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I Della Rovere – Piero della Francesca, Raffaello e Tiziano
300 opere d’arte e capolavori provenienti dai musei di tutto il mondo illustrano per la prima volta cronologicamente i fasti della celebre dinastia che succedette dal 1508 ai Montefeltro: l’illuminata signoria dei Della Rovere, che attraversa una lunga stagione di arte e di bellezza.
Comunicato stampa
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Si tratta di una signoria nuova e diversa rispetto alla precedente: alle soglie del Cinquecento, gli sviluppi della storia europea (comprese le conquiste di francesi e spagnoli sul suolo italiano) impongono una nuova figura di “principe” e una aggiornata versione del ruolo del “cortegiano”. E sono proprio i Della Rovere i primi duchi del Cinquecento italiano a comprendere i limiti e le prospettive di una signoria che deve rinunciare ad ambizioni di conquiste territoriali, ma assicurarsi una fama internazionale grazie allo splendore della produzione artistica e delle residenze, al generoso mecenatismo, all’esportazione o al dono diplomatico di prodotti assolutamente unici e inconfondibili.
Oggi, quattro importanti centri marchigiani celebrano le figure, i fasti, gli artisti, le collezioni e gli interessi scientifici dei Della Rovere. Senigallia, Pesaro, Urbino e Urbania aprono ai visitatori i propri monumenti più importanti, alcuni dei quali altrimenti inaccessibili, invitando a un itinerario che porta dal mare ai boschi di “roveri” nella valle del Metauro, nella meraviglia di una natura intatta e sempre mutevole, capace non solo di accogliere ma anzi di ispirare e di generare grandi maestri e indimenticabili capolavori.
L’esposizione è il frutto di recenti e approfonditi studi scientifici che hanno esplorato a tutto campo la cultura e il gusto di un’epoca ricostruendo filologicamente la storia e il mecenatismo dei Signori, uomini d’arme, sofisticati esteti, scaltri politici, immortalati nei ritratti di Tiziano (Francesco Maria I e la consorte Eleonora Gonzaga), del Bronzino (Guidubaldo II), del Barocci (Francesco Maria II) e di tanti altri protagonisti del tempo. Pedro Berruguete ci mostra invece le sembianze di Papa Sisto IV come Raffaello quelle di Giulio II: i memorabili pontefici che diedero nobiltà alla nuova signoria sotto fronde di quercia cariche di ghiande, divenute facilmente, in virtù del nome, inequivocabile e fecondo segno di riconoscimento: non solo firma di una committenza colta e insistito simbolo di appartenenza, ma anche autonomo, raffinatissimo intreccio decorativo: come nel lussureggiante Stipo di ebano intarsiato d’avorio realizzato alla fine del Cinquecento per Francesco Maria II, recentissimamente acquistato dalla Galleria Nazionale delle Marche.
Celebri dipinti, sculture antiche e rinascimentali, preziose oreficerie, ricchissime ceramiche, lucide armi, delicati manoscritti miniati tornano eccezionalmente a rivivere nelle antiche stanze dei grandi palazzi nelle quattro capitali ducali. I duchi favorirono infatti l’immagine del policentrismo del loro Stato, dando quasi vita ad una sorta di federalismo ante-litteram. Se Federico di Montefeltro aveva scelto Urbino e Gubbio, Guidubaldo I amò soprattutto Fossombrone, Francesco Maria I Della Rovere predilesse Pesaro, Guidubaldo II ancora Pesaro e poi Senigallia, e Francesco Maria II predilesse Casteldurante, poi ribattezzata Urbania in onore di papa Urbano VIII.
I due pontefici Della Rovere, Sisto IV (1471-1482) e Giulio II (1503-1515) fanno del Ducato di Urbino il centro da cui passare per ottenere i loro favori. I re d’Inghilterra, di Francia e di Spagna, gli imperatori asburgici accolgono al meglio gli ambasciatori del Ducato e conferiscono ai signori di Urbino le più alte onorificenze. Ed è proprio Giulio II nel 1507 a concedere al Collegio dei Dottori urbinate più ampie prerogative, dando vita, di fatto, al primo nucleo della celebre Libera Università fiore all’occhiello e fortuna moderna di Urbino.
SENIGALLIA: LE ORIGINI DELLA DINASTIA
Le origini savonesi della dinastia roveresca sono testimoniate da un nutrito nucleo di opere, alcune delle quali poco note, provenienti dalla città ligure che diede i natali a Sisto IV, il papa della Sistina.
Un albero genealogico della famiglia apre la prima sezione che si snoda nei suggestivi ambienti dagli splendidi soffitti a cassettoni dipinti da Taddeo Zuccari del Palazzo del Duca, progettato da Girolamo e Bartolomeo Genga per Guidubaldo II intorno alla metà del XVI secolo proprio sulla piazza prospiciente la celebre Rocca a pianta quadrata con torrioni cilindrici ai lati, emblema della città, principale centro commerciale del ducato di Urbino (la famosa Fiera di Senigallia), prima di diventare spiaggia “di velluto”. Vi sono esposti importanti dipinti su tavola e sculture lignee di Vincenzo Foppa (dall’Oratorio di Santa Maria in Castello di Savona); frammenti di affreschi recuperati nella piccola Cappella Sistina di Savona; e paramenti sacri e arredi liturgici appartenuti a Giulio II: lo stesso Giulio avrebbe commissionato, quando ancora non era pontefice, a Marco D’Oggiono una intensa, leonardesca Lucrezia còlta nell’atto di premere fino alla morte un pugnale in seno. Opera inedita, firmata, scoperta in una collezione privata milanese.
