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I giorni del rischio
Quattro artisti sanvitesi in Castello
Comunicato stampa
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L’arte ha sempre a che fare con il Rischio della Verità e, in secondo luogo, con la Speranza possibile e impossibile. Maledetto chi non spera, afferma con voce potente David Maria Turoldo; Kafka suggerisce che c’è speranza …ma non per noi, non per noi. In tempi incerti come questi Dylan Evans sottolinea l’importanza dell’intelligenza del rischio: una dote che pare esclusiva di pochi, ma che in realtà tutti siamo chiamati a esercitare ogni giorno. Fare ricorso alle probabilità consente di esprimere il proprio grado di convinzione, di guardare il pericolo e di cercare, almeno con gli strumenti luminosi della poesia, le forme silenziose e liquide della “certezza”. Questo è il “campo magnetico” in cui si dispongono le opere di quattro artisti che per motivi diversi e in tempi diversi, hanno vissuto momenti significativi della loro vita e della loro ricerca nel territorio di San Vito al Tagliamento. Tra di loro si sviluppano linee di campo o linee di forza, difficili da rappresentare se non attraverso invenzioni grafiche che visualizzano direzioni, intensità, densità e sensi ulteriori. Visitare la mostra I giorni del Rischio significa incontrare e interpretare tratti specifici e costanti delle singole ricerche che, ponendosi in relazione con il sistema, rendono più forte il complesso campo di intervento.
Loris Cordenos rielabora i caratteri del Rinascimento Italiano per immaginare l’affermarsi di una società nuova. Coltivando il gusto dell'antichità classica come modello, fa rivivere nel presente l'esaltazione di una bellezza ideale, intesa non solo come ammirazione delle belle forme, ma soprattutto come creazione di un’armonia possibile, di un’eleganza data dall’equilibrio tra istinto e ragione. Le sue "città ideali" rispondono a esigenze concrete e a geometrie assolute; gli impianti radiali e/o a scacchiera ripercorrono modelli sui quali configurare le città reali, silenziose e immerse in tempi metafisici. Gli elementi culturali e quelli naturali, in dialogo paritetico, si aprono a relazioni nuove in contesti antichi, disponibili però a vite ulteriori, ancora di là da venire. Le architetture di edifici imponenti, le cupole e i porticati rubano i colori alla vegetazione, tingono le luci dei riflessi di acque cristalline e quasi immobili, in cui il tempo pare sottrarsi alla fretta, per vivere l'incanto dell'attimo perfetto.
Giuseppe Onesti ripresenta Dreams and Colors, una ricerca che aveva approfondito in tempi non sospetti, negli anni Sessanta, celebrando la fine di un mondo rurale immerso nei ritmi della natura. Anche nelle opere recenti il prelievo superstite della realtà contemporanea, sempre più in evoluzione rapida, è costituito da lacerti d’intonaco che documentano ma di fatto non "rappresentano" la realtà, nel senso tradizionale del termine, perché non c'è solo volontà di rappresentazione. Questi frammenti, assolutamente antisensazionali, indifferenti per i più, sono dotati di una funzione speciale, catturare le categorie del Tempo e del Caso per analizzarne il nesso e la storia. La ricerca di una eleganza, forse maggiore di sempre, sottolinea la vacuità della bellezza leziosa, specchio di una crisi annunciata in cui l'apparenza inganna e svilisce, accentua più che colmare, il vuoto di Senso.
Marco Tracanelli si addentra in uno dei tabù più archetipici e radicati nella cultura, ci costringe a rivolgere lo sguardo verso il mondo dell'infanzia violata, per scoprire che uomini non si nasce ma si diventa se, e solo se, si percorrono le vie della libertà e dell'originalità. L'omologazione violenta, i modelli preordinati e indiscussi generano Bambine e bambole identiche a se stesse. Persa per sempre l'innocenza, tutte se ne stanno scomposte, quiete e prigioniere, violente come i luoghi dell'incubo che le ospitano. Entro confini certi siedono su scatole sempre uguali, perché uguale è ciò che contengono: non la pecora del romanzo Il Piccolo Principe (la scatola con i tre fori per l'aerazione necessaria alla vita: la citazione è fin troppo evidente), ma mostri e incubi da cui è impossibile difendersi, così come è impossibile definirli e dunque rappresentarli. Questa umanità senza radici e senza piacere svanisce nei Paesaggi dell'animo, in cui la dimensione vitale chiede alla materia di farsi luogo contenente, quasi monocromo, per dire in modo minimale le forme del respiro, le tracce del desiderio.
