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Hyon Soo Kim – Maria
13 sculture a grandezza naturale
Comunicato stampa
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Giubilate, o cieli; rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti,
perché il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri.
Sion ha detto: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato".
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani.
Is 49, 14-17
Non è usuale per Reggio Emilia che le opere di un artista di oggi vengano esposte in una chiesa aperta la culto regolarmente qual è quella dei Santi Pietro e Prospero in città. La proposta di Andrea Sassi è stata accettata – d’intesa con la Comunità e il suo parroco don Gianni Marzucchi, al quale sono grato per questa opportunità - perché apparsa felice occasione per offrire alla città (e non solo) una ulteriore “pausa” di riflessione sul tema della maternità attraverso sensibilità ed espressività contemporanee. Può essere una sfida non priva di rischi, specie se si osserva la distanza, non solo cronologica, tra le opere dei secoli passati dei vari Tiarini, Desani, Ferrari, Gavasseti, che ornano un importante edificio come S. Pietro e quelle oggi proposte. Rimpiangere la classicità ispirata ai modelli della cultura greca o romana? Evocare i simboli che hanno caratterizzato i nostri santi? Dichiarare la superiorità di composizioni simmetriche, perfettamente equilibrate e misurate ? Uno sguardo non prevenuto, dal confronto tra l’antico e l’attualità è in grado di cogliere i mutamenti di cui noi stessi siamo espressione e in cui viviamo; già questa consapevolezza può aiutarci a capire ciò che ci sta accadendo e conforta quella tesi secondo la quale il guardare solo al passato rende mutilo il pensare. Il mondo è cambiato e cambia; le madri che lo popolano, quelle per intenderci delle nostre piazze, dove ci imbattiamo in coloro che Dio ha creato “a sua immagine” (Gen. 1,27), sono anche quelle che ci vengono proposte da Hyon Soo Kim, con i loro fardelli nei quali si possono intravedere non solo dei figli. Il tema è
parso intrinsecamente “sacro”, come può essere il momento della gestazione, con tutto ciò che vi è nel “prima” e nel “dopo” di questo evento. Una mostra che vorrebbe arrivare al cuore, cioè alla maturazione, di chi accetterà di farsi coinvolgere da questa esposizione. In una storia umana in cui l’odio e l’amore si intrecciano e si contrappongono; in cui il bene sembra avere troppo spesso la peggio, queste opere – reduci da una mostra presso il Museo Diocesano di Monaco di Baviera – appaiono ragioni di gioia, di ottimismo e speranza propriamente cristiani; richiamo ad una maternità “altra”: quella di Dio.
MATERNITA'
Alessandro Vanenti
Dal nulla nasce e prima che essa sia c’è il nulla. È un atto ex nihilo. La madre non esiste finché non è diventata madre e il figlio non esiste finchè non è concepito. La maternità è un atto creativo, come quello di Dio. Nulla ha prima di sé. Non si programma, non si pianifica, non si prevede. Si crea.Concetto ovvio ma tanto disatteso nella cultura occidentale, dove la maternità è incapsulata in quadro ossessivo e narcisista che le toglie quella creatività ex nihilo che ontologicamente la definisce la maternità e da atto arbitrario la impoverisce in atto deliberato. Nella sua radice la maternità è irruzione, novità, rischio, assurdità, a volte pazzia. Oblatività allo stato puro. Ad essa non ci si può preparare. Non è l’esito di un calcolo ma l’inizio di un nuovo ordine. Per questa ragione ontologica, prima ancora che per ragioni etiche, la Chiesa non accetterà mai l’idea di condizionare l’atto materno a considerazioni e condizioni preéesistenti alla sua esistenza. Sarebbe come dire che Dio non ha creato e che la donna non è a immagine di Dio. Osservando, anche qualche momento in più di un semplice scorcio, le opere di Hyon Soo Kim, esse appaiono quello che sono: soltanto pupazzi, tutti uguali. Proprio così: soltanto pupazzi ed è in questo “soltanto” che è il proprio artistico dell’opera. Strutture formali non riconoscibili per il contenuto che le differenzierebbe, forme trascendentali il più possibile esenti da riduzioni categoriali, espressioni che non vogliono tradurre un contenuto categoriale, nazionale, di razza e di carattere, il che le limiterebbe in ambiti locali. Non ci sono volti, mani, piedi, occhi da riprodurre, da trasferire dal bozzetto all’originale, perché l’atto creativo non ha bozzetti previ.