La seconda sezione, intitolata a Giovanna Feltria e alla cultura artistica della Corte di Urbino di cui essa fu latrice a Senigallia, contiene la splendida Madonna di Senigallia eseguita da Piero della Francesca per Federico di Montefeltro (o per la figlia Giovanna che sposò l’inziatore della nuova dinastia), il capolavoro assoluto che torna pro tempore nella città in cui soggiornò per vari secoli (era un tempo nella chiesa di Santa Maria delle Grazie alla periferia della città): di essa si pensava fosse stato detto tutto, ed è invece al centro di una convincente nuova interpretazione critica presentata nel catalogo. Seguono tre dipinti di Giovanni Santi, padre di Raffaello; una pala del Perugino; un Corale miniato da Bartolomeo della Gatta; una delle due porte dello Studiolo urbinate splendidamente intarsiata da Benedetto e Giuliano da Maiano (ma nella quale oggi torna alla ribalta il riferimento al disegno di Bramante). Tutte queste opere illustrano la cultura artistica alla corte urbinate all’atto dell’avvento della nuova signoria di Giovanni Della Rovere.
Alla sua nascita fu determinante l’apporto di papa Sisto IV (terza sezione), di cui è presente un ritratto dipinto dallo spagnolo Pedro Berruguete, mai visto in Italia ed eccezionalmente prestato dal Museum of Art di Cleveland, simile allo stesso pontefice ritratto tra gli Uomini Illustri sulle pareti dello Studiolo di Urbino dove Federico soleva confrontarsi con gli “alti spiriti”. Dell’umanesimo delle Corti (anche di quella papale) sono espressione le illustrazioni dei codici della Congiura di Catilina di Sallustio e della Trinità di Sant’ Agostino provenienti dalla Biblioteca Vaticana (che contengono miniature del Papa stesso); mentre il taccuino con un Trattato militare di Roberto Valturio, proveniente dalla Biblioteca Estense di Modena, ricorda come alla cultura venissero disinvoltamente accostate le armi.
Altri importanti codici vaticani (Livio, Tucidide) con le immagini miniate del secondo Papa Della Rovere, Giulio II, sono presenti nella quarta sezione dedicata all’ascesa di Francesco Maria I , forse identificabile giovanissimo nel ritratto di Giovane con mela attribuito a Raffaello, mentre è sicuramente del sommo pittore urbinate il Ritratto di papa Giulio II pur esso agli Uffizi. Per decodificare il particolare apporto culturale di Guidubaldo I di Montefeltro sono presenti il sottile Cristo Benedicente del Bramantino, due opere di Luca Signorelli tra cui il Battesimo da Arcevia; mentre a Giulio II si riferisce il bozzetto in terracotta per uno dei Profeti della Santa Casa di Loreto.
URBINO: I DUCHI, ICONOGRAFIE E COMMITTENZE
Una sfida, ma al contempo il luogo ideale nella “città ideale” per antonomasia, concepire un’esposizione in un museo celebrato come la Galleria Nazionale delle Marche in Palazzo Ducale, dove già da tempo è stata felicemente ricomposta l’armonia perduta fra le opere e gli spazi che le ospitavano. La mostra continua dunque nel contenitore altissimo del Palazzo Ducale urbinate, nel suo Salone del Trono.
Nella quinta sezione spiccano i ritratti ufficiali di Francesco Maria I, vera icona della mostra, e della consorte Eleonora Gonzaga (dell’altra nobile casata che aveva istruito una Celeste Galleria): in essi Tiziano ha saputo con tocchi sublimi del pennello mettere a nudo -al di là della forza cerimoniale- la vera psicologia dei personaggi ritratti. In un gioco di specchi Baldassar Castiglione, il loro cortigiano coltissimo, è raffigurato in una tavola della Galleria Nazionale di Palazzo Barberini in Roma, attribuita a Giulio Romano. Fanno contorno alle immagini dei signori alcune opere di artisti cui più frequentemente essi si rivolsero per le loro committenze: da Girolamo Genga (il raffinato regista di tante dimore roveresche) al ‘lirico’ Raffaellino del Colle. Tra esse spicca un’inedita statua di Marte seduto in terracotta di Bartolommeo Ammannati.
Alla figura di Guidubaldo II è dedicata la sesta sezione della mostra: la sua presenza si impone nella splendente tavola del Bronzino conservata nella Galleria Palatina di Firenze che lo ritrae potente in armatura, accanto alla consorte Giulia Varano, tizianesca. Esempi altissimi della committenza del 2° duca roveresco sono le deliziose predelle di Pellegrino Tibaldi con la Visitazione e la Decollazione, oggi divise tra Brera e Urbino, e, dalla stessa città, la bella pala di Battista Franco con Madonna con Bambino e Santi. Accanto a una tavola di Sebastiano del Piombo si può ammirare una scultura di quel grandissimo maestro urbinate della plastica che fu Federico Brandanti. Sono qui esposte anche quattro vesti funebri di personaggi rovereschi, inedite, presentate a restauro completato.
Nella sezione settima il rapporto privilegiato con l’arte della guerra e della difesa è illustrato da una rassegna di armi vere (tra cui due mezzi cannoni ornati di ghiande e di foglie di quercia) da Firenze (Bargello), Torino (Armeria Reale) e New York (Metropolitan), o disegnate; sebbene il “pezzo forte” rimanga l’armatura alla romana di Guidubaldo II per l’imperatore Carlo V, oggi naturalmente a Madrid.
La committenza di Francesco Maria II, sesto Duca di Urbino, (sezione ottava) si rivolge soprattutto alla grazia pittorica di Federico Barocci (1535-1612) che trasfigura sulla tela con sfumature impalpabili persone e cose: l’artista, che nella città natale di Urbino visse gran parte dei suoi giorni, è presente in mostra con ben sette opere fra le quali citiamo soltanto la splendida Annunciazione vaticana (1582-1586) eseguita per la Cappella dei Duchi di Loreto, la Natività del Prado, la Deposizione senigalliese col suo bozzetto e un Ritratto di Lavinia inedito. Mentre il mirabile ritratto dell’ultimo duca (oggi agli Uffizi) è esposto giustamente ad Urbania. In questa sezione dialogano anche opere di altri importanti pittori come Federico Zuccari (presente con due raffinate tele: un frammento di pala con Madonna del Rosario già nel duomo di Fossombrone, e un’inedita allegoria da una collezione privata fiorentina), l’anconitano Andrea Lilli di cui è un Battesimo di Cristo dai colori acidi, e i comprimari Palma il Giovane e Claudio Ridolfi.
