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I crimini dell’amore
L’idea, paradossale, della mostra consiste nel chiedersi se mai una rappresentazione artistica dell’eros possa essere considerata criminosa per l’Amore, per l’Arte. La risposta che arriva dai territori franchi dell’ Amore e dell’Arte, ovviamente, è autoassolutoria.
Comunicato stampa
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Opere di: Guido Crepax, Paolo Denaro, Mathew Hale, Conrad Botes, Ulrapop, Massimo Caccia, Massimo Giacon, Walter Bortolossi, Donald Baechler, Luigi Ontani, Luigi Mastrangelo, Milan Kunc, Jury Rodkine, Nicola Samorì, Gian Marco Montesano, Buell, Daniele Galliano, Elisabetta Alberti, Isabella Pers, Karin Andersen, Edi Brancolini e altri.
L´universo dell´amore e della sessualità è imprevedibile. Tenerezze e violenze, esplicite e immaginate, opposti significati, derivano da fattori culturali individuali e collettivi che possono trasformare piacere, desiderio e sentimento in ´crimine´ peccaminoso. Razionale, irrazionale, il gioco della pulsione amorosa viene interpretato da artisti contemporanei di diverse matrici espressive e formazioni culturali in una full immersion nell´estetica erotica più attuale.
Dal catalogo:
L´AMORE, IL CALORE, IL COLORE, IL PIACERE, IL DOLORE
Ferruccio Giromini
Questa scimmia un poco evoluta che è l´uomo, malgrado tutte le arie che si dà, ancora animalescamente affronta le questioni essenziali dell´esistenza. Da organismo vivente "superiore", si bea, e s´impegola, con il linguaggio, con l´arte, con la musica, con la religione e la filosofia, ma poi, sotto sotto, non riesce a staccarsi dal sangue, dallo sperma, dal fango, dalle paure e le violenze di qualunque peloso mammifero carnivoro. Già, impasto tuttora indecifrabile di materia e spirito, l´umanità è un ossimoro vivente. Se poi sono vere le storie dei microcosmi e macrocosmi, dei frattali, dell´immagine e somiglianza, e che ciò che è in alto è in basso, allora, fatte le debite proporzioni, chissà come deve essere Dio.
Ma noi non possiamo fare a meno di cercare un senso, e addirittura di dare un senso, all´esistenza. È un rovello eterno, ontogenetico e filogenetico. Di fatto, per una sorta di deformazione che pare una vera deviazione, quaggiù intorno si cerca di spiegare prima ancora che di capire. È quasi una mania. Si vuole ricondurre tutto a una logica precisa, a un´equazione dimostrabile in pochi passaggi sulla lavagna. Ci si intestardisce, e prima si perde la calma e poi addirittura la ragione. Oppure alla fine ci si chiede, una volta di più ma da un nuovo punto di vista: è sensato tutto ciò?
Certo che no. Ma facciamo finta di sì, per la salute mentale dei grandi e dei piccini. Facciamo finta, non possiamo fare altrimenti, pena l´inevitabile perdita di senno. Ci diamo delle regole, delle leggi, delle credenze, delle convinzioni, delle opinioni, delle stime, in modi entusiasti quanto patetici. E il bello è che, strada facendo, molti si autoconvincono e ci credono davvero. Per il loro bene? Per il nostro bene? Per il bene di chi?
Prendiamo il sesso, bestia nera delle società umane, da millenni. C´è, vive e prospera qui tra noi, tutti i giorni e tutte le notti, instancabile motore a iniezione del cosmo, dalla prima alba del Big Bang verso il postremo tramonto, ma c´è sempre chi lo nega, chi lo nasconde, chi lo esagera, chi lo irreggimenta, chi lo censura, chi lo travisa, chi lo fugge, chi lo insegue sempre da troppo lontano. Un bel problema, accidenti. E dire che sulla carta parrebbe tutto così semplice.
Sulla carta, sempre tutto pare più semplice. Forse è anche per questo che all´uomo piace stendere i problemi lì, in due dimensioni solo, simulando di saper dominare anche la terza e soprattutto la quarta dimensione, che invece... Una delle funzioni dell´arte, in fondo, è anche quella consolatoria: illusionistica. Ma un´altra, non dimentichiamolo, è quella viceversa allarmante: terroristica. Carezze e pugni dobbiamo aspettarci dagli artisti: è il loro compito. Pugni di ferro e di velluto in guanti di velluto e di ferro. Lasciamoci spiazzare, di volta in volta: non è proprio questo che tutti noi gli chiediamo?
