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I Maccari di Maccari
La formula i Maccari di Maccari, che Picasso usò per la propria collezione, giustifica il fatto che le opere siano state cercate prevalentemente nella famiglia degli eredi Maccari, nella collezione del suo stampatore Nemo Galleni, e nella Fondazione di Longiano del poeta Tito Balestra, che ebbe una frequentazione quasi giornalera con il Maccari romano, al punto di possedere oltre mille opere del pittore.
Comunicato stampa
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Trentanovesima Mostra Antologica
"I MACCARI DI MACCARI"
a cura di Marco Vallora
Palazzo Liceo Saracco Acqui Terme 5 LUGLIO – 30 agosto 2009
Rinnovando la ultradecennale tradizione di presentare annualmente esposizioni dei maggiori protagonisti dell'arte moderna italiana, l’Assessorato alla Cultura della città di Acqui Terme organizzerà, grazie all'intervento della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria, della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e della Società Palazzo del Monferrato e , in collaborazione con la Fondazione Tito Balestra Onlus di Longiano , la mostra antologica voluta dall’Assessore Carlo Sburlati, a cura di Marco Vallora, “I Maccari di Maccari.”
La mostra, che sarà inaugurata il giorno 5 luglio presso il Palazzo Liceo Saracco di corso Bagni 1, sarà coordinata ed allestita dalla Galleria Repetto e C. e resterà aperta sino al 30 agosto 2009 con il seguente orario: 10–12,30 /15,30 –19,30 Lunedì chiuso. Catalogo a colori Mazzotta Editore- Milano.
Croce e delizia, per un curatore che voglia aggirarsi un poco tra la 'smodata' ed irrefrenabile attività pittorico-disegnativa di Maccari, spulciando tra cassetti intonsi e carpette dimenticate e cartelle gonfie, come seni di balie da latte (dove schiudi e spolveri sei investito subito da un getto d'intelligenza, come San Bernardo nella classica allegoria della Lactatio) ed avresti voglia di sentenziare: 'sì, anche questo, ancora') un davvero beato tormento, l'aggirarsi tra le sue incredibilmente ancora opere inedite, e fogli celeberrimi, ma in fondo poco visti e meno ancora conosciuti. A dimostrazione che, per quanto belle e talvolta un po' ripetitive e tante mostre gli sian state dedicate, in questi anni, il suo inesauribile giacimento petrolifero d'intelligenza e di fantasia, non sia stato ancora sondato abbastanza, salvo da quel pioniere e ricercatore indefesso, che è Giuseppe Appella. Croce e delizia di curatore, si diceva, ma esattamente per il contrario di quello che succede abitualmente. Delizia per il troppo che trovi, e quasi ne rimani succosamente inebriato, e non sai più dove arginare la tua golosità, che dovrà confrontarsi poi con metrature di pareti ragionabili ed il buon senso espositivo, che non vorrebbe eccedere in un surplus stancante di colore e fantasia. Croce, perché non sai davvero come scegliere e dove tagliare e quanto riuscire a contenere quest'euforia incontenibile, che ti prende, a scartabellare nei depositi e pascolare nei suoi regni addormentati, euforia simmetrica alla sua facilità scrittoria, in tutti i sensi, grafici e letterari: battute visive e scritte a lato, didascalie brucianti, poesiole che han la freschezza dell'immediatezza fulminante e conviviale, folgoranti aforismi (come quelli raccolti in libro da Nello Ajello) che sgorgano spontanei, quasi un'incontenibile essudorazione ironica, tra vignette perfide ed un impagabile witz, senza confronti. Forse solo paragonabile a quello, in competizione ed eco perenne, dei