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Il Novecento a Palazzo Franchetti
Dalla Metafisica di Giorgio de Chirico all’originale percorso di Giorgio Morandi, dal futurismo di Giacomo Balla al Surrealismo di René Magritte, dalla Bauhaus di Paul Klee alla New York di Franz Kline, dai colori di Joan Mirò alla materica arte di Leoncillo: la mostra riporta in vita i protagonisti del secolo scorso attraverso una serie di opere interpretate dalle loro stesse parole.
Comunicato stampa
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“Il Novecento a Palazzo Franchetti” con i Maestri del XX secolo. Dalla Metafisica di Giorgio de Chirico all'originale percorso di Giorgio Morandi, dal futurismo di Giacomo Balla al Surrealismo di René Magritte e Paul Delvaux, dalla Bauhaus di Paul Klee alla New York di Franz Kline, dai colori di Joan Mirò alla materica arte di Leoncillo e alle raffigurazioni arcaiche di Marino Marini: la mostra riporta in vita i protagonisti del secolo scorso attraverso una serie di opere interpretate dalle loro stesse parole. Un'occasione per interrogarsi sul futuro dell'arte stessa, che ad esempio secondo Giorgio de Chirico «sarà esattamente uguale a quello della poesia, della musica e della filosofia: creare sensazioni sconosciute in passato; spogliare l'arte del comune e dell'accettato, da qualsiasi soggetto a favore di una sintesi estetica», operazione non a caso eseguita alla lettera da Andy Warhol anni dopo. Una riflessione non solo sull'arte in se stessa, ma anche sulle grandi collezioni private di oggi.
Un percorso tra opere importanti e raramente viste, ma soprattutto un'occasione per riflettere sull'arte e sul suo futuro attraverso la voce dei protagonisti del Novecento. Un mormorio che si ode fin dalla prima sala, dove tra i tempi e i toni delle nature morte e dei paesaggi, le parole di Giorgio Morandi in un'intervista a The Voice of America del 1957, suggeriscono come «il compito educativo possibile delle arti figurative» sia «particolarmente nel tempo presente, quello di comunicare le immagini e i sentimenti che il mondo visibile suscita in noi». Una riflessione silenziosa interrotta solo dall'elogio alla velocità, al movimento e alla tecnologia di Giacomo Balla e di Gino Severini, protagonisti con le loro opere della sala successiva, dove emerge come «la pittura futurista nel distruggere l’immobilità in ogni cosa» venga «trasportata nell’impressionante caos dell’azione dinamica universale». Un movimento che risuona anche nei colori delle tele e nella «irruzione immediata dell'infinito nel finito» di Joan Mirò che fa da contraltare all'arte pacata di Paul Klee, presente con Die Rolle del 1930, realizzato durante uno degli ultimi anni di insegnamento alla Bauhaus, esperienza che concluderà nel 1931. L'atmosfera gioiosa ci trasporta altrove, in un omaggio a una Venezia di altri tempi che nella sua ripetizione differente guarda a Canaletto, ma anche nel mezzo di una piazza Metafisica dove la domanda diventa manifesta: «quale sarà lo scopo della pittura futura? Sarà esattamente uguale a quello della poesia, della musica e della filosofia: creare sensazioni sconosciute in passato; spogliare l'arte del comune e dell'accettato, da qualsiasi soggetto a favore di una sintesi estetica: sopprimere completamente l'uomo quale guida o come mezzo per esprimere dei simboli, delle sensazioni, dei pensieri, liberare la pittura una volta per tutte dall'antropomorfismo che soffoca la scultura; vedere ogni cosa, anche l'uomo, nella sua qualità di ogni “cosa”». Così Giorgio de Chirico parla dell'arte con qualità da veggente e fa da anticamera prima al Surrealismo e poi alla realizzazione del suo pensiero, resa manifesta molti anni dopo dal fenomeno della Pop Art. Affacciati sul Canal Grande, i capolavori iconici ed enigmatici di René Magritte, un'importante selezione di opere degli anni Quaranta e Cinquanta, fanno emergere come «il mistero di cui si tratta» sia «senza risposta per definizione». Entrando nella sala successiva, ci si sposta sull'asse della storia dell'arte che da Parigi fa di New York la capitale mondiale e che rompe dalla figurazione per proporre la nuova pittura che ha come protagonista l'astrazione. Sono gli anni dell'Espressionismo Astratto e di Franz Kline negli Stati Uniti a cui in Europa corrisponde la fase l'Informale, rappresentata da Georges Mathieu e da Leoncillo. È il trionfo dell'istintualità dove: «i volumi e il disegno non vanno cercati. Non voglio creare qui un vuoto e là un pieno, ma qui ho il bisogno di affondare le dita e togliere creta e là attaccarla addosso. E allora qui viene un vuoto e là un pieno, ma vengono, non li cerco io come tali», afferma lo stesso Leoncillo. Il percorso della mostra si conclude all'interno con la grande rivoluzione degli anni Sessanta e la sala dedicata ad Andy Warhol che realizza la profezia enunciata da Giorgio de Chirico, dichiarando come: «tutti i quadri debbano avere le stesse dimensioni e gli stessi colori, in modo che siano intercambiabili, e nessuno pensi di avere un quadro migliore o peggiore. E se uno è un capolavoro, lo sono tutti. E poi anche se il soggetto è diverso si dipinge sempre lo stesso quadro». A chiusura del percorso artistico della mostra, nel giardino con affaccio sul Canal Grande, vegliano su Palazzo Franchetti i totem di Roberto Sebastian Matta, guardiani di un futuro che è già oggi.
