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Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze
Un itinerario di storia e di gusto attraverso il secolo che vide la fine della dinastia medicea e l’affacciarsi della città alla cultura dell’Illuminismo. La mostra, con oltre 140 opere esposte tra dipinti, sculture, oggetti d’arte e arredi sacri e profani, rappresenta quindi la prima organica rassegna dei principali eventi artistici del Settecento a Firenze.
Comunicato stampa
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Il prossimo 29 maggio si inaugura, nelle sale espositive della Galleria degli Uffizi, la mostra ‘Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze’: un itinerario di storia e di gusto attraverso il secolo che vide la fine della dinastia medicea e l’affacciarsi della città alla cultura dell’Illuminismo. E’ un’occasione preziosa per scoprire, attraverso l’esibizione di opere in parte inedite, provenienti da musei e collezioni italiane e straniere, un’epoca della civiltà fiorentina che, messa a fuoco per la prima volta nella mostra Gli ultimi Medici del 1974, viene oggi ripercorsa comprendendo, fra il ‘fasto’ del gusto tardobarocco e la ‘ragione’ che determinò gli esiti del Neoclassicismo, tutte le manifestazioni artistiche alimentate dalle committenze granducali − medicee prima lorenesi poi − ma anche dall’ingegno di raffinati ‘intendenti’ i quali rinnovarono l’immagine di Firenze allineandola agli indirizzi culturali ed estetici dell’Europa illuminista. L’ampiezza degli studi fin qui condotti sull’arte toscana del XVIII secolo e le esposizioni organizzate nel tempo su specifici aspetti dell’arte settecentesca – ultima, in ordine di tempo, la mostra Arte e Manifattura di corte a Firenze dal tramonto dei Medici all’Impero, tenutasi a Palazzo Pitti nel 2006 − consentono oggi di attingere ad una ricca messe di materiali e di testimonianze in grado di dimostrare che anche nel Settecento Firenze mantenne una posizione di notevole prestigio all’interno del panorama dell’arte italiana, continuando a manifestare la sua vocazione di città aperta ai contributi dei ‘forestieri’ e alle occasioni del grand tour.
La mostra, curata da Carlo Sisi e Riccardo Spinelli, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino, la Galleria degli Uffizi, Firenze Musei e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, con oltre 140 opere esposte tra dipinti, sculture, oggetti d’arte e arredi sacri e profani, rappresenta quindi la prima organica rassegna dei principali eventi artistici del Settecento a Firenze. Ordinata in nove sezioni – La fastosa eredità del Barocco mediceo, I maestri della nuova generazione, Gli ‘stranieri’ a Firenze e il rinnovamento dei generi, Mitologia e storia al filtro del gusto rococò, Nuove prospettive della pittura di storia e dell’arte sacra, Bizzarrie e galanterie nel secolo dei Lumi, Il paesaggio fra memoria e visione oggettiva, Ideale classico e cultura illuministica nella Firenze di Pietro Leopoldo, Il neoclassicismo internazionale di fine secolo − la mostra vuole riassumere, attraverso una scelta di opere fondamentali per qualità e importanza, i fatti salienti dell’intero secolo e i temi figurativi che, in un intreccio di grande suggestione, contribuirono al rinnovamento dei generi e all’aggiornamento del dibattito artistico.
La fase tardobarocca corrisponde agli anni di regno di Cosimo III che, grazie soprattutto al mecenatismo artistico del suo primogenito, il Gran Principe Ferdinando, darà impulso ad una stagione figurativa di grande livello, apprezzata in tutta Europa per il fasto e la qualità dei suoi manufatti. Debuttano infatti ad inizio secolo pittori originali come Francesco Conti, Giovan Domenico Ferretti, Matteo Bonechi e Ranieri Del Pace; insieme a loro gli scultori Giovacchino Fortini e Agostino Cornacchini ed eccellenti artefici legati alle rinomatissime ‘botteghe di Galleria’.