Gli artisti ci parlano della nostra vita spiattellandoci davanti la loro. Impudichi quant´altri mai. È della loro impudicizia che noi godiamo, tanto più quanto più profonda e totale essa si presenta ai nostri sensi. È l´ennesimo esercizio di prostituzione - sacra! - nella quale entrambe le parti contraenti traggono rispettivo vantaggio, ora materiale, ora spirituale. Sì, spirituale, e non ce ne vogliano i bigotti per tali accostamenti. Reale o figurata che sia, la prostituzione è sempre stata, dalla preistoria, un atto di (vera, alta, sublime) generosità. Peraltro si sa benissimo - è la regola anche nel mercimonio della carne - che chi disprezza compra, più degli altri.
Ipocrisie a parte, dunque, arti ed eros si disputano le medesime pulsioni, sul medesimo tavolo da gioco. E bisogna essere almeno un poco giocatori d´azzardo, per provarsi nei cimenti dell´amore e dell´arte, dove sul serio perde solo chi non gioca mai. Ma certo: se si gioca sul serio, anche il perdere può dare le sue soddisfazioni. La posta del gioco è il mettersi in gioco. Perciò agli artisti e alle prostitute va tributato lo stesso massimo rispetto.
Perciò gli artisti e le prostitute sono guardati in genere con sospetto e malcelata disapprovazione. Le loro regole non sono quelle degli altri. Appaiono più padroni del proprio destino (anche se non è detto che ciò sia vero) e pertanto liberi di non obbedire alle restrizioni che gli altri si danno per convivere in consorzio sociale (e ciò è già più vero). Ma per favore non mettiamoci in testa di fare sociologia o antropologia spicciola, limitiamoci a quanto ci interessa qui: la criminalizzazione di quel che si ha paura di controllare. Metodo vigliacco.
Eppure è diffuso e palese. E allora, appunto, ci interessa questo nodo che avviluppa la criminalizzazione dell´eros ai delitti di lesa società perpetrati dalla psiche contorta degli artisti. Un intreccio criminoso di piaceri e dolori, quanto mai appassionante. E non sarà che un negativo e un negativo, combinati insieme, alla fine producono un positivo?
Non sappiamo dire, per la verità, cosa si possa definire in assoluto negativo e cosa positivo. Sappiamo solo che l´artista, di fronte a se stesso e allo spazio vuoto che verrà riempito dalla sua opera, eviscera il corpo del proprio spirito. L´artista emana energia, in quei momenti furiosi, ed è inevitabile che presto o tardi vada a rappresentare anche i tòpoi dell´emissione energetica, tra cui gli irradianti sentimenti erotici e gli esplosivi atti sessuali. L´amore è calore. Si potrà dire pure, con un po´ di autocompiacimento hippy, che l´amore è colore? E diciamolo, vai.
Diverse sono, naturalmente, le fila e le forme dell´intreccio arte/amore. Per la presente occasione espositiva - dedicata a una trentina di artisti contemporanei, non solo nazionali, e intitolata sadianamente ai crimes de l´amour in omaggio alla omonima storica, raffinatissima, perforante incisione erotica di Hans Bellmer - se ne sono volute enucleare quattro differenti: un po´ facendo riferimento alle tecniche di realizzazione e un po´ agli approcci di fondo.
La prima forma, denominata Strisce, accomuna opere in qualche modo collegate con il fumetto o comunque con la narratività proveniente dalla carta stampata. Corretto punto di partenza non poteva che essere una china di Guido Crepax, ormai un classico storico dell´erotismo figurato del Novecento. Per quattro decenni, col suo pennino insistente, il maestro milanese da poco scomparso ha saputo bene sposare gli eterni yin e yang in un infinito kamasutra caleidoscopico, a suo modo predicando sincero «che la virtù suprema fosse la passione della bellezza». Rappresenta la cerniera bianconera che ci lega ai gloriosi trascorsi dell´eros grafico europeo, di matrice prima simbolista e poi surrealista.