suoi mitici amici-battutisti: Longanesi, Flaiano, Longhi, il plumbeo Cardarelli e il divertente scultore Mazzacurati. Che saranno anche alcuni dei protagonisti (olii, schizzi, disegni, per Morandi persino ritratti-incisione) di questa teatralissima mostra, che ricostruisce visivamente quel mondo genialissimo e quella stagione irripetibile di dolce causticità del vivere. Moravia, il fiutatore di donne, incontenibile, bersaglio amico e rivale di salotti. Longhi (in barchetta con la severa moglie-scrittrice Anna Banti) oppure all'opera, con la lente bisbetica e sentenziosa, davanti all'avanzare dell'arte astratta. Soldati, che passa per un foglio come di sfuggita, pettegolando. L'altro 'nano di Strapaese', il caricaturista Bartoli, con il suo naso a popone ed il ciuffo generoso di sopracciglia esuberanti. Rosai, teppista perpetuo, che influisce anche sull'insolita grafica 'sporca' e a carboncino, per essere il più possibile in sintonia. Il ruminante Ungaretti, che mitraglia versi come uno srapnel, Soffici con il suo retorico ed altezzoso naso a taglia-carte d'accademico (ma c'è anche il naso spiccato dal corpo ed autonomo dello spettacolo lirico di Gogol e Shostakovic, coì come ci sono inediti 'provini' di scenografie per il Fastaff e il Campanello di Donizetti). Di sfuggita anche Malaparte, ma si capisce subito, senza troppa simpatia, poca osmosi empatica: l'impasto ad olio, questa volta, come schermo e difesa, una nube di diffidenza ed incomprensione. Anche se era stato il romanziere pratese de La Pelle e Kaput a sottrarlo alla vernacolarità toscana (ma anche internazionalissima) del Selvaggio, di Colle Val d'Elsa e poi Firenze, e chiamarlo a Torino, come svelto e sapiente collaboratore-capo redattore alla Stampa, il che giustifica maggiormente questa presenza piemontese d'una mostra ad Acqui Terme, dedicata al genio onnivoro e proteiforme di Maccari (che si dedica anche alla pubblicità, vedi la reclame indovinatissima per il lancio del Tirreno, e ad altre attività grafiche). Fondamentale, a Torino, l'amicizia con un altro eccentrico, e surrealista italiano, come Italo Cremona, che probabilmente gli presenta un altro stravagante di genio, quale l'eccentrico Mollino. A cui Maccari chiede di disegnargli la villa del Cinquale, che poi affiderà ad un semplice capomastro, prendendosi l'impegno di progettare lui l'intera villa, ispirata ai casali di campagna. Perché il progetto di Mollino non gli piace, il pittore lo 'protesta', s'immagini con quale reazione sofferente del già celebre e contrastato architetto. Il progetto gli piace davvero così poco, che forse non lo ripone nemmeno nel cassetto: lo cancella alla sua vista, e per ora non s'è trovata traccia, nei suoi materiali trattenuti con passione dagli eredi e dal figlio Marco. Del resto, troppo lontano dalla moda del modernismo imperante, era il suo gusto, deciso e documentato (ci sono testi di Maccari per il Selvaggio, contro il "cemento disarmato" od altre corbellerie "alla Le Corbusier", che sorprendono per lucidità, irriverenza e forza idiosincratica. Bersaglio privilegiato dei suoi strali (come di Longanesi, del resto) Marcello Piacentini, ma in fondo anche tutto quel razionalismo, alla Pagano o Levi Montalcini, che in quegli anni imperava nella Torino post-sabauda e dopo-fascista. Ma anche la poetica visionaria e surreale di Mollino non poteva rientrare nelle sue corde, soprattutto per una casa, in cui avrebbe deciso di finire i suoi giorni (Maccari muore nell'89,senza mai aver smesso di brandire pennelli e battute).
