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I paesaggi di Gino Martori
L’esposizione, curata da Renzo Margonari, vede esposte una selezione di opere realizzate dall’artista negli ultimi anni.
Comunicato stampa
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Dal 16 al 28 maggio, la Galleria Arianna Sartori di Mantova nella sede di via Cappello 17, presenta i dipinti dell’artista veronese Gino Martori.
L’esposizione, curata da Renzo Margonari, vede esposte una selezione di opere realizzate dall’artista negli ultimi anni.
La mostra si inaugura sabato 16 maggio alle ore 18.00 con presentazione di Renzo Margonari alla presen-za dell’artista.
Gino Martori, paesaggista
Sono convinto che la rappresentazione dei sentimenti avrà sempre buone ragioni per esprimersi finché gli artisti saran-no disposti a utilizzare i propri strumenti mentali e meccanici, restando alle categorie materiali e formali che distinguo-no la Pittura da altre forme d’espressione, poiché i tempi nostri le vanno modificando sostanzialmente. Purtroppo, ac-canto alla massima libertà dei linguaggi e l’utilizzo di nuove tecnologie, le immagini stanno perdendo ogni profondità poetica, lo dico senza intenzione polemica, ma per semplice constatazione. Nella trascrizione pittorica del sentimento, la qualità e l’intensità sono sempre dipese dalla volontà e capacità degli artisti, non dai mezzi di cui disponiamo. Soprat-tutto, l’esito poetico dipende dalla sincerità del pittore, dalla capacità di rivelare -innanzitutto a se stesso- la profondità delle proprie emozioni. Ad esempio, per un vero paesaggista come Gino Martori, che vede quotidianamente i muta-menti della stagione misurandosi con uno tra i paesaggi più spettacolari del mondo -il Lago di Garda e i suoi rilievi marginali- si pone continuamente il problema di trascrivere la quotidianità della convivenza con quei colori che restano acquatici investendo anche i declivi collinari circostanti e quegli spazi la cui profondità prospettica, annullata dalle di-stanze, inganna anche lo sguardo pratico. Per Martori, sincero e colto pittore di paesaggio, si tratta di annullare la mera-viglia, di attenuare la rutilante ricchezza cromatica, in poche parole rendere alla normalità la visione dello straordinario quotidiano, spogliandolo degli effetti spettacolari della sua natura. In sostanza, si tratta di esprimere l’amore con cui in-timamente abbraccia una visione famigliare restituendola come immagine consueta, ordinaria, e la sua quotidianità.
Sulle acque del Lago di Garda, ho visto naufragare la valentia pittoricistica di tanti, sopraffatti dalla ricchezza paesaggi-stica che cercavano di riprodurre. Gino Martori, invece, elaborando in tanti anni di silenziosa e devota decantazione, l’emozionalità visiva, magari a costo di ritrarre il paesaggio nei suoi dettagli più comuni, meno gratificanti, meno pitto-reschi, appunto, ha saputo restituire il vero incanto di questo paesaggio. Si sa quanto sia difficile rendere semplicemente ciò che è complesso. È un’arte della sottrazione, della semplificazione, rispondendo con una certa ruvidità all’incanto persuasivo del paesaggio, con una severa eliminazione, quasi un rifiuto dell’abilità acquisita, adottando un linguaggio pittorico impoverito, inserendo composizioni arrischiate e diminuite, riassunte e decostruite, con un colore spento a bell’apposta praticando sottili variazioni tonali che ospitano lancinanti forze timbriche. L’originalità del suo sguardo si determina considerando uno svolgimento verticalizzato dove l’immagine vorrebbe, invece, dipanarsi orizzontalmente, un aspetto che Martori ha ormai lasciato andare nella sua memoria. Egli produce, invece, una pittura del presente, a vol-te dell’attimo poetico percepito attraverso un’esperienza diuturna del vedere che esclude la sorpresa e si traduce in un gesto apparentemente trascurato lasciando una traccia di quell’attimo emotivo. È come se misurasse il paesaggio per addomesticarlo, etimologicamente: renderlo domestico, famigliare. Ciò non è facile.
