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Il grido del Post-moderno
“Il grido del post-moderno”.
La collettiva vuole presentare il disagio intellettuale dell’artista, mette a confronto 12 artisti differenti, un percorso tra sensibilità diverse e assaggi di sentimenti forti e decisi, visioni espressive ed intense.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
L’Associazione Immaginecolore.com e la curatrice della mostra, Marica Petti, presentano in ARS Habitat "Il grido del post-moderno".
La collettiva vuole presentar il disagio intellettuale dell’artista, mette a confronto 12 artisti differenti. Tra cui, ci sarà la mini personale dell’artista Florkatia Libois.
Attraverso i vari stili, tecniche linguaggi, verranno proposti i diversi pensieri idee, e modo di rapportarsi e rapportarsi al mondo, dell’artista.
Ci si ritrova a viaggiare fra dipinti e sculture, che avvolte scoprono assaggi di vita parallela, fatti di lacrime e sorrisi, gioia o dolore. È qui questo punto, che i volti di maschere si rispecchiano nello spettatore, scatole di piombo, foto in b/n, e gambe amputati perché assolutamente Trendy, l’essere umano si frantuma e si ricompone, in un quadro come se fosse un puzzle.
Perché ogni artista, ha un’ esperienza, una sensibilità diversa, e questo ci porta attraverso le varie sensazioni a rispecchiarci, in tanti diversi specchi, che non sono altro i loro occhi.
Artisti partecipanti:
Senbau (Giacomo Bauccio - Carlo Senesi) La maschera il doppio gioco dell’anima: ciò che è vero e ciò che non lo è. Sul palco di un teatro si va alla ricerca di quel qualcosa, riflettendosi nel magico specchio di se stessi. Volti che qui si confondono e si fondono, spezzati, che fuggo ma che nello stesso tempo penetrano il corpo, cercando di impadronirsi di quella felicità impercettibile.
Ekka (Erica Borghi) una giovane artista. Ecco la presentazione di sé e della sua crescita, dove AH incomincia ad essere equilibrato, le non linee iniziano a prendere forma eliminando il CAOS iniziale, mettendo a nudo il quadro e il suo riflesso che viene finalmente schiacciato. Ricerca di equilibrio.
Davide Poggi, una semplice foto in B/N, alcune volte modificate; nelle foto, si avverte la solitudine, il vuoto di una strada dove tutto viene messo a nudo, in un auto scatto, la frammentazione dell’istante, che vive nell’eternità in una sorta di limbo, dove le emozioni di dolore e rabbia, si fanno sempre più vere.
Iacopelli Francesco, mette in scena un uovo, simbolo della vita o solamente la rappresentazione di cosa è? Tra semi, piccole uova d’insetto, piombo cucito, come le scatole: il senso della metamorfosi del ciclo vitale, di quella vita che riesce a svilupparsi ovunque esso sia. Di quel microcosmo, che in qualche modo si presenta, e che, poche volte ci soffermiamo ad osservarlo. E tutto questo usando un materiale il piombo, simbolo dell’alchimia.
Giovanni Carlo Rocca e Buonpensieri Mario Alejandro, linee, tratti decisi, colori accessi vivi puliti, che tagliano lo spazio della tela, e che senza pudore si lasciano osservare.
Una materialità figurativa, che rende la solitudine, al disperazione e la sofferenza del mondo rappresentato. La carica espressiva e viva di un figurativo non scontato, ti avvolge come una architettura scenografica, che dal passato ritorna per una nuova audace materializzazione moderna, e di quel lavoro che diviene sempre più imponente e vero.
Federico Pucci, l’ego che prende forma e colore. L’ artista (o il non artista) non parla mai di sé, ma è il quadro che lo fa per tutte e due, perché è la rappresentazione delle emozioni, delle sensazioni improvvise che nascono da una conoscenza del guardare se stessi, che permette e ci permette di comunicare al di fuori di noi. Sensazioni che fuoriescono dal quadro, quasi impalpabile e contorniate, da un segno più che deciso.
