sotto la cui influenza siamo costretti a convivere nella società odierna,
sta ad ognuno di noi accettare la situazione superando i conflitti. Il colore predominante è il blu intenso
che contrasta il disordine, il caos sociale e invita all’introspezione (secondo la teoria dei colori è il
simbolo dell’infinito, della fede, della pace), designando un rapporto stabile e privo di tensioni,
(ri)costruendo ogni volta una relazione tra l’individuale e il collettivo. Opera come perturbazione.
Nei quadri cuciti di Harriet Riddell (UK, 1990), tutti datati 2021, il filo diventa lo strumento ideale per
tracciare la linea delle eredità culturali nel presente. Giovane artista inglese, Riddell utilizza la macchina
da cucire come strumento per creare delle narrazioni sulle tele, tracciando così il filo di Arianna che
unisce le solide tradizioni artigianali con la fragilità dell’hic et nunc propria dell’era (post)pandemica.
Come se l’identità frammentaria attuale venisse “(ri)cucita” con pezzi di stoffa recuperata, vissuta e
trasformata dai dettagli della vita quotidiana. Così, Stay at home, che rappresenta una donna al centro
della propria abitazione sproporzionata rispetto alle dimensioni di quest’ultima, con le tonalità forti del
rosso simboleggia un grido del non accettare il presente dove le libertà basilari di un essere umano (come
quella di muoversi liberamente) ci vengono private. Allo stesso tempo il quadro è anche un simbolo, una
sorte di manifesto dei diritti civili e professionali di una donna, al centro di un mondo sotto tanti aspetti
tuttora maschilista, dove ancora ad oggi esiste una linea invisibile che divide due mondi – che spesso è
fortemente sconsigliato attraversare. Nasce quindi Stand behind the yellow line.
Opera come filo conduttore.
MJ Torrecampo (Filippine, 1992), artista filippina che vive e lavora in Florida, condivide con tutte le
artiste presenti in mostra la scelta della (ri)costruzione e (ri)elaborazione della realtà, ma con un’analisi
razionale e sociologica, che spesso presenta una connotazione politica. Come affermava Jacque Derrida,
“il proprio di una cultura è di non essere identica a sé stessa. Non di non avere identità, ma di non potersi
identificare, dire “io” o “noi”, di poter prendere la forma del soggetto solo nella non-identità a sé o, se
preferite, nella differenza con sé”. (3)
La varietà delle matrici culturali da cui Torrecampo attinge si può rintracciare a ogni livello della sua elaborazione artistica. Nei suoi acrilici su carta (tutti datati 2020) vediamo la riflessione sulla propria cultura, quella di origine e quella di adozione. In Under The influence of ogni elemento della società è sovraccaricato dai fili delle informazioni. In Quiet Steps vediamo la
simbolica presenza di un altro Io, la voce del quale si riesce a sentire solo di notte. Opera come prisma.
Le artiste selezionate per Hand Land sono accomunate dalla condizione di essere giovani donne agli inizi
della propria carriera, tuttavia riconosciute nel panorama internazionale. La loro ricerca è basata su
mitologie personali, e il lavoro di ognuna si costruisce attraverso una rielaborazione concettuale del tema
d’identità, analizzato da diversi punti di vista, attraverso tecniche e materiali svariati. Le cinque artiste,
quindi, si potrebbero inscrivere nella categoria dell’artista come etnografo (4) in quanto, attraverso la
reminiscenza delle idee e l’atto del conoscere, analizzano e descrivono le situazioni più attuali
trasmettendo dei messaggi attraverso le loro opere.
Medium, anamnesi, perturbazione, filo conduttore, prisma – sono cinque elementi sostanziali che
identificano un’opera d’arte come tale. La forza espressiva è forse il mezzo più unico in assoluto, la vera
mano d’opera senza la quale non ci sarebbero le fondamenta per l’opera, così come alcun vero e proprio
essere artista.
Tatiana Martyanova
1 Descrizione della Nomination del Premio Xiaomi HyperCharge.
2 Umberto Eco, Opera Aperta, 1962/2006 RCS Libri Spa Bompiani.
3 Jacques Derrida, Oggi L’Europa, Garzanti, Milano, 1991.
4 Hal Foster, Il ritorno del reale. L’avanguardia alla fine del Novecento, Postmedia Books, Milano, 2006.
Leonardo da Vinci
L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima
Vassily Kandinsky
Hand Land è un progetto espositivo sulla condizione dell’artista, che analizza il processo di
concepimento e realizzazione di un’opera d’arte e di chi la crea attraverso il prisma del materiale
utilizzato dall’artista e la sua “mano d’opera” come identità. Partendo dall’affermazione della storica
dell’arte e curatrice Sharon Hecker, per cui “la bellezza è la scoperta di un nuovo punto di vista su
un’opera d’arte”, il dialogo che la mostra collettiva Hand Land intende attivare è quello tra il corpus di
un’opera d’arte e la sua metamorfosi visiva attraverso i lavori delle cinque artiste internazionali
selezionate.
