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I fantasmi del quotidiano
La negatività (Hegel), l’estasi (Bataille), la simulazione (Baudrillard) sono tre elementi che concorrono a dare forma al tumulto esistenziale, ad una interpretazione del contemporaneo che tenga conto dell’invadenza della “cosalità”.
Il quotidiano si identifica con frammenti parcellizzati di una realtà che in ogni istante chiede di essere esorcizzata.
Comunicato stampa
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La negatività, cioè l’integrità della determinazione.
J.F.Hegel
La vita si svolge sempre in un tumulto senza coesione apparente, ma essa non trova la sua grandezza e la sua realtà che nell’estasi e nell’amore estatico.
Georges Bataille
La simulazione è padrona, e rimane solo quella riabilitazione fantasmatica e in forma di parodia, di tutti i referenti perduti, che è la nostalgia.
Jean Baudrillard
La negatività ( Hegel), l’estasi ( Bataille), la simulazione ( Baudrillard) sono tre elementi che concorrono a dare forma al tumulto esistenziale, ad una interpretazione del contemporaneo che tenga conto dell’invadenza della “cosalità”.
Il quotidiano si identifica con frammenti parcellizzati di una realtà che in ogni istante chiede di essere esorcizzata.
Gilberto Zorio indaga sulla relazione complessa e sottile che si instaura tra l’energia fisica e quella psichica. Chiedersi il senso dell’esistere significa recuperare forze originarie, la vichiana sapienza poetica che consente di proiettare l’io in una tensione verso l’infinito creativo. In questo senso l’origine dell’opera, come sostiene Martin Heidegger, si identifica con lo storicizzarsi della verità. Zorio cerca un antidoto al dettato della tecnologia e lo trova nel procedere per contrasti, identificando la processualità dell’ azione. Materiali attinti dal quotidiano – rame, terracotta, alcool, pelle di mucca, acidi -
conferiscono un senso, una
vis che sottrae al condizionamento del provvisorio traslando nel regno del simbolico. Le combinazioni alchemiche della materia diventano impulsi dello spirito che si proietta oltre i limiti del consueto, del costrittivo, per dilatarsi alla regione infinita del meta-simbolico. La stella è oggetto di contemplazione dell’assoluto, un punto di riferimento cui tendere; la canoa è il sintomo di un nomadismo originario: il senso dell’individuo coincide con il suo coinvolgimento all’interno di un’armonia universale che supera ogni limite. Una corda sull’abisso, che procede
superando il rischio di spezzarsi e si proietta nella rete inestricabile delle relazioni cosmiche.
Enrico Iuliano esamina l’oggetto quotidiano nella sua banalità, nel suo uso, trasformandolo in un dato “formante” della vita che si pone come momento capace di inventare un equilibrio altro. Palline da ping pong che si muovono leggere, una coperta di peperoncini piccanti, che esaltano l’elemento sensuoso, una scacchiera costruita con
erba sintetica e materiale plastico. Nella realtà contemporanea il soggetto è continuamente sottoposto a giochi di prestigio, a contorsioni mentali: qual è il limite che distingue reale e illusorio? Viviamo davvero nel mondo del-tutto- possibile o non siamo piuttosto collocati
all’interno di una grottesca e fagocitante simulazione?. Il filo di cotone rosso che in
Canzone d’amore si dipana nello spazio, è una traccia ben riconoscibile, cui aggrapparsi mentre si procede a tentoni: esso è
la proiezione di un pennino di ferro appeso al soffitto. L’immagine diffusa dal piccolo televisore posto all’estremità di una coppia di pennini uniti in punta palesa una riflessione sulla perdita di valore della comunicazione autentica, soppiantata dall’omologazione massmediale: Quello che non ti ho detto, che non ti ho scritto.
Giuseppe Armenia guarda al lato assente ( e oscuro) dell’essere: un vuoto da colmare mediante la memoria, un racconto esistenziale che procede per dettagli. Egli afferma che l’arte si pone come un grande sogno contro lo strapotere della cultura appiattita del villaggio globale. In questo senso diventa l’espressione della
perdita.
Penso
all’horror vacui ,
generato da una quotidianità
preda di rituali vuoti, della
reificazione oggettuale, dell’incapacità di trovare una corrispondenza tra parola ed oggetto. L’opera si palesa, di conseguenza, quale trascrizione reale dell’effimero, volto animato dell’anonimità; l’artista trascrive topografie
esistenziali, ponendosi quale interlocutore dialettico con il reale. Ogni lavoro di Armenia suggerisce l’idea di un equilibrio che si regge su una sottile linea di confine, facile da smarrire.
Il disegno proposto in mostra è la “rilettura”di una celebre opera di Delacroix
alla rovescia: le figure assembrate, viste da dietro, rivelano l’assenza di un’identità definibile e, al contempo, rendono più acuta la percezione dell’attesa di un evento. A ciò si aggiunge il fatto che lo spettatore non vede il disegno, ma la sua proiezione sulla parete: una realtà drammatizzata dallo “schermo”.