Anita Vittorelli coglie invece l'assoluta unicità di ciascuno, il percorso individuale che subito si fa storia. Ogni volto, tratto dalla moltitudine delle foto presenti nelle riviste, dal fluire ininterrotto delle immagini di films, video, pubblicità, viene trattato come veduta di paesaggio. Il taglio compositivo accentua la specificità di ognuno, indugia sull'età, la provenienza, il pensiero rivolto al futuro, lo sguardo vivo nel presente. La chiave di lettura antropologica cita Marc Augè e il suo scritto “ La guerra dei sogni, esercizi di etno-fiction” uno sguardo all'uomo senza luogo, metafora di un’esistenza fluida e mai abbastanza contenuta. Oltre i limiti della dimensione spaziale e temporale, i volti che Anita Vittorelli tratta come icone del contemporaneo, interpretano un ruolo, si fanno simbolo per narrarsi e dunque per esistere, anche se solo per un poco, almeno nella visione.
Alessandra Santin
Loris Cordenos rielabora i caratteri del Rinascimento Italiano per immaginare l’affermarsi di una società nuova. Coltivando il gusto dell'antichità classica come modello, fa rivivere nel presente l'esaltazione di una bellezza ideale, intesa non solo come ammirazione delle belle forme, ma soprattutto come creazione di un’armonia possibile, di un’eleganza data dall’equilibrio tra istinto e ragione. Le sue "città ideali" rispondono a esigenze concrete e a geometrie assolute; gli impianti radiali e/o a scacchiera ripercorrono modelli sui quali configurare le città reali, silenziose e immerse in tempi metafisici. Gli elementi culturali e quelli naturali, in dialogo paritetico, si aprono a relazioni nuove in contesti antichi, disponibili però a vite ulteriori, ancora di là da venire. Le architetture di edifici imponenti, le cupole e i porticati rubano i colori alla vegetazione, tingono le luci dei riflessi di acque cristalline e quasi immobili, in cui il tempo pare sottrarsi alla fretta, per vivere l'incanto dell'attimo perfetto.
Giuseppe Onesti ripresenta Dreams and Colors, una ricerca che aveva approfondito in tempi non sospetti, negli anni Sessanta, celebrando la fine di un mondo rurale immerso nei ritmi della natura. Anche nelle opere recenti il prelievo superstite della realtà contemporanea, sempre più in evoluzione rapida, è costituito da lacerti d’intonaco che documentano ma di fatto non "rappresentano" la realtà, nel senso tradizionale del termine, perché non c'è solo volontà di rappresentazione. Questi frammenti, assolutamente antisensazionali, indifferenti per i più, sono dotati di una funzione speciale, catturare le categorie del Tempo e del Caso per analizzarne il nesso e la storia. La ricerca di una eleganza, forse maggiore di sempre, sottolinea la vacuità della bellezza leziosa, specchio di una crisi annunciata in cui l'apparenza inganna e svilisce, accentua più che colmare, il vuoto di Senso.
Marco Tracanelli si addentra in uno dei tabù più archetipici e radicati nella cultura, ci costringe a rivolgere lo sguardo verso il mondo dell'infanzia violata, per scoprire che uomini non si nasce ma si diventa se, e solo se, si percorrono le vie della libertà e dell'originalità. L'omologazione violenta, i modelli preordinati e indiscussi generano Bambine e bambole identiche a se stesse. Persa per sempre l'innocenza, tutte se ne stanno scomposte, quiete e prigioniere, violente come i luoghi dell'incubo che le ospitano. Entro confini certi siedono su scatole sempre uguali, perché uguale è ciò che contengono: non la pecora del romanzo Il Piccolo Principe (la scatola con i tre fori per l'aerazione necessaria alla vita: la citazione è fin troppo evidente), ma mostri e incubi da cui è impossibile difendersi, così come è impossibile definirli e dunque rappresentarli. Questa umanità senza radici e senza piacere svanisce nei Paesaggi dell'animo, in cui la dimensione vitale chiede alla materia di farsi luogo contenente, quasi monocromo, per dire in modo minimale le forme del respiro, le tracce del desiderio.
Anita Vittorelli coglie invece l'assoluta unicità di ciascuno, il percorso individuale che subito si fa storia. Ogni volto, tratto dalla moltitudine delle foto presenti nelle riviste, dal fluire ininterrotto delle immagini di films, video, pubblicità, viene trattato come veduta di paesaggio. Il taglio compositivo accentua la specificità di ognuno, indugia sull'età, la provenienza, il pensiero rivolto al futuro, lo sguardo vivo nel presente. La chiave di lettura antropologica cita Marc Augè e il suo scritto “ La guerra dei sogni, esercizi di etno-fiction” uno sguardo all'uomo senza luogo, metafora di un’esistenza fluida e mai abbastanza contenuta. Oltre i limiti della dimensione spaziale e temporale, i volti che Anita Vittorelli tratta come icone del contemporaneo, interpretano un ruolo, si fanno simbolo per narrarsi e dunque per esistere, anche se solo per un poco, almeno nella visione.
Alessandra Santin
11
maggio 2013
I giorni del rischio
Dall'undici maggio al 02 giugno 2013
arte contemporanea
Location
CASTELLO
San Vito Al Tagliamento, Via Guglielmo Marconi, 14, (Pordenone)
San Vito Al Tagliamento, Via Guglielmo Marconi, 14, (Pordenone)
Vernissage
11 Maggio 2013, h 18
Autore
Curatore