Ferdinando, premorto al padre, fu un mecenate “totale”, i cui interessi spaziarono anche in campo musicale e teatrale. Su suo invito giunsero a Firenze artisti che, sotto l’accorta regia del principe e dell’aristocrazia legata alla corte, produssero alcuni dei loro capolavori. Tra questi basti ricordare, agli inizi del Settecento, il veneto Sebastiano Ricci (1659-1734), il bolognese Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) ed il genovese Alessandro Magnasco (1667-1749), i quali introdussero a Firenze le declinazioni regionali di uno stile che, dalla matrice barocca, stava evolvendo verso le molteplici manifestazioni del gusto rococò.
La preferenza del gran principe Ferdinando per i temi profani, mitologici e allegorici, e per i moderni generi artistici, fece da viatico all’affermazione di questa tendenza innovativa, bene espressa dai numerosi soffitti affrescati nelle residenze granducali, nei palazzi e nelle ville dell’aristocrazia fiorentina (documentati in mostra dai bozzetti preparatori di Ferretti, Bonechi, Gabbiani, Sagrestani), dai dipinti “da quadreria”, da sculture in marmo, terracotta e bronzo di medio e piccolo formato d’incomparabile bellezza e di gusto pienamente internazionale, quello che sarà veicolato in Europa dalle traduzioni in porcellana dalla Manifattura Ginori di Doccia. E proprio nel campo della scultura – settore artistico particolarmente privilegiato nel Settecento a Firenze – continuano ad operare, soprattutto nella bronzistica di piccolo e medio formato e nella medaglistica, notevoli personalità come Giovanni Battista Foggini e Massimiliano Soldani Benzi, il cui straordinario successo avrà riscontri nel gradimento dimostrato dalle corti europee e dai principali collezionisti del tempo che si assicureranno molte loro opere, proseguendo così una tradizione illustre iniziata già nel Cinquecento con Giambologna.
Le presenze straniere introdotte a Firenze dal Gran Principe Ferdinando ebbero un impatto duraturo sugli artisti locali: le eloquenti composizioni di storia dipinte da Sebastiano Ricci a Palazzo Marucelli Fenzi furono d’esempio per Giovanni Domenico Ferretti, per il giovanissimo Giuseppe Zocchi ed anche per il Foggini; mentre nel campo della pittura di soggetto sacro, grande importanza vennero ad avere, tra il secondo e il sesto decennio del Settecento, le luminose e languide trattazioni di temi quali l’estasi e il martirio proposte da Ferretti e da Conti. Un capitolo a parte, nell’ambito dell’arte sacra di questo periodo, è rappresentato da due raffigurazioni che erano state care alla devozione e alla spiritualità di Cosimo III: il Transito di san Giuseppe − assurto a patrono della Toscana nel 1719 − presente in mostra nelle versioni realizzate dal marattesco Anton Domenico Gabbiani, dall’eccentrico Ranieri Del Pace e, in scultura, da Massimiliano Soldani Benzi (con una delle sue massime prove); e il Compianto sul corpo di Cristo, che vede messe a confronto le scene dipinte da Giovanni Camillo Sagrestani e da Francesco Conti, insieme alle interpretazioni fornite da Massimiliano Soldani Benzi in cera, in bronzo e in porcellana di Doccia, opere affiancate per la prima volta in un dialogo emotivamente serrato ed eloquente.
La vena scherzosa e ironica, popolare e stracciona che era stata peculiare di un preciso indirizzo della cultura figurativa seicentesca toscana, trovando interpreti d’eccezione in Jacques Callot, in Giovanni da San Giovanni e in Baccio del Bianco, non si esaurì in quel secolo ma ebbe grande fortuna anche nella Firenze del Settecento grazie al rinnovamento di questo filone operato dal genovese Alessandro Magnasco. Dalla metà del xviii secolo, per mano del brioso e scanzonato Giovanni Domenico Ferretti, questo gusto si orienterà verso temi moderni e alla moda, che troveranno nella rappresentazione di arlecchinate e di mascherate una feconda risorsa espressiva.