Il nostro ipertrofico presente esplode invece nella forma - ma non senza riferimenti al passato nei contenuti - del grande vortice psichedelico di Walter Bortolossi, che frulla le singole visioni e i singoli atti in una trascendente spirale onnicomprensiva. Legati stretti all´immaginario fumettistico e cartoonistico appaiono ancor di più quegli autori (imperfettamente definiti neo-pop) che usano un segno netto di contorno e campiture di preferenza piatte per composizioni che spesso non difettano di umorismo. Tra gli italiani, qui fa un capolino autoironico Massimo Giacon, i tre Ultrapop si mescolano sarcastici in un´umida orgia comune en plein air, Massimo Caccia mette la sua gentile coppia di esserini gialli di fronte a un enigmatico esempio dal mondo animale. E il celebrato sudafricano Conrad Botes, da parte sua, continua a mescolare le carte in una visione composita che accosta provocatorie icone di "sottocultura" popolare.
Diversi infine sono gli atteggiamenti di chi, tra il post-pop e il concettuale, usa la carta stampata quale semplice riferimento di partenza o addirittura solo quale supporto. Così è per l´anglo-berlinese Mathew Hale, solito usare pagine di libro come fondali dei suoi segni (o meta-segni, se raffigura, come qui, un tatuaggio osé); per lo statunitense Donald Baechler, che assembla ritagli di pagine di giornale, alla bruta, poi raffreddando il tutto con i suoi quadrangoli colorati piatti; e per lo spudorato Paolo Denaro, che trionfale scandalizza con le sue nostalgie di fumettacci anni Settanta ricolorati e ripolaroidizzati. Criminali schernitori, col sorriso sulle labbra.
Quanto alla seconda forma di amplesso amore-arte, è stata battezzata Derive, volendo comprendere in essa chi si lascia portare da correnti ora dolci, abbandonato tra le coste vicine del passato e quelle lontane del presente, o da correnti ora più rapide, avviato forse verso fragorose cascate nascoste nel futuro. Qui si fanno più nitide le suggestioni del mondo antico, composto e fin decorativo, negli sguardi circolari e bisessuati di Luigi Ontani, nel gusto androgino del corpo narcisista di Luigi Mastrangelo, nell´oscura multipla anima/psiche del Mito ammucchiata nell´ovale di Nicola Samorì, e nel selvatico semidio peloso, e innamorato, di Sandro Chia. Anche le divinità orientali di Milan Kunc, vate ceco dell´Ost-Pop, si colorano di beneducata e danzante decorazione.
Ma a mano a mano che ci si avvicina al giorno d´oggi, le inquietudini affiorano, i mulinelli si fanno minacciosi, i gorghi possono trascinare all´annegamento. La meretrice viennese di Gian Marco Montesano si slaccia conscia il bustino, ed ecco che la rosa, da boccio che era, comincerà a sfiorire. Il giovanottino slavo di Juri Rodkin ci prova, a testa bassa lui, con la fanciulla ritrosa, decisamente sulla difensiva lei, e chissà come andrà a finire. I due maschi nudi di Alessandro La Motta ostentano ritte barre metalliche, attraentemente tattili quanto possibilmente minacciose. La femmina spogliata in silenzio da Maurizio Bottarelli offre di sé forme rugginose e sentori bui. E che dire allora del tormentoso autoerotismo della ignuda di Buell, o della sibillina offerta di virtù delle due sorelline di David Vecchiato? Amori, comunque amori. O piccoli delitti torbidi e grandi sensi di colpa. Anche la struggente altalena protuberosa, scolpita con tanta malizia da Paolo G. Conti, si fa vergognosa, si tiene nascosta là sotto, sedendocisi e sistemandocisi sopra. Crimini piccini e segreti enormi.
La terza stanza del nostro prosaico poema è consacrata a Gelatine e pixel, ovvero alle frontiere meno direttamente manuali e più tecnologiche dell´espressione contemporanea. Le gelatine le maneggiano ancora due obiettivi maestri: Carlo Gajani, che ama incrociare con squisito gusto necrofilo le modelle vive con i manichini morti, e Fulvio Magurno, che qui infrange le regole, in senso figurato e in senso letterale, imbrattandosi di sangue mestruale. Macchie, crimini indelebili di pervertimento? Intanto Elisabetta Alberti, dietro quell´apparenza tranquilla, in fotografia spoglia carni piene femminili e, solo dopo la stampa su tela, le riveste appena appena con interventi di colore e con ricamini cattivelli perlopiù irridenti.