I materiali utilizzati per creare un’opera d’arte sono in grado di codificare la/le individualità dell’artista
stesso in base al come e perché vengono interpretati. Il percorso della mostra diventa un’installazione in
sé che invita lo spettatore a fare un viaggio atemporale nella Hand Land, dove il tatto è anche il terzo
occhio delle opere, mentre la manualità riacquisisce il valore e svela i diversi livelli dell’io delle artiste.Artista francese, vincitrice del Premio Xiaomi HyperCharge dell’ultima edizione di Artissima 2021, “la
cui ricerca meglio comunica la carica che l’innovazione e la cultura sanno dare alla società
contemporanea e di come l’arte possa essere il punto di partenza per riavviare un processo di
trasformazione”(1), Gillian Brett (Parigi, 1990), sceglie di usare gli scarti tecnologici come materiale per
le sue sculture e installazioni – realizzate da componenti elettrici, resina, plexiglass, acciaio, alluminio,
motori, degli schermi danneggiati o rotti – che vengono riciclati per dargli una nuova identità. Il fascino
che troviamo all’interno dello schermo di E 170 Sc (After Hubble) (2020) o osservando la scultura Bionic
Leaf (2021) è delicato e contrastante rispetto alla materia prima. I lavori della serie Smart Food: better
for you and the planet (2020), sono una metafora della cecità contemporanea. La poesia si recepisce
attraverso una costruzione nel presente dell’universo eterno, la (ri)nascita, e quindi la (re)identificazione
di sé stessi all’interno della società del consumo che viene ripensata e riletta con sguardo critico.
Opera come medium.
Ayobola Kekere-Ekun (Lagos, 1993), artista nigeriana che lavora prevalentemente con la tecnica del
quilling, in cui strisce di carta vengono modellate individualmente per creare forme, come una
manifestazione tridimensionale di linee, creando insenature di luce e ombra. Il processo della creazione
provoca e spinge la ricerca di sé in una modalità multistrato, come se il lavoro fosse una raccolta delle
esperienze, un rituale, un esorcismo verso la propria identità attraverso società e culture circostanti.
Secondo l’artista, i suoi quadri sono “tentativi di svelare le connessioni tra il sé e l’identità e il modo in
cui si interfacciano con la memoria individuale e collettiva”. Le opere di Kekere-Ekun sono notevoli per
la loro finitura perfetta e la natura tattile – ciò testimonia una propensione al lavoro visivamente
stimolante. Nel dittico Founding members (2022) vediamo la costruzione di una nuova oggettività in
dialogo tra l’immaginario e il reale: la rivelazione di essere noi stessi osservatori e giudici del proprio
subconscio, del nostro essere semi-aperti, socchiusi verso entrambe le realità, esistente e surreale.
Ricordando il pensiero di Umberto Eco, per cui “l’arte sempre nasce da un contesto storico, lo riflette ne
promuove l’evoluzione”2
, questo dittico acquisisce al contempo una connotazione psicologica e socioculturale. La sua riflessione concettuale porta in luce un dialogo tra le tradizioni e la contemporaneità,
sia all’interno della cultura nigeriana sia globalmente, ponendo delle domande su stratificazione/unione
e sull’identità personale/collettiva come principali quesiti del suo lavoro. Opera come anamnesi.
Olivia Parkes (1989) artista anglo-americana che vive e lavora a Berlino, utilizza la pittura per esplorare
il modo in cui i media condizionano la nostra percezione sia della storia che della vita quotidiana.
L’identità sociale è l’oggetto dell’analisi profonda attraverso i fotogrammi su cartone telato che ricordano
un po’ il cinema muto, un po’ i tabloid americani, assomigliando a collage della cultura visiva
contemporanea. I quadri di Parkes presenti in mostra (tutti datati 2020) sono una narrazione creata dagli
stop motions, carica di emozioni ed espressività. Influenze nord-europee si leggono in Can’t find the
words, mentre Hand Land –– da cui deriva il titolo di questo progetto espositivo –– presenta un carattere
surrealista, ed è una metafora della vita costantemente controllata da qualcuno. Che sia una forza
superiore o il controllo mediatico, sotto la cui influenza siamo costretti a convivere nella società odierna,
sta ad ognuno di noi accettare la situazione superando i conflitti. Il colore predominante è il blu intenso
che contrasta il disordine, il caos sociale e invita all’introspezione (secondo la teoria dei colori è il
simbolo dell’infinito, della fede, della pace), designando un rapporto stabile e privo di tensioni,
(ri)costruendo ogni volta una relazione tra l’individuale e il collettivo. Opera come perturbazione.
