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Il messaggio universale nell’opera risorgimentale di Ezio Gribaudo
I tre grandi quadri di Ezio Gribaudo ci ricordano il Risorgimento in maniera non retorica. È un Risorgimento restituito alla Storia, rivissuto e palpitante, trasformato in carne viva e dolorante. L’artista cancella con un sol colpo di pennello, per così dire, le incrostazioni di due secoli che
hanno reso quasi irriconoscibile, ai nostri giorni, l’avventurosa epopea romantica dell’Unità
Comunicato stampa
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I tre grandi quadri di Ezio Gribaudo ci ricordano il Risorgimento in maniera non retorica. È un
Risorgimento restituito alla Storia, rivissuto e palpitante, trasformato in carne viva e dolorante.
L’artista cancella con un sol colpo di pennello, per così dire, le incrostazioni di due secoli che
hanno reso quasi irriconoscibile, ai nostri giorni, l’avventurosa epopea romantica dell’Unità.
Non c’è traccia del magniloquente canone ottocentesco, scritto dalla storiografi a sabauda, che esaltò la «conquista regia», o dell’interpretazione parziale, ad esempio quella fascista, esaltante l’italianità di un processo d’incivilimento che precorre l’Italia di Mussolini. Non vi è traccia, infine, della più moderna corrente «revisionista», che in maniera molto accademica (e perciò assai noiosa) osserva le dinamiche di trasformazione economica, sociale o istituzionale.
Gribaudo non trascura di focalizzare la sua attenzione sui personaggi chiave del Risorgimento
(e per fortuna la sua sensibilità d’artista non ha ceduto alla facile tentazione di trattare le figure più popolari come Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele II, spesso unite in un
unico acritico pantheon dei padri della patria) e si concentra sui momenti cruciali della lotta
risorgimentale.
I tre quadri di Gribaudo sono sorprendentemente intensi, parlano, gridano e fanno rumore,
ricordando come il Risorgimento fu soprattutto un movimento politico-culturale centrale
dell’Italia contemporanea, un’idea nobile, che spinse in maniera eroica intere popolazioni e
singoli patrioti a un indicibile azzardo: opporsi, lottare e combattere contro un nemico più
potente, l’impero d’Austria, sorretto all’epoca da un esercito forte e organizzato.
Per il movimento nazionale italiano gli Asburgo, e i loro regni in varie regioni della Penisola,
sono stati il nemico numero uno. Non fu un caso che il volume Le mie prigioni di Silvio
Pellico, l’intellettuale piemontese arrestato dalla polizia austriaca nel Regno Lombardo-Veneto,
ebbe un grande successo e concorse in maniera decisiva a creare un’opinione favorevole alla
«questione nazionale italiana». Le mie prigioni furono tradotte in Europa più dei Promessi sposi
e denunciarono lo stato di polizia dell’impero d’Austria, tanto che si disse che il libro di Pellico costò all’impero più di una sconfi tta sul campo di battaglia. Episodi come le “Cinque giornate di Milano”, la morte dei “Martiri di Belfi ore” e l’impiccagione del patriota del Cadore Pier Fortunato Calvi, sono noti agli italiani quanto la cruenta morte di Cesare Battisti nella Grande Guerra. Non è un caso che Ezio Gribaudo scelga quei primi tre clamorosi episodi della storia dell’Ottocento, che condannarono l’impero di Francesco Giuseppe nel cliché degli Asburgo tenaci conservatori dell’ordine stabilito, come peso di piombo della storia europea. I patrioti del Risorgimento, uccisi o impiccati dall’esercito imperiale, furono riesumati dai nazionalisti italiani della Prima guerra mondiale, che videro in quel confl itto contro l’Austria-Ungheria la «Quarta guerra d’indipendenza italiana».
Gribaudo ritrae nei suoi tre grandi quadri la “Sollevazione del popolo a Milano”, “Gli impiccati di Belfi ore” e “Pier Fortunato Calvi”, riportando à la page gli aspetti simbolici e antropologici della cultura nazional-patriottica. E ciò nella convinzione che quantunque i simboli del Risorgimento siano stati continuamente contestati, essi nondimeno hanno trasmesso un importante messaggio culturale ed emozionale alla società italiana del XIX e del XX secolo, cosicché dal loro esame dipende una comprensione equilibrata dello svolgersi del processo di unifi cazione e del fatto – assolutamente inaudito e rivoluzionario per i contemporanei – del crollo di antichi Stati (l’impero degli Asburgo e dei loro piccoli satelliti nella Penisola) e del formarsi, dalle loro ceneri, di un duraturo e nuovo Stato.
