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Hatoum | Macchi | Morgantin
Mostra tripersonale: Mona Hatoum, Undercurrent (red); Jorge Macchi, Rendez-vous; Margherita Morgantin, Air drawing
Comunicato stampa
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Dopo la personale realizzata nel 2006 Galleria Continua ha l’onore di presentare Undercurrent (red), una nuova mostra di Mona Hatoum.
Con una carriera che abbraccia quasi un trentennio Mona Hatoum è un’artista di primo piano nel panorama artistico contemporaneo. L’identità culturale, il nomadismo geografico, la minaccia della guerra, il senso di precarietà esistenziale e di spaesamento, sono alla base dei lavori dell’artista anglo-palestinese.
In questa mostra Mona Hatoum rivisita alcuni temi diventati emblematici nella sua pratica artistica dell’ultimo decennio e presenta una serie di opere che, partendo da oggetti di uso quotidiano, si trasformano in sculture inconsuete e inquietanti.
Paravent (2008) una grattugia ingrandita fino a dimensioni surreali e architettoniche tanto da diventare un paravento e Dormiente (2008), una grattugia questa volta portata alle dimensioni di un letto che promette disagio e sofferenza, sono collocate sul palcoscenico della galleria. “Mona Hatoum prende di mira il luogo della domesticità e il concetto di casa, all’interno del quale fa entrare qualcosa di estraneo. Sono note le sue singolari sculture in cui ingigantisce innocui utensili da cucina – grattugie, scolapasta, tagliauova, tritaverdure… –, trasformandoli in mostri minacciosi se non addirittura in macchine da tortura. La maggior parte dei critici vi hanno visto la crudeltà celata nella routine o l’imposizione di una vita domestica; preferisco, invece, allinearmi a coloro che hanno imboccato la via ‘surreale’ che dal ready-made di Duchamp immette perturbazioni nel campo della fenomenalità”.
(Chiara Bertola, Interior Landscape, ed. Charta, 2009).
Le opere di Mona Hatoum non si mostrano mai rigide o cristallizzate, piuttosto aperte alla trasformazione come ad esempio Bukhara (maroon), un tradizionale tappeto orientale apparentemente in stato di disgregazione. Ampie parti di superficie sembrano logore o mangiate dai tarli, a uno sguardo più attento, si scopre però che le chiazze mancanti si congiungono a formare la mappa di un mondo nascosto. Ed ancora Undercurrent (red), un’opera del 2008, che l’artista pone al centro della platea e con la quale titola questa personale. Da un quadrato centrale, tessuto di cavi elettrici anziché di fili, un’ampia frangia serpeggia e si allunga sul pavimento ad invadere lo spazio. Ogni filo termina con una lampadina da 15 watt che silenziosamente si illumina e cambia di intensità, come un lento respiro che lascia preludere una malevola presenza sotto i nostri piedi.
All’idea di paura e pericolo si riferisce anche Nature morte aux grenades (2006-2007): una collezione di colorati cristalli soffiati, plasmati come bombe a mano ed esposti su un carrello di gomma e ferro che evidenziano la contraddizione tra la natura seducente del materiale utilizzato e il pericolo sotteso.
Mona Hatoum nasce a Beirut da una famiglia palestinese nel 1952. Durante una breve visita a Londra nel 1975, lo scoppio della guerra civile in Libano le impedsce di tornare a casa e da quel momento vive a Londra. Oggi divide il suo tempo tra Londra e Berlino.
Già dalla metà degli anni Ottanta l’artista si afferma nel panorama artistico con performance e opere video che fanno del corpo l’espressione di una realtà divisa, in bilico tra tensioni e sopravvivenza, tra oppressione e controllo culturale e sociale. Dai primi anni Novanta il lavoro della Hatoum si concentra su installazioni di grandi dimensioni e sculture.