In questa sezione come nelle precedenti grande risalto è dato giustamente alla protezione di artisti famosi da parte delle duchesse (in questo caso le consorti Lucrezia d’Este e Livia). Infatti il “mestiere” della guerra consentì un governo anche “femminile” dello Stato. Si tratta di donne che provengono, come abbiamo visto, dalle maggiori casate italiane Gonzaga, Varano, Farnese, Este, oltreché Sforza. Energiche, colte, esse erano preparate a gestire la politica interna ed estera, a fare leggi, a nominare magistrati, a ricevere ambasciatori, a mantenere vivo e vivace il clima culturale. Oltre a circondarsi di poeti, esse tra l’altro amarono e potenziarono l’oreficeria (fulgidi esempi ne sono le pissidi, i calici e le croci in mostra), e in genere tutte le arti cosiddette “minori” come quella della tarsia lignea che nel ducato raggiunse livelli inarrivabili, come rivelano gli ammiratissimi stipi esposti.
Dell’inesorabile declino e della fine del Ducato di Urbino – il territorio feltresco passa a far parte dello Stato Pontificio nel 1631 - parla invece la nona sezione che analizza il personaggio Federico Ubaldo Della Rovere, prima tanto atteso (di lui sono presenti numerosi ritratti da fanciullo -curioso quello che lo ritrae in fasce proveniente da Lucca-), poi sposo di Claudia de’ Medici, infine premorto, giovanissimo, al padre: ciò che decretò l’estinzione della casata. Se lo stato va alla Curia romana, i beni mobili (dipinti, sculture, gioielli, opere d’arte), in quanto patrimonio personale dei duchi, vengono trasferiti a Firenze, alla ‘nipotina’ Vittoria Della Rovere: di essa è esposto un tardo prezioso busto in pietre dure, deposito degli Uffizi. L’erede è promessa sposa a Ferdinando dei Medici, destinato a diventare Granduca di Toscana. È per questo che nei musei fiorentini è possibile trovare capolavori prodotti nella splendida stagione del Rinascimento urbinate; con l’estinzione della casata Medici, attraverso i Lorena, alcune opere trasmigreranno nei musei europei. Mentre tutta la “libraria” passerà alla Biblioteca Vaticana a metà Seicento. Alla devoluzione si aggiungeranno le spoliazioni del periodo napoleonico e la noncurante dispersione successiva sul mercato antiquario che ha arricchito i musei di tutto il mondo soprattutto di maioliche ma anche, per fare qualche esempio di opere che -per quanto richieste- non sono potute tornare in mostra, di un ritratto di Vittoria Farnese (probabile opera di Tiziano) che è a Budapest; o di uno splendido ritratto di Francesco Maria I del Carpaccio che è nella collezione Thyssen a Madrid: ambasciatori nel mondo di una dimensione “a misura d’uomo” che la nostra età sta riscoprendo.
PESARO: COMMITTENZE PESARESI. LA CERAMICA
Nella città aperta ai traffici sul mare la mostra dei Della Rovere continua nella sede prestigiosa del Salone Metaurense al piano nobile dell’elegante Palazzo Ducale di Piazza del Popolo, oggi sede della Prefettura, ristrutturato da Girolamo e Bartolomeo Genga, dopo il rovinoso incendio del precedente edificio sforzesco. È Guidubaldo II ad ordinare questi lavori per la residenza invernale della corte che, in estate, preferisce soggiornare nella Villa Imperiale, una spettacolare oasi-fortezza arroccata su di un poggio, ricca di raccolti cortili, di giardini all’italiana e di sale dipinte da Raffaellino del Colle, dal Genga dal Dossi dal Bronzino al tempo di Francesco Maria I: complesso raramente visitabile perché proprietà privata, ma in occasione della mostra aperto in particolari ristretti orari: forse una delle tappe più affascinanti del percorso roveresco sul territorio.
Alla committenza di Francesco Maria I, insediato a Pesaro nel 1513 dallo zio Giulio II, e in particolare al cantiere della Villa Imperiale Vecchia è appunto riservata la sezione decima della mostra dove sono esposti dipinti degli artisti appena nominati: affascinanti tele di Raffaellino del Colle, una predella di Girolamo Genga, una tavola del Menzocchi, ma soprattutto una grande tela ‘ariostesca’con Siringa e Pan di Dosso Dossi dalla Galleria Borghese che insieme al disegno del Bronzino con Apollo e Marsia dal Louvre evocano atmosfere campestri.
Negli stessi anni trenta fu portato alla luce in Pesaro il celebre bronzo dell’Idolino, per il quale fu commissionato a Girolamo Lombardi un meraviglioso rinascimentale basamento scolpito che dà la dimensione di quale considerazione godessero le sculture classiche all’epoca per essere messe “su un piedistallo”: una statua dell’arte romana memore dei modi di Policleto e per questo collezionisticamente per secoli al centro della cultura antiquaria. L’Idolino, che eccezionalmente torna dal Museo Archeologico di Firenze, apre l’undicesima sezione che indaga lo stretto rapporto fra i Della Rovere e l’antico, in cui si può ammirare fra l’altro la preziosa statuetta in bronzo di stampo ellenistico di Eros-Hypnos (I secolo d.C.) del Museo Oliveriano di Pesaro insieme a disegni che raffigurano statue in corazza cui veniva sovrapposta la testa-ritratto dei Duchi, con un’operazione utile a diffondere ideologicamente l’immagine imperiale del ducato.