Negli ultimi decenni assistiamo alle spregiudicate speculazioni mercantili che pianificano un’arte globalizzata, priva d’identità culturale e senz’anima poetica. Per fortuna i liberi pittori, in parte consapevolmente esclusi da questo cinico massacro della poesia, resistono e continuano a esistere ben sapendo che rinunciando alla spontanea coerenza col pro-prio vissuto e della propria materiale esperienza visiva, la loro arte perderebbe ogni valore di sincerità, senza la quale è impossibile ogni definizione di armonia e idealità. Questa forza è talmente insita nell’onestà del fare che alcuni la utiliz-zano persino senza intenzione e senza accorgersene. Giusto aggrapparsi ai valori maturati radicando la propria ricerca nel territorio fisico e culturale in cui si è sviluppata, producendo identità autoctone che conferiscono la riconoscibilità dell’area antropologica cui appartiene l’artista. Per un pittore è particolarmente giusto, soprattutto, accogliere e lasciare agire le suggestioni ricevute dai grandi maestri con i quali si riconosce un’affinità sensibilistica. Così, Martori ha compo-sto la struttura dei suoi modi pittorici, aggiornandosi all’estremità più avanzata della paesaggistica contemporanea, met-tendosi all’ombra della tradizione figurativa lombardo-veneta che nel suo caso non è solo un luogo culturale, ma anche esistenziale e filosofico. Ciò conferisce una forte distinzione antropologica alla sensualità segnica e cromatica dei suoi dipinti, pienamente percepibile, rafforzandone la verità. L’appartenenza a un’enclave culturale è una difesa della perso-nalità e un valore aggiunto all’esaltazione del gesto pittorico, a quella calligrafia dell’emozionalità che distingue gli artisti dai pittori dozzinali.
Gino Martori è un pittore gestuale, tonale, espressionista. In altre parole un artista che ha cooptato alcune modalità fi-gurative per ricavarne un linguaggio composito capace di restituire un’emozionalità con dati contrastanti, ma concor-renti, dalla dolcezza alla forza, dall’intima riflessione del sussurro alla spontaneità del grido. Sensazioni, non trascrizioni. Ammirazione, non appropriazione. I primi piani, in basso, sono nebbie impercettibili e consentono allo sguardo di risa-lire in prospettiva verso un’immagine affermata, segnata da una forte demarcazione spaziale. Così il paesaggio è raccon-tato con una vaga introduzione prima di definirsi nettamente. È un percorso di avvicinamento. Simile risoluzione pro-spettica rammenta la nobile pittura di Alberto Gianquinto e più lontani si colgono gl’influssi, ormai metabolizzati, di Renato Birolli e Afro Basaldella, e forse di Angelo Del Bon con i Chiaristi. Non per caso Martori godeva la stima severa di Oreste Marini che lo considerava un possibile prosecutore delle sue attenzioni gardesane. Insomma, ho detto di un artista consapevole e meditabondo, rivierasco e collinare disincantato, innamorato di un paesaggio mitico e vissuto che è la sua casa fisica e culturale.
Renzo Margonari
(dal catalogo della mostra)
Sono nato a Peschiera del Garda nel 1951. Da sempre lavoro nel piccolo hotel che i miei genitori, con tenacia e umiltà, hanno costruito a partire dagli anni ‘50.
Nel 1980 mi iscrivo e frequento con entusiasmo i corsi liberi di pittura tenuti dal professor Franco Patuzzi presso l’Accademia di Belle Arti ‘G.B. Cignaroli’ di Verona.
La voglia di imparare e approfondire è intensa, supportata dalla fortuna di poter viaggiare e documentarmi. Sono di quegli anni gli incontri con alcune persone che con i loro preziosi consigli hanno contribuito largamente alla mia for-mazione artistica; ancora li ringrazio. Sono il professor Franz Grau di Monaco di Baviera ed il professor Oreste Marini di Castiglione delle Stiviere.
Ringrazio anche la mia famiglia che, sostenendomi, mi ha dato in tutti questi anni la possibilità di poter vivere questa mia passione. (G. M.)