Le opere di Mona Hatoum sono state presentate nei più prestigiosi spazi espositivi di Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Con la mostra “The Entire World as a Foreign Land” Mona Hatoum inaugura nel 2000 la Tate Britain di Londra. Nel 2004 la più ampia e completa antologica mai realizzata sull’artista, viene presentata alla Hamburger Kunsthalle, la mostra viene successivamente ospitata al Kunstmuseum Bonn, al Magasin 3 Stockholm Konsthall e al Sydney Museum of Contemporary Art (2005). L’artista ha inoltre partecipato ad importanti mostre internazionali: nel 1995 alla 46ma Biennale di Venezia e alla 4ª Biennale Istanbul, nel 2002 a Documenta XI, nel 2005 è nuovamente presente alla Biennale di Venezia, nel 2006 prende parte alla 15ª Biennale di Sydney, nel 2007 alla 3ª Triennale di Auckland e all’8ª Biennale di Sharja. Tra le mostre personali più recenti ricordiamo Undercurrent per la XIII Biennale Donna a Palazzo Massari PAC di Ferrara (2008); Measures of Entanglement, UCCA, Pechino (2009) e Interior Landscape, presso la Fondazione Querini Stampalia di Venezia (2009), in corso fino al 20 settembre 2009.
Galleria Continua è lieta di ospitare nei suoi spazi espositivi Rendez vous, la nuova personale di uno degli artisti di maggior rilievo del panorama artistico latino americano, Jorge Macchi. La mostra si articola intorno ad un gruppo di opere inedite -sculture, video, fotografie, disegni -appositamente realizzate per questa occasione espositiva.
Il lavoro di Jorge Macchi resiste a ogni tipo di esegesi. Più che seguire una progressione lineare, le sue opere si presentano come delle reti semantiche dense e intricate. L’informazione è una conoscenza che viene da ogni luogo e non finisce in nessun posto. L’artista utilizza spesso i giornali, paradigmi degli archivi informativi basati su dei fatti. Al di là della semplice informazione, gli scritti e la poesia svolgono un ruolo importante all’interno del suo lavoro così come la musica che, anche in questa mostra, si palesa come linguaggio formale completo nell’opera video 12 short songs.
Le opere di Jorge Macchi nascono anche dall’aneddoto, dal caso, dalla vita di tutti i giorni. I segni sono silenziosamente scomposti e poi ricomposti secondo un processo di “s-familiarità”. Per l’artista, più l’oggetto è semplice e pulito, più potrà contenere dei riferimenti e più la sua relazione con noi sarà personale e sentimentale. Questa “strategia dell’obliquo” e un acuto senso dell’umorismo nero sono dei tratti tipici del suo lavoro.
Jorge Macchi ama suggerire nelle sue opere l’esistenza di un mondo parallelo al nostro, nascosto sotto il velo della banalità: la realtà è elusiva. L’artista è interessato dalla ricreazione di una realtà parallela e il suo lavoro è un’elegia in onore dell’assenza di un’unica visione del mondo. L’incontro tra oggetti e materiali produce nell’opera di Macchi nuove letture della vita quotidiana. Emblematica, in questo senso, Rendez vous, l’opera che dà anche il titolo a questa mostra: un vecchio armadio di legno è precariamente collocato sullo specchio al termine della prima rampa di scale della galleria. I due specchi si incontrano attivando inaspettate riflessioni.
Jorge Macchi mostra un chiaro interesse per i margini, i confini, i cocci, tutto quanto è caduto dietro di noi. Nel suo universo tutto è in transito, tutto è precario. Niente è mai permanente. Le sue opere fanno eco alle assenze, vere padrone delle scene, forti come delle presenze. È un artista della perdita e della nostalgia. I segni di una memoria collettiva, assortiti di connotazioni, sono utilizzati da Jorge Macchi per sviluppare la sua “Caverna”, la sua visione personale del mondo contemporaneo. I ricordi sono frammentati, proprio come le realtà o le immagini. Con lui, l’atmosfera acquisisce un non so che di metafisico, una misteriosa tranquillità, serietà o calma. La verità emozionale vi sembra solida come una verità scientifica e le sue immagini sono tutte delle storie che lo ossessionano. Senza alcun dubbio, la sua opera è una finzione che medita sulla comunicazione e sull’aldilà del linguaggio, patria dell’indicibile.
Jorge Macchi nasce a Buenos Aires nel 1963, città dove vive e lavora.