I pixel invece, vera massima perversione contemporanea, li manovra sulla punta delle dita Piermario Ciani, da sempre manipolatore di immagini, da un po´ anche manipolatore di immagini digitali, composte e ricomposte, giustapposte e sovrapposte, proposte e a un certo punto perfino supposte. Ancora più pervertito è il rapporto di Isabella Pers con la fotodigitalizzazione, che sopravviene in una fase intermedia del suo operare, dopo la stesura pittorica su lastre metalliche industriali traforate e prima della eventuale post-produzione di ri-cromatizzazione; capita così che le sue belle & le bestie appaiano ingabbiate in reticoli che ne scompongono con regolarità, quasi a megapixel, le fattezze. Altri delitti della camera chiusa e della camera oscura, della rue Morgue e della casa chiusa.
Ultimo quarto: Virulenze. L´amore è una malattia? Una sindrome assassina come l´Aids? O piuttosto un virus che si annida nell´imo e risalta fuori quando meno te l´aspetti? Proprio come la pittura realistica - la figurativa ottocentesca - che torna e ritorna, magari iperrealista, magari simbolista, resistente forma virale più forte di qualsiasi vaccino preventivo e di qualunque cura antibiotica. Ecco infatti lì, nell´angolo della sfinge, rinfocolarsi la classica vertigine di Alberto Abate, causa/effetto di spudoratezza pagana; ecco i regolari attacchi di amor panico di Edi Brancolini, che si curano solo con certe iniezioni; ecco le febbrili spossatezze del Dioniso iperreale di Mauro Falzoni; ecco i lavacri sul bidet di Saffo cantata da Carmelo Micalizzi. Tutti accanto in corsia, satiri e menadi, tutti pervasi da ninfomanie e priapismi, tutti criminosamente dediti al piacere e alla deboscia. Ma nessuno mai lavora, qui? Su, forza, in piedi, rivestirsi! (Non diceva François Truffaut, come forse anche il vecchio nonno Adamo, che il lavoro è stato inventato per non passare tutto il tempo a fare l´amore?).
Ma insomma, è davvero un crimine tanto tremendo aprirsi e offrirsi all´altro, pelle nuda e carne viva? Non vuol dire, piuttosto, fiducia? Basta poi non farne, in modi restrittivi e fanatici, religione unica e assoluta. Non per caso Riccardo Mannelli, diabolico frequentatore delle satire più nude e crude, ce ne offre una visione beffardamente angelica. Un altro delitto? Ebbene sì, Vostro Onore, l´ennesimo crimine dell´amore.
L´universo dell´amore e della sessualità è imprevedibile. Tenerezze e violenze, esplicite e immaginate, opposti significati, derivano da fattori culturali individuali e collettivi che possono trasformare piacere, desiderio e sentimento in ´crimine´ peccaminoso. Razionale, irrazionale, il gioco della pulsione amorosa viene interpretato da artisti contemporanei di diverse matrici espressive e formazioni culturali in una full immersion nell´estetica erotica più attuale.
Dal catalogo:
L´AMORE, IL CALORE, IL COLORE, IL PIACERE, IL DOLORE
Ferruccio Giromini
Questa scimmia un poco evoluta che è l´uomo, malgrado tutte le arie che si dà, ancora animalescamente affronta le questioni essenziali dell´esistenza. Da organismo vivente "superiore", si bea, e s´impegola, con il linguaggio, con l´arte, con la musica, con la religione e la filosofia, ma poi, sotto sotto, non riesce a staccarsi dal sangue, dallo sperma, dal fango, dalle paure e le violenze di qualunque peloso mammifero carnivoro. Già, impasto tuttora indecifrabile di materia e spirito, l´umanità è un ossimoro vivente. Se poi sono vere le storie dei microcosmi e macrocosmi, dei frattali, dell´immagine e somiglianza, e che ciò che è in alto è in basso, allora, fatte le debite proporzioni, chissà come deve essere Dio.
Ma noi non possiamo fare a meno di cercare un senso, e addirittura di dare un senso, all´esistenza. È un rovello eterno, ontogenetico e filogenetico. Di fatto, per una sorta di deformazione che pare una vera deviazione, quaggiù intorno si cerca di spiegare prima ancora che di capire. È quasi una mania. Si vuole ricondurre tutto a una logica precisa, a un´equazione dimostrabile in pochi passaggi sulla lavagna. Ci si intestardisce, e prima si perde la calma e poi addirittura la ragione. Oppure alla fine ci si chiede, una volta di più ma da un nuovo punto di vista: è sensato tutto ciò?