Malaparte, è un reagente importante, per penetrare nella poetica di Maccari. Pur geniale e stravagante anche lui, era troppo distante, quasi antitetico al nostro pittore (più complesso il rapporto con Savinio). Bellimbusto, littorio nonostante le sue intemperanze ed imprevedibilità sprezzanti, alto, sportivo ed aitante (tanto quando Maccari era piccolo, mignon, ironico anche nella bellezza schietta dei tratti del volto, perennemente perplesso tanto quanto Malaparte era perentorio) potevano sì collaborare benissimo in un giornale, ma non andare d'accordo 'poeticamente'. Strapaese contro Stracittà, l'impomatato gusto-Novecento (ci sono vignette crudeli contro Oppo e l'Accademia di regime, nonostante poi Maccari diventasse 'principe' dell'Accademia di San Luca. Curiosamente o significativamente nessuna traccia invece del Realismo Magico e di Bontempelli) contro il primitivismo primordiale e radicale, burbero ed inchiostrato, degli Almanacchi di Maccari & C. (ma lo spoglio dei molteplici numeri, sorprendenti e godibilissimi, del Selvaggio, dimostra quanto fosse aggiornata e tutt'altro che provinciale la loro cultura "ruspante" e protestataria, da Grozs alla Nuova Oggettività Tedesca, dall'amatissimo Ensor a Kubin, da Schiele ad ogni possibile rigurgito di Secessione internazionale).
Tutto questo lo si evincerà nel copioso materiale documentario e di testimonianza, che animerà le varie vetrine della mostra: lettere e schizzi, fotografie e numeri di giornali, progetti grafici e loghi emblematici, sua per esempio l'intestazione della prima pagina di Mondo (a cui a lungo collaborerà, con vignette politiche, che annoverano personaggi come Andreotti, Segni, Togliatti, Saragat, Fanfani, oltre che a Stalin e Nasser, De Gaulle e Churchill, soggetto anche d'alcuni olii, che lo ritraggono come pittore della domenica sul lago di Como, alla ricerca della misteriosa borsa di Mussolini, con le sue lettere compromettente). Molto importante anche la sua attività di disegnatore di copertine di libri di amici letterati, dal Palazzeschi di Stampe dell'Ottocento alla Banti di Il Bastardo, dal Diario Romano di Brancati a In Società di Landolfi, dall'Asso di Picche di Tobino alle Piccole Vacanze di Arbasino. Interessantissimo con le sue varie 'prove di copertina' entrare dentro il suo laboratorio mentale, vedere per la prima volta come il suo immaginario si muove, velocemente e prensile, sino ad arrivare alla stesura definitiva.
La mostra sarà divisa in vari capitoli, quadrerie che assaliranno le diverse pareti, ricostruendo ogni volta un mondo, con rimandi alle vetrine (la famiglia: una parentesi insolitamente delicata e tenera. Il padre, il fratello morto in un'avventura di sminamento, la bella moglie Annie, i figli che dormono, il primo nato sul vasino, ecc.) oppure il tragico teatrino della politica. Oppure il corpo e le acrobazie libere dell'anatomia in frantumi. Il ruolo della grafica e il ritorno alla xilografia: il gusto citazionistico degli almanacchi popolari, lunari e pianeti, che piacevano molto anche a Longanesi e Bartolini, ma pure a Benjamin e a Brecht. Inoltre una rimeditazione della sua adesione ed abiura dal fascismo, con alcuni impressionanti documenti dei suoi quadri proibiti e feroci, contro Mussolini, trascinato come un maiale al macello dal Re, o costretto a piroettare, come una sfiancata