Macchi è uno degli artisti argentini più in vista tra quelli venuti alla ribalta nel corso degli anni ’90. Nel 1993, trasloca a Parigi, dando inizio a un periodo di cinque anni durante il quale viaggia in tutta Europa, partecipando a numerose residenze artistiche, tra queste Rotterdam, Amsterdam e Londra. Nel 1998, Jorge Macchi ritorna a Buenos Aires. Nel 2005, le sue opere sono esposte alla Biennale di Venezia, dopo essere stato scelto come rappresentante dell’Argentina. Le sue opere sono state inoltre esposte in occasione delle Biennali de La Avana, di San Paolo e di Istanbul, nonché presso il Credac di Ivry-sur-Seine, il 10Neuf, Centro Regionale d'Arte Contemporanea di Montbéliard, il MUHKA di Anversa, il Walker Art Center di Minneapolis, lo Sculpture Center di New York, il MUCA di Roma, ecc.
Galleria Continua è lieta di presentare una nuova mostra personale di Margherita Morgantin, una delle più interessanti rappresentanti del panorama artistico italiano degli ultimi anni.
La ricerca dell’artista veneziana parte dall’osservazione e dalla descrizione delle cose o situazioni concrete, per aprirle ad una condizione interiore. La sua poetica si esprime attraverso fotografie, disegni e opere video anche queste spesso realizzate attraverso il susseguirsi di sequenze fotografiche, dissolvenze e sovrapposizioni. Pause e silenzi attraversano le sue opere mettendo così lo spettatore in condizione di ricostruire le parti mancati attivando, inoltre, quella capacità immaginativa che offre nuove possibilità e nuove visioni.
Untitled (2009), la grande installazione che Margherita Morgantin presenta all’interno di questa personale, sembra far riferimento alla condizione del naufragio e alla possibilità, sempre e comunque, di poter riemerge. “Rifletto ancora sulla sicurezza, il controllo, l’autocontrollo, il colore, la geometria e dio, e la parte dei miei pensieri che non conosco razionalmente è sempre la maggiore, la tensione che si crea per questo è uno dei materiali fondamentali della mia ricerca” dichiara Margherita Morgantin e prosegue “Poi ci sono i salvagenti arancioni, che con la propria forma specifica, che rimanda alla forma di un corpo e insieme alla sua assenza, smentiscono la geometria pura del cubo”.
In un testo di recente pubblicazione la critica d’arte Emanuela De Cecco commenta così l’opera: “Questo lavoro è la risultante di un incontro/scontro che parte dall’assunzione di un modello forte attraverso l’impiego di un segno appartenente ad un altro universo ma altrettanto fortemente connotato. Ancora, si intravede lo spazio per tornare a pensare ad una possibile ulteriore articolazione del rapporto tra assoggettamento e venire al mondo del soggetto, passaggio, sempre in relazione al pensiero della Butler, necessario per continuare a dire. I salvagenti, tanti, rimandano alla sopravvivenza, ad una salvezza terrena non intesa come fatto individuale ma riferita ad una collettività. Potrebbe essere metafora di una condizione esistenziale che potenzialmente ci riguarda tutti ma, tenendo conto degli effettivi indizi messi in campo, un riferimento direttamente politico, sarebbe riduttivo: Margherita Morgantin, come detto in apertura, non orienta l’interpretazione chiudendo su una lettura univoca. Piuttosto ci sono elementi per pensare che questo lavoro partecipi di una eredità riconosciuta per reinventarla dall’interno. E’ qui che la scelta è politica, in questo senso una lettura politica concentrata sull’oggetto salvagente sarebbe riduttiva”.
La natura e gli elementi atmosferici sono spesso luogo di indagine e soggetti della ricerca di Margherita Morgantin. I paesaggi raccontati dall’artista non sono solo registrazioni dello sguardo, esprimono piuttosto un rapporto sincronico tra esperienze personali e funzioni tecniche, come nel video Air Drawing (2009) che compone questo percorso espositivo. Il montaggio è costituito da una serie di sequenze ricavate dai rilevamenti termografici che rendono visibili gli effetti del vento sul terreno. Gli spostamenti del vento producono disegni sul paesaggio: bianche le correnti calde, nere le correnti fredde; turbolenze e vortici si prestano ad essere letti come rilevazioni di carattere emotivo evidenziando la capacità dell’artista di unire mente e cuore, visione artistica e influenza scientifica.