“E vide che era cosa buona”. Nella mentalità di Dio la bontà è l’effetto e non la garanzia di un inizio. Viene dopo. Dopo che il nulla ha lasciato posto all’esistente. La bontà di una cosa non la si deduce osservando il progetto ancora in ipotesi o paragonando l’esito al progetto. Risalta ad atto avvenuto. Viene dopo a qualcosa che prima non c’era e adesso c’é. Ed ha bontà e bellezza, perché c’é. Si tratta di una bontà che non conferma una previsione soggettiva ma che emana dalla cosa stessa. Buona perché è, perché è degna di essere. Non è questa la bellezza della madre? Non è questa la ragione più buona per dire che mio figlio è bello? Soltanto pupazzi. L’idea creativa del “soltanto” che Kim ci esprime ora diventa l’idea della bellezza. Anch’essa, senza contenuti. Non la bellezza di un certo corpo, né di certi occhi, non la bellezza della quantità, così che ad alcuni appare bella e ad altri brutta. Ma la bellezza, da sé, per sé, nella pura oggettività, in un unico aspetto, per l’eternità.
DalLe stringhe avvolgono madre e figlio in un unico abbraccio, altre volte differenziano lo spazio fra di loro, alludendo –così- alla maternità come unione e differenziazione. In quanto unione, la maternità è simbiosi e la madre riproduce se stessa. Di nuovo, come Dio creatore che nelle creature fa risplendere se stesso. Non però nel senso del clone ma analogico, dove qualcosa rimane identico a sé e qualcosa cambia. Con gli anni, l’uguaglianza analogica si sviluppa in diversità e la madre sempre più vivrà suo figlio come creatura diversa da sé. Scoperta gioiosa ma a volte tragedia. La diversità le apparirà troppe volte sconfessione di sé, avversità da ostacolare, evento da colpevolizzare. Qualcosa rimane e qualcosa si perde. I nastri che avvolgono sono gli stessi dei nastri che separano. La libertà di essere, ciascuno, nella propria libertà di essere senza sconfessare l’appartenenza crea una disposizione armonica fra le figure che sulla scena si dispongono in modo da creare un’armonica danza di chi si sente se stesso e –dunque- con l’altro.
GENERARE OGGI
Giorgio Notari
La maternità/paternità, prima ancora di essere indagata e rappresentata, è iscritta nella vita, come il respiro; è grazie a questo evento, con il suo prima e il suo dopo, che, da migliaia di anni, il pianeta Terra si popola ed avanza nella storia. Forse per il Prometeo d’oggi questo affannarsi di corpi non merita alcuna passione, tanto è necessario per una specie che, come tante altre, deve riprodurre per perpetuarsi. Un meccanismo, un impulso genetico, che giustifica (quasi) tutto. E' uno sguardo freddo, lontano. Il Dio biblico, invece, soffre come una madre, con (e per) il suo popolo in movimento; forse è per questo che associare l'immagine di Dio a quella della madre, proposta da Giovanni Paolo I in uno dei suoi interventi, si è trasformata in poesia/rivelazione ed ha trovato eco nei media. Non è stata solo un'immagine accattivante, ma la sintesi condivisa nel profondo dei più di un percorso che parte dal cuore, dall'amore come scommessa (“io credo in te, tu credi in me”), che spiega il legame di Dio ad ogni vivente e diventa cifra per i rapporti umani.La tensione tra l'istanza tecnologica e quella spirituale, specie nell'ultimo scorcio della nostra storia, fa soffrire e crea schieramenti; tornare alla maternità/paternità come status affettivo e creativo può aiutare a riscoprire l’origine.
La sensazione che si ha nel generare può arrivare a sfiorare l'ebbrezza dell'onnipotenza, intesa non come dominio dell'altro, ma come possibilità di aprirsi su ciò che sino all'istante prima non esisteva: la vita. Si arriva a lambire il “magico” tanto ci si sente, consapevoli di una intrinseca debolezza, portatori di un quid che sovrasta. Un tuffo -un azzardo?- e siamo, in forza dell’essere “generanti”, dall'altra parte; diventiamo i protagonisti del miracolo. Un Sopra Naturale ci accoglie, chiede la nostra collaborazione, e cominciamo un viaggio dentro il mistero: tra prescrizioni mediche e sospiri, insonnie e ninna nanne. Pare quasi impraticabile questo viaggio per donne sole; eppure sono tante quelle che accettano di continuare quando i padri lasciano. Tabernacoli di fronte ai quali non resta che sostare. In silenzio. C'è chi si appella alla tecnica e poi dice: “ce la faccio da me”. Chi ha la pretesa di un generare solitario innalza un vessillo di libertà personale, rifiutando la complementarietà e la relazione; il dramma é che nel momento in cui si rivendica la maternità solitaria, ovvero l’autonomia nel generare, c'è comunque un altro essere che diventa forestiero. L'amore verso una (propria) creatura diventa strumento “contro” altre creature. Come potrà far breccia la solidarietà?.