L’esposizione, curata da Renzo Margonari, vede esposte una selezione di opere realizzate dall’artista negli ultimi anni.
La mostra si inaugura sabato 16 maggio alle ore 18.00 con presentazione di Renzo Margonari alla presen-za dell’artista.
Gino Martori, paesaggista
Sono convinto che la rappresentazione dei sentimenti avrà sempre buone ragioni per esprimersi finché gli artisti saran-no disposti a utilizzare i propri strumenti mentali e meccanici, restando alle categorie materiali e formali che distinguo-no la Pittura da altre forme d’espressione, poiché i tempi nostri le vanno modificando sostanzialmente. Purtroppo, ac-canto alla massima libertà dei linguaggi e l’utilizzo di nuove tecnologie, le immagini stanno perdendo ogni profondità poetica, lo dico senza intenzione polemica, ma per semplice constatazione. Nella trascrizione pittorica del sentimento, la qualità e l’intensità sono sempre dipese dalla volontà e capacità degli artisti, non dai mezzi di cui disponiamo. Soprat-tutto, l’esito poetico dipende dalla sincerità del pittore, dalla capacità di rivelare -innanzitutto a se stesso- la profondità delle proprie emozioni. Ad esempio, per un vero paesaggista come Gino Martori, che vede quotidianamente i muta-menti della stagione misurandosi con uno tra i paesaggi più spettacolari del mondo -il Lago di Garda e i suoi rilievi marginali- si pone continuamente il problema di trascrivere la quotidianità della convivenza con quei colori che restano acquatici investendo anche i declivi collinari circostanti e quegli spazi la cui profondità prospettica, annullata dalle di-stanze, inganna anche lo sguardo pratico. Per Martori, sincero e colto pittore di paesaggio, si tratta di annullare la mera-viglia, di attenuare la rutilante ricchezza cromatica, in poche parole rendere alla normalità la visione dello straordinario quotidiano, spogliandolo degli effetti spettacolari della sua natura. In sostanza, si tratta di esprimere l’amore con cui in-timamente abbraccia una visione famigliare restituendola come immagine consueta, ordinaria, e la sua quotidianità.
Sulle acque del Lago di Garda, ho visto naufragare la valentia pittoricistica di tanti, sopraffatti dalla ricchezza paesaggi-stica che cercavano di riprodurre. Gino Martori, invece, elaborando in tanti anni di silenziosa e devota decantazione, l’emozionalità visiva, magari a costo di ritrarre il paesaggio nei suoi dettagli più comuni, meno gratificanti, meno pitto-reschi, appunto, ha saputo restituire il vero incanto di questo paesaggio. Si sa quanto sia difficile rendere semplicemente ciò che è complesso. È un’arte della sottrazione, della semplificazione, rispondendo con una certa ruvidità all’incanto persuasivo del paesaggio, con una severa eliminazione, quasi un rifiuto dell’abilità acquisita, adottando un linguaggio pittorico impoverito, inserendo composizioni arrischiate e diminuite, riassunte e decostruite, con un colore spento a bell’apposta praticando sottili variazioni tonali che ospitano lancinanti forze timbriche. L’originalità del suo sguardo si determina considerando uno svolgimento verticalizzato dove l’immagine vorrebbe, invece, dipanarsi orizzontalmente, un aspetto che Martori ha ormai lasciato andare nella sua memoria. Egli produce, invece, una pittura del presente, a vol-te dell’attimo poetico percepito attraverso un’esperienza diuturna del vedere che esclude la sorpresa e si traduce in un gesto apparentemente trascurato lasciando una traccia di quell’attimo emotivo. È come se misurasse il paesaggio per addomesticarlo, etimologicamente: renderlo domestico, famigliare. Ciò non è facile.