sciantosa, su una ribalta da avanspettacolo. Quadri coraggiosamente dipinti nel '43, anni in cui Maccari passa alla Resistenza, e che esporrà la prima volta, alla caduta del Fascismo, en plein air, nella pineta di el Cinquale, appesi agli alberi, come foglie di una Storia caduca. E che non si vedevano più dal tempo della mostra di Giuliano Briganti, che li espose senza il beneplacido dell'artista a Siena, e che provocarono molti malumori. Ritornano in questa mostra direttamente da casa Maccari e dalla collezione della vedova di Briganti, Luisa Laureati, che ha deciso di mostrarli, in considerazione del progetto della mostra, che privilegia i Maccari di Maccari, cioè le opere che l'artista volle presso di sé (la serie di Dux era appunto una serie, dunque ci è sembrato giusto mostrarne il più possibile). La formula i Maccari di Maccari, che Picasso usò per la propria collezione, giustifica il fatto che le opere siano state cercate prevalentemente nella famiglia degli eredi Maccari, nella collezione del suo stampatore Nemo Galleni, e nella Fondazione di Longiano del poeta Tito Balestra, che ebbe una frequentazione quasi giornalera con il Maccari romano, al punto di possedere oltre mille opere del pittore. Unica eccezione la ricomparsa di un'opera-summa ed importante come il Ballo Excelsior, in cui piroettano insieme tutti i protagonisti della mostra, da Mussolini a Curchill, da Cavour a Croce, da Gentile (nutrito dalla Balia Actualismus) avon Stroheim, un'ossessione dell'artista, che spesso la ritrae insieme a Mae West (altra rarissima opera capitale in mostra). In considerazione del tema di questa antologica ragionata, l'antologia in calce al catalogo Mazzotta non contemplerà tutti i testi critici dei vari storici dell'arte che si sono occupati di lui, ma soltanto dei letterati e poeti o pittori amici, da Bertolucci a Gutuso, da Zurlini a Moravia, da Bilenchi, a Parronchi, a Pampaloni, da Flaiano a Betocchi, da Rosai al pittore americano Ben Shahn. Buona occasione per ripensare anche l'ideologia anarchica e scanzonata di Maccari: inutile pensarlo come fascista o antifascista, perché a vincere con lui è sempre e soltanto l'intelligenza, e un'indipendenza ironica costituzionale. Importante per lui era soltanto prendere partito: non in senso politico, partitico, appunto, ma morale, etico. La fondamentale etica del sarcasmo ingovernabile.
"I MACCARI DI MACCARI"
a cura di Marco Vallora
Palazzo Liceo Saracco Acqui Terme 5 LUGLIO – 30 agosto 2009
Rinnovando la ultradecennale tradizione di presentare annualmente esposizioni dei maggiori protagonisti dell'arte moderna italiana, l’Assessorato alla Cultura della città di Acqui Terme organizzerà, grazie all'intervento della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria, della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e della Società Palazzo del Monferrato e , in collaborazione con la Fondazione Tito Balestra Onlus di Longiano , la mostra antologica voluta dall’Assessore Carlo Sburlati, a cura di Marco Vallora, “I Maccari di Maccari.”
La mostra, che sarà inaugurata il giorno 5 luglio presso il Palazzo Liceo Saracco di corso Bagni 1, sarà coordinata ed allestita dalla Galleria Repetto e C. e resterà aperta sino al 30 agosto 2009 con il seguente orario: 10–12,30 /15,30 –19,30 Lunedì chiuso. Catalogo a colori Mazzotta Editore- Milano.