Nel 1848, Milano fu il teatro di una clamorosa insurrezione contro l’impero d’Austria. Tra il
18 e il 22 marzo 1848, i cittadini della capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte dell’impero
degli Asburgo, si liberarono dal dominio straniero. Il feldmaresciallo Josef Radetzky intimò il disarmo della Guardia Nazionale milanese: «Senzadichè porrò mano al bombardamento,
al saccheggio ed a qualsiasi altro mezzo per sottomettere una città ribelle. E ciò mi tornerà
agevole, avendo a mia disposizione un esercito agguerrito di centomila uomini e duecento pezzi
di cannone». I milanesi combatterono, e costrinsero con la loro iniziativa popolare a porre fine alle esitazioni del re piemontese Carlo Alberto, che entrò in Lombardia per sfi dare l’Austria (Prima guerra d’indipendenza).
Il biennio 1848-49 fu sfortunato per la causa italiana; l’impero tornò a governare il Lombardo-
Veneto, ostentando sicurezza e volontà di ordine e ignorando il signifi cato politico di quello che
era fi nora accaduto. Per i patrioti italiani, però, il Quarantotto, iniziato in Lombardia, doveva continuare grazie alla creazione di una rete di comitati rivoluzionari. La loro funzione era di organizzare la circolazione delle cartelle del prestito nazionale. Per le autorità austriache la scoperta di queste cartelle provocò uno stato di allarme che diede il via a una delle pagine più tragiche del Risorgimento.
I comitati furono scoperti dalla polizia imperiale; s’identifi carono i patrioti che facevano capo a sacerdoti liberali, a militari, a professionisti borghesi. I sacerdoti Enrico Tazzoli, Bartolomeo Grazioli, Giovanni Grioli, con Carlo Poma, Tito Speri, i cinque fratelli Lazzati di Milano e altri cento «congiurati», furono arrestati e accusati di cospirazione. Ne seguì un processo a Mantova la cui conclusione fa parte del martirologio del Risorgimento. Il 5 novembre 1851 fu fucilato don Grioli a Belfi ore; tra il 7 dicembre 1852 e il 19 marzo 1853 furono innalzati i patiboli e impiccati Enrico Tazzoli, Bartolomeo Grazioli, Carlo Poma, Tito Speri, Bernardo de Canal, Giuseppe Zambelli, Angelo Scarsellini, Pietro Frattini, Carlo Montanari. L’ombra del patibolo di Belfiore si prolungò fi no al 4 luglio 1855 con l’impiccagione di Pier Fortunato Calvi. Egli militò nell’esercito dell’impero asburgico; si dimise con la rivoluzione, diventando un intrepido
capitano a Venezia, quando il 23 marzo 1848 fu proclamata la Repubblica di San Marco.
Si deve alla testimonianza dell’allora vescovo di Mantova, Luigi Martini, chiamato a consolare i
condannati di Belfi ore, il ricordo più vivo e commosso del loro sacrifi cio; il suo libro, Il Confortorio di Mantova, mette in luce la nobiltà e bontà d’animo dei prigionieri, il loro essere uomini senza rimorsi, gentili anche verso i carnefi ci. Emergono le figure straordinarie e leggendarie di Tazzoli e di Calvi, epicamente cantato quest’ultimo in un’ode famosa di Carducci: «d’Austria la forca or ei guarda / sereno ed impassibile […] Belfi ore, oscura fossa d’austriache forche, fulgente /
Belfi ore, ara di martiri. / Oh a chi d’Italia nato mai caggia dal core il tuo nome».
I tre quadri di Ezio Gribaudo rievocano con gusto teatrale semplicemente splendido, il percorso
politico e culturale, spesso doloroso, che portò 150 ann i fa all’Unità. Un’interpretazione del
Risorgimento che affronta diversi modelli di pittura, secondo un’impostazione destinata a
distinguere l’opera di Gribaudo da altre iniziative artistiche dedicate alla Storia. Il pittore di Torino prospetta un modello nuovo di conoscenza e divulgazione del passato, grazie alle notevoli dimensioni delle opere e al richiamo delle esperienze artistiche più importanti dell’Ottocento e del Novecento, attingendo dai grandi maestri come Goya e Bacon.