Oltre 100 sono le ceramiche di tutte le ricercate forme e preziose decorazioni – in gran parte conservate nel Museo Civico della città, ma giunte anche da tutt’Italia (Arezzo, Bargello, Modena, Gubbio, Faenza, Pavia, Loreto, Bologna, Milano) e da vari musei stranieri (dal Victoria and Albert Museum di Londra, da Oxford, dal Metropolitan di New York) – che illustrano nella dodicesima sezione la felice stagione della produzione locale sotto i Della Rovere nei centri della valle del Metauro: a Casteldurante, a Gubbio, a Urbino, a Pesaro per oltre un secolo. Soprattutto a Casteldurante (Urbania), di cui era originario Cipriano Piccolpasso che intorno al 1548 scrive il trattato Tre Libri dell’Arte del Vasaio, dettando i segreti e le regole del far ceramica fra credenze magiche ed esoteriche. Le maioliche si distinguono per l’invenzione di decorazioni caratteristiche con fiori, stemmi, festoni, “cerquate” (foglie di quercia in omaggio ai Della Rovere) o decorazioni geometriche o a spirale, sempre attenendosi alla gamma dei colori tipici (verde, giallo, arancione e blu) sapientemente accostati nel gioco delle mezze tinte e dei toni. Ma soprattutto eccelle per raffinatezza il genere detto “istoriato”, influenzato dal magistero di pittori come Raffaello Battista Franco e gli altri grandi urbinati.
La sezione tredicesima esplora il rapporto privilegiato fra Guidubaldo II e Pesaro indicata con la mano da Sant’Ubaldo, venerato protettore della città, in una tela di Palma il Giovane oggi a San Paolo del Brasile. Rapporto soprattutto inerente le mura e il porto. Sono tra l’altro esposti un capolavoro del Pomarancio , un’opera di Federico Zuccari, una tela del Rondolino.
URBANIA: FRANCESCO MARIA II A CASTELDURANTE. LA GRAFICA. LA SCIENZA
Nell’antica Casteldurante, famosa in tutta Europa nel Cinquecento per le sue ceramiche dai riflessi oro e rubino, l’esposizione ha sede nel Palazzo Ducale, dai merli affacciati sul letto boscoso del Metauro che i nobili risalivano in barchetta, da cui si dirama un’amena passeggiata chiamata “la strada del Duca” che conduce al “Barco”, affascinante e quasi incontaminato luogo di caccia, ricco di suggestioni storiche e artistiche. Nelle sale del Palazzo, dove si può ammirare una stupefacente acquaforte, lunga 12 metri e composta da quaranta pezzi incollati su tela pesante realizzata da Nicholas Hogenberg di Monaco nella prima metà del XVI secolo e raffigurante il sontuoso Corteo dell’imperatore Carlo V a Bologna nel 1530, si articolano tre sezioni. Nella prima (quattordicesima), incentrata su Francesco Maria II che predilesse questa piccola città, sono affrontati gli ultimi anni della dinastia con i ricchi apparati di nozze con scene allegoriche per Claudia de’ Medici di Claudio Ridolfi e il già citato impressionistico Ritratto di Francesco Maria II di Federico Barocci dagli Uffizi.
Nella seconda (la quindicesima dal titolo Grafica per i Della Rovere) è esposta una nutrita raccolta di disegni dei maggiori artisti che lavorarono per questi mecenati. Gran parte dei disegni furono eseguiti in preparazione della decorazione di sontuose ceramiche: quasi a mo’ di altissima didattica sono presenti alcuni piatti e albarelli in rapporto con alcuni dei disegni esposti. Tra i pittori spiccano Gherardo Cibo, Taddeo Zuccai e Federico Barocci.
Nella terza (sedicesima e ultima) è esplorato efficacemente il rapporto dei Duchi con la Scienza. Come rivelano gli strumenti intarsiati alle pareti dello Studiolo di Federico di Montefeltro, Urbino già dal ‘400 coltivava una grande apertura verso la scienza in un fruttuoso dialogo con l’arte: per il duca Piero della Francesca aveva scritto d’altronde il suo trattato sulla prospettiva. Anche sotto i Della Rovere -in particolare con Francesco Maria II- continuò questa intesa privilegiata con gli scienziati, come rivelano il ritratto del naturalista bolognese Ulisse Aldovrandi eseguito da Agostino Carracci (dall’Accademia Carrara di Bergamo), compassi, orologi solari e astrolabi decorati. Nume tutelare del nuovo metodo sperimentale è Galileo Galilei (che fu in diretto rapporto con l’ultimo Duca), che nella sua effigie più famosa, quella dipinta da Sustermans agli Uffizi, chiude la rassegna.
In totale sono esposti in mostra circa 300 oggetti e opere d’arte: 50 a Senigallia, una settantina a Urbino, oltre centodieci a Pesaro, una settantina a Urbania.
ENTI PROMOTORI, PROGETTO, COMITATO SCIENTIFICO
L’esposizione è stata fortemente voluta dall’Amministrazione Comunale di Senigallia che ha promosso un accordo di rete interistituzionale coinvolgendo gli altri comuni rovereschi (Pesaro, Urbino, Urbania), la Regione Marche e le Province di Ancona e Pesaro-Urbino, da sempre espressione di una vocazione alla tutela e alla valorizzazione (anche grazie ad un’innovativa legge regionale degli anni Novanta sul Museo Diffuso) del paesaggio culturale di questo territorio.
Il progetto scientifico della mostra non poteva che essere affidato alla Soprintendenza per il patrimonio storico, aristico e demoetnoantropologico delle Marche con sede a Urbino. Il disegno della mostra e il catalogo sono a cura del suo già Soprintendente Paolo Dal Poggetto cui è subentrata recentemente Lorenza Mochi Onori, fautrice dell’iniziativa.