Certo che no. Ma facciamo finta di sì, per la salute mentale dei grandi e dei piccini. Facciamo finta, non possiamo fare altrimenti, pena l´inevitabile perdita di senno. Ci diamo delle regole, delle leggi, delle credenze, delle convinzioni, delle opinioni, delle stime, in modi entusiasti quanto patetici. E il bello è che, strada facendo, molti si autoconvincono e ci credono davvero. Per il loro bene? Per il nostro bene? Per il bene di chi?
Prendiamo il sesso, bestia nera delle società umane, da millenni. C´è, vive e prospera qui tra noi, tutti i giorni e tutte le notti, instancabile motore a iniezione del cosmo, dalla prima alba del Big Bang verso il postremo tramonto, ma c´è sempre chi lo nega, chi lo nasconde, chi lo esagera, chi lo irreggimenta, chi lo censura, chi lo travisa, chi lo fugge, chi lo insegue sempre da troppo lontano. Un bel problema, accidenti. E dire che sulla carta parrebbe tutto così semplice.
Sulla carta, sempre tutto pare più semplice. Forse è anche per questo che all´uomo piace stendere i problemi lì, in due dimensioni solo, simulando di saper dominare anche la terza e soprattutto la quarta dimensione, che invece... Una delle funzioni dell´arte, in fondo, è anche quella consolatoria: illusionistica. Ma un´altra, non dimentichiamolo, è quella viceversa allarmante: terroristica. Carezze e pugni dobbiamo aspettarci dagli artisti: è il loro compito. Pugni di ferro e di velluto in guanti di velluto e di ferro. Lasciamoci spiazzare, di volta in volta: non è proprio questo che tutti noi gli chiediamo?
Gli artisti ci parlano della nostra vita spiattellandoci davanti la loro. Impudichi quant´altri mai. È della loro impudicizia che noi godiamo, tanto più quanto più profonda e totale essa si presenta ai nostri sensi. È l´ennesimo esercizio di prostituzione - sacra! - nella quale entrambe le parti contraenti traggono rispettivo vantaggio, ora materiale, ora spirituale. Sì, spirituale, e non ce ne vogliano i bigotti per tali accostamenti. Reale o figurata che sia, la prostituzione è sempre stata, dalla preistoria, un atto di (vera, alta, sublime) generosità. Peraltro si sa benissimo - è la regola anche nel mercimonio della carne - che chi disprezza compra, più degli altri.
Ipocrisie a parte, dunque, arti ed eros si disputano le medesime pulsioni, sul medesimo tavolo da gioco. E bisogna essere almeno un poco giocatori d´azzardo, per provarsi nei cimenti dell´amore e dell´arte, dove sul serio perde solo chi non gioca mai. Ma certo: se si gioca sul serio, anche il perdere può dare le sue soddisfazioni. La posta del gioco è il mettersi in gioco. Perciò agli artisti e alle prostitute va tributato lo stesso massimo rispetto.
Perciò gli artisti e le prostitute sono guardati in genere con sospetto e malcelata disapprovazione. Le loro regole non sono quelle degli altri. Appaiono più padroni del proprio destino (anche se non è detto che ciò sia vero) e pertanto liberi di non obbedire alle restrizioni che gli altri si danno per convivere in consorzio sociale (e ciò è già più vero). Ma per favore non mettiamoci in testa di fare sociologia o antropologia spicciola, limitiamoci a quanto ci interessa qui: la criminalizzazione di quel che si ha paura di controllare. Metodo vigliacco.
Eppure è diffuso e palese. E allora, appunto, ci interessa questo nodo che avviluppa la criminalizzazione dell´eros ai delitti di lesa società perpetrati dalla psiche contorta degli artisti. Un intreccio criminoso di piaceri e dolori, quanto mai appassionante. E non sarà che un negativo e un negativo, combinati insieme, alla fine producono un positivo?
Non sappiamo dire, per la verità, cosa si possa definire in assoluto negativo e cosa positivo. Sappiamo solo che l´artista, di fronte a se stesso e allo spazio vuoto che verrà riempito dalla sua opera, eviscera il corpo del proprio spirito. L´artista emana energia, in quei momenti furiosi, ed è inevitabile che presto o tardi vada a rappresentare anche i tòpoi dell´emissione energetica, tra cui gli irradianti sentimenti erotici e gli esplosivi atti sessuali. L´amore è calore. Si potrà dire pure, con un po´ di autocompiacimento hippy, che l´amore è colore? E diciamolo, vai.