Roberto Coaloa
Risorgimento restituito alla Storia, rivissuto e palpitante, trasformato in carne viva e dolorante.
L’artista cancella con un sol colpo di pennello, per così dire, le incrostazioni di due secoli che
hanno reso quasi irriconoscibile, ai nostri giorni, l’avventurosa epopea romantica dell’Unità.
Non c’è traccia del magniloquente canone ottocentesco, scritto dalla storiografi a sabauda, che esaltò la «conquista regia», o dell’interpretazione parziale, ad esempio quella fascista, esaltante l’italianità di un processo d’incivilimento che precorre l’Italia di Mussolini. Non vi è traccia, infine, della più moderna corrente «revisionista», che in maniera molto accademica (e perciò assai noiosa) osserva le dinamiche di trasformazione economica, sociale o istituzionale.
Gribaudo non trascura di focalizzare la sua attenzione sui personaggi chiave del Risorgimento
(e per fortuna la sua sensibilità d’artista non ha ceduto alla facile tentazione di trattare le figure più popolari come Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele II, spesso unite in un
unico acritico pantheon dei padri della patria) e si concentra sui momenti cruciali della lotta
risorgimentale.
I tre quadri di Gribaudo sono sorprendentemente intensi, parlano, gridano e fanno rumore,
ricordando come il Risorgimento fu soprattutto un movimento politico-culturale centrale
dell’Italia contemporanea, un’idea nobile, che spinse in maniera eroica intere popolazioni e
singoli patrioti a un indicibile azzardo: opporsi, lottare e combattere contro un nemico più
potente, l’impero d’Austria, sorretto all’epoca da un esercito forte e organizzato.
Per il movimento nazionale italiano gli Asburgo, e i loro regni in varie regioni della Penisola,
sono stati il nemico numero uno. Non fu un caso che il volume Le mie prigioni di Silvio
Pellico, l’intellettuale piemontese arrestato dalla polizia austriaca nel Regno Lombardo-Veneto,
ebbe un grande successo e concorse in maniera decisiva a creare un’opinione favorevole alla
«questione nazionale italiana». Le mie prigioni furono tradotte in Europa più dei Promessi sposi
e denunciarono lo stato di polizia dell’impero d’Austria, tanto che si disse che il libro di Pellico costò all’impero più di una sconfi tta sul campo di battaglia. Episodi come le “Cinque giornate di Milano”, la morte dei “Martiri di Belfi ore” e l’impiccagione del patriota del Cadore Pier Fortunato Calvi, sono noti agli italiani quanto la cruenta morte di Cesare Battisti nella Grande Guerra. Non è un caso che Ezio Gribaudo scelga quei primi tre clamorosi episodi della storia dell’Ottocento, che condannarono l’impero di Francesco Giuseppe nel cliché degli Asburgo tenaci conservatori dell’ordine stabilito, come peso di piombo della storia europea. I patrioti del Risorgimento, uccisi o impiccati dall’esercito imperiale, furono riesumati dai nazionalisti italiani della Prima guerra mondiale, che videro in quel confl itto contro l’Austria-Ungheria la «Quarta guerra d’indipendenza italiana».
Gribaudo ritrae nei suoi tre grandi quadri la “Sollevazione del popolo a Milano”, “Gli impiccati di Belfi ore” e “Pier Fortunato Calvi”, riportando à la page gli aspetti simbolici e antropologici della cultura nazional-patriottica. E ciò nella convinzione che quantunque i simboli del Risorgimento siano stati continuamente contestati, essi nondimeno hanno trasmesso un importante messaggio culturale ed emozionale alla società italiana del XIX e del XX secolo, cosicché dal loro esame dipende una comprensione equilibrata dello svolgersi del processo di unifi cazione e del fatto – assolutamente inaudito e rivoluzionario per i contemporanei – del crollo di antichi Stati (l’impero degli Asburgo e dei loro piccoli satelliti nella Penisola) e del formarsi, dalle loro ceneri, di un duraturo e nuovo Stato.