Il vento torna ad essere protagonista nell’inedita installazione che Margherita Morgantin colloca nel giardino della galleria.
Margherita Morgantin è nata a Venezia nel 1971, si è laureata in Architettura, dipartimento di Fisica Tecnica, all’istituto Universitario di Architettura di Venezia, vive e lavora a Milano, Venezia, Palermo. Tra le principali mostre personali ricordiamo: Palermo_zen (white rainbow), a cura di H.Marsala, quartiere ZEN 2, Palermo (2009); Download-now #4, Fondazione Olivetti, Roma, a cura di F.Comisso (2005); Codice Sorgente, Galleria Continua, San Gimignano (2004); Baggage identification tag, a cura di D.Bigi, Casa Musumeci Greco, Roma (2004); Spazio Aperto, Galleria d’Arte Moderna, Bologna, con Davide Tranciana, a cura di C.Bertola (2003); Arte all'Arte 7, progetto del Teatro dei Leggieri di S.Gimignano, Palazzo delle Papesse, Siena (2002). Molte le mostre collettive realizzate in Italia e all’estero, tra queste segnaliamo: Piove dentro a l’alta fantasia, Museo Marino Marini, Firenze (2007); D’ombra, a cura di L.Vergine, Compton Verney Art Museum, Warwickshire e MAN, Nuoro (2007); Videoreport Italia 2004-05, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (2006); Biennale Donna, a cura di E.De Cecco, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, Ferrara (2006); Il potere delle donne/The Power of Women, Galleria Civica di arte contemporanea, Trento (2006); Con altri occhi, a cura di K.Anguelova, R.Pinto, Palazzo della Ragione, Milano (2005); Aperto per lavori in corso, a cura di di F.Pasini, PAC, Milano (2005); Alineamenti, a cura di L.Aiello, S.Risaliti, Trinitateskirche, Köln (2005); Sweet taboo, a cura di R.Pinto, Kompleksi-Goldi, Tirana, Albania Tirana Biennale 3 episode II (2005); Empowerment, a cura di M.Scotini, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Villa Mombrini, Genova (2004).
Con una carriera che abbraccia quasi un trentennio Mona Hatoum è un’artista di primo piano nel panorama artistico contemporaneo. L’identità culturale, il nomadismo geografico, la minaccia della guerra, il senso di precarietà esistenziale e di spaesamento, sono alla base dei lavori dell’artista anglo-palestinese.
In questa mostra Mona Hatoum rivisita alcuni temi diventati emblematici nella sua pratica artistica dell’ultimo decennio e presenta una serie di opere che, partendo da oggetti di uso quotidiano, si trasformano in sculture inconsuete e inquietanti.
Paravent (2008) una grattugia ingrandita fino a dimensioni surreali e architettoniche tanto da diventare un paravento e Dormiente (2008), una grattugia questa volta portata alle dimensioni di un letto che promette disagio e sofferenza, sono collocate sul palcoscenico della galleria. “Mona Hatoum prende di mira il luogo della domesticità e il concetto di casa, all’interno del quale fa entrare qualcosa di estraneo. Sono note le sue singolari sculture in cui ingigantisce innocui utensili da cucina – grattugie, scolapasta, tagliauova, tritaverdure… –, trasformandoli in mostri minacciosi se non addirittura in macchine da tortura. La maggior parte dei critici vi hanno visto la crudeltà celata nella routine o l’imposizione di una vita domestica; preferisco, invece, allinearmi a coloro che hanno imboccato la via ‘surreale’ che dal ready-made di Duchamp immette perturbazioni nel campo della fenomenalità”.
(Chiara Bertola, Interior Landscape, ed. Charta, 2009).
Le opere di Mona Hatoum non si mostrano mai rigide o cristallizzate, piuttosto aperte alla trasformazione come ad esempio Bukhara (maroon), un tradizionale tappeto orientale apparentemente in stato di disgregazione. Ampie parti di superficie sembrano logore o mangiate dai tarli, a uno sguardo più attento, si scopre però che le chiazze mancanti si congiungono a formare la mappa di un mondo nascosto. Ed ancora Undercurrent (red), un’opera del 2008, che l’artista pone al centro della platea e con la quale titola questa personale. Da un quadrato centrale, tessuto di cavi elettrici anziché di fili, un’ampia frangia serpeggia e si allunga sul pavimento ad invadere lo spazio. Ogni filo termina con una lampadina da 15 watt che silenziosamente si illumina e cambia di intensità, come un lento respiro che lascia preludere una malevola presenza sotto i nostri piedi.