Carlo Giusti, prendere tutto e raccontare senza lasciare nessun gesto, è tutto cos’ incomprensibile: il mondo. Assolutamente trendy, ai nostri occhi, può sembrare semplice, in realtà ha un gusto retro amaro, che racconta una visione malata e incomprensibili di alcuni atteggiamenti estetici. Amputazione, il gioco dell’artista, la visione dell’umanità che ogni giorno ci taglia qualcosa, mentre il grande fratello si schiera dietro una falsa e sadica spiegazione, delle sue azioni.
Adrian Schiopu, corpi, volti che nascono, dalle masse tonali di colori, date sulla tela, così corpose e fondamentali nella trasformazione e la creazione, del soggetto.
Corpi pieni di quell’ istante che è stato colto, come i contrasti dei volti, che rimangono vissuti lasciando poco spazio alla spensieratezza, in quei due o tre i colori della carne, c’è l’occhio dell’artista e del suo sguardo che si è fermato e viaggia alla ricerco dell’oltre orizzonte.
Antonio Conte sera strana? Non credo. Ogni suo quadro ha un titolo, un pensiero che diventa reale e palpabile sulla tela….l’esplosione di colori blu, rosso e nero, plasmano una figura simbolica, che vuole rappresentare un qualcosa di attuale, e nello stesso tempo ascetico che lascia pensare, al ciò che potrebbe essere, perché non si pensa mai che è così.
Monica Palermo, Un linea che forma una figura, una figura che si trasforma in colore, il colore che diviene emozione. Un via che porta ad una figura dai contorni che si espandono, portati da una percezione intima del proprio sé, dove non manca mai il calore dei toni caldi, immersi e amalgamati, riavvicinati da un blu ipnotico. Tutto è accompagnato da un tratto vivo, deciso di chi ha la padronanza di un cerchio perfetto, nella morbidezza del gesto pittorico, e di un virtuosismo: ascoltando Mozart in una sola voce.
Mauro Trentini, i gioco dell’illusione, come se dietro a ogni quadro, e spazio rappresentato ci fosse dell’altro, tante strade che portano al di là dell’immaginazione. Nella delicatezza e pulizia del colore si torna a una dimensione quasi onirica, dove ciò che si rappresenta non sempre è quello reale. In archi metafisici, e nei titoli evocati si tenta di afferrare l’invisibile.
La mini personale di FlorKatia Libois, un dipinto come mezzo di comunicazione e ricerca di un interlocutore che ascolti. Corpi dalla malinconia densa che aspettano un segno, un gesto da qualcosa di più alto e ascetico. Che gridano attraverso i colori caldi, nelle sfumature del nero, il dolore, al sofferenza, la lontananza. Questi colori impalpabili eppure così forte nel senso, deciso, duro che si scioglie, che cola per formare una forma densa e pulita. Un solitudine e un vuoto in sguardi stanchi, di una libertà quasi negata, perché in un modo o nell’altro siamo tutti legati a quelle catena della società. Tutto è palpabile in questi dipinti che sono più vivi di quanto non sembri. Questi corpi così vicini, ma in realtà lontani, soli, perché sembrano che non riescono a traviare l’altro anche se lo cercano disperatamente.
Alcuni lavori tendono ad espandersi a una ricerca, che passa dal segno, al colore, a un supporto, per cercare in alcune volte di colmare quel vuoto in cui il mondo è impregnato, conseguenza della poco individualità, del gioco delle apparenze, manichini vuoti che volteggiano davanti allo specchio. Quindi gridare il proprio essere a chi può ascoltare, e lo si fa attraverso una ricerca continua, a una crescita, a una sperimentazione che porta ad assumere nuove forme nel descrivere e comunicare se stessi attraverso una tela, un foglio, una tavola di legno.
In fin dei conti nei suoi lavori, è tutto così chiaro, che basta solo accostarsi pochissimo per sentire echeggiare la disperazione di un grido che viene da lontano, da una dimensione parallela.
