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I Casciaro
Non è esagerato definire Giuseppe Casciaro (1861-1941) il maggior pastellista europeo tra ’800 e ’900. Da giovedì 25 novembre sarà visibile presso la Galleria Ricerca d’Arte di Via Giulia un cospicuo numero di sue opere, tra le più importanti e con la sorpresa di moltissimi inediti, affiancate da un gruppo di olii firmati dai suoi due figli pittori
Comunicato stampa
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Da giovedì 25 novembre sarà visibile presso la Galleria Ricerca d’Arte di Via Giulia un cospicuo numero di sue opere, tra le più importanti e con la sorpresa di moltissimi inediti, affiancate da un gruppo di olii firmati dai suoi due figli pittori: Carolina (1895-1978) e Guido (1900-1963). L’evento, sottolinea Cinzia Virno, curatrice della mostra, ha un unico precedente nella prima Mostra Irpina d’Arte tenutasi ad Avellino nel 1932, occasione in cui alla produzione dell’originale sodalizio artistico-familiare era dedicata quasi un’intera sala.
La linea seguita dagli ideatori della mostra, Raffaele Cecora e Giuseppe Bertolami, insieme alla già citata Cinzia Virno, è quella di partire da un tema apparentemente collaudato e “tranquillo”, la rinomata pittura di paesaggio di Giuseppe Casciaro, per proporre alcuni spunti di riflessione per nulla scontati sul fervido ambiente culturale napoletano tra fine ’800 e primi anni Quaranta del ’900. Raffaele Cecora, nella sua prefazione in catalogo, colloca la fine di quell’ambiente e del virtuoso tentativo di rinnovamento e “sprovincializzazione” della cultura meridionale, iniziato all’indomani dell’Unità d’Italia, in un anno emblematico: il 1941, data della morte del patriarca Casciaro, della conseguente dissoluzione dello straordinario cenacolo di intellettuali ed artisti che si riuniva nella sua villa-museo al Vomero e dei rovinosi bombardamenti alleati su Napoli. Come a dire: l’affascinante microcosmo creatosi intorno alla figura, fortemente carismatica, di un pittore di successo fu a tal punto rappresentativo di un ciclo della vicenda artistica e culturale napoletana che il venir meno dell’uno non poteva non coincidere con l’interruzione dell’altro.
L’artista che nella memoria collettiva è indissolubilmente legato all’immagine di Napoli era in realtà pugliese, uno dei tanti giovani del centro-sud approdati nella capitale del Meridione per studiare all’Accademia sotto la guida di Domenico Morelli. Nel 1885, pochi anni dopo il suo arrivo, si innamora di alcuni disegni di Michetti eseguiti a pastello, un genere fortemente rivalutato e addirittura di moda da quando, nel 1876, De Nittis lo aveva imposto al raffinato pubblico parigino. Casciaro intuisce subito le potenzialità di quella tecnica: velocità di esecuzione, freschezza, preziosi tonalismi e smaglianti effetti cromatici. In un breve volgere di tempo ne diviene l’incontrastato maestro, al punto che il re lo incarica di insegnarne i segreti alla regina Elena. I suoi pastelli incontrano un immediato successo sul mercato internazionale. L’autore delle marine e delle vedute di Napoli che incantano per le molteplici e sapienti sfumature partecipa alle più prestigiose esposizioni dell’epoca: in Italia a Napoli, Firenze, Milano, Venezia; all’estero a Parigi, Berlino, Bruxelles, Monaco, San Pietroburgo e persino Buenos Aires. Realizza sino a due, tre opere al giorno eppure fa fatica a soddisfare le richieste dei mercanti d’arte: tutti vogliono un Casciaro e Casciaro reinveste gli ingenti guadagni nell’acquisto di opere d’arte. La sua è una delle più importanti collezioni di arte contemporanea dell’epoca. Si assicura quadri dei massimi pittori napoletani dell’800: Morelli, Toma, Palizzi, Cammarano, Michetti, Mancini e sculture di Gemito, De Val, D’Orsi (il gesso originale del celeberrimo Proximus tuus, ad esempio). La raccolta è ospitata nella splendida villa liberty di Via Luca Giordano al Vomero: venti stanze dislocate su due piani che accolgono anche dipinti del Sei-Settecento, arredi antichi, vetri e ceramiche. Attraverso quelle stanze, la numero 10 in particolar modo, transitano inoltre costantemente i più bei nomi della cultura partenopea: non solo artisti e intellettuali famosi, ma anche giovani promettenti, coetanei del figlio Guido.