Nei quadri cuciti di Harriet Riddell (UK, 1990), tutti datati 2021, il filo diventa lo strumento ideale per
tracciare la linea delle eredità culturali nel presente. Giovane artista inglese, Riddell utilizza la macchina
da cucire come strumento per creare delle narrazioni sulle tele, tracciando così il filo di Arianna che
unisce le solide tradizioni artigianali con la fragilità dell’hic et nunc propria dell’era (post)pandemica.
Come se l’identità frammentaria attuale venisse “(ri)cucita” con pezzi di stoffa recuperata, vissuta e
trasformata dai dettagli della vita quotidiana. Così, Stay at home, che rappresenta una donna al centro
della propria abitazione sproporzionata rispetto alle dimensioni di quest’ultima, con le tonalità forti del
rosso simboleggia un grido del non accettare il presente dove le libertà basilari di un essere umano (come
quella di muoversi liberamente) ci vengono private. Allo stesso tempo il quadro è anche un simbolo, una
sorte di manifesto dei diritti civili e professionali di una donna, al centro di un mondo sotto tanti aspetti
tuttora maschilista, dove ancora ad oggi esiste una linea invisibile che divide due mondi – che spesso è
fortemente sconsigliato attraversare. Nasce quindi Stand behind the yellow line.
Opera come filo conduttore.
MJ Torrecampo (Filippine, 1992), artista filippina che vive e lavora in Florida, condivide con tutte le
artiste presenti in mostra la scelta della (ri)costruzione e (ri)elaborazione della realtà, ma con un’analisi
razionale e sociologica, che spesso presenta una connotazione politica. Come affermava Jacque Derrida,
“il proprio di una cultura è di non essere identica a sé stessa. Non di non avere identità, ma di non potersi
identificare, dire “io” o “noi”, di poter prendere la forma del soggetto solo nella non-identità a sé o, se
preferite, nella differenza con sé”. (3)
La varietà delle matrici culturali da cui Torrecampo attinge si può rintracciare a ogni livello della sua elaborazione artistica. Nei suoi acrilici su carta (tutti datati 2020) vediamo la riflessione sulla propria cultura, quella di origine e quella di adozione. In Under The influence of ogni elemento della società è sovraccaricato dai fili delle informazioni. In Quiet Steps vediamo la
simbolica presenza di un altro Io, la voce del quale si riesce a sentire solo di notte. Opera come prisma.
Le artiste selezionate per Hand Land sono accomunate dalla condizione di essere giovani donne agli inizi
della propria carriera, tuttavia riconosciute nel panorama internazionale. La loro ricerca è basata su
mitologie personali, e il lavoro di ognuna si costruisce attraverso una rielaborazione concettuale del tema
d’identità, analizzato da diversi punti di vista, attraverso tecniche e materiali svariati. Le cinque artiste,
quindi, si potrebbero inscrivere nella categoria dell’artista come etnografo (4) in quanto, attraverso la
reminiscenza delle idee e l’atto del conoscere, analizzano e descrivono le situazioni più attuali
trasmettendo dei messaggi attraverso le loro opere.
Medium, anamnesi, perturbazione, filo conduttore, prisma – sono cinque elementi sostanziali che
identificano un’opera d’arte come tale. La forza espressiva è forse il mezzo più unico in assoluto, la vera
mano d’opera senza la quale non ci sarebbero le fondamenta per l’opera, così come alcun vero e proprio
essere artista.
Tatiana Martyanova
1 Descrizione della Nomination del Premio Xiaomi HyperCharge.
2 Umberto Eco, Opera Aperta, 1962/2006 RCS Libri Spa Bompiani.
3 Jacques Derrida, Oggi L’Europa, Garzanti, Milano, 1991.
4 Hal Foster, Il ritorno del reale. L’avanguardia alla fine del Novecento, Postmedia Books, Milano, 2006.
27
gennaio 2022
HAND LAND
Dal 27 gennaio al 04 marzo 2022
arte contemporanea
Location
C+N Gallery CANEPANERI
Milano, Foro Buonaparte, 48, (Milano)
Milano, Foro Buonaparte, 48, (Milano)
Orario di apertura
10.00 - 17.00
Vernissage
27 Gennaio 2022, 17.30 - 19.30
Sito web
Autore
Curatore
Autore testo critico
Allestimento