La collettiva vuole presentar il disagio intellettuale dell’artista, mette a confronto 12 artisti differenti. Tra cui, ci sarà la mini personale dell’artista Florkatia Libois.
Attraverso i vari stili, tecniche linguaggi, verranno proposti i diversi pensieri idee, e modo di rapportarsi e rapportarsi al mondo, dell’artista.
Ci si ritrova a viaggiare fra dipinti e sculture, che avvolte scoprono assaggi di vita parallela, fatti di lacrime e sorrisi, gioia o dolore. È qui questo punto, che i volti di maschere si rispecchiano nello spettatore, scatole di piombo, foto in b/n, e gambe amputati perché assolutamente Trendy, l’essere umano si frantuma e si ricompone, in un quadro come se fosse un puzzle.
Perché ogni artista, ha un’ esperienza, una sensibilità diversa, e questo ci porta attraverso le varie sensazioni a rispecchiarci, in tanti diversi specchi, che non sono altro i loro occhi.
Artisti partecipanti:
Senbau (Giacomo Bauccio - Carlo Senesi) La maschera il doppio gioco dell’anima: ciò che è vero e ciò che non lo è. Sul palco di un teatro si va alla ricerca di quel qualcosa, riflettendosi nel magico specchio di se stessi. Volti che qui si confondono e si fondono, spezzati, che fuggo ma che nello stesso tempo penetrano il corpo, cercando di impadronirsi di quella felicità impercettibile.
Ekka (Erica Borghi) una giovane artista. Ecco la presentazione di sé e della sua crescita, dove AH incomincia ad essere equilibrato, le non linee iniziano a prendere forma eliminando il CAOS iniziale, mettendo a nudo il quadro e il suo riflesso che viene finalmente schiacciato. Ricerca di equilibrio.
Davide Poggi, una semplice foto in B/N, alcune volte modificate; nelle foto, si avverte la solitudine, il vuoto di una strada dove tutto viene messo a nudo, in un auto scatto, la frammentazione dell’istante, che vive nell’eternità in una sorta di limbo, dove le emozioni di dolore e rabbia, si fanno sempre più vere.
Iacopelli Francesco, mette in scena un uovo, simbolo della vita o solamente la rappresentazione di cosa è? Tra semi, piccole uova d’insetto, piombo cucito, come le scatole: il senso della metamorfosi del ciclo vitale, di quella vita che riesce a svilupparsi ovunque esso sia. Di quel microcosmo, che in qualche modo si presenta, e che, poche volte ci soffermiamo ad osservarlo. E tutto questo usando un materiale il piombo, simbolo dell’alchimia.
Giovanni Carlo Rocca e Buonpensieri Mario Alejandro, linee, tratti decisi, colori accessi vivi puliti, che tagliano lo spazio della tela, e che senza pudore si lasciano osservare.
Una materialità figurativa, che rende la solitudine, al disperazione e la sofferenza del mondo rappresentato. La carica espressiva e viva di un figurativo non scontato, ti avvolge come una architettura scenografica, che dal passato ritorna per una nuova audace materializzazione moderna, e di quel lavoro che diviene sempre più imponente e vero.
Federico Pucci, l’ego che prende forma e colore. L’ artista (o il non artista) non parla mai di sé, ma è il quadro che lo fa per tutte e due, perché è la rappresentazione delle emozioni, delle sensazioni improvvise che nascono da una conoscenza del guardare se stessi, che permette e ci permette di comunicare al di fuori di noi. Sensazioni che fuoriescono dal quadro, quasi impalpabile e contorniate, da un segno più che deciso.
Carlo Giusti, prendere tutto e raccontare senza lasciare nessun gesto, è tutto cos’ incomprensibile: il mondo. Assolutamente trendy, ai nostri occhi, può sembrare semplice, in realtà ha un gusto retro amaro, che racconta una visione malata e incomprensibili di alcuni atteggiamenti estetici. Amputazione, il gioco dell’artista, la visione dell’umanità che ogni giorno ci taglia qualcosa, mentre il grande fratello si schiera dietro una falsa e sadica spiegazione, delle sue azioni.
