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Il mistero del mondo
Il Mistero del Mondo esplora, attraverso il lavoro di quattro giovani artisti- fotografi internazionali, la ricerca del sovra sensibile mediante gli strumenti del visibile.
Comunicato stampa
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“The true mystery of the world is the visible, not the invisible”
Oscar Wilde
La Fotografia è uno straordinario strumento d’interpretazione del Reale visibile. Attraverso l’apparente, essa è in grado di sfidare la percezione retinica della Realtà e produrre forme sensibili del non visibile.
Il Mistero del Mondo esplora, attraverso il lavoro di quattro giovani artisti- fotografi internazionali, la ricerca del sovra sensibile mediante gli strumenti del visibile.
Silvio Wolf ha selezionato l’opera di Filippo Guerrieri, Roberta Levi, Esther Mathis e Yusuke Nishimura avendo seguito la loro formazione artistica presso l’Istituto Europeo di Design di Milano e la School of Visual Arts di New York come loro Docente e relatore di Tesi.
Una magica consonanza lega il loro sottile e misterioso approccio al Reale Visibile alla poetica dell’artista, nella piena autonomia delle loro scelte stilistiche e delle forme espressive: un incontro ed un percorso di ricerca affascinanti che hanno dato vita all’idea della mostra.
Questi giovani artisti utilizzano con modalità differenti il mezzo fotografico, anche associato all’uso dell’immagine video, agendo sulla vibratile soglia tra apparizione e scomparsa, fissità e movimento, presenza ed assenza. Nel loro percorso il referente può anche svanire, allontanato e rimosso dalla percezione retinica attraverso un processo mentale che lo restituisce allo sguardo in forme oniriche e memorative fortemente interiorizzate (Levi, Mathis), smaterializzato ed astratto (Nishimura), oppure occultato nelle ingannevoli ed iper-reali sembianze della cruda rappresentazione esteriore (Guerrieri).
Con strategie diverse essi esplorano ciò che è più familiare ed apparentemente visibile: il corpo umano, il volto, la figura, il paesaggio, la luce.
Radicato nella visione oculare, Il potere analogico della fotografia li sospinge ad esplorare il territorio d’inedite forme sensibili, rivelando attraverso la perdita d’identità dei soggetti ritratti il sottile mistero del Reale Visibile.
Filippo Guerrieri interroga la realtà del volto umano: i visi delle persone appaiono come algidi paesaggi privi d’espressione, forme totemiche, simulacri d’identità. I suoi “volti senza volto” sono le immagini d’identità latenti, specchi che riflettono chi li ritrae e chi li osserva. La straordinaria nitidezza delle sue immagini è una strategia atta paradossalmente a perdere l’identità del soggetto, piuttosto che il mezzo utile a rivelarla. Noi osserviamo i gusci di vuote crisalidi, le maschere di volti dell’inconscio: strutture inquietanti, più reali del reale.
Roberta Levi esplora il corpo umano e lo spazio attraverso frammenti e traguardi, feritoie e ritagli dello sguardo che rimandano a figure organiche, immagini profonde, realtà occulte di ciò che sta oltre, al di là della pelle. Il corpo umano e il volto scompaiono nelle cecità di uno sguardo vincolato e costretto al respiro dell’artista. Attraverso esposizioni lunghissime, le sommatorie di tempi dilatati d’osservazione al buio, cattura “immagini che non conosce, immaginazioni inconsapevoli”: gli intimi e silenziosi frammenti di una cieca visione. E’ dunque nel buio la possibilità di rivelare la luce interiore, attraverso lo sguardo rivolto all’Altro da sé.
Esther Mathis utilizza la luce non come strumento della visione, ma piuttosto come campo in cui generare la scomparsa e la perdita dei suoi soggetti, oppure per coltivarne la chance di una possibile apparizione.
”Essere ciechi in un mondo bianco dove la luce non aiuta a vedere”, nella nebbia in cui affondano i lontani soggetti di sperduti paesaggi, è la condizione per instaurare rapporti, sentimenti, partecipazioni sospese, sottili perdite di coscienza. Così la neve è metafora della condizione interiore d’attesa, della solitudine e dell’immobilità, della lenta, dolce, inesorabile ricopertura di tutto il visibile. “Creare il vuoto per ricominciare da zero”, oppure perdersi e scomparire, per sempre, nel cammino cieco del bianco totale.
Yusuke Nishimura declina ed esplora l’intima soglia tra il Tempo e la Luce, scrivendo con essi immagini in cui lo spazio, apparentemente, svanisce. La sapiente fusione del processo foto-chimico con quello digitale, così come di quello additivo con quello sottrattivo, gli consentono di sviluppare un linguaggio sublime, creato dalla dilatazione del Tempo d’osservazione e dalla percezione della luce naturale, catturata, decifrata, interpretata e riscritta nelle forme d’immateriali poesie visive. allusioni incorporee all’alterità, oltre il visibile. Le sue immagini sono rappresentazioni di un equilibrio immanente che alludono ad un presente infinito nell’instabile, fluido dominio dell’umana esperienza.
Mostra realizzata in collaborazione con l'Istituto IED di Milano.