La presenza in mostra di alcuni olii inediti di Guido vuole anzi essere un monito e insieme una piccola provocazione rivolti a quanti si recheranno in Via Giulia attratti dalla sola prospettiva di ammirare opere celebri o curiose di Giuseppe. Guido fa infatti parte di una generazione di artisti partenopei di notevole spessore, ma ancora poco studiati e quasi ignorati da un collezionismo pigro che, quando rivolge lo sguardo a Napoli, continua ad orientare le proprie scelte sulla produzione più scontata dell’800. Eppure lo stesso Giuseppe, ottocentista in pittura, come collezionista si dimostra invece molto interessato agli sforzi di rinnovamento avviati da giovani come il figlio, il genero Franco Girosi, Giovanni Brancaccio, Eugenio Viti, Edoardo Giordano, Paolo Ricci e, in scultura, Antonio De Val, Giovanni Tizzano e tutti coloro che aderirono a Novecento, proponendo del “ritorno all’ordine” una versione tutta protesa verso il recupero e l’originale rielaborazione dei modi espressivi del ’600 (mentre nel resto d’Italia ci si ispirava prevalentemente al ’400). Per rendere ancora più esplicita l’attenzione riservata al lavoro di quei misconosciuti talenti i curatori della rassegna sono ricorsi ad un gustoso stratagemma di allestimento: inserire in galleria anche una serie di sculture che ben documentano quella tendenza. La serie di vedute e paesaggi eseguiti da Guido tra l’inizio degli anni Venti ed il 1949 (anno di realizzazione di Vomero con macchina rossa) prepara e segue la sua graduale evoluzione “novecentista”. C’è persino un’opera-manifesto, una veduta del Porto di Castro in cui il pittore scrive in basso a destra una frase programmatica: “VIVA IL NOVECENTO/ ABBASSO IL FUTURISMO”.
Completano la rassegna quattordici piccoli, preziosi olii dipinti da Carolina Casciaro negli anni della gioventù. Tra i due figli Carolina è certamente la più condizionata dalla pesante eredità paterna e tuttavia anche lei si mostra concentrata nella costruzione di una sua autonoma personalità d’artista. Commuovono, sul retro di molte delle sue opere esposte, certi segni particolari che sono il voto apposto dal padre-maestro per giudicare il lavoro della figlia-allieva.
Tra le altre curiosità della mostra va sicuramente segnalato Primavera, il più grande pastello mai realizzato da Giuseppe Casciaro (mm. 820x1320), esposto nel 1924 alla Biennale di Venezia. E poi, sempre di Giuseppe, alcuni olii, una tecnica per lui insolita ma che dimostra di padroneggiare con maestria, ed un gruppetto di nature morte. Tra queste Cavoli, un olio su tela che è un capolavoro di virtuosismo quasi fotografico.
La linea seguita dagli ideatori della mostra, Raffaele Cecora e Giuseppe Bertolami, insieme alla già citata Cinzia Virno, è quella di partire da un tema apparentemente collaudato e “tranquillo”, la rinomata pittura di paesaggio di Giuseppe Casciaro, per proporre alcuni spunti di riflessione per nulla scontati sul fervido ambiente culturale napoletano tra fine ’800 e primi anni Quaranta del ’900. Raffaele Cecora, nella sua prefazione in catalogo, colloca la fine di quell’ambiente e del virtuoso tentativo di rinnovamento e “sprovincializzazione” della cultura meridionale, iniziato all’indomani dell’Unità d’Italia, in un anno emblematico: il 1941, data della morte del patriarca Casciaro, della conseguente dissoluzione dello straordinario cenacolo di intellettuali ed artisti che si riuniva nella sua villa-museo al Vomero e dei rovinosi bombardamenti alleati su Napoli. Come a dire: l’affascinante microcosmo creatosi intorno alla figura, fortemente carismatica, di un pittore di successo fu a tal punto rappresentativo di un ciclo della vicenda artistica e culturale napoletana che il venir meno dell’uno non poteva non coincidere con l’interruzione dell’altro.
