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Hierós
Artisti contemporanei ci offrono, attraverso la loro interpretazione, gli esiti di un’intima esplorazione sul
concetto di sacro e la sua evoluzione
Comunicato stampa
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Hierós
Nel mondo di oggi, dove sin da bambini ci hanno insegnato a dire “prima di Cristo” e “dopo Cristo”, è difficile pensare di possedere
la stessa percezione del divino e della sacralità dei primi abitanti del pianeta.
L’uomo del terzo millennio (sia esso credente o meno) non può che sfiorare la religiosità che si perde nella notte dei tempi. Sempre
e comunque attraverso il filtro della mentalità di tradizione ebraico-cristiana.
Ciò significa che nulla possiamo sapere degli dèi venerati dai padri dei nostri padri?
Niente affatto. Pitture parietali, statuette, pendenti incisi, decorazioni su vasi dell’età preistorica ci raccontano di un universo
che celebra la Dea Creatrice, la Madre Terra, e con Essa tutte le cose viventi, in quanto partecipi della sua divinità. La Dea è
rappresentata incinta e nuda, o nella posizione della partoriente, o ancora con seni e glutei prominenti.
Un’antica religione che si svela attraverso un’Arte fatta di segni, simboli e immagini di divinità. Ma la Dea Dispensatrice di Vita e
di Fertilità è anche la Dea Reggitrice di Morte e la Dea Rigeneratrice, riflesso di una concezione ciclica del tempo che nell’arte si
traduce in spirali e cerchi, in serpenti, simboli benefici di energia vitale e rigenerazione ben lontani dal serpente ucciso dall’Indra
vedico, o quello, ben più famoso, che nell’allegoria biblica del peccato originale spinge Eva a cogliere il frutto proibito.
La religione dell’uomo antidiluviano trae quindi il suo sistema simbolico e iconografico dall’osservazione della natura e delle sue
leggi: non c’è distinzione tra il Sacro (ciò che appartiene alla divinità) e il Profano (ciò che non gli appartiene). Anche la più piccola
manifestazione della natura è una ierofania.
Concetto arduo da afferrare per noi, educati ad una netta separazione tra Spirito e Materia, eredi di quella religione adamitica in
cui il Padre Creatore, dall’alto del Regno dei Cieli, governa un mondo materiale popolato da peccatori alla ricerca della salvezza.
Siamo ben lontani quindi dal poter vivere la percezione del divino allo stesso modo di un uomo delle caverne che si inchina di
fronte alle forze della natura o di un augure etrusco che con il naso all’insù insegue il volo degli uccelli per decifrare i messaggi degli
dèi.
Del resto, oggi rimarremmo (giustamente!) inorriditi di fronte ad un ministro di Giove che immola un toro bianco al padre degli
dèi. Duemila anni fa non ci sarebbero stati eserciti di animalisti pronti a scagliarsi contro tali barbarie. Per noi un atto di crudeltà.
Per l’uomo antico un sacrificio. Sacrificare: dal latino sacrum facere, rendere sacro. Un via per entrare in contatto con la divinità,
ottenerne i favori, interpretarne il volere.
Eppure non dobbiamo dimenticare che l’inizio della nostra era, quella cristiana, è segnato dal sacrificio supremo: il sacrificio di
quell’Uomo di Nazareth che per amore di Dio e del Prossimo muore sulla croce.
Come l’ocra rossa usata dai neolitici per dipingere le immagini della Dea Madre, il sangue che tinge di rosso le rappresentazioni del
Cristo morente è Vita. La Passione non è Morte, ma Vita.
Una Nuova Vita all’insegna di una ricongiunzione tra Terra e Cielo. Quello stesso incontro suggerito da una croce che svetta sulla
cima di un monte e si allunga verso il soffitto del mondo.
Nel nostro sistema di pensiero, che lo vogliamo o no, la croce è diventata uno dei simboli più potenti, traboccante di significato.
Se per un credente è l’immagine del Figlio di Dio, morto per salvare l’umanità, per tutti la croce rappresenta l’Uomo che ha dato la
Vita per Amore.
E con la croce e la passione termina il percorso proposto da Hierós, la mostra organizzata dal Collettivo TM15 in collaborazione
con la fondazione Staurós, all’interno della Rassegna di Arte Contemporanea Basilio Cascella: artisti contemporanei ci offrono,
attraverso la loro interpretazione, gli esiti di un’intima esplorazione sul concetto di sacro e la sua evoluzione.
Il risultato? Un’affascinante viaggio, il cui punto di arrivo è al tempo stesso punto di partenza. Muovendo sin dalle origini, quando il
divino alita in ogni forma di vita, esplorando poi l’alienazione del sacro, che staccandosi dal mondo materiale diventa ultraterreno,
si giunge, attraverso un cammino di rinnovamento colmo di sacralità, alla crocifissione, momento che sancisce un ritrovato
sodalizio tra terra e cielo ed è a sua volta genesi della nostra idea di sacro. Un cerchio, quindi, che si chiude su se stesso, la cui fine
non è che un inizio. Un circolo, proprio come la grande giostra della Vita.
Denise Galuzzi
Nel mondo di oggi, dove sin da bambini ci hanno insegnato a dire “prima di Cristo” e “dopo Cristo”, è difficile pensare di possedere
la stessa percezione del divino e della sacralità dei primi abitanti del pianeta.