Oggi viviamo in una cultura che si adopera per trasformare la vita in un gelido, interminabile simulacro di se stessa. ( Peter Halley)
Tiziana Conti
J.F.Hegel
La vita si svolge sempre in un tumulto senza coesione apparente, ma essa non trova la sua grandezza e la sua realtà che nell’estasi e nell’amore estatico.
Georges Bataille
La simulazione è padrona, e rimane solo quella riabilitazione fantasmatica e in forma di parodia, di tutti i referenti perduti, che è la nostalgia.
Jean Baudrillard
La negatività ( Hegel), l’estasi ( Bataille), la simulazione ( Baudrillard) sono tre elementi che concorrono a dare forma al tumulto esistenziale, ad una interpretazione del contemporaneo che tenga conto dell’invadenza della “cosalità”.
Il quotidiano si identifica con frammenti parcellizzati di una realtà che in ogni istante chiede di essere esorcizzata.
Gilberto Zorio indaga sulla relazione complessa e sottile che si instaura tra l’energia fisica e quella psichica. Chiedersi il senso dell’esistere significa recuperare forze originarie, la vichiana sapienza poetica che consente di proiettare l’io in una tensione verso l’infinito creativo. In questo senso l’origine dell’opera, come sostiene Martin Heidegger, si identifica con lo storicizzarsi della verità. Zorio cerca un antidoto al dettato della tecnologia e lo trova nel procedere per contrasti, identificando la processualità dell’ azione. Materiali attinti dal quotidiano – rame, terracotta, alcool, pelle di mucca, acidi -
conferiscono un senso, una
vis che sottrae al condizionamento del provvisorio traslando nel regno del simbolico. Le combinazioni alchemiche della materia diventano impulsi dello spirito che si proietta oltre i limiti del consueto, del costrittivo, per dilatarsi alla regione infinita del meta-simbolico. La stella è oggetto di contemplazione dell’assoluto, un punto di riferimento cui tendere; la canoa è il sintomo di un nomadismo originario: il senso dell’individuo coincide con il suo coinvolgimento all’interno di un’armonia universale che supera ogni limite. Una corda sull’abisso, che procede
superando il rischio di spezzarsi e si proietta nella rete inestricabile delle relazioni cosmiche.
Enrico Iuliano esamina l’oggetto quotidiano nella sua banalità, nel suo uso, trasformandolo in un dato “formante” della vita che si pone come momento capace di inventare un equilibrio altro. Palline da ping pong che si muovono leggere, una coperta di peperoncini piccanti, che esaltano l’elemento sensuoso, una scacchiera costruita con
erba sintetica e materiale plastico. Nella realtà contemporanea il soggetto è continuamente sottoposto a giochi di prestigio, a contorsioni mentali: qual è il limite che distingue reale e illusorio? Viviamo davvero nel mondo del-tutto- possibile o non siamo piuttosto collocati
all’interno di una grottesca e fagocitante simulazione?. Il filo di cotone rosso che in
Canzone d’amore si dipana nello spazio, è una traccia ben riconoscibile, cui aggrapparsi mentre si procede a tentoni: esso è
la proiezione di un pennino di ferro appeso al soffitto. L’immagine diffusa dal piccolo televisore posto all’estremità di una coppia di pennini uniti in punta palesa una riflessione sulla perdita di valore della comunicazione autentica, soppiantata dall’omologazione massmediale: Quello che non ti ho detto, che non ti ho scritto.
Giuseppe Armenia guarda al lato assente ( e oscuro) dell’essere: un vuoto da colmare mediante la memoria, un racconto esistenziale che procede per dettagli. Egli afferma che l’arte si pone come un grande sogno contro lo strapotere della cultura appiattita del villaggio globale. In questo senso diventa l’espressione della
perdita.
Penso
all’horror vacui ,
generato da una quotidianità
preda di rituali vuoti, della
reificazione oggettuale, dell’incapacità di trovare una corrispondenza tra parola ed oggetto. L’opera si palesa, di conseguenza, quale trascrizione reale dell’effimero, volto animato dell’anonimità; l’artista trascrive topografie
esistenziali, ponendosi quale interlocutore dialettico con il reale. Ogni lavoro di Armenia suggerisce l’idea di un equilibrio che si regge su una sottile linea di confine, facile da smarrire.
Il disegno proposto in mostra è la “rilettura”di una celebre opera di Delacroix
alla rovescia: le figure assembrate, viste da dietro, rivelano l’assenza di un’identità definibile e, al contempo, rendono più acuta la percezione dell’attesa di un evento. A ciò si aggiunge il fatto che lo spettatore non vede il disegno, ma la sua proiezione sulla parete: una realtà drammatizzata dallo “schermo”.
Oggi viviamo in una cultura che si adopera per trasformare la vita in un gelido, interminabile simulacro di se stessa. ( Peter Halley)
Tiziana Conti
28
ottobre 2003
I fantasmi del quotidiano
Dal 28 ottobre al 22 novembre 2003
Location
MACHE’
Torino, Via Della Consolata, 9/G, (Torino)
Torino, Via Della Consolata, 9/G, (Torino)
Orario di apertura
Lunedì/sabato 19.00/02.00
Vernissage
28 Ottobre 2003, ore 21