Diverse sono, naturalmente, le fila e le forme dell´intreccio arte/amore. Per la presente occasione espositiva - dedicata a una trentina di artisti contemporanei, non solo nazionali, e intitolata sadianamente ai crimes de l´amour in omaggio alla omonima storica, raffinatissima, perforante incisione erotica di Hans Bellmer - se ne sono volute enucleare quattro differenti: un po´ facendo riferimento alle tecniche di realizzazione e un po´ agli approcci di fondo.
La prima forma, denominata Strisce, accomuna opere in qualche modo collegate con il fumetto o comunque con la narratività proveniente dalla carta stampata. Corretto punto di partenza non poteva che essere una china di Guido Crepax, ormai un classico storico dell´erotismo figurato del Novecento. Per quattro decenni, col suo pennino insistente, il maestro milanese da poco scomparso ha saputo bene sposare gli eterni yin e yang in un infinito kamasutra caleidoscopico, a suo modo predicando sincero «che la virtù suprema fosse la passione della bellezza». Rappresenta la cerniera bianconera che ci lega ai gloriosi trascorsi dell´eros grafico europeo, di matrice prima simbolista e poi surrealista.
Il nostro ipertrofico presente esplode invece nella forma - ma non senza riferimenti al passato nei contenuti - del grande vortice psichedelico di Walter Bortolossi, che frulla le singole visioni e i singoli atti in una trascendente spirale onnicomprensiva. Legati stretti all´immaginario fumettistico e cartoonistico appaiono ancor di più quegli autori (imperfettamente definiti neo-pop) che usano un segno netto di contorno e campiture di preferenza piatte per composizioni che spesso non difettano di umorismo. Tra gli italiani, qui fa un capolino autoironico Massimo Giacon, i tre Ultrapop si mescolano sarcastici in un´umida orgia comune en plein air, Massimo Caccia mette la sua gentile coppia di esserini gialli di fronte a un enigmatico esempio dal mondo animale. E il celebrato sudafricano Conrad Botes, da parte sua, continua a mescolare le carte in una visione composita che accosta provocatorie icone di "sottocultura" popolare.
Diversi infine sono gli atteggiamenti di chi, tra il post-pop e il concettuale, usa la carta stampata quale semplice riferimento di partenza o addirittura solo quale supporto. Così è per l´anglo-berlinese Mathew Hale, solito usare pagine di libro come fondali dei suoi segni (o meta-segni, se raffigura, come qui, un tatuaggio osé); per lo statunitense Donald Baechler, che assembla ritagli di pagine di giornale, alla bruta, poi raffreddando il tutto con i suoi quadrangoli colorati piatti; e per lo spudorato Paolo Denaro, che trionfale scandalizza con le sue nostalgie di fumettacci anni Settanta ricolorati e ripolaroidizzati. Criminali schernitori, col sorriso sulle labbra.
Quanto alla seconda forma di amplesso amore-arte, è stata battezzata Derive, volendo comprendere in essa chi si lascia portare da correnti ora dolci, abbandonato tra le coste vicine del passato e quelle lontane del presente, o da correnti ora più rapide, avviato forse verso fragorose cascate nascoste nel futuro. Qui si fanno più nitide le suggestioni del mondo antico, composto e fin decorativo, negli sguardi circolari e bisessuati di Luigi Ontani, nel gusto androgino del corpo narcisista di Luigi Mastrangelo, nell´oscura multipla anima/psiche del Mito ammucchiata nell´ovale di Nicola Samorì, e nel selvatico semidio peloso, e innamorato, di Sandro Chia. Anche le divinità orientali di Milan Kunc, vate ceco dell´Ost-Pop, si colorano di beneducata e danzante decorazione.
Ma a mano a mano che ci si avvicina al giorno d´oggi, le inquietudini affiorano, i mulinelli si fanno minacciosi, i gorghi possono trascinare all´annegamento. La meretrice viennese di Gian Marco Montesano si slaccia conscia il bustino, ed ecco che la rosa, da boccio che era, comincerà a sfiorire. Il giovanottino slavo di Juri Rodkin ci prova, a testa bassa lui, con la fanciulla ritrosa, decisamente sulla difensiva lei, e chissà come andrà a finire. I due maschi nudi di Alessandro La Motta ostentano ritte barre metalliche, attraentemente tattili quanto possibilmente minacciose. La femmina spogliata in silenzio da Maurizio Bottarelli offre di sé forme rugginose e sentori bui. E che dire allora del tormentoso autoerotismo della ignuda di Buell, o della sibillina offerta di virtù delle due sorelline di David Vecchiato? Amori, comunque amori. O piccoli delitti torbidi e grandi sensi di colpa. Anche la struggente altalena protuberosa, scolpita con tanta malizia da Paolo G. Conti, si fa vergognosa, si tiene nascosta là sotto, sedendocisi e sistemandocisi sopra. Crimini piccini e segreti enormi.