All’idea di paura e pericolo si riferisce anche Nature morte aux grenades (2006-2007): una collezione di colorati cristalli soffiati, plasmati come bombe a mano ed esposti su un carrello di gomma e ferro che evidenziano la contraddizione tra la natura seducente del materiale utilizzato e il pericolo sotteso.
Mona Hatoum nasce a Beirut da una famiglia palestinese nel 1952. Durante una breve visita a Londra nel 1975, lo scoppio della guerra civile in Libano le impedsce di tornare a casa e da quel momento vive a Londra. Oggi divide il suo tempo tra Londra e Berlino.
Già dalla metà degli anni Ottanta l’artista si afferma nel panorama artistico con performance e opere video che fanno del corpo l’espressione di una realtà divisa, in bilico tra tensioni e sopravvivenza, tra oppressione e controllo culturale e sociale. Dai primi anni Novanta il lavoro della Hatoum si concentra su installazioni di grandi dimensioni e sculture.
Le opere di Mona Hatoum sono state presentate nei più prestigiosi spazi espositivi di Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Con la mostra “The Entire World as a Foreign Land” Mona Hatoum inaugura nel 2000 la Tate Britain di Londra. Nel 2004 la più ampia e completa antologica mai realizzata sull’artista, viene presentata alla Hamburger Kunsthalle, la mostra viene successivamente ospitata al Kunstmuseum Bonn, al Magasin 3 Stockholm Konsthall e al Sydney Museum of Contemporary Art (2005). L’artista ha inoltre partecipato ad importanti mostre internazionali: nel 1995 alla 46ma Biennale di Venezia e alla 4ª Biennale Istanbul, nel 2002 a Documenta XI, nel 2005 è nuovamente presente alla Biennale di Venezia, nel 2006 prende parte alla 15ª Biennale di Sydney, nel 2007 alla 3ª Triennale di Auckland e all’8ª Biennale di Sharja. Tra le mostre personali più recenti ricordiamo Undercurrent per la XIII Biennale Donna a Palazzo Massari PAC di Ferrara (2008); Measures of Entanglement, UCCA, Pechino (2009) e Interior Landscape, presso la Fondazione Querini Stampalia di Venezia (2009), in corso fino al 20 settembre 2009.
Galleria Continua è lieta di ospitare nei suoi spazi espositivi Rendez vous, la nuova personale di uno degli artisti di maggior rilievo del panorama artistico latino americano, Jorge Macchi. La mostra si articola intorno ad un gruppo di opere inedite -sculture, video, fotografie, disegni -appositamente realizzate per questa occasione espositiva.
Il lavoro di Jorge Macchi resiste a ogni tipo di esegesi. Più che seguire una progressione lineare, le sue opere si presentano come delle reti semantiche dense e intricate. L’informazione è una conoscenza che viene da ogni luogo e non finisce in nessun posto. L’artista utilizza spesso i giornali, paradigmi degli archivi informativi basati su dei fatti. Al di là della semplice informazione, gli scritti e la poesia svolgono un ruolo importante all’interno del suo lavoro così come la musica che, anche in questa mostra, si palesa come linguaggio formale completo nell’opera video 12 short songs.
Le opere di Jorge Macchi nascono anche dall’aneddoto, dal caso, dalla vita di tutti i giorni. I segni sono silenziosamente scomposti e poi ricomposti secondo un processo di “s-familiarità”. Per l’artista, più l’oggetto è semplice e pulito, più potrà contenere dei riferimenti e più la sua relazione con noi sarà personale e sentimentale. Questa “strategia dell’obliquo” e un acuto senso dell’umorismo nero sono dei tratti tipici del suo lavoro.