Il comitato scientifico è composto da: Paolo Dal Poggetto presidente, Antonio Brancati, Marinella Bonvini Mazzanti (storico), Maria Grazia Ciardi Duprè, Lorenza Mochi Onori, Antonio Paolucci.
Oggi, quattro importanti centri marchigiani celebrano le figure, i fasti, gli artisti, le collezioni e gli interessi scientifici dei Della Rovere. Senigallia, Pesaro, Urbino e Urbania aprono ai visitatori i propri monumenti più importanti, alcuni dei quali altrimenti inaccessibili, invitando a un itinerario che porta dal mare ai boschi di “roveri” nella valle del Metauro, nella meraviglia di una natura intatta e sempre mutevole, capace non solo di accogliere ma anzi di ispirare e di generare grandi maestri e indimenticabili capolavori.
L’esposizione è il frutto di recenti e approfonditi studi scientifici che hanno esplorato a tutto campo la cultura e il gusto di un’epoca ricostruendo filologicamente la storia e il mecenatismo dei Signori, uomini d’arme, sofisticati esteti, scaltri politici, immortalati nei ritratti di Tiziano (Francesco Maria I e la consorte Eleonora Gonzaga), del Bronzino (Guidubaldo II), del Barocci (Francesco Maria II) e di tanti altri protagonisti del tempo. Pedro Berruguete ci mostra invece le sembianze di Papa Sisto IV come Raffaello quelle di Giulio II: i memorabili pontefici che diedero nobiltà alla nuova signoria sotto fronde di quercia cariche di ghiande, divenute facilmente, in virtù del nome, inequivocabile e fecondo segno di riconoscimento: non solo firma di una committenza colta e insistito simbolo di appartenenza, ma anche autonomo, raffinatissimo intreccio decorativo: come nel lussureggiante Stipo di ebano intarsiato d’avorio realizzato alla fine del Cinquecento per Francesco Maria II, recentissimamente acquistato dalla Galleria Nazionale delle Marche.
Celebri dipinti, sculture antiche e rinascimentali, preziose oreficerie, ricchissime ceramiche, lucide armi, delicati manoscritti miniati tornano eccezionalmente a rivivere nelle antiche stanze dei grandi palazzi nelle quattro capitali ducali. I duchi favorirono infatti l’immagine del policentrismo del loro Stato, dando quasi vita ad una sorta di federalismo ante-litteram. Se Federico di Montefeltro aveva scelto Urbino e Gubbio, Guidubaldo I amò soprattutto Fossombrone, Francesco Maria I Della Rovere predilesse Pesaro, Guidubaldo II ancora Pesaro e poi Senigallia, e Francesco Maria II predilesse Casteldurante, poi ribattezzata Urbania in onore di papa Urbano VIII.
I due pontefici Della Rovere, Sisto IV (1471-1482) e Giulio II (1503-1515) fanno del Ducato di Urbino il centro da cui passare per ottenere i loro favori. I re d’Inghilterra, di Francia e di Spagna, gli imperatori asburgici accolgono al meglio gli ambasciatori del Ducato e conferiscono ai signori di Urbino le più alte onorificenze. Ed è proprio Giulio II nel 1507 a concedere al Collegio dei Dottori urbinate più ampie prerogative, dando vita, di fatto, al primo nucleo della celebre Libera Università fiore all’occhiello e fortuna moderna di Urbino.
SENIGALLIA: LE ORIGINI DELLA DINASTIA
Le origini savonesi della dinastia roveresca sono testimoniate da un nutrito nucleo di opere, alcune delle quali poco note, provenienti dalla città ligure che diede i natali a Sisto IV, il papa della Sistina.
Un albero genealogico della famiglia apre la prima sezione che si snoda nei suggestivi ambienti dagli splendidi soffitti a cassettoni dipinti da Taddeo Zuccari del Palazzo del Duca, progettato da Girolamo e Bartolomeo Genga per Guidubaldo II intorno alla metà del XVI secolo proprio sulla piazza prospiciente la celebre Rocca a pianta quadrata con torrioni cilindrici ai lati, emblema della città, principale centro commerciale del ducato di Urbino (la famosa Fiera di Senigallia), prima di diventare spiaggia “di velluto”. Vi sono esposti importanti dipinti su tavola e sculture lignee di Vincenzo Foppa (dall’Oratorio di Santa Maria in Castello di Savona); frammenti di affreschi recuperati nella piccola Cappella Sistina di Savona; e paramenti sacri e arredi liturgici appartenuti a Giulio II: lo stesso Giulio avrebbe commissionato, quando ancora non era pontefice, a Marco D’Oggiono una intensa, leonardesca Lucrezia còlta nell’atto di premere fino alla morte un pugnale in seno. Opera inedita, firmata, scoperta in una collezione privata milanese.
La seconda sezione, intitolata a Giovanna Feltria e alla cultura artistica della Corte di Urbino di cui essa fu latrice a Senigallia, contiene la splendida Madonna di Senigallia eseguita da Piero della Francesca per Federico di Montefeltro (o per la figlia Giovanna che sposò l’inziatore della nuova dinastia), il capolavoro assoluto che torna pro tempore nella città in cui soggiornò per vari secoli (era un tempo nella chiesa di Santa Maria delle Grazie alla periferia della città): di essa si pensava fosse stato detto tutto, ed è invece al centro di una convincente nuova interpretazione critica presentata nel catalogo. Seguono tre dipinti di Giovanni Santi, padre di Raffaello; una pala del Perugino; un Corale miniato da Bartolomeo della Gatta; una delle due porte dello Studiolo urbinate splendidamente intarsiata da Benedetto e Giuliano da Maiano (ma nella quale oggi torna alla ribalta il riferimento al disegno di Bramante). Tutte queste opere illustrano la cultura artistica alla corte urbinate all’atto dell’avvento della nuova signoria di Giovanni Della Rovere.