Croce e delizia, per un curatore che voglia aggirarsi un poco tra la 'smodata' ed irrefrenabile attività pittorico-disegnativa di Maccari, spulciando tra cassetti intonsi e carpette dimenticate e cartelle gonfie, come seni di balie da latte (dove schiudi e spolveri sei investito subito da un getto d'intelligenza, come San Bernardo nella classica allegoria della Lactatio) ed avresti voglia di sentenziare: 'sì, anche questo, ancora') un davvero beato tormento, l'aggirarsi tra le sue incredibilmente ancora opere inedite, e fogli celeberrimi, ma in fondo poco visti e meno ancora conosciuti. A dimostrazione che, per quanto belle e talvolta un po' ripetitive e tante mostre gli sian state dedicate, in questi anni, il suo inesauribile giacimento petrolifero d'intelligenza e di fantasia, non sia stato ancora sondato abbastanza, salvo da quel pioniere e ricercatore indefesso, che è Giuseppe Appella. Croce e delizia di curatore, si diceva, ma esattamente per il contrario di quello che succede abitualmente. Delizia per il troppo che trovi, e quasi ne rimani succosamente inebriato, e non sai più dove arginare la tua golosità, che dovrà confrontarsi poi con metrature di pareti ragionabili ed il buon senso espositivo, che non vorrebbe eccedere in un surplus stancante di colore e fantasia. Croce, perché non sai davvero come scegliere e dove tagliare e quanto riuscire a contenere quest'euforia incontenibile, che ti prende, a scartabellare nei depositi e pascolare nei suoi regni addormentati, euforia simmetrica alla sua facilità scrittoria, in tutti i sensi, grafici e letterari: battute visive e scritte a lato, didascalie brucianti, poesiole che han la freschezza dell'immediatezza fulminante e conviviale, folgoranti aforismi (come quelli raccolti in libro da Nello Ajello) che sgorgano spontanei, quasi un'incontenibile essudorazione ironica, tra vignette perfide ed un impagabile witz, senza confronti. Forse solo paragonabile a quello, in competizione ed eco perenne, dei suoi mitici amici-battutisti: Longanesi, Flaiano, Longhi, il plumbeo Cardarelli e il divertente scultore Mazzacurati. Che saranno anche alcuni dei protagonisti (olii, schizzi, disegni, per Morandi persino ritratti-incisione) di questa teatralissima mostra, che ricostruisce visivamente quel mondo genialissimo e quella stagione irripetibile di dolce causticità del vivere. Moravia, il fiutatore di donne, incontenibile, bersaglio amico e rivale di salotti. Longhi (in barchetta con la severa moglie-scrittrice Anna Banti) oppure all'opera, con la lente bisbetica e sentenziosa, davanti all'avanzare dell'arte astratta. Soldati, che passa per un foglio come di sfuggita, pettegolando. L'altro 'nano di Strapaese', il caricaturista Bartoli, con il suo naso a popone ed il ciuffo generoso di sopracciglia esuberanti. Rosai, teppista perpetuo, che influisce anche sull'insolita grafica 'sporca' e a carboncino, per essere il più possibile in sintonia. Il ruminante Ungaretti, che mitraglia versi come uno srapnel, Soffici con il suo retorico ed altezzoso naso a taglia-carte d'accademico (ma c'è anche il naso spiccato dal corpo ed autonomo dello spettacolo lirico di Gogol e Shostakovic, coì come ci sono inediti 'provini' di scenografie per il Fastaff e il Campanello di Donizetti). Di sfuggita anche Malaparte, ma si capisce subito, senza troppa simpatia, poca osmosi empatica: l'impasto ad olio, questa volta, come schermo e difesa, una nube di diffidenza ed incomprensione. Anche se era stato il romanziere pratese de La Pelle e Kaput a sottrarlo alla vernacolarità toscana (ma anche internazionalissima) del Selvaggio, di Colle Val d'Elsa e poi Firenze, e chiamarlo a Torino, come svelto e sapiente collaboratore-capo redattore alla Stampa, il che giustifica maggiormente questa presenza piemontese d'una mostra ad Acqui Terme, dedicata al genio onnivoro e proteiforme di Maccari (che si dedica anche alla pubblicità, vedi la reclame indovinatissima per il lancio del Tirreno, e ad altre attività grafiche). Fondamentale, a Torino, l'amicizia con un altro eccentrico, e surrealista italiano, come Italo Cremona, che probabilmente gli presenta un altro stravagante di genio, quale l'eccentrico Mollino. A cui Maccari chiede di disegnargli la villa del Cinquale, che poi affiderà ad un semplice capomastro, prendendosi l'impegno di progettare lui l'intera villa, ispirata ai casali di campagna. Perché il progetto di Mollino non gli piace, il pittore lo 'protesta', s'immagini con quale reazione sofferente del già celebre e contrastato architetto. Il progetto gli piace davvero così poco, che forse non lo ripone nemmeno nel cassetto: lo cancella alla sua vista, e per ora non s'è trovata traccia, nei suoi materiali trattenuti con passione dagli eredi e dal figlio Marco. Del resto, troppo lontano dalla moda del modernismo imperante, era il suo gusto, deciso e documentato (ci sono testi di Maccari per il Selvaggio, contro il "cemento disarmato" od altre corbellerie "alla Le Corbusier", che sorprendono per lucidità, irriverenza e forza idiosincratica. Bersaglio privilegiato dei suoi strali (come di Longanesi, del resto) Marcello Piacentini, ma in fondo anche tutto quel razionalismo, alla Pagano o Levi Montalcini, che in quegli anni imperava nella Torino post-sabauda e dopo-fascista. Ma anche la poetica visionaria e surreale di Mollino non poteva rientrare nelle sue corde, soprattutto per una casa, in cui avrebbe deciso di finire i suoi giorni (Maccari muore nell'89,senza mai aver smesso di brandire pennelli e battute).
