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Il mondo in presenza di cose
Il mondo in presenza di cose offre una selezione di opere che interrogano la loro “cosificazione” così come il loro rapporto con il mondo reale
Comunicato stampa
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Una cosa detta con altre parole, o in altre lingue, rimane sempre la stessa? Oppure cambia a seconda della cultura e della società che la nomina e la giudica? Ma soprattutto, cos’è questa “cosa”?
Edgar Allan Poe definiva la Cosa come l’incarnazione del terrore. Lo scrittore cercava di spiegarci che l’apparizione di questa Cosa sarebbe stata (sia per i lettori che per i protagonisti delle sue storie) una liberazione. Sennonché la Cosa si lascia sempre desiderare, prolunga la sua attesa e alla fine non si rivela quasi mai. Se potessimo toccare il fondo del terrore – o se preferiamo dire del “perturbante”, terminologia che ben si attaglia alle arti visive degli ultimi secoli – sicuramente la nostra ansia svanirebbe.
La cosa intesa nella sua piena materialità lenisce quindi la paura, ma non per questo riesce a rassicurarci completamente. Pensiamo alle arti visive, le quali rendono concrete le “cose” dispensandole dall’obbligo di appartenere veramente al mondo fenomenico. Di fronte a certe opere, lo sguardo estraniato ed esterrefatto dello spettatore, e talvolta la sua incapacità di relazionarsi con esse, è un evidente segnale di pervertimento. Vale a dire: benché il mondo sia il contenitore, non vale qui il processo metonimico, il contenuto non è cioè la sua diretta espressione. Ne è semmai un’alterazione, un’altercazione, un’interdizione…
L’arte è un mondo a sé, specchio de-formato o ri-formato della realtà. La cosa/oggetto/opera c’è, esiste, ma non deve necessariamente render conto al mondo in cui viviamo, e a cui chiediamo continuamente delle risposte. Nell’arte la Cosa non è mai ciò che crediamo che sia: la Cosa è un’entità proteiforme.
Il mondo in presenza di cose offre una selezione di opere che interrogano la loro “cosificazione” così come il loro rapporto con il mondo reale. Il primo spunto ci è offerto da un polittico di Juan Carlos Ceci, paesaggio viscerale-sessuale, più ontologico che floreale; l’installazione di Luca Piovaccari si interroga invece sui cascami dell’ambiente naturale in rapporto all’inurbamento selvaggio; Andrea Scopetta progetta la casa perfetta per sé, immagine utopistica che non può (né dovrà) trovare corrispondenza nella realtà; Marco Di Giovanni crea ribaltamenti percettivi all’interno di sculture domestiche, mentre gli oggetti defunzionalizzati di Giovanni Termini e di Nero offrono una risignificazione alla normale destinazione d’uso; infine, un piccolo omaggio a Giorgio Morandi, alle sue bottiglie dai vetri dipinti, che in Francesco Bocchini diventano un simulacro doppiamente sur-reale, e che in Andrea Facco vengono smaterializzate in “immagini di immagini”.
Edgar Allan Poe definiva la Cosa come l’incarnazione del terrore. Lo scrittore cercava di spiegarci che l’apparizione di questa Cosa sarebbe stata (sia per i lettori che per i protagonisti delle sue storie) una liberazione. Sennonché la Cosa si lascia sempre desiderare, prolunga la sua attesa e alla fine non si rivela quasi mai. Se potessimo toccare il fondo del terrore – o se preferiamo dire del “perturbante”, terminologia che ben si attaglia alle arti visive degli ultimi secoli – sicuramente la nostra ansia svanirebbe.
La cosa intesa nella sua piena materialità lenisce quindi la paura, ma non per questo riesce a rassicurarci completamente. Pensiamo alle arti visive, le quali rendono concrete le “cose” dispensandole dall’obbligo di appartenere veramente al mondo fenomenico. Di fronte a certe opere, lo sguardo estraniato ed esterrefatto dello spettatore, e talvolta la sua incapacità di relazionarsi con esse, è un evidente segnale di pervertimento. Vale a dire: benché il mondo sia il contenitore, non vale qui il processo metonimico, il contenuto non è cioè la sua diretta espressione. Ne è semmai un’alterazione, un’altercazione, un’interdizione…
L’arte è un mondo a sé, specchio de-formato o ri-formato della realtà. La cosa/oggetto/opera c’è, esiste, ma non deve necessariamente render conto al mondo in cui viviamo, e a cui chiediamo continuamente delle risposte. Nell’arte la Cosa non è mai ciò che crediamo che sia: la Cosa è un’entità proteiforme.
Il mondo in presenza di cose offre una selezione di opere che interrogano la loro “cosificazione” così come il loro rapporto con il mondo reale. Il primo spunto ci è offerto da un polittico di Juan Carlos Ceci, paesaggio viscerale-sessuale, più ontologico che floreale; l’installazione di Luca Piovaccari si interroga invece sui cascami dell’ambiente naturale in rapporto all’inurbamento selvaggio; Andrea Scopetta progetta la casa perfetta per sé, immagine utopistica che non può (né dovrà) trovare corrispondenza nella realtà; Marco Di Giovanni crea ribaltamenti percettivi all’interno di sculture domestiche, mentre gli oggetti defunzionalizzati di Giovanni Termini e di Nero offrono una risignificazione alla normale destinazione d’uso; infine, un piccolo omaggio a Giorgio Morandi, alle sue bottiglie dai vetri dipinti, che in Francesco Bocchini diventano un simulacro doppiamente sur-reale, e che in Andrea Facco vengono smaterializzate in “immagini di immagini”.
09
ottobre 2010
Il mondo in presenza di cose
Dal 09 al 31 ottobre 2010
arte contemporanea
performance - happening
giovane arte
performance - happening
giovane arte
Location
COMBO
Perugia, Via Cartolari, 1/a, (Perugia)
Perugia, Via Cartolari, 1/a, (Perugia)
Orario di apertura
da martedì a domenica 15–02
Vernissage
9 Ottobre 2010, ore 19 e a seguire performance musicale del quartetto This Harmony
Autore
Curatore