Fra i generi che presero campo già nei primi anni del Settecento emerge il vedutismo, fenomeno legato alla nascente voga del grand tour e alla centralità di Firenze quale tappa obbligata del viaggio in Italia: indirizzo che trova in Gaspare Vanvitelli e, dalla metà del secolo, nel veneto Bernardo Bellotto, nell’inglese naturalizzato Thomas Patch e nel fiorentino Giuseppe Zocchi, artisti versatili in pittura come nell’incisione e capaci di soddisfare le esigenze di documentazione e di memoria dei luoghi della città e della regione, visitati dai gentiluomini europei durante la loro permanenza in Toscana: un’occasione per conoscere direttamente i capolavori dell’arte ma anche per rifornirsi di oggetti rari e preziosi, come quelli prodotti dall’Opificio delle Pietre Dure.
Giunto a Firenze nel 1765, il granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena dimostrò subito il suo impegno nei confronti delle riforme e del progresso istituendo l’Accademia di Belle Arti (1785), che venne organizzata sull’esempio dei più illustri modelli italiani ed europei. Nel segno della recuperata vitalità dell’ideale classico – che la pittura di Pompeo Batoni sosteneva allora in maniera esemplare e al più alto grado – gli artisti fiorentini si adegueranno ai canoni del Neoclassicismo introdotto nelle aule accademiche dall’insegnamento di Pietro Pedroni, già pensionato a Roma e poi pittore di corte dal 1781, e da quello di Innocenzo Spinazzi, la cui esperienza romana portò a Firenze la cultura dell’antico e gli aggiornamenti sul dibattito estetico acceso intorno alle teorie di Winckelmann e di Mengs. Il granduca apre cantieri di grande respiro, nella reggia di Pitti, al Poggio Imperiale e agli Uffizi, offrendo così molte occasioni di lavoro a pittori e scultori di nuova generazione come Francesco Carradori che, insieme agli Albertolli e a Tommaso Gherardini, collaborò al partito ornamentale della Sala della Niobe agli Uffizi, dimostrando di saper contemperare la propria formazione classica con il delicato naturalismo della tradizione cinquecentesca fiorentina. Del resto, le componenti della cultura illuministica vennero a frutto negli ultimi due decenni del secolo facendo convivere, accanto alla dominante archeologica, l’analisi spregiudicata dei ritratti dipinti da Johann Zoffany – che insieme a quelli scolpiti dai residenti inglesi Joseph Wilton e Francis Harwood contribuirono a immettere Firenze nel circuito europeo dei nuovi canoni estetici – e anche un nuovo metro narrativo di nobile matrice storico-letteraria, come risulta evidente nel quadro di Ignazio Hugford raffigurante la Contessa Matilde e nella inaspettata declinazione purista di modelli cinque e seicenteschi che caratterizza, in diversa maniera, la Vergine di Tommaso Gherardini e il San Romualdo di Santi Pacini.
Mentre fra i premiati dell’Accademia si distinguevano i pittori Pietro Benvenuti e Luigi Sabatelli, a Firenze molto si discuteva del successo ottenuto dal lombardo Ademollo al concorso indetto nel 1788 per la decorazione del teatro degli Immobili (oggi della Pergola), risolta dall’artista in una versione molto espressiva del Neoclassicismo che piacerà particolarmente al granduca Ferdinando III, succeduto al padre nel 1791, il quale affiderà al pittore la decorazione ad affresco della Cappella Palatina, parte rilevante di un progetto di ammodernamento della reggia di Pitti che vedrà impegnati artisti di nuova generazione come Giuseppe Maria Terreni. Nell’ultimo decennio del secolo il granduca accoglie gli artisti fuggiti da Roma a seguito dei moti antifrancesi, favorendo il formarsi di una colonia che caratterizzerà in maniera determinante la cultura fiorentina di fine Settecento: Nicolas Didier Boguet introduce in città il suo paesismo alla Lorrain ma con aggiornamenti sullo stile atmosferico degli inglesi; Louis Gauffier diviene ambito ritrattista del grand tour oltre che pittore esclusivo del paesaggio di Vallombrosa; François-Xavier Fabre, allievo di David e familiare di casa Alfieri, consolida il suo prestigio internazionale come pittore di ritratti e di quadri di storia con prevalenti aspetti letterari.