Negli ultimi decenni assistiamo alle spregiudicate speculazioni mercantili che pianificano un’arte globalizzata, priva d’identità culturale e senz’anima poetica. Per fortuna i liberi pittori, in parte consapevolmente esclusi da questo cinico massacro della poesia, resistono e continuano a esistere ben sapendo che rinunciando alla spontanea coerenza col pro-prio vissuto e della propria materiale esperienza visiva, la loro arte perderebbe ogni valore di sincerità, senza la quale è impossibile ogni definizione di armonia e idealità. Questa forza è talmente insita nell’onestà del fare che alcuni la utiliz-zano persino senza intenzione e senza accorgersene. Giusto aggrapparsi ai valori maturati radicando la propria ricerca nel territorio fisico e culturale in cui si è sviluppata, producendo identità autoctone che conferiscono la riconoscibilità dell’area antropologica cui appartiene l’artista. Per un pittore è particolarmente giusto, soprattutto, accogliere e lasciare agire le suggestioni ricevute dai grandi maestri con i quali si riconosce un’affinità sensibilistica. Così, Martori ha compo-sto la struttura dei suoi modi pittorici, aggiornandosi all’estremità più avanzata della paesaggistica contemporanea, met-tendosi all’ombra della tradizione figurativa lombardo-veneta che nel suo caso non è solo un luogo culturale, ma anche esistenziale e filosofico. Ciò conferisce una forte distinzione antropologica alla sensualità segnica e cromatica dei suoi dipinti, pienamente percepibile, rafforzandone la verità. L’appartenenza a un’enclave culturale è una difesa della perso-nalità e un valore aggiunto all’esaltazione del gesto pittorico, a quella calligrafia dell’emozionalità che distingue gli artisti dai pittori dozzinali.
Gino Martori è un pittore gestuale, tonale, espressionista. In altre parole un artista che ha cooptato alcune modalità fi-gurative per ricavarne un linguaggio composito capace di restituire un’emozionalità con dati contrastanti, ma concor-renti, dalla dolcezza alla forza, dall’intima riflessione del sussurro alla spontaneità del grido. Sensazioni, non trascrizioni. Ammirazione, non appropriazione. I primi piani, in basso, sono nebbie impercettibili e consentono allo sguardo di risa-lire in prospettiva verso un’immagine affermata, segnata da una forte demarcazione spaziale. Così il paesaggio è raccon-tato con una vaga introduzione prima di definirsi nettamente. È un percorso di avvicinamento. Simile risoluzione pro-spettica rammenta la nobile pittura di Alberto Gianquinto e più lontani si colgono gl’influssi, ormai metabolizzati, di Renato Birolli e Afro Basaldella, e forse di Angelo Del Bon con i Chiaristi. Non per caso Martori godeva la stima severa di Oreste Marini che lo considerava un possibile prosecutore delle sue attenzioni gardesane. Insomma, ho detto di un artista consapevole e meditabondo, rivierasco e collinare disincantato, innamorato di un paesaggio mitico e vissuto che è la sua casa fisica e culturale.
Renzo Margonari
(dal catalogo della mostra)
Sono nato a Peschiera del Garda nel 1951. Da sempre lavoro nel piccolo hotel che i miei genitori, con tenacia e umiltà, hanno costruito a partire dagli anni ‘50.
Nel 1980 mi iscrivo e frequento con entusiasmo i corsi liberi di pittura tenuti dal professor Franco Patuzzi presso l’Accademia di Belle Arti ‘G.B. Cignaroli’ di Verona.
La voglia di imparare e approfondire è intensa, supportata dalla fortuna di poter viaggiare e documentarmi. Sono di quegli anni gli incontri con alcune persone che con i loro preziosi consigli hanno contribuito largamente alla mia for-mazione artistica; ancora li ringrazio. Sono il professor Franz Grau di Monaco di Baviera ed il professor Oreste Marini di Castiglione delle Stiviere.
Ringrazio anche la mia famiglia che, sostenendomi, mi ha dato in tutti questi anni la possibilità di poter vivere questa mia passione. (G. M.)
16
maggio 2015
I paesaggi di Gino Martori
Dal 16 al 28 maggio 2015
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARIANNA SARTORI
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Orario di apertura
dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 16.00-19.30. Chiuso festivi
Vernissage
16 Maggio 2015, ore 18.00
Autore
Curatore