Adrian Schiopu, corpi, volti che nascono, dalle masse tonali di colori, date sulla tela, così corpose e fondamentali nella trasformazione e la creazione, del soggetto.
Corpi pieni di quell’ istante che è stato colto, come i contrasti dei volti, che rimangono vissuti lasciando poco spazio alla spensieratezza, in quei due o tre i colori della carne, c’è l’occhio dell’artista e del suo sguardo che si è fermato e viaggia alla ricerco dell’oltre orizzonte.
Antonio Conte sera strana? Non credo. Ogni suo quadro ha un titolo, un pensiero che diventa reale e palpabile sulla tela….l’esplosione di colori blu, rosso e nero, plasmano una figura simbolica, che vuole rappresentare un qualcosa di attuale, e nello stesso tempo ascetico che lascia pensare, al ciò che potrebbe essere, perché non si pensa mai che è così.
Monica Palermo, Un linea che forma una figura, una figura che si trasforma in colore, il colore che diviene emozione. Un via che porta ad una figura dai contorni che si espandono, portati da una percezione intima del proprio sé, dove non manca mai il calore dei toni caldi, immersi e amalgamati, riavvicinati da un blu ipnotico. Tutto è accompagnato da un tratto vivo, deciso di chi ha la padronanza di un cerchio perfetto, nella morbidezza del gesto pittorico, e di un virtuosismo: ascoltando Mozart in una sola voce.
Mauro Trentini, i gioco dell’illusione, come se dietro a ogni quadro, e spazio rappresentato ci fosse dell’altro, tante strade che portano al di là dell’immaginazione. Nella delicatezza e pulizia del colore si torna a una dimensione quasi onirica, dove ciò che si rappresenta non sempre è quello reale. In archi metafisici, e nei titoli evocati si tenta di afferrare l’invisibile.
La mini personale di FlorKatia Libois, un dipinto come mezzo di comunicazione e ricerca di un interlocutore che ascolti. Corpi dalla malinconia densa che aspettano un segno, un gesto da qualcosa di più alto e ascetico. Che gridano attraverso i colori caldi, nelle sfumature del nero, il dolore, al sofferenza, la lontananza. Questi colori impalpabili eppure così forte nel senso, deciso, duro che si scioglie, che cola per formare una forma densa e pulita. Un solitudine e un vuoto in sguardi stanchi, di una libertà quasi negata, perché in un modo o nell’altro siamo tutti legati a quelle catena della società. Tutto è palpabile in questi dipinti che sono più vivi di quanto non sembri. Questi corpi così vicini, ma in realtà lontani, soli, perché sembrano che non riescono a traviare l’altro anche se lo cercano disperatamente.
Alcuni lavori tendono ad espandersi a una ricerca, che passa dal segno, al colore, a un supporto, per cercare in alcune volte di colmare quel vuoto in cui il mondo è impregnato, conseguenza della poco individualità, del gioco delle apparenze, manichini vuoti che volteggiano davanti allo specchio. Quindi gridare il proprio essere a chi può ascoltare, e lo si fa attraverso una ricerca continua, a una crescita, a una sperimentazione che porta ad assumere nuove forme nel descrivere e comunicare se stessi attraverso una tela, un foglio, una tavola di legno.
In fin dei conti nei suoi lavori, è tutto così chiaro, che basta solo accostarsi pochissimo per sentire echeggiare la disperazione di un grido che viene da lontano, da una dimensione parallela.
15
marzo 2008
Il grido del Post-moderno
Dal 15 al 31 marzo 2008
fotografia
arte contemporanea
serata - evento
arte contemporanea
serata - evento
Location
ARS HABITAT – PALAZZO RATTO-PICASSO
Genova, Via San Luca, 14/4, (Genova)
Genova, Via San Luca, 14/4, (Genova)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato dalle 10.00 alle 19.00.
Vernissage
15 Marzo 2008, 18.00
Autore
Curatore