Jorge Macchi ama suggerire nelle sue opere l’esistenza di un mondo parallelo al nostro, nascosto sotto il velo della banalità: la realtà è elusiva. L’artista è interessato dalla ricreazione di una realtà parallela e il suo lavoro è un’elegia in onore dell’assenza di un’unica visione del mondo. L’incontro tra oggetti e materiali produce nell’opera di Macchi nuove letture della vita quotidiana. Emblematica, in questo senso, Rendez vous, l’opera che dà anche il titolo a questa mostra: un vecchio armadio di legno è precariamente collocato sullo specchio al termine della prima rampa di scale della galleria. I due specchi si incontrano attivando inaspettate riflessioni.
Jorge Macchi mostra un chiaro interesse per i margini, i confini, i cocci, tutto quanto è caduto dietro di noi. Nel suo universo tutto è in transito, tutto è precario. Niente è mai permanente. Le sue opere fanno eco alle assenze, vere padrone delle scene, forti come delle presenze. È un artista della perdita e della nostalgia. I segni di una memoria collettiva, assortiti di connotazioni, sono utilizzati da Jorge Macchi per sviluppare la sua “Caverna”, la sua visione personale del mondo contemporaneo. I ricordi sono frammentati, proprio come le realtà o le immagini. Con lui, l’atmosfera acquisisce un non so che di metafisico, una misteriosa tranquillità, serietà o calma. La verità emozionale vi sembra solida come una verità scientifica e le sue immagini sono tutte delle storie che lo ossessionano. Senza alcun dubbio, la sua opera è una finzione che medita sulla comunicazione e sull’aldilà del linguaggio, patria dell’indicibile.
Jorge Macchi nasce a Buenos Aires nel 1963, città dove vive e lavora.
Macchi è uno degli artisti argentini più in vista tra quelli venuti alla ribalta nel corso degli anni ’90. Nel 1993, trasloca a Parigi, dando inizio a un periodo di cinque anni durante il quale viaggia in tutta Europa, partecipando a numerose residenze artistiche, tra queste Rotterdam, Amsterdam e Londra. Nel 1998, Jorge Macchi ritorna a Buenos Aires. Nel 2005, le sue opere sono esposte alla Biennale di Venezia, dopo essere stato scelto come rappresentante dell’Argentina. Le sue opere sono state inoltre esposte in occasione delle Biennali de La Avana, di San Paolo e di Istanbul, nonché presso il Credac di Ivry-sur-Seine, il 10Neuf, Centro Regionale d'Arte Contemporanea di Montbéliard, il MUHKA di Anversa, il Walker Art Center di Minneapolis, lo Sculpture Center di New York, il MUCA di Roma, ecc.
Galleria Continua è lieta di presentare una nuova mostra personale di Margherita Morgantin, una delle più interessanti rappresentanti del panorama artistico italiano degli ultimi anni.
La ricerca dell’artista veneziana parte dall’osservazione e dalla descrizione delle cose o situazioni concrete, per aprirle ad una condizione interiore. La sua poetica si esprime attraverso fotografie, disegni e opere video anche queste spesso realizzate attraverso il susseguirsi di sequenze fotografiche, dissolvenze e sovrapposizioni. Pause e silenzi attraversano le sue opere mettendo così lo spettatore in condizione di ricostruire le parti mancati attivando, inoltre, quella capacità immaginativa che offre nuove possibilità e nuove visioni.
Untitled (2009), la grande installazione che Margherita Morgantin presenta all’interno di questa personale, sembra far riferimento alla condizione del naufragio e alla possibilità, sempre e comunque, di poter riemerge. “Rifletto ancora sulla sicurezza, il controllo, l’autocontrollo, il colore, la geometria e dio, e la parte dei miei pensieri che non conosco razionalmente è sempre la maggiore, la tensione che si crea per questo è uno dei materiali fondamentali della mia ricerca” dichiara Margherita Morgantin e prosegue “Poi ci sono i salvagenti arancioni, che con la propria forma specifica, che rimanda alla forma di un corpo e insieme alla sua assenza, smentiscono la geometria pura del cubo”.
In un testo di recente pubblicazione la critica d’arte Emanuela De Cecco commenta così l’opera: “Questo lavoro è la risultante di un incontro/scontro che parte dall’assunzione di un modello forte attraverso l’impiego di un segno appartenente ad un altro universo ma altrettanto fortemente connotato. Ancora, si intravede lo spazio per tornare a pensare ad una possibile ulteriore articolazione del rapporto tra assoggettamento e venire al mondo del soggetto, passaggio, sempre in relazione al pensiero della Butler, necessario per continuare a dire. I salvagenti, tanti, rimandano alla sopravvivenza, ad una salvezza terrena non intesa come fatto individuale ma riferita ad una collettività. Potrebbe essere metafora di una condizione esistenziale che potenzialmente ci riguarda tutti ma, tenendo conto degli effettivi indizi messi in campo, un riferimento direttamente politico, sarebbe riduttivo: Margherita Morgantin, come detto in apertura, non orienta l’interpretazione chiudendo su una lettura univoca. Piuttosto ci sono elementi per pensare che questo lavoro partecipi di una eredità riconosciuta per reinventarla dall’interno. E’ qui che la scelta è politica, in questo senso una lettura politica concentrata sull’oggetto salvagente sarebbe riduttiva”.
La natura e gli elementi atmosferici sono spesso luogo di indagine e soggetti della ricerca di Margherita Morgantin. I paesaggi raccontati dall’artista non sono solo registrazioni dello sguardo, esprimono piuttosto un rapporto sincronico tra esperienze personali e funzioni tecniche, come nel video Air Drawing (2009) che compone questo percorso espositivo. Il montaggio è costituito da una serie di sequenze ricavate dai rilevamenti termografici che rendono visibili gli effetti del vento sul terreno. Gli spostamenti del vento producono disegni sul paesaggio: bianche le correnti calde, nere le correnti fredde; turbolenze e vortici si prestano ad essere letti come rilevazioni di carattere emotivo evidenziando la capacità dell’artista di unire mente e cuore, visione artistica e influenza scientifica.
Il vento torna ad essere protagonista nell’inedita installazione che Margherita Morgantin colloca nel giardino della galleria.
Margherita Morgantin è nata a Venezia nel 1971, si è laureata in Architettura, dipartimento di Fisica Tecnica, all’istituto Universitario di Architettura di Venezia, vive e lavora a Milano, Venezia, Palermo. Tra le principali mostre personali ricordiamo: Palermo_zen (white rainbow), a cura di H.Marsala, quartiere ZEN 2, Palermo (2009); Download-now #4, Fondazione Olivetti, Roma, a cura di F.Comisso (2005); Codice Sorgente, Galleria Continua, San Gimignano (2004); Baggage identification tag, a cura di D.Bigi, Casa Musumeci Greco, Roma (2004); Spazio Aperto, Galleria d’Arte Moderna, Bologna, con Davide Tranciana, a cura di C.Bertola (2003); Arte all'Arte 7, progetto del Teatro dei Leggieri di S.Gimignano, Palazzo delle Papesse, Siena (2002). Molte le mostre collettive realizzate in Italia e all’estero, tra queste segnaliamo: Piove dentro a l’alta fantasia, Museo Marino Marini, Firenze (2007); D’ombra, a cura di L.Vergine, Compton Verney Art Museum, Warwickshire e MAN, Nuoro (2007); Videoreport Italia 2004-05, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone (2006); Biennale Donna, a cura di E.De Cecco, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, Ferrara (2006); Il potere delle donne/The Power of Women, Galleria Civica di arte contemporanea, Trento (2006); Con altri occhi, a cura di K.Anguelova, R.Pinto, Palazzo della Ragione, Milano (2005); Aperto per lavori in corso, a cura di di F.Pasini, PAC, Milano (2005); Alineamenti, a cura di L.Aiello, S.Risaliti, Trinitateskirche, Köln (2005); Sweet taboo, a cura di R.Pinto, Kompleksi-Goldi, Tirana, Albania Tirana Biennale 3 episode II (2005); Empowerment, a cura di M.Scotini, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Villa Mombrini, Genova (2004).
13
settembre 2009
Hatoum | Macchi | Morgantin
Dal 13 settembre al 07 novembre 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA CONTINUA
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
San Gimignano, Via Del Castello, 11, (Siena)
Orario di apertura
da martedì a sabato, 14.00-19.00
Vernissage
13 Settembre 2009, ore 11-19
Autore