Alla sua nascita fu determinante l’apporto di papa Sisto IV (terza sezione), di cui è presente un ritratto dipinto dallo spagnolo Pedro Berruguete, mai visto in Italia ed eccezionalmente prestato dal Museum of Art di Cleveland, simile allo stesso pontefice ritratto tra gli Uomini Illustri sulle pareti dello Studiolo di Urbino dove Federico soleva confrontarsi con gli “alti spiriti”. Dell’umanesimo delle Corti (anche di quella papale) sono espressione le illustrazioni dei codici della Congiura di Catilina di Sallustio e della Trinità di Sant’ Agostino provenienti dalla Biblioteca Vaticana (che contengono miniature del Papa stesso); mentre il taccuino con un Trattato militare di Roberto Valturio, proveniente dalla Biblioteca Estense di Modena, ricorda come alla cultura venissero disinvoltamente accostate le armi.
Altri importanti codici vaticani (Livio, Tucidide) con le immagini miniate del secondo Papa Della Rovere, Giulio II, sono presenti nella quarta sezione dedicata all’ascesa di Francesco Maria I , forse identificabile giovanissimo nel ritratto di Giovane con mela attribuito a Raffaello, mentre è sicuramente del sommo pittore urbinate il Ritratto di papa Giulio II pur esso agli Uffizi. Per decodificare il particolare apporto culturale di Guidubaldo I di Montefeltro sono presenti il sottile Cristo Benedicente del Bramantino, due opere di Luca Signorelli tra cui il Battesimo da Arcevia; mentre a Giulio II si riferisce il bozzetto in terracotta per uno dei Profeti della Santa Casa di Loreto.
URBINO: I DUCHI, ICONOGRAFIE E COMMITTENZE
Una sfida, ma al contempo il luogo ideale nella “città ideale” per antonomasia, concepire un’esposizione in un museo celebrato come la Galleria Nazionale delle Marche in Palazzo Ducale, dove già da tempo è stata felicemente ricomposta l’armonia perduta fra le opere e gli spazi che le ospitavano. La mostra continua dunque nel contenitore altissimo del Palazzo Ducale urbinate, nel suo Salone del Trono.
Nella quinta sezione spiccano i ritratti ufficiali di Francesco Maria I, vera icona della mostra, e della consorte Eleonora Gonzaga (dell’altra nobile casata che aveva istruito una Celeste Galleria): in essi Tiziano ha saputo con tocchi sublimi del pennello mettere a nudo -al di là della forza cerimoniale- la vera psicologia dei personaggi ritratti. In un gioco di specchi Baldassar Castiglione, il loro cortigiano coltissimo, è raffigurato in una tavola della Galleria Nazionale di Palazzo Barberini in Roma, attribuita a Giulio Romano. Fanno contorno alle immagini dei signori alcune opere di artisti cui più frequentemente essi si rivolsero per le loro committenze: da Girolamo Genga (il raffinato regista di tante dimore roveresche) al ‘lirico’ Raffaellino del Colle. Tra esse spicca un’inedita statua di Marte seduto in terracotta di Bartolommeo Ammannati.
Alla figura di Guidubaldo II è dedicata la sesta sezione della mostra: la sua presenza si impone nella splendente tavola del Bronzino conservata nella Galleria Palatina di Firenze che lo ritrae potente in armatura, accanto alla consorte Giulia Varano, tizianesca. Esempi altissimi della committenza del 2° duca roveresco sono le deliziose predelle di Pellegrino Tibaldi con la Visitazione e la Decollazione, oggi divise tra Brera e Urbino, e, dalla stessa città, la bella pala di Battista Franco con Madonna con Bambino e Santi. Accanto a una tavola di Sebastiano del Piombo si può ammirare una scultura di quel grandissimo maestro urbinate della plastica che fu Federico Brandanti. Sono qui esposte anche quattro vesti funebri di personaggi rovereschi, inedite, presentate a restauro completato.
Nella sezione settima il rapporto privilegiato con l’arte della guerra e della difesa è illustrato da una rassegna di armi vere (tra cui due mezzi cannoni ornati di ghiande e di foglie di quercia) da Firenze (Bargello), Torino (Armeria Reale) e New York (Metropolitan), o disegnate; sebbene il “pezzo forte” rimanga l’armatura alla romana di Guidubaldo II per l’imperatore Carlo V, oggi naturalmente a Madrid.
La committenza di Francesco Maria II, sesto Duca di Urbino, (sezione ottava) si rivolge soprattutto alla grazia pittorica di Federico Barocci (1535-1612) che trasfigura sulla tela con sfumature impalpabili persone e cose: l’artista, che nella città natale di Urbino visse gran parte dei suoi giorni, è presente in mostra con ben sette opere fra le quali citiamo soltanto la splendida Annunciazione vaticana (1582-1586) eseguita per la Cappella dei Duchi di Loreto, la Natività del Prado, la Deposizione senigalliese col suo bozzetto e un Ritratto di Lavinia inedito. Mentre il mirabile ritratto dell’ultimo duca (oggi agli Uffizi) è esposto giustamente ad Urbania. In questa sezione dialogano anche opere di altri importanti pittori come Federico Zuccari (presente con due raffinate tele: un frammento di pala con Madonna del Rosario già nel duomo di Fossombrone, e un’inedita allegoria da una collezione privata fiorentina), l’anconitano Andrea Lilli di cui è un Battesimo di Cristo dai colori acidi, e i comprimari Palma il Giovane e Claudio Ridolfi.