Un percorso tra opere importanti e raramente viste, ma soprattutto un'occasione per riflettere sull'arte e sul suo futuro attraverso la voce dei protagonisti del Novecento. Un mormorio che si ode fin dalla prima sala, dove tra i tempi e i toni delle nature morte e dei paesaggi, le parole di Giorgio Morandi in un'intervista a The Voice of America del 1957, suggeriscono come «il compito educativo possibile delle arti figurative» sia «particolarmente nel tempo presente, quello di comunicare le immagini e i sentimenti che il mondo visibile suscita in noi». Una riflessione silenziosa interrotta solo dall'elogio alla velocità, al movimento e alla tecnologia di Giacomo Balla e di Gino Severini, protagonisti con le loro opere della sala successiva, dove emerge come «la pittura futurista nel distruggere l’immobilità in ogni cosa» venga «trasportata nell’impressionante caos dell’azione dinamica universale». Un movimento che risuona anche nei colori delle tele e nella «irruzione immediata dell'infinito nel finito» di Joan Mirò che fa da contraltare all'arte pacata di Paul Klee, presente con Die Rolle del 1930, realizzato durante uno degli ultimi anni di insegnamento alla Bauhaus, esperienza che concluderà nel 1931. L'atmosfera gioiosa ci trasporta altrove, in un omaggio a una Venezia di altri tempi che nella sua ripetizione differente guarda a Canaletto, ma anche nel mezzo di una piazza Metafisica dove la domanda diventa manifesta: «quale sarà lo scopo della pittura futura? Sarà esattamente uguale a quello della poesia, della musica e della filosofia: creare sensazioni sconosciute in passato; spogliare l'arte del comune e dell'accettato, da qualsiasi soggetto a favore di una sintesi estetica: sopprimere completamente l'uomo quale guida o come mezzo per esprimere dei simboli, delle sensazioni, dei pensieri, liberare la pittura una volta per tutte dall'antropomorfismo che soffoca la scultura; vedere ogni cosa, anche l'uomo, nella sua qualità di ogni “cosa”». Così Giorgio de Chirico parla dell'arte con qualità da veggente e fa da anticamera prima al Surrealismo e poi alla realizzazione del suo pensiero, resa manifesta molti anni dopo dal fenomeno della Pop Art. Affacciati sul Canal Grande, i capolavori iconici ed enigmatici di René Magritte, un'importante selezione di opere degli anni Quaranta e Cinquanta, fanno emergere come «il mistero di cui si tratta» sia «senza risposta per definizione». Entrando nella sala successiva, ci si sposta sull'asse della storia dell'arte che da Parigi fa di New York la capitale mondiale e che rompe dalla figurazione per proporre la nuova pittura che ha come protagonista l'astrazione. Sono gli anni dell'Espressionismo Astratto e di Franz Kline negli Stati Uniti a cui in Europa corrisponde la fase l'Informale, rappresentata da Georges Mathieu e da Leoncillo. È il trionfo dell'istintualità dove: «i volumi e il disegno non vanno cercati. Non voglio creare qui un vuoto e là un pieno, ma qui ho il bisogno di affondare le dita e togliere creta e là attaccarla addosso. E allora qui viene un vuoto e là un pieno, ma vengono, non li cerco io come tali», afferma lo stesso Leoncillo. Il percorso della mostra si conclude all'interno con la grande rivoluzione degli anni Sessanta e la sala dedicata ad Andy Warhol che realizza la profezia enunciata da Giorgio de Chirico, dichiarando come: «tutti i quadri debbano avere le stesse dimensioni e gli stessi colori, in modo che siano intercambiabili, e nessuno pensi di avere un quadro migliore o peggiore. E se uno è un capolavoro, lo sono tutti. E poi anche se il soggetto è diverso si dipinge sