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Hi, TECH!
Il rapporto tra arte e tecnologia viene analizzato in questa mostra attraverso una selezione di opere di artisti contemporanei, da Fluxus e le Neo-avanguardie degli anni ‘Settanta fino alle ultime generazioni di artisti d’oggi.
Comunicato stampa
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Hi, TECH!
Will Cruickshank, Maurizio Mochetti, Nam June Paik, Cornelia Parker, Gianni Piacentino, Franck Scurti, Alain Urrutia, Peter Vogel, Wolf Vostell
A cura di Gianluca Ranzi
Il rapporto tra arte e tecnologia viene analizzato in questa mostra attraverso una selezione di opere di artisti contemporanei, da Fluxus e le Neo-avanguardie degli anni settanta del secolo scorso fino alle ultime generazioni di artisti d’oggi.
In un orizzonte sociale e politico in cui la tecnologia sempre più si scopre tecnocrazia, gli artisti reagiscono attraverso le loro opere commentando con spirito critico, con ironia e talvolta con sarcasmo, opponendosi al mito dell’efficienza della prestazione, della velocizzazione del tempo, della produttività esasperata. L’arte, come nelle opere presenti in mostra, produce invece una realtà linguistica come forma di resistenza della complessità contro la banalità, auspicando l’utopia della durata del tempo contro il consumo dell’istante.
Wolf Vostell (Leverkusen, 1932 - Berlino, 1998) e Nam June Paik (Seoul, 1932 - Miami, 2006) hanno sviluppato la loro ricerca a partire dall’inizio degli anni Sessanta, nell’ambito del gruppo Fluxus e dell’Happening, testimoniando in presa diretta l’inizio dell’era tecnologica con le sue ricadute sui mass-media e sull’assoggettamento di un pubblico sempre più anestetizzato e piegato alla volontà del mercato e degli opinion-maker. Se Wolf Vostell oppone a tutto ciò la potente riflessione della sua coscienza critica e demistificatoria, mettendo in relazione i vincoli degenerati tra industria bellica, mercato e asservimento delle coscienze, Nam June Paik cerca invece di reagire all’estraniazione dell’uomo contemporaneo attraverso il miraggio di un’inedita alleanza tra arte e tecnologia, tra uomo e macchina, recuperando il senso di una vita non più condizionata ma supportata dalla tecnica, anche grazie all’ironia, al gioco e all’irriverenza.
In altro ambito formativo e geografico e a partire dalla fine degli anni Sessanta, si è invece mossa la proposta di Gianni Piacentino (Coazze, 1945) che attraverso la rimodulazione di un nuovo alfabeto di neo-oggettistica tecnologica trasforma la realtà in immaginazione, passando così dal consumo al fantastico, dalla funzionalità alla contaminazione formale, dall’utilità pratica ad un’ipotesi di bellezza senza luogo e senza tempo. Anche per Maurizio Mochetti (Roma, 1940) l’opera d’arte è il risultato tangibile, seppur spesso smaterializzato nella luce del laser, del principio secondo cui l’uso della tecnologia fa da strumento per la manifestazione dell’idea, così come il progetto diviene aerea proiezione del pensiero. Sulla scia della potente opera di critica sociale di alcune di queste esperienze, trova posto oggi il lavoro del francese Franck Scurti (Lione, 1965) che a partire da oggetti d’uso comune con una forte implicazione socio-economica li riconduce ad una metamorfosi formale che ne reinterpreta i codici e gli elementi. La produzione di senso che operazioni come questa producono nell’osservatore viene anche condivisa dalla pittura di Alain Urrutia (Bilbao, 1981), meraviglioso ibrido tra il mentale e il visivo, il cui viaggio spazia nel mondo delle immagini, della loro consumazione mediatica, della resa paradossale tra familiarità della lettura e alterità della manifestazione del perturbante. Le polaroid di Cornelia Parker (Cheshire, 1956) esposte in mostra, frutto di uno sguardo tra il lucido e l’allucinato che recupera persino la solitudine angosciosa di Munch, mettono in scena il disagio del quotidiano in relazione a temi quali la violenza, il tempo e il suo congelamento nell’attimo, l’ecologia e i diritti umani. Anche l’altro artista britannico presente, Will Cruickshank (Londra, 1974), riflette dalla sua angolatura particolare sul rapporto tra tempo, tecnologia e intervento umano, creando macchine celibi, telai, strumenti, che citando il mondo dell’operatività, del lavoro e della produzione, in realtà recuperano, anche attraverso l’intervento del caso e dell’errore, una pratica non disumanizzante dove la creatività e il pensiero tengono saldamente le redini del gioco. La manualità di un processo creativo che cita la tecnologia superandone però le secche attraverso la corsa nell’immaginazione, è anche la caratteristica delle opere dell’artista tedesco Peter Vogel (Freiburg im Breisgau 1937-2017), che giocano e scherzano con il movimento e con il sonoro, facendo dell’osservatore parte attiva del loro processo ludico e partecipativo.