In questa sezione come nelle precedenti grande risalto è dato giustamente alla protezione di artisti famosi da parte delle duchesse (in questo caso le consorti Lucrezia d’Este e Livia). Infatti il “mestiere” della guerra consentì un governo anche “femminile” dello Stato. Si tratta di donne che provengono, come abbiamo visto, dalle maggiori casate italiane Gonzaga, Varano, Farnese, Este, oltreché Sforza. Energiche, colte, esse erano preparate a gestire la politica interna ed estera, a fare leggi, a nominare magistrati, a ricevere ambasciatori, a mantenere vivo e vivace il clima culturale. Oltre a circondarsi di poeti, esse tra l’altro amarono e potenziarono l’oreficeria (fulgidi esempi ne sono le pissidi, i calici e le croci in mostra), e in genere tutte le arti cosiddette “minori” come quella della tarsia lignea che nel ducato raggiunse livelli inarrivabili, come rivelano gli ammiratissimi stipi esposti.
Dell’inesorabile declino e della fine del Ducato di Urbino – il territorio feltresco passa a far parte dello Stato Pontificio nel 1631 - parla invece la nona sezione che analizza il personaggio Federico Ubaldo Della Rovere, prima tanto atteso (di lui sono presenti numerosi ritratti da fanciullo -curioso quello che lo ritrae in fasce proveniente da Lucca-), poi sposo di Claudia de’ Medici, infine premorto, giovanissimo, al padre: ciò che decretò l’estinzione della casata. Se lo stato va alla Curia romana, i beni mobili (dipinti, sculture, gioielli, opere d’arte), in quanto patrimonio personale dei duchi, vengono trasferiti a Firenze, alla ‘nipotina’ Vittoria Della Rovere: di essa è esposto un tardo prezioso busto in pietre dure, deposito degli Uffizi. L’erede è promessa sposa a Ferdinando dei Medici, destinato a diventare Granduca di Toscana. È per questo che nei musei fiorentini è possibile trovare capolavori prodotti nella splendida stagione del Rinascimento urbinate; con l’estinzione della casata Medici, attraverso i Lorena, alcune opere trasmigreranno nei musei europei. Mentre tutta la “libraria” passerà alla Biblioteca Vaticana a metà Seicento. Alla devoluzione si aggiungeranno le spoliazioni del periodo napoleonico e la noncurante dispersione successiva sul mercato antiquario che ha arricchito i musei di tutto il mondo soprattutto di maioliche ma anche, per fare qualche esempio di opere che -per quanto richieste- non sono potute tornare in mostra, di un ritratto di Vittoria Farnese (probabile opera di Tiziano) che è a Budapest; o di uno splendido ritratto di Francesco Maria I del Carpaccio che è nella collezione Thyssen a Madrid: ambasciatori nel mondo di una dimensione “a misura d’uomo” che la nostra età sta riscoprendo.
PESARO: COMMITTENZE PESARESI. LA CERAMICA
Nella città aperta ai traffici sul mare la mostra dei Della Rovere continua nella sede prestigiosa del Salone Metaurense al piano nobile dell’elegante Palazzo Ducale di Piazza del Popolo, oggi sede della Prefettura, ristrutturato da Girolamo e Bartolomeo Genga, dopo il rovinoso incendio del precedente edificio sforzesco. È Guidubaldo II ad ordinare questi lavori per la residenza invernale della corte che, in estate, preferisce soggiornare nella Villa Imperiale, una spettacolare oasi-fortezza arroccata su di un poggio, ricca di raccolti cortili, di giardini all’italiana e di sale dipinte da Raffaellino del Colle, dal Genga dal Dossi dal Bronzino al tempo di Francesco Maria I: complesso raramente visitabile perché proprietà privata, ma in occasione della mostra aperto in particolari ristretti orari: forse una delle tappe più affascinanti del percorso roveresco sul territorio.
Alla committenza di Francesco Maria I, insediato a Pesaro nel 1513 dallo zio Giulio II, e in particolare al cantiere della Villa Imperiale Vecchia è appunto riservata la sezione decima della mostra dove sono esposti dipinti degli artisti appena nominati: affascinanti tele di Raffaellino del Colle, una predella di Girolamo Genga, una tavola del Menzocchi, ma soprattutto una grande tela ‘ariostesca’con Siringa e Pan di Dosso Dossi dalla Galleria Borghese che insieme al disegno del Bronzino con Apollo e Marsia dal Louvre evocano atmosfere campestri.
Negli stessi anni trenta fu portato alla luce in Pesaro il celebre bronzo dell’Idolino, per il quale fu commissionato a Girolamo Lombardi un meraviglioso rinascimentale basamento scolpito che dà la dimensione di quale considerazione godessero le sculture classiche all’epoca per essere messe “su un piedistallo”: una statua dell’arte romana memore dei modi di Policleto e per questo collezionisticamente per secoli al centro della cultura antiquaria. L’Idolino, che eccezionalmente torna dal Museo Archeologico di Firenze, apre l’undicesima sezione che indaga lo stretto rapporto fra i Della Rovere e l’antico, in cui si può ammirare fra l’altro la preziosa statuetta in bronzo di stampo ellenistico di Eros-Hypnos (I secolo d.C.) del Museo Oliveriano di Pesaro insieme a disegni che raffigurano statue in corazza cui veniva sovrapposta la testa-ritratto dei Duchi, con un’operazione utile a diffondere ideologicamente l’immagine imperiale del ducato.
Oltre 100 sono le ceramiche di tutte le ricercate forme e preziose decorazioni – in gran parte conservate nel Museo Civico della città, ma giunte anche da tutt’Italia (Arezzo, Bargello, Modena, Gubbio, Faenza, Pavia, Loreto, Bologna, Milano) e da vari musei stranieri (dal Victoria and Albert Museum di Londra, da Oxford, dal Metropolitan di New York) – che illustrano nella dodicesima sezione la felice stagione della produzione locale sotto i Della Rovere nei centri della valle del Metauro: a Casteldurante, a Gubbio, a Urbino, a Pesaro per oltre un secolo. Soprattutto a Casteldurante (Urbania), di cui era originario Cipriano Piccolpasso che intorno al 1548 scrive il trattato Tre Libri dell’Arte del Vasaio, dettando i segreti e le regole del far ceramica fra credenze magiche ed esoteriche. Le maioliche si distinguono per l’invenzione di decorazioni caratteristiche con fiori, stemmi, festoni, “cerquate” (foglie di quercia in omaggio ai Della Rovere) o decorazioni geometriche o a spirale, sempre attenendosi alla gamma dei colori tipici (verde, giallo, arancione e blu) sapientemente accostati nel gioco delle mezze tinte e dei toni. Ma soprattutto eccelle per raffinatezza il genere detto “istoriato”, influenzato dal magistero di pittori come Raffaello Battista Franco e gli altri grandi urbinati.