Generare è una delle declinazioni del divino che è in noi; nel nostro tempo, tra le opzioni, c’è la terribile tentazione
opposta di trasformare l'evento in un esercizio appartato di autorealizzazione.
A TUTTE LE MADRI DEL MONDO
Roberto Daolio
“artista è
colui che sa scendere in se stesso a una profondità tale da incontrare delle visioni che sono anche azioni;
l’arte vera dissipa la contraddizione tra azione e contemplazione,
poiché è una contemplazione attiva o un’attività contemplativa (...) “
M.Zambrano
A proposito del lavoro di Kim Hyon-Soo è stato scritto che può essere paragonato a una metamorfosi, a una continua e quasi impercettibile trasformazione, dove il nuovo si intreccia all’esistente in un graduale e coerente sviluppo concettuale. Dove non può essere estranea una analoga condizione di incontro ed incrocio tra Estremo Oriente e Occidente, tra paese d’origine (Corea) e paese di elezione (Germania), tra fascinazioni culturali innestate sull’esperienza di scelte e di punti di vista contrastanti. In questo senso la relazione principale si arricchisce di una disponibilità a porsi come tramite nello sviluppo di un processo inclusivo di autentica mediazione. Mentre si avvale delle procedure e dei mezzi più versatili per corrispondere ad una modalità del pensiero che si trasforma nell’esaltare le peculiarità e le qualità sottese dei materiali usati. In questo senso l’installazione M.A.R.I.A è tutta imperniata sull’universalità di un riconoscimento immediato della figura della madre (e del figlio), letteralmente avvolta in una vivace e coloratissima simbiosi Nel ricorrere ad uno degli archetipi fondanti di tutte le culture, Kim Hyon-Soo sembra cogliere il punto di crisi e di rottura di una contraddizione resa ancora più evidente sotto le forzate insegne della globalizzazione tra est e ovest.
Affrontando la dimensione del sacro nella separazione e nell’ambivalenza di un contatto regolato da differenti rituali che ne preservano l’efficacia, ildispiegarsi delle figure materne, secondo una configurazione che richiama un modello di rappresentazione religiosa e cristiana, modifica e sostiene il valore antropologico e simbolico del superamento dei confini e dei limiti spazio-temporali. In questo caso evidenziato anche dalla grafia “puntata” del titolo che nell’evidente scansione di una lettera dall’altra del nome MARIA, pare suggerire un acronimo e un logo criticamente “globale”. Penso si possa cogliere in questa attenta cura di tutti gli elementi che compongono l’installazione, una volontà di preservare un rapporto di comunicazione estetica tra il “familiare” dell’oggetto e lo “straniamento” della percezione, tra consuetudine e infrazione della norma, tra leggerezza dell’atto e fuga dalla costrizione della realtà mimetica. In altre parole un fare intrinsecamente realista, in quando in grado di sperimentare un modo di vedere dentro le cose oltre il loro valore simbolico. La centralità di queste “madri” prive di sembiante, ma identificabili nell’alterità e nelle differenze dei colori e delle appendici filiali, motivate dagli usi e dai costumi, sembra qualificare e codificare in chiave contemporanea la necessità e l’urgenza di accogliere, proprio all’interno degli edifici sacri, nuove forme di relazione ambientale e di risonanza “testimoniale”. Dove l’eccesso di consuetudine e lo schematismo iconografico della mera tradizione sembrano spesso impedire l’accesso al riconoscimento delle nuove modalità e dei nuovi linguaggi dell’arte come espressione di religiosità trasparente e profonda, inquieta e dischiusa sulle frequenze dell’azione e della visione.
perché il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri.
Sion ha detto: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato".
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani.