La mostra, curata da Carlo Sisi e Riccardo Spinelli, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino, la Galleria degli Uffizi, Firenze Musei e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, con oltre 140 opere esposte tra dipinti, sculture, oggetti d’arte e arredi sacri e profani, rappresenta quindi la prima organica rassegna dei principali eventi artistici del Settecento a Firenze. Ordinata in nove sezioni – La fastosa eredità del Barocco mediceo, I maestri della nuova generazione, Gli ‘stranieri’ a Firenze e il rinnovamento dei generi, Mitologia e storia al filtro del gusto rococò, Nuove prospettive della pittura di storia e dell’arte sacra, Bizzarrie e galanterie nel secolo dei Lumi, Il paesaggio fra memoria e visione oggettiva, Ideale classico e cultura illuministica nella Firenze di Pietro Leopoldo, Il neoclassicismo internazionale di fine secolo − la mostra vuole riassumere, attraverso una scelta di opere fondamentali per qualità e importanza, i fatti salienti dell’intero secolo e i temi figurativi che, in un intreccio di grande suggestione, contribuirono al rinnovamento dei generi e all’aggiornamento del dibattito artistico.
La fase tardobarocca corrisponde agli anni di regno di Cosimo III che, grazie soprattutto al mecenatismo artistico del suo primogenito, il Gran Principe Ferdinando, darà impulso ad una stagione figurativa di grande livello, apprezzata in tutta Europa per il fasto e la qualità dei suoi manufatti. Debuttano infatti ad inizio secolo pittori originali come Francesco Conti, Giovan Domenico Ferretti, Matteo Bonechi e Ranieri Del Pace; insieme a loro gli scultori Giovacchino Fortini e Agostino Cornacchini ed eccellenti artefici legati alle rinomatissime ‘botteghe di Galleria’.
Ferdinando, premorto al padre, fu un mecenate “totale”, i cui interessi spaziarono anche in campo musicale e teatrale. Su suo invito giunsero a Firenze artisti che, sotto l’accorta regia del principe e dell’aristocrazia legata alla corte, produssero alcuni dei loro capolavori. Tra questi basti ricordare, agli inizi del Settecento, il veneto Sebastiano Ricci (1659-1734), il bolognese Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) ed il genovese Alessandro Magnasco (1667-1749), i quali introdussero a Firenze le declinazioni regionali di uno stile che, dalla matrice barocca, stava evolvendo verso le molteplici manifestazioni del gusto rococò.
La preferenza del gran principe Ferdinando per i temi profani, mitologici e allegorici, e per i moderni generi artistici, fece da viatico all’affermazione di questa tendenza innovativa, bene espressa dai numerosi soffitti affrescati nelle residenze granducali, nei palazzi e nelle ville dell’aristocrazia fiorentina (documentati in mostra dai bozzetti preparatori di Ferretti, Bonechi, Gabbiani, Sagrestani), dai dipinti “da quadreria”, da sculture in marmo, terracotta e bronzo di medio e piccolo formato d’incomparabile bellezza e di gusto pienamente internazionale, quello che sarà veicolato in Europa dalle traduzioni in porcellana dalla Manifattura Ginori di Doccia. E proprio nel campo della scultura – settore artistico particolarmente privilegiato nel Settecento a Firenze – continuano ad operare, soprattutto nella bronzistica di piccolo e medio formato e nella medaglistica, notevoli personalità come Giovanni Battista Foggini e Massimiliano Soldani Benzi, il cui straordinario successo avrà riscontri nel gradimento dimostrato dalle corti europee e dai principali collezionisti del tempo che si assicureranno molte loro opere, proseguendo così una tradizione illustre iniziata già nel Cinquecento con Giambologna.