Oscar Wilde
La Fotografia è uno straordinario strumento d’interpretazione del Reale visibile. Attraverso l’apparente, essa è in grado di sfidare la percezione retinica della Realtà e produrre forme sensibili del non visibile.
Il Mistero del Mondo esplora, attraverso il lavoro di quattro giovani artisti- fotografi internazionali, la ricerca del sovra sensibile mediante gli strumenti del visibile.
Silvio Wolf ha selezionato l’opera di Filippo Guerrieri, Roberta Levi, Esther Mathis e Yusuke Nishimura avendo seguito la loro formazione artistica presso l’Istituto Europeo di Design di Milano e la School of Visual Arts di New York come loro Docente e relatore di Tesi.
Una magica consonanza lega il loro sottile e misterioso approccio al Reale Visibile alla poetica dell’artista, nella piena autonomia delle loro scelte stilistiche e delle forme espressive: un incontro ed un percorso di ricerca affascinanti che hanno dato vita all’idea della mostra.
Questi giovani artisti utilizzano con modalità differenti il mezzo fotografico, anche associato all’uso dell’immagine video, agendo sulla vibratile soglia tra apparizione e scomparsa, fissità e movimento, presenza ed assenza. Nel loro percorso il referente può anche svanire, allontanato e rimosso dalla percezione retinica attraverso un processo mentale che lo restituisce allo sguardo in forme oniriche e memorative fortemente interiorizzate (Levi, Mathis), smaterializzato ed astratto (Nishimura), oppure occultato nelle ingannevoli ed iper-reali sembianze della cruda rappresentazione esteriore (Guerrieri).
Con strategie diverse essi esplorano ciò che è più familiare ed apparentemente visibile: il corpo umano, il volto, la figura, il paesaggio, la luce.
Radicato nella visione oculare, Il potere analogico della fotografia li sospinge ad esplorare il territorio d’inedite forme sensibili, rivelando attraverso la perdita d’identità dei soggetti ritratti il sottile mistero del Reale Visibile.
Filippo Guerrieri interroga la realtà del volto umano: i visi delle persone appaiono come algidi paesaggi privi d’espressione, forme totemiche, simulacri d’identità. I suoi “volti senza volto” sono le immagini d’identità latenti, specchi che riflettono chi li ritrae e chi li osserva. La straordinaria nitidezza delle sue immagini è una strategia atta paradossalmente a perdere l’identità del soggetto, piuttosto che il mezzo utile a rivelarla. Noi osserviamo i gusci di vuote crisalidi, le maschere di volti dell’inconscio: strutture inquietanti, più reali del reale.
Roberta Levi esplora il corpo umano e lo spazio attraverso frammenti e traguardi, feritoie e ritagli dello sguardo che rimandano a figure organiche, immagini profonde, realtà occulte di ciò che sta oltre, al di là della pelle. Il corpo umano e il volto scompaiono nelle cecità di uno sguardo vincolato e costretto al respiro dell’artista. Attraverso esposizioni lunghissime, le sommatorie di tempi dilatati d’osservazione al buio, cattura “immagini che non conosce, immaginazioni inconsapevoli”: gli intimi e silenziosi frammenti di una cieca visione. E’ dunque nel buio la possibilità di rivelare la luce interiore, attraverso lo sguardo rivolto all’Altro da sé.
Esther Mathis utilizza la luce non come strumento della visione, ma piuttosto come campo in cui generare la scomparsa e la perdita dei suoi soggetti, oppure per coltivarne la chance di una possibile apparizione.
”Essere ciechi in un mondo bianco dove la luce non aiuta a vedere”, nella nebbia in cui affondano i lontani soggetti di sperduti paesaggi, è la condizione per instaurare rapporti, sentimenti, partecipazioni sospese, sottili perdite di coscienza. Così la neve è metafora della condizione interiore d’attesa, della solitudine e dell’immobilità, della lenta, dolce, inesorabile ricopertura di tutto il visibile. “Creare il vuoto per ricominciare da zero”, oppure perdersi e scomparire, per sempre, nel cammino cieco del bianco totale.
Yusuke Nishimura declina ed esplora l’intima soglia tra il Tempo e la Luce, scrivendo con essi immagini in cui lo spazio, apparentemente, svanisce. La sapiente fusione del processo foto-chimico con quello digitale, così come di quello additivo con quello sottrattivo, gli consentono di sviluppare un linguaggio sublime, creato dalla dilatazione del Tempo d’osservazione e dalla percezione della luce naturale, catturata, decifrata, interpretata e riscritta nelle forme d’immateriali poesie visive. allusioni incorporee all’alterità, oltre il visibile. Le sue immagini sono rappresentazioni di un equilibrio immanente che alludono ad un presente infinito nell’instabile, fluido dominio dell’umana esperienza.
Mostra realizzata in collaborazione con l'Istituto IED di Milano.
31
ottobre 2009
Il mistero del mondo
Dal 31 ottobre 2009 al 06 febbraio 2010
fotografia
arte contemporanea
giovane arte
arte contemporanea
giovane arte
Location
JARACH GALLERY
Venezia, Campo San Fantin (San Marco), 1997, (Venezia)
Venezia, Campo San Fantin (San Marco), 1997, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì a sabato
10-14 e 15-19
Vernissage
31 Ottobre 2009, ore 18.00
Autore
Curatore