Nel 1848, Milano fu il teatro di una clamorosa insurrezione contro l’impero d’Austria. Tra il
18 e il 22 marzo 1848, i cittadini della capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte dell’impero
degli Asburgo, si liberarono dal dominio straniero. Il feldmaresciallo Josef Radetzky intimò il disarmo della Guardia Nazionale milanese: «Senzadichè porrò mano al bombardamento,
al saccheggio ed a qualsiasi altro mezzo per sottomettere una città ribelle. E ciò mi tornerà
agevole, avendo a mia disposizione un esercito agguerrito di centomila uomini e duecento pezzi
di cannone». I milanesi combatterono, e costrinsero con la loro iniziativa popolare a porre fine alle esitazioni del re piemontese Carlo Alberto, che entrò in Lombardia per sfi dare l’Austria (Prima guerra d’indipendenza).
Il biennio 1848-49 fu sfortunato per la causa italiana; l’impero tornò a governare il Lombardo-
Veneto, ostentando sicurezza e volontà di ordine e ignorando il signifi cato politico di quello che
era fi nora accaduto. Per i patrioti italiani, però, il Quarantotto, iniziato in Lombardia, doveva continuare grazie alla creazione di una rete di comitati rivoluzionari. La loro funzione era di organizzare la circolazione delle cartelle del prestito nazionale. Per le autorità austriache la scoperta di queste cartelle provocò uno stato di allarme che diede il via a una delle pagine più tragiche del Risorgimento.
I comitati furono scoperti dalla polizia imperiale; s’identifi carono i patrioti che facevano capo a sacerdoti liberali, a militari, a professionisti borghesi. I sacerdoti Enrico Tazzoli, Bartolomeo Grazioli, Giovanni Grioli, con Carlo Poma, Tito Speri, i cinque fratelli Lazzati di Milano e altri cento «congiurati», furono arrestati e accusati di cospirazione. Ne seguì un processo a Mantova la cui conclusione fa parte del martirologio del Risorgimento. Il 5 novembre 1851 fu fucilato don Grioli a Belfi ore; tra il 7 dicembre 1852 e il 19 marzo 1853 furono innalzati i patiboli e impiccati Enrico Tazzoli, Bartolomeo Grazioli, Carlo Poma, Tito Speri, Bernardo de Canal, Giuseppe Zambelli, Angelo Scarsellini, Pietro Frattini, Carlo Montanari. L’ombra del patibolo di Belfiore si prolungò fi no al 4 luglio 1855 con l’impiccagione di Pier Fortunato Calvi. Egli militò nell’esercito dell’impero asburgico; si dimise con la rivoluzione, diventando un intrepido
capitano a Venezia, quando il 23 marzo 1848 fu proclamata la Repubblica di San Marco.
Si deve alla testimonianza dell’allora vescovo di Mantova, Luigi Martini, chiamato a consolare i
condannati di Belfi ore, il ricordo più vivo e commosso del loro sacrifi cio; il suo libro, Il Confortorio di Mantova, mette in luce la nobiltà e bontà d’animo dei prigionieri, il loro essere uomini senza rimorsi, gentili anche verso i carnefi ci. Emergono le figure straordinarie e leggendarie di Tazzoli e di Calvi, epicamente cantato quest’ultimo in un’ode famosa di Carducci: «d’Austria la forca or ei guarda / sereno ed impassibile […] Belfi ore, oscura fossa d’austriache forche, fulgente /
Belfi ore, ara di martiri. / Oh a chi d’Italia nato mai caggia dal core il tuo nome».
I tre quadri di Ezio Gribaudo rievocano con gusto teatrale semplicemente splendido, il percorso
politico e culturale, spesso doloroso, che portò 150 ann i fa all’Unità. Un’interpretazione del
Risorgimento che affronta diversi modelli di pittura, secondo un’impostazione destinata a
distinguere l’opera di Gribaudo da altre iniziative artistiche dedicate alla Storia. Il pittore di Torino prospetta un modello nuovo di conoscenza e divulgazione del passato, grazie alle notevoli dimensioni delle opere e al richiamo delle esperienze artistiche più importanti dell’Ottocento e del Novecento, attingendo dai grandi maestri come Goya e Bacon.
Roberto Coaloa
23
settembre 2011
Il messaggio universale nell’opera risorgimentale di Ezio Gribaudo
Dal 23 settembre al 30 novembre 2011
arte contemporanea
Location
FONDERIE TEATRALI LIMONE
Moncalieri, Via Pastrengo, 88, (Torino)
Moncalieri, Via Pastrengo, 88, (Torino)
Vernissage
23 Settembre 2011, ore 18.30
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