Le presenze straniere introdotte a Firenze dal Gran Principe Ferdinando ebbero un impatto duraturo sugli artisti locali: le eloquenti composizioni di storia dipinte da Sebastiano Ricci a Palazzo Marucelli Fenzi furono d’esempio per Giovanni Domenico Ferretti, per il giovanissimo Giuseppe Zocchi ed anche per il Foggini; mentre nel campo della pittura di soggetto sacro, grande importanza vennero ad avere, tra il secondo e il sesto decennio del Settecento, le luminose e languide trattazioni di temi quali l’estasi e il martirio proposte da Ferretti e da Conti. Un capitolo a parte, nell’ambito dell’arte sacra di questo periodo, è rappresentato da due raffigurazioni che erano state care alla devozione e alla spiritualità di Cosimo III: il Transito di san Giuseppe − assurto a patrono della Toscana nel 1719 − presente in mostra nelle versioni realizzate dal marattesco Anton Domenico Gabbiani, dall’eccentrico Ranieri Del Pace e, in scultura, da Massimiliano Soldani Benzi (con una delle sue massime prove); e il Compianto sul corpo di Cristo, che vede messe a confronto le scene dipinte da Giovanni Camillo Sagrestani e da Francesco Conti, insieme alle interpretazioni fornite da Massimiliano Soldani Benzi in cera, in bronzo e in porcellana di Doccia, opere affiancate per la prima volta in un dialogo emotivamente serrato ed eloquente.
La vena scherzosa e ironica, popolare e stracciona che era stata peculiare di un preciso indirizzo della cultura figurativa seicentesca toscana, trovando interpreti d’eccezione in Jacques Callot, in Giovanni da San Giovanni e in Baccio del Bianco, non si esaurì in quel secolo ma ebbe grande fortuna anche nella Firenze del Settecento grazie al rinnovamento di questo filone operato dal genovese Alessandro Magnasco. Dalla metà del xviii secolo, per mano del brioso e scanzonato Giovanni Domenico Ferretti, questo gusto si orienterà verso temi moderni e alla moda, che troveranno nella rappresentazione di arlecchinate e di mascherate una feconda risorsa espressiva.
Fra i generi che presero campo già nei primi anni del Settecento emerge il vedutismo, fenomeno legato alla nascente voga del grand tour e alla centralità di Firenze quale tappa obbligata del viaggio in Italia: indirizzo che trova in Gaspare Vanvitelli e, dalla metà del secolo, nel veneto Bernardo Bellotto, nell’inglese naturalizzato Thomas Patch e nel fiorentino Giuseppe Zocchi, artisti versatili in pittura come nell’incisione e capaci di soddisfare le esigenze di documentazione e di memoria dei luoghi della città e della regione, visitati dai gentiluomini europei durante la loro permanenza in Toscana: un’occasione per conoscere direttamente i capolavori dell’arte ma anche per rifornirsi di oggetti rari e preziosi, come quelli prodotti dall’Opificio delle Pietre Dure.