La sezione tredicesima esplora il rapporto privilegiato fra Guidubaldo II e Pesaro indicata con la mano da Sant’Ubaldo, venerato protettore della città, in una tela di Palma il Giovane oggi a San Paolo del Brasile. Rapporto soprattutto inerente le mura e il porto. Sono tra l’altro esposti un capolavoro del Pomarancio , un’opera di Federico Zuccari, una tela del Rondolino.
URBANIA: FRANCESCO MARIA II A CASTELDURANTE. LA GRAFICA. LA SCIENZA
Nell’antica Casteldurante, famosa in tutta Europa nel Cinquecento per le sue ceramiche dai riflessi oro e rubino, l’esposizione ha sede nel Palazzo Ducale, dai merli affacciati sul letto boscoso del Metauro che i nobili risalivano in barchetta, da cui si dirama un’amena passeggiata chiamata “la strada del Duca” che conduce al “Barco”, affascinante e quasi incontaminato luogo di caccia, ricco di suggestioni storiche e artistiche. Nelle sale del Palazzo, dove si può ammirare una stupefacente acquaforte, lunga 12 metri e composta da quaranta pezzi incollati su tela pesante realizzata da Nicholas Hogenberg di Monaco nella prima metà del XVI secolo e raffigurante il sontuoso Corteo dell’imperatore Carlo V a Bologna nel 1530, si articolano tre sezioni. Nella prima (quattordicesima), incentrata su Francesco Maria II che predilesse questa piccola città, sono affrontati gli ultimi anni della dinastia con i ricchi apparati di nozze con scene allegoriche per Claudia de’ Medici di Claudio Ridolfi e il già citato impressionistico Ritratto di Francesco Maria II di Federico Barocci dagli Uffizi.
Nella seconda (la quindicesima dal titolo Grafica per i Della Rovere) è esposta una nutrita raccolta di disegni dei maggiori artisti che lavorarono per questi mecenati. Gran parte dei disegni furono eseguiti in preparazione della decorazione di sontuose ceramiche: quasi a mo’ di altissima didattica sono presenti alcuni piatti e albarelli in rapporto con alcuni dei disegni esposti. Tra i pittori spiccano Gherardo Cibo, Taddeo Zuccai e Federico Barocci.
Nella terza (sedicesima e ultima) è esplorato efficacemente il rapporto dei Duchi con la Scienza. Come rivelano gli strumenti intarsiati alle pareti dello Studiolo di Federico di Montefeltro, Urbino già dal ‘400 coltivava una grande apertura verso la scienza in un fruttuoso dialogo con l’arte: per il duca Piero della Francesca aveva scritto d’altronde il suo trattato sulla prospettiva. Anche sotto i Della Rovere -in particolare con Francesco Maria II- continuò questa intesa privilegiata con gli scienziati, come rivelano il ritratto del naturalista bolognese Ulisse Aldovrandi eseguito da Agostino Carracci (dall’Accademia Carrara di Bergamo), compassi, orologi solari e astrolabi decorati. Nume tutelare del nuovo metodo sperimentale è Galileo Galilei (che fu in diretto rapporto con l’ultimo Duca), che nella sua effigie più famosa, quella dipinta da Sustermans agli Uffizi, chiude la rassegna.
In totale sono esposti in mostra circa 300 oggetti e opere d’arte: 50 a Senigallia, una settantina a Urbino, oltre centodieci a Pesaro, una settantina a Urbania.
ENTI PROMOTORI, PROGETTO, COMITATO SCIENTIFICO
L’esposizione è stata fortemente voluta dall’Amministrazione Comunale di Senigallia che ha promosso un accordo di rete interistituzionale coinvolgendo gli altri comuni rovereschi (Pesaro, Urbino, Urbania), la Regione Marche e le Province di Ancona e Pesaro-Urbino, da sempre espressione di una vocazione alla tutela e alla valorizzazione (anche grazie ad un’innovativa legge regionale degli anni Novanta sul Museo Diffuso) del paesaggio culturale di questo territorio.
Il progetto scientifico della mostra non poteva che essere affidato alla Soprintendenza per il patrimonio storico, aristico e demoetnoantropologico delle Marche con sede a Urbino. Il disegno della mostra e il catalogo sono a cura del suo già Soprintendente Paolo Dal Poggetto cui è subentrata recentemente Lorenza Mochi Onori, fautrice dell’iniziativa.
Il comitato scientifico è composto da: Paolo Dal Poggetto presidente, Antonio Brancati, Marinella Bonvini Mazzanti (storico), Maria Grazia Ciardi Duprè, Lorenza Mochi Onori, Antonio Paolucci.
04
aprile 2004
I Della Rovere – Piero della Francesca, Raffaello e Tiziano
Dal 04 aprile al 04 novembre 2004
arte antica
Location
PALAZZO DUCALE
Pesaro, Piazza Del Popolo, (Pesaro E Urbino)
Pesaro, Piazza Del Popolo, (Pesaro E Urbino)
Biglietti
Biglietto: intero € 7, ridotto € 5
Orario di apertura
dal 16 settembre al 4 ottobre:
dal lunedi al venerdi: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00
sabato e domenica: dalle ore 10.00 alle ore 19.00
Editore
ELECTA
Ufficio stampa
ARTHEMISIA