Malaparte, è un reagente importante, per penetrare nella poetica di Maccari. Pur geniale e stravagante anche lui, era troppo distante, quasi antitetico al nostro pittore (più complesso il rapporto con Savinio). Bellimbusto, littorio nonostante le sue intemperanze ed imprevedibilità sprezzanti, alto, sportivo ed aitante (tanto quando Maccari era piccolo, mignon, ironico anche nella bellezza schietta dei tratti del volto, perennemente perplesso tanto quanto Malaparte era perentorio) potevano sì collaborare benissimo in un giornale, ma non andare d'accordo 'poeticamente'. Strapaese contro Stracittà, l'impomatato gusto-Novecento (ci sono vignette crudeli contro Oppo e l'Accademia di regime, nonostante poi Maccari diventasse 'principe' dell'Accademia di San Luca. Curiosamente o significativamente nessuna traccia invece del Realismo Magico e di Bontempelli) contro il primitivismo primordiale e radicale, burbero ed inchiostrato, degli Almanacchi di Maccari & C. (ma lo spoglio dei molteplici numeri, sorprendenti e godibilissimi, del Selvaggio, dimostra quanto fosse aggiornata e tutt'altro che provinciale la loro cultura "ruspante" e protestataria, da Grozs alla Nuova Oggettività Tedesca, dall'amatissimo Ensor a Kubin, da Schiele ad ogni possibile rigurgito di Secessione internazionale).
Tutto questo lo si evincerà nel copioso materiale documentario e di testimonianza, che animerà le varie vetrine della mostra: lettere e schizzi, fotografie e numeri di giornali, progetti grafici e loghi emblematici, sua per esempio l'intestazione della prima pagina di Mondo (a cui a lungo collaborerà, con vignette politiche, che annoverano personaggi come Andreotti, Segni, Togliatti, Saragat, Fanfani, oltre che a Stalin e Nasser, De Gaulle e Churchill, soggetto anche d'alcuni olii, che lo ritraggono come pittore della domenica sul lago di Como, alla ricerca della misteriosa borsa di Mussolini, con le sue lettere compromettente). Molto importante anche la sua attività di disegnatore di copertine di libri di amici letterati, dal Palazzeschi di Stampe dell'Ottocento alla Banti di Il Bastardo, dal Diario Romano di Brancati a In Società di Landolfi, dall'Asso di Picche di Tobino alle Piccole Vacanze di Arbasino. Interessantissimo con le sue varie 'prove di copertina' entrare dentro il suo laboratorio mentale, vedere per la prima volta come il suo immaginario si muove, velocemente e prensile, sino ad arrivare alla stesura definitiva.