Giunto a Firenze nel 1765, il granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena dimostrò subito il suo impegno nei confronti delle riforme e del progresso istituendo l’Accademia di Belle Arti (1785), che venne organizzata sull’esempio dei più illustri modelli italiani ed europei. Nel segno della recuperata vitalità dell’ideale classico – che la pittura di Pompeo Batoni sosteneva allora in maniera esemplare e al più alto grado – gli artisti fiorentini si adegueranno ai canoni del Neoclassicismo introdotto nelle aule accademiche dall’insegnamento di Pietro Pedroni, già pensionato a Roma e poi pittore di corte dal 1781, e da quello di Innocenzo Spinazzi, la cui esperienza romana portò a Firenze la cultura dell’antico e gli aggiornamenti sul dibattito estetico acceso intorno alle teorie di Winckelmann e di Mengs. Il granduca apre cantieri di grande respiro, nella reggia di Pitti, al Poggio Imperiale e agli Uffizi, offrendo così molte occasioni di lavoro a pittori e scultori di nuova generazione come Francesco Carradori che, insieme agli Albertolli e a Tommaso Gherardini, collaborò al partito ornamentale della Sala della Niobe agli Uffizi, dimostrando di saper contemperare la propria formazione classica con il delicato naturalismo della tradizione cinquecentesca fiorentina. Del resto, le componenti della cultura illuministica vennero a frutto negli ultimi due decenni del secolo facendo convivere, accanto alla dominante archeologica, l’analisi spregiudicata dei ritratti dipinti da Johann Zoffany – che insieme a quelli scolpiti dai residenti inglesi Joseph Wilton e Francis Harwood contribuirono a immettere Firenze nel circuito europeo dei nuovi canoni estetici – e anche un nuovo metro narrativo di nobile matrice storico-letteraria, come risulta evidente nel quadro di Ignazio Hugford raffigurante la Contessa Matilde e nella inaspettata declinazione purista di modelli cinque e seicenteschi che caratterizza, in diversa maniera, la Vergine di Tommaso Gherardini e il San Romualdo di Santi Pacini.
Mentre fra i premiati dell’Accademia si distinguevano i pittori Pietro Benvenuti e Luigi Sabatelli, a Firenze molto si discuteva del successo ottenuto dal lombardo Ademollo al concorso indetto nel 1788 per la decorazione del teatro degli Immobili (oggi della Pergola), risolta dall’artista in una versione molto espressiva del Neoclassicismo che piacerà particolarmente al granduca Ferdinando III, succeduto al padre nel 1791, il quale affiderà al pittore la decorazione ad affresco della Cappella Palatina, parte rilevante di un progetto di ammodernamento della reggia di Pitti che vedrà impegnati artisti di nuova generazione come Giuseppe Maria Terreni. Nell’ultimo decennio del secolo il granduca accoglie gli artisti fuggiti da Roma a seguito dei moti antifrancesi, favorendo il formarsi di una colonia che caratterizzerà in maniera determinante la cultura fiorentina di fine Settecento: Nicolas Didier Boguet introduce in città il suo paesismo alla Lorrain ma con aggiornamenti sullo stile atmosferico degli inglesi; Louis Gauffier diviene ambito ritrattista del grand tour oltre che pittore esclusivo del paesaggio di Vallombrosa; François-Xavier Fabre, allievo di David e familiare di casa Alfieri, consolida il suo prestigio internazionale come pittore di ritratti e di quadri di storia con prevalenti aspetti letterari.
29
maggio 2009
Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze
Dal 29 maggio al 13 dicembre 2009
arte antica
Location
GALLERIE DEGLI UFFIZI
Firenze, Piazzale Degli Uffizi, 1, (Firenze)
Firenze, Piazzale Degli Uffizi, 1, (Firenze)
Biglietti
Intero € 10.00 (comprensivo dell’ingresso al museo) Ridotto € 5.00 per i cittadini dell’Unione Europea tra i 18 ed i 25 anni Gratuito per i cittadini dell’Unione Europea sotto i 18 e sopra i 65 anni. Visita guidata inclusa nel costo del biglietto con prenotazione a partire dall'8 ottobre
Orario di apertura
Martedì – Domenica, ore 8.15 - 18.50
Chiuso il lunedì
Vernissage
29 Maggio 2009, ore 18 Biblioteca degli Uffizi
Sito web
www.unannoadarte.it/fastoeragione
Editore
GIUNTI
Ufficio stampa
CAMILLA SPERANZA
Autore
Curatore