L’artista che nella memoria collettiva è indissolubilmente legato all’immagine di Napoli era in realtà pugliese, uno dei tanti giovani del centro-sud approdati nella capitale del Meridione per studiare all’Accademia sotto la guida di Domenico Morelli. Nel 1885, pochi anni dopo il suo arrivo, si innamora di alcuni disegni di Michetti eseguiti a pastello, un genere fortemente rivalutato e addirittura di moda da quando, nel 1876, De Nittis lo aveva imposto al raffinato pubblico parigino. Casciaro intuisce subito le potenzialità di quella tecnica: velocità di esecuzione, freschezza, preziosi tonalismi e smaglianti effetti cromatici. In un breve volgere di tempo ne diviene l’incontrastato maestro, al punto che il re lo incarica di insegnarne i segreti alla regina Elena. I suoi pastelli incontrano un immediato successo sul mercato internazionale. L’autore delle marine e delle vedute di Napoli che incantano per le molteplici e sapienti sfumature partecipa alle più prestigiose esposizioni dell’epoca: in Italia a Napoli, Firenze, Milano, Venezia; all’estero a Parigi, Berlino, Bruxelles, Monaco, San Pietroburgo e persino Buenos Aires. Realizza sino a due, tre opere al giorno eppure fa fatica a soddisfare le richieste dei mercanti d’arte: tutti vogliono un Casciaro e Casciaro reinveste gli ingenti guadagni nell’acquisto di opere d’arte. La sua è una delle più importanti collezioni di arte contemporanea dell’epoca. Si assicura quadri dei massimi pittori napoletani dell’800: Morelli, Toma, Palizzi, Cammarano, Michetti, Mancini e sculture di Gemito, De Val, D’Orsi (il gesso originale del celeberrimo Proximus tuus, ad esempio). La raccolta è ospitata nella splendida villa liberty di Via Luca Giordano al Vomero: venti stanze dislocate su due piani che accolgono anche dipinti del Sei-Settecento, arredi antichi, vetri e ceramiche. Attraverso quelle stanze, la numero 10 in particolar modo, transitano inoltre costantemente i più bei nomi della cultura partenopea: non solo artisti e intellettuali famosi, ma anche giovani promettenti, coetanei del figlio Guido.
La presenza in mostra di alcuni olii inediti di Guido vuole anzi essere un monito e insieme una piccola provocazione rivolti a quanti si recheranno in Via Giulia attratti dalla sola prospettiva di ammirare opere celebri o curiose di Giuseppe. Guido fa infatti parte di una generazione di artisti partenopei di notevole spessore, ma ancora poco studiati e quasi ignorati da un collezionismo pigro che, quando rivolge lo sguardo a Napoli, continua ad orientare le proprie scelte sulla produzione più scontata dell’800. Eppure lo stesso Giuseppe, ottocentista in pittura, come collezionista si dimostra invece molto interessato agli sforzi di rinnovamento avviati da giovani come il figlio, il genero Franco Girosi, Giovanni Brancaccio, Eugenio Viti, Edoardo Giordano, Paolo Ricci e, in scultura, Antonio De Val, Giovanni Tizzano e tutti coloro che aderirono a Novecento, proponendo del “ritorno all’ordine” una versione tutta protesa verso il recupero e l’originale rielaborazione dei modi espressivi del ’600 (mentre nel resto d’Italia ci si ispirava prevalentemente al ’400). Per rendere ancora più esplicita l’attenzione riservata al lavoro di quei misconosciuti talenti i curatori della rassegna sono ricorsi ad un gustoso stratagemma di allestimento: inserire in galleria anche una serie di sculture che ben documentano quella tendenza. La serie di vedute e paesaggi eseguiti da Guido tra l’inizio degli anni Venti ed il 1949 (anno di realizzazione di Vomero con macchina rossa) prepara e segue la sua graduale evoluzione “novecentista”. C’è persino un’opera-manifesto, una veduta del Porto di Castro in cui il pittore scrive in basso a destra una frase programmatica: “VIVA IL NOVECENTO/ ABBASSO IL FUTURISMO”.
Completano la rassegna quattordici piccoli, preziosi olii dipinti da Carolina Casciaro negli anni della gioventù. Tra i due figli Carolina è certamente la più condizionata dalla pesante eredità paterna e tuttavia anche lei si mostra concentrata nella costruzione di una sua autonoma personalità d’artista. Commuovono, sul retro di molte delle sue opere esposte, certi segni particolari che sono il voto apposto dal padre-maestro per giudicare il lavoro della figlia-allieva.
Tra le altre curiosità della mostra va sicuramente segnalato Primavera, il più grande pastello mai realizzato da Giuseppe Casciaro (mm. 820x1320), esposto nel 1924 alla Biennale di Venezia. E poi, sempre di Giuseppe, alcuni olii, una tecnica per lui insolita ma che dimostra di padroneggiare con maestria, ed un gruppetto di nature morte. Tra queste Cavoli, un olio su tela che è un capolavoro di virtuosismo quasi fotografico.
25
novembre 2004
I Casciaro
Dal 25 novembre al 24 dicembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA RICERCA D’ARTE
Roma, Via Di Monserrato, 121/a, (Roma)
Roma, Via Di Monserrato, 121/a, (Roma)
Orario di apertura
10.30-13.00 / 16.30 – 20.00
Chiuso il lunedì e nei giorni festivi
Vernissage
25 Novembre 2004, dalle ore 18.00
Autore
Curatore