La terza stanza del nostro prosaico poema è consacrata a Gelatine e pixel, ovvero alle frontiere meno direttamente manuali e più tecnologiche dell´espressione contemporanea. Le gelatine le maneggiano ancora due obiettivi maestri: Carlo Gajani, che ama incrociare con squisito gusto necrofilo le modelle vive con i manichini morti, e Fulvio Magurno, che qui infrange le regole, in senso figurato e in senso letterale, imbrattandosi di sangue mestruale. Macchie, crimini indelebili di pervertimento? Intanto Elisabetta Alberti, dietro quell´apparenza tranquilla, in fotografia spoglia carni piene femminili e, solo dopo la stampa su tela, le riveste appena appena con interventi di colore e con ricamini cattivelli perlopiù irridenti.
I pixel invece, vera massima perversione contemporanea, li manovra sulla punta delle dita Piermario Ciani, da sempre manipolatore di immagini, da un po´ anche manipolatore di immagini digitali, composte e ricomposte, giustapposte e sovrapposte, proposte e a un certo punto perfino supposte. Ancora più pervertito è il rapporto di Isabella Pers con la fotodigitalizzazione, che sopravviene in una fase intermedia del suo operare, dopo la stesura pittorica su lastre metalliche industriali traforate e prima della eventuale post-produzione di ri-cromatizzazione; capita così che le sue belle & le bestie appaiano ingabbiate in reticoli che ne scompongono con regolarità, quasi a megapixel, le fattezze. Altri delitti della camera chiusa e della camera oscura, della rue Morgue e della casa chiusa.
Ultimo quarto: Virulenze. L´amore è una malattia? Una sindrome assassina come l´Aids? O piuttosto un virus che si annida nell´imo e risalta fuori quando meno te l´aspetti? Proprio come la pittura realistica - la figurativa ottocentesca - che torna e ritorna, magari iperrealista, magari simbolista, resistente forma virale più forte di qualsiasi vaccino preventivo e di qualunque cura antibiotica. Ecco infatti lì, nell´angolo della sfinge, rinfocolarsi la classica vertigine di Alberto Abate, causa/effetto di spudoratezza pagana; ecco i regolari attacchi di amor panico di Edi Brancolini, che si curano solo con certe iniezioni; ecco le febbrili spossatezze del Dioniso iperreale di Mauro Falzoni; ecco i lavacri sul bidet di Saffo cantata da Carmelo Micalizzi. Tutti accanto in corsia, satiri e menadi, tutti pervasi da ninfomanie e priapismi, tutti criminosamente dediti al piacere e alla deboscia. Ma nessuno mai lavora, qui? Su, forza, in piedi, rivestirsi! (Non diceva François Truffaut, come forse anche il vecchio nonno Adamo, che il lavoro è stato inventato per non passare tutto il tempo a fare l´amore?).
Ma insomma, è davvero un crimine tanto tremendo aprirsi e offrirsi all´altro, pelle nuda e carne viva? Non vuol dire, piuttosto, fiducia? Basta poi non farne, in modi restrittivi e fanatici, religione unica e assoluta. Non per caso Riccardo Mannelli, diabolico frequentatore delle satire più nude e crude, ce ne offre una visione beffardamente angelica. Un altro delitto? Ebbene sì, Vostro Onore, l´ennesimo crimine dell´amore.
10
gennaio 2004
I crimini dell’amore
Dal 10 gennaio al 05 febbraio 2004
arte contemporanea
Location
L’ARIETE ARTECONTEMPORANEA – VIA D’AZEGLIO
Bologna, Via D'azeglio, 42, (Bologna)
Bologna, Via D'azeglio, 42, (Bologna)
Orario di apertura
feriali 16 – 19
Festivi e mattino feriali su appuntamento
Vernissage
10 Gennaio 2004, ore 17,30