La mostra sarà divisa in vari capitoli, quadrerie che assaliranno le diverse pareti, ricostruendo ogni volta un mondo, con rimandi alle vetrine (la famiglia: una parentesi insolitamente delicata e tenera. Il padre, il fratello morto in un'avventura di sminamento, la bella moglie Annie, i figli che dormono, il primo nato sul vasino, ecc.) oppure il tragico teatrino della politica. Oppure il corpo e le acrobazie libere dell'anatomia in frantumi. Il ruolo della grafica e il ritorno alla xilografia: il gusto citazionistico degli almanacchi popolari, lunari e pianeti, che piacevano molto anche a Longanesi e Bartolini, ma pure a Benjamin e a Brecht. Inoltre una rimeditazione della sua adesione ed abiura dal fascismo, con alcuni impressionanti documenti dei suoi quadri proibiti e feroci, contro Mussolini, trascinato come un maiale al macello dal Re, o costretto a piroettare, come una sfiancata sciantosa, su una ribalta da avanspettacolo. Quadri coraggiosamente dipinti nel '43, anni in cui Maccari passa alla Resistenza, e che esporrà la prima volta, alla caduta del Fascismo, en plein air, nella pineta di el Cinquale, appesi agli alberi, come foglie di una Storia caduca. E che non si vedevano più dal tempo della mostra di Giuliano Briganti, che li espose senza il beneplacido dell'artista a Siena, e che provocarono molti malumori. Ritornano in questa mostra direttamente da casa Maccari e dalla collezione della vedova di Briganti, Luisa Laureati, che ha deciso di mostrarli, in considerazione del progetto della mostra, che privilegia i Maccari di Maccari, cioè le opere che l'artista volle presso di sé (la serie di Dux era appunto una serie, dunque ci è sembrato giusto mostrarne il più possibile). La formula i Maccari di Maccari, che Picasso usò per la propria collezione, giustifica il fatto che le opere siano state cercate prevalentemente nella famiglia degli eredi Maccari, nella collezione del suo stampatore Nemo Galleni, e nella Fondazione di Longiano del poeta Tito Balestra, che ebbe una frequentazione quasi giornalera con il Maccari romano, al punto di possedere oltre mille opere del pittore. Unica eccezione la ricomparsa di un'opera-summa ed importante come il Ballo Excelsior, in cui piroettano insieme tutti i protagonisti della mostra, da Mussolini a Curchill, da Cavour a Croce, da Gentile (nutrito dalla Balia Actualismus) avon Stroheim, un'ossessione dell'artista, che spesso la ritrae insieme a Mae West (altra rarissima opera capitale in mostra). In considerazione del tema di questa antologica ragionata, l'antologia in calce al catalogo Mazzotta non contemplerà tutti i testi critici dei vari storici dell'arte che si sono occupati di lui, ma soltanto dei letterati e poeti o pittori amici, da Bertolucci a Gutuso, da Zurlini a Moravia, da Bilenchi, a Parronchi, a Pampaloni, da Flaiano a Betocchi, da Rosai al pittore americano Ben Shahn. Buona occasione per ripensare anche l'ideologia anarchica e scanzonata di Maccari: inutile pensarlo come fascista o antifascista, perché a vincere con lui è sempre e soltanto l'intelligenza, e un'indipendenza ironica costituzionale. Importante per lui era soltanto prendere partito: non in senso politico, partitico, appunto, ma morale, etico. La fondamentale etica del sarcasmo ingovernabile.
05
luglio 2009
I Maccari di Maccari
Dal 05 luglio al 30 agosto 2009
arte contemporanea
Location
PALAZZO LICEO SARACCO
Acqui Terme, Corso Bagni, 1, (Alessandria)
Acqui Terme, Corso Bagni, 1, (Alessandria)
Biglietti
intero € 7,00 ridotto € 4,00
Orario di apertura
ore 10–12,30 /15,30 –19,30 Lunedì chiuso.
Vernissage
5 Luglio 2009, ore 18
Editore
MAZZOTTA
Autore
Curatore