Is 49, 14-17
Non è usuale per Reggio Emilia che le opere di un artista di oggi vengano esposte in una chiesa aperta la culto regolarmente qual è quella dei Santi Pietro e Prospero in città. La proposta di Andrea Sassi è stata accettata – d’intesa con la Comunità e il suo parroco don Gianni Marzucchi, al quale sono grato per questa opportunità - perché apparsa felice occasione per offrire alla città (e non solo) una ulteriore “pausa” di riflessione sul tema della maternità attraverso sensibilità ed espressività contemporanee. Può essere una sfida non priva di rischi, specie se si osserva la distanza, non solo cronologica, tra le opere dei secoli passati dei vari Tiarini, Desani, Ferrari, Gavasseti, che ornano un importante edificio come S. Pietro e quelle oggi proposte. Rimpiangere la classicità ispirata ai modelli della cultura greca o romana? Evocare i simboli che hanno caratterizzato i nostri santi? Dichiarare la superiorità di composizioni simmetriche, perfettamente equilibrate e misurate ? Uno sguardo non prevenuto, dal confronto tra l’antico e l’attualità è in grado di cogliere i mutamenti di cui noi stessi siamo espressione e in cui viviamo; già questa consapevolezza può aiutarci a capire ciò che ci sta accadendo e conforta quella tesi secondo la quale il guardare solo al passato rende mutilo il pensare. Il mondo è cambiato e cambia; le madri che lo popolano, quelle per intenderci delle nostre piazze, dove ci imbattiamo in coloro che Dio ha creato “a sua immagine” (Gen. 1,27), sono anche quelle che ci vengono proposte da Hyon Soo Kim, con i loro fardelli nei quali si possono intravedere non solo dei figli. Il tema è
parso intrinsecamente “sacro”, come può essere il momento della gestazione, con tutto ciò che vi è nel “prima” e nel “dopo” di questo evento. Una mostra che vorrebbe arrivare al cuore, cioè alla maturazione, di chi accetterà di farsi coinvolgere da questa esposizione. In una storia umana in cui l’odio e l’amore si intrecciano e si contrappongono; in cui il bene sembra avere troppo spesso la peggio, queste opere – reduci da una mostra presso il Museo Diocesano di Monaco di Baviera – appaiono ragioni di gioia, di ottimismo e speranza propriamente cristiani; richiamo ad una maternità “altra”: quella di Dio.
MATERNITA'
Alessandro Vanenti
Dal nulla nasce e prima che essa sia c’è il nulla. È un atto ex nihilo. La madre non esiste finché non è diventata madre e il figlio non esiste finchè non è concepito. La maternità è un atto creativo, come quello di Dio. Nulla ha prima di sé. Non si programma, non si pianifica, non si prevede. Si crea.Concetto ovvio ma tanto disatteso nella cultura occidentale, dove la maternità è incapsulata in quadro ossessivo e narcisista che le toglie quella creatività ex nihilo che ontologicamente la definisce la maternità e da atto arbitrario la impoverisce in atto deliberato. Nella sua radice la maternità è irruzione, novità, rischio, assurdità, a volte pazzia. Oblatività allo stato puro. Ad essa non ci si può preparare. Non è l’esito di un calcolo ma l’inizio di un nuovo ordine. Per questa ragione ontologica, prima ancora che per ragioni etiche, la Chiesa non accetterà mai l’idea di condizionare l’atto materno a considerazioni e condizioni preéesistenti alla sua esistenza. Sarebbe come dire che Dio non ha creato e che la donna non è a immagine di Dio. Osservando, anche qualche momento in più di un semplice scorcio, le opere di Hyon Soo Kim, esse appaiono quello che sono: soltanto pupazzi, tutti uguali. Proprio così: soltanto pupazzi ed è in questo “soltanto” che è il proprio artistico dell’opera. Strutture formali non riconoscibili per il contenuto che le differenzierebbe, forme trascendentali il più possibile esenti da riduzioni categoriali, espressioni che non vogliono tradurre un contenuto categoriale, nazionale, di razza e di carattere, il che le limiterebbe in ambiti locali. Non ci sono volti, mani, piedi, occhi da riprodurre, da trasferire dal bozzetto all’originale, perché l’atto creativo non ha bozzetti previ.