L’uomo del terzo millennio (sia esso credente o meno) non può che sfiorare la religiosità che si perde nella notte dei tempi. Sempre
e comunque attraverso il filtro della mentalità di tradizione ebraico-cristiana.
Ciò significa che nulla possiamo sapere degli dèi venerati dai padri dei nostri padri?
Niente affatto. Pitture parietali, statuette, pendenti incisi, decorazioni su vasi dell’età preistorica ci raccontano di un universo
che celebra la Dea Creatrice, la Madre Terra, e con Essa tutte le cose viventi, in quanto partecipi della sua divinità. La Dea è
rappresentata incinta e nuda, o nella posizione della partoriente, o ancora con seni e glutei prominenti.
Un’antica religione che si svela attraverso un’Arte fatta di segni, simboli e immagini di divinità. Ma la Dea Dispensatrice di Vita e
di Fertilità è anche la Dea Reggitrice di Morte e la Dea Rigeneratrice, riflesso di una concezione ciclica del tempo che nell’arte si
traduce in spirali e cerchi, in serpenti, simboli benefici di energia vitale e rigenerazione ben lontani dal serpente ucciso dall’Indra
vedico, o quello, ben più famoso, che nell’allegoria biblica del peccato originale spinge Eva a cogliere il frutto proibito.
La religione dell’uomo antidiluviano trae quindi il suo sistema simbolico e iconografico dall’osservazione della natura e delle sue
leggi: non c’è distinzione tra il Sacro (ciò che appartiene alla divinità) e il Profano (ciò che non gli appartiene). Anche la più piccola
manifestazione della natura è una ierofania.
Concetto arduo da afferrare per noi, educati ad una netta separazione tra Spirito e Materia, eredi di quella religione adamitica in
cui il Padre Creatore, dall’alto del Regno dei Cieli, governa un mondo materiale popolato da peccatori alla ricerca della salvezza.
Siamo ben lontani quindi dal poter vivere la percezione del divino allo stesso modo di un uomo delle caverne che si inchina di
fronte alle forze della natura o di un augure etrusco che con il naso all’insù insegue il volo degli uccelli per decifrare i messaggi degli
dèi.
Del resto, oggi rimarremmo (giustamente!) inorriditi di fronte ad un ministro di Giove che immola un toro bianco al padre degli
dèi. Duemila anni fa non ci sarebbero stati eserciti di animalisti pronti a scagliarsi contro tali barbarie. Per noi un atto di crudeltà.
Per l’uomo antico un sacrificio. Sacrificare: dal latino sacrum facere, rendere sacro. Un via per entrare in contatto con la divinità,
ottenerne i favori, interpretarne il volere.
Eppure non dobbiamo dimenticare che l’inizio della nostra era, quella cristiana, è segnato dal sacrificio supremo: il sacrificio di
quell’Uomo di Nazareth che per amore di Dio e del Prossimo muore sulla croce.
Come l’ocra rossa usata dai neolitici per dipingere le immagini della Dea Madre, il sangue che tinge di rosso le rappresentazioni del
Cristo morente è Vita. La Passione non è Morte, ma Vita.
Una Nuova Vita all’insegna di una ricongiunzione tra Terra e Cielo. Quello stesso incontro suggerito da una croce che svetta sulla
cima di un monte e si allunga verso il soffitto del mondo.
Nel nostro sistema di pensiero, che lo vogliamo o no, la croce è diventata uno dei simboli più potenti, traboccante di significato.
Se per un credente è l’immagine del Figlio di Dio, morto per salvare l’umanità, per tutti la croce rappresenta l’Uomo che ha dato la
Vita per Amore.
E con la croce e la passione termina il percorso proposto da Hierós, la mostra organizzata dal Collettivo TM15 in collaborazione
con la fondazione Staurós, all’interno della Rassegna di Arte Contemporanea Basilio Cascella: artisti contemporanei ci offrono,
attraverso la loro interpretazione, gli esiti di un’intima esplorazione sul concetto di sacro e la sua evoluzione.
Il risultato? Un’affascinante viaggio, il cui punto di arrivo è al tempo stesso punto di partenza. Muovendo sin dalle origini, quando il
divino alita in ogni forma di vita, esplorando poi l’alienazione del sacro, che staccandosi dal mondo materiale diventa ultraterreno,
si giunge, attraverso un cammino di rinnovamento colmo di sacralità, alla crocifissione, momento che sancisce un ritrovato
sodalizio tra terra e cielo ed è a sua volta genesi della nostra idea di sacro. Un cerchio, quindi, che si chiude su se stesso, la cui fine
non è che un inizio. Un circolo, proprio come la grande giostra della Vita.
Denise Galuzzi
26
novembre 2011
Hierós
Dal 26 novembre al 22 dicembre 2011
arte contemporanea
Location
MUSEO STAUROS D’ARTE SACRA CONTEMPORANEA
Isola Del Gran Sasso D'italia, Via San Gabriele, (Teramo)
Isola Del Gran Sasso D'italia, Via San Gabriele, (Teramo)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 20.00
Vernissage
26 Novembre 2011, ore 18
Autore
Curatore