Informazioni essenziali
MAAB Gallery
via Nerino 3 – 20123 Milano
Dal 30 maggio al 12 luglio 2024
Aperta dal martedì al venerdì, 10.30 - 18
Inaugurazione: giovedì 30 maggio 2024, ore 18 - 20
Will Cruickshank, Maurizio Mochetti, Nam June Paik, Cornelia Parker, Gianni Piacentino, Franck Scurti, Alain Urrutia, Peter Vogel, Wolf Vostell
A cura di Gianluca Ranzi
Il rapporto tra arte e tecnologia viene analizzato in questa mostra attraverso una selezione di opere di artisti contemporanei, da Fluxus e le Neo-avanguardie degli anni settanta del secolo scorso fino alle ultime generazioni di artisti d’oggi.
In un orizzonte sociale e politico in cui la tecnologia sempre più si scopre tecnocrazia, gli artisti reagiscono attraverso le loro opere commentando con spirito critico, con ironia e talvolta con sarcasmo, opponendosi al mito dell’efficienza della prestazione, della velocizzazione del tempo, della produttività esasperata. L’arte, come nelle opere presenti in mostra, produce invece una realtà linguistica come forma di resistenza della complessità contro la banalità, auspicando l’utopia della durata del tempo contro il consumo dell’istante.
Wolf Vostell (Leverkusen, 1932 - Berlino, 1998) e Nam June Paik (Seoul, 1932 - Miami, 2006) hanno sviluppato la loro ricerca a partire dall’inizio degli anni Sessanta, nell’ambito del gruppo Fluxus e dell’Happening, testimoniando in presa diretta l’inizio dell’era tecnologica con le sue ricadute sui mass-media e sull’assoggettamento di un pubblico sempre più anestetizzato e piegato alla volontà del mercato e degli opinion-maker. Se Wolf Vostell oppone a tutto ciò la potente riflessione della sua coscienza critica e demistificatoria, mettendo in relazione i vincoli degenerati tra industria bellica, mercato e asservimento delle coscienze, Nam June Paik cerca invece di reagire all’estraniazione dell’uomo contemporaneo attraverso il miraggio di un’inedita alleanza tra arte e tecnologia, tra uomo e macchina, recuperando il senso di una vita non più condizionata ma supportata dalla tecnica, anche grazie all’ironia, al gioco e all’irriverenza.
In altro ambito formativo e geografico e a partire dalla fine degli anni Sessanta, si è invece mossa la proposta di Gianni Piacentino (Coazze, 1945) che attraverso la rimodulazione di un nuovo alfabeto di neo-oggettistica tecnologica trasforma la realtà in immaginazione, passando così dal consumo al fantastico, dalla funzionalità alla contaminazione formale, dall’utilità pratica ad un’ipotesi di bellezza senza luogo e senza tempo. Anche per Maurizio Mochetti (Roma, 1940) l’opera d’arte è il risultato tangibile, seppur spesso smaterializzato nella luce del laser, del principio secondo cui l’uso della tecnologia fa da strumento per la manifestazione dell’idea, così come il progetto diviene aerea proiezione del pensiero. Sulla scia della potente opera di critica sociale di alcune di queste esperienze, trova posto oggi il lavoro del francese Franck Scurti (Lione, 1965) che a partire da oggetti d’uso comune con una forte implicazione socio-economica li riconduce ad una metamorfosi formale che ne reinterpreta i codici e gli elementi. La produzione di senso che operazioni come questa producono nell’osservatore viene anche condivisa dalla pittura di Alain Urrutia (Bilbao, 1981), meraviglioso ibrido tra il mentale e il visivo, il cui viaggio spazia nel mondo delle immagini, della loro consumazione mediatica, della resa paradossale tra familiarità della lettura e alterità della manifestazione del perturbante. Le polaroid di Cornelia Parker (Cheshire, 1956) esposte in mostra, frutto di uno sguardo tra il lucido e l’allucinato che recupera persino la solitudine angosciosa di Munch, mettono in scena il disagio del quotidiano in relazione a temi quali la violenza, il tempo e il suo congelamento nell’attimo, l’ecologia e i diritti umani. Anche l’altro artista britannico presente, Will Cruickshank (Londra, 1974), riflette dalla sua angolatura particolare sul rapporto tra tempo, tecnologia e intervento umano, creando macchine celibi, telai, strumenti, che citando il mondo dell’operatività, del lavoro e della produzione, in realtà recuperano, anche attraverso l’intervento del caso e dell’errore, una pratica non disumanizzante dove la creatività e il pensiero tengono saldamente le redini del gioco. La manualità di un processo creativo che cita la tecnologia superandone però le secche attraverso la corsa nell’immaginazione, è anche la caratteristica delle opere dell’artista tedesco Peter Vogel (Freiburg im Breisgau 1937-2017), che giocano e scherzano con il movimento e con il sonoro, facendo dell’osservatore parte attiva del loro processo ludico e partecipativo.
Informazioni essenziali
MAAB Gallery
via Nerino 3 – 20123 Milano
Dal 30 maggio al 12 luglio 2024
Aperta dal martedì al venerdì, 10.30 - 18
Inaugurazione: giovedì 30 maggio 2024, ore 18 - 20
30
maggio 2024
Hi, TECH!
Dal 30 maggio al 12 luglio 2024
arte contemporanea
Location
MAAB GALLERY – VIA NERINO
Milano, Via Nerino, 3, (Milano)
Milano, Via Nerino, 3, (Milano)
Orario di apertura
martedì - venerdì, ore 10.30-18
Vernissage
30 Maggio 2024, ore 18-20
Sito web
Autore
Curatore