“E vide che era cosa buona”. Nella mentalità di Dio la bontà è l’effetto e non la garanzia di un inizio. Viene dopo. Dopo che il nulla ha lasciato posto all’esistente. La bontà di una cosa non la si deduce osservando il progetto ancora in ipotesi o paragonando l’esito al progetto. Risalta ad atto avvenuto. Viene dopo a qualcosa che prima non c’era e adesso c’é. Ed ha bontà e bellezza, perché c’é. Si tratta di una bontà che non conferma una previsione soggettiva ma che emana dalla cosa stessa. Buona perché è, perché è degna di essere. Non è questa la bellezza della madre? Non è questa la ragione più buona per dire che mio figlio è bello? Soltanto pupazzi. L’idea creativa del “soltanto” che Kim ci esprime ora diventa l’idea della bellezza. Anch’essa, senza contenuti. Non la bellezza di un certo corpo, né di certi occhi, non la bellezza della quantità, così che ad alcuni appare bella e ad altri brutta. Ma la bellezza, da sé, per sé, nella pura oggettività, in un unico aspetto, per l’eternità.
DalLe stringhe avvolgono madre e figlio in un unico abbraccio, altre volte differenziano lo spazio fra di loro, alludendo –così- alla maternità come unione e differenziazione. In quanto unione, la maternità è simbiosi e la madre riproduce se stessa. Di nuovo, come Dio creatore che nelle creature fa risplendere se stesso. Non però nel senso del clone ma analogico, dove qualcosa rimane identico a sé e qualcosa cambia. Con gli anni, l’uguaglianza analogica si sviluppa in diversità e la madre sempre più vivrà suo figlio come creatura diversa da sé. Scoperta gioiosa ma a volte tragedia. La diversità le apparirà troppe volte sconfessione di sé, avversità da ostacolare, evento da colpevolizzare. Qualcosa rimane e qualcosa si perde. I nastri che avvolgono sono gli stessi dei nastri che separano. La libertà di essere, ciascuno, nella propria libertà di essere senza sconfessare l’appartenenza crea una disposizione armonica fra le figure che sulla scena si dispongono in modo da creare un’armonica danza di chi si sente se stesso e –dunque- con l’altro.
GENERARE OGGI
Giorgio Notari
La maternità/paternità, prima ancora di essere indagata e rappresentata, è iscritta nella vita, come il respiro; è grazie a questo evento, con il suo prima e il suo dopo, che, da migliaia di anni, il pianeta Terra si popola ed avanza nella storia. Forse per il Prometeo d’oggi questo affannarsi di corpi non merita alcuna passione, tanto è necessario per una specie che, come tante altre, deve riprodurre per perpetuarsi. Un meccanismo, un impulso genetico, che giustifica (quasi) tutto. E' uno sguardo freddo, lontano. Il Dio biblico, invece, soffre come una madre, con (e per) il suo popolo in movimento; forse è per questo che associare l'immagine di Dio a quella della madre, proposta da Giovanni Paolo I in uno dei suoi interventi, si è trasformata in poesia/rivelazione ed ha trovato eco nei media. Non è stata solo un'immagine accattivante, ma la sintesi condivisa nel profondo dei più di un percorso che parte dal cuore, dall'amore come scommessa (“io credo in te, tu credi in me”), che spiega il legame di Dio ad ogni vivente e diventa cifra per i rapporti umani.La tensione tra l'istanza tecnologica e quella spirituale, specie nell'ultimo scorcio della nostra storia, fa soffrire e crea schieramenti; tornare alla maternità/paternità come status affettivo e creativo può aiutare a riscoprire l’origine.
La sensazione che si ha nel generare può arrivare a sfiorare l'ebbrezza dell'onnipotenza, intesa non come dominio dell'altro, ma come possibilità di aprirsi su ciò che sino all'istante prima non esisteva: la vita. Si arriva a lambire il “magico” tanto ci si sente, consapevoli di una intrinseca debolezza, portatori di un quid che sovrasta. Un tuffo -un azzardo?- e siamo, in forza dell’essere “generanti”, dall'altra parte; diventiamo i protagonisti del miracolo. Un Sopra Naturale ci accoglie, chiede la nostra collaborazione, e cominciamo un viaggio dentro il mistero: tra prescrizioni mediche e sospiri, insonnie e ninna nanne. Pare quasi impraticabile questo viaggio per donne sole; eppure sono tante quelle che accettano di continuare quando i padri lasciano. Tabernacoli di fronte ai quali non resta che sostare. In silenzio. C'è chi si appella alla tecnica e poi dice: “ce la faccio da me”. Chi ha la pretesa di un generare solitario innalza un vessillo di libertà personale, rifiutando la complementarietà e la relazione; il dramma é che nel momento in cui si rivendica la maternità solitaria, ovvero l’autonomia nel generare, c'è comunque un altro essere che diventa forestiero. L'amore verso una (propria) creatura diventa strumento “contro” altre creature. Come potrà far breccia la solidarietà?.
Generare è una delle declinazioni del divino che è in noi; nel nostro tempo, tra le opzioni, c’è la terribile tentazione
opposta di trasformare l'evento in un esercizio appartato di autorealizzazione.
A TUTTE LE MADRI DEL MONDO
Roberto Daolio
“artista è
colui che sa scendere in se stesso a una profondità tale da incontrare delle visioni che sono anche azioni;
l’arte vera dissipa la contraddizione tra azione e contemplazione,
poiché è una contemplazione attiva o un’attività contemplativa (...) “
M.Zambrano
A proposito del lavoro di Kim Hyon-Soo è stato scritto che può essere paragonato a una metamorfosi, a una continua e quasi impercettibile trasformazione, dove il nuovo si intreccia all’esistente in un graduale e coerente sviluppo concettuale. Dove non può essere estranea una analoga condizione di incontro ed incrocio tra Estremo Oriente e Occidente, tra paese d’origine (Corea) e paese di elezione (Germania), tra fascinazioni culturali innestate sull’esperienza di scelte e di punti di vista contrastanti. In questo senso la relazione principale si arricchisce di una disponibilità a porsi come tramite nello sviluppo di un processo inclusivo di autentica mediazione. Mentre si avvale delle procedure e dei mezzi più versatili per corrispondere ad una modalità del pensiero che si trasforma nell’esaltare le peculiarità e le qualità sottese dei materiali usati. In questo senso l’installazione M.A.R.I.A è tutta imperniata sull’universalità di un riconoscimento immediato della figura della madre (e del figlio), letteralmente avvolta in una vivace e coloratissima simbiosi Nel ricorrere ad uno degli archetipi fondanti di tutte le culture, Kim Hyon-Soo sembra cogliere il punto di crisi e di rottura di una contraddizione resa ancora più evidente sotto le forzate insegne della globalizzazione tra est e ovest.
Affrontando la dimensione del sacro nella separazione e nell’ambivalenza di un contatto regolato da differenti rituali che ne preservano l’efficacia, ildispiegarsi delle figure materne, secondo una configurazione che richiama un modello di rappresentazione religiosa e cristiana, modifica e sostiene il valore antropologico e simbolico del superamento dei confini e dei limiti spazio-temporali. In questo caso evidenziato anche dalla grafia “puntata” del titolo che nell’evidente scansione di una lettera dall’altra del nome MARIA, pare suggerire un acronimo e un logo criticamente “globale”. Penso si possa cogliere in questa attenta cura di tutti gli elementi che compongono l’installazione, una volontà di preservare un rapporto di comunicazione estetica tra il “familiare” dell’oggetto e lo “straniamento” della percezione, tra consuetudine e infrazione della norma, tra leggerezza dell’atto e fuga dalla costrizione della realtà mimetica. In altre parole un fare intrinsecamente realista, in quando in grado di sperimentare un modo di vedere dentro le cose oltre il loro valore simbolico. La centralità di queste “madri” prive di sembiante, ma identificabili nell’alterità e nelle differenze dei colori e delle appendici filiali, motivate dagli usi e dai costumi, sembra qualificare e codificare in chiave contemporanea la necessità e l’urgenza di accogliere, proprio all’interno degli edifici sacri, nuove forme di relazione ambientale e di risonanza “testimoniale”. Dove l’eccesso di consuetudine e lo schematismo iconografico della mera tradizione sembrano spesso impedire l’accesso al riconoscimento delle nuove modalità e dei nuovi linguaggi dell’arte come espressione di religiosità trasparente e profonda, inquieta e dischiusa sulle frequenze dell’azione e della visione.
14
aprile 2005
Hyon Soo Kim – Maria
Dal 14 aprile al primo maggio 2005
arte contemporanea
Location
BASILICA DI SAN PIETRO
Reggio Nell'emilia, Via Emilia A San Pietro, (Reggio Nell'emilia)
Reggio Nell'emilia, Via Emilia A San Pietro, (Reggio Nell'emilia)
Orario di apertura
10-12 e 16-19
Vernissage
14 Aprile 2005, ore 21
Sito web
www.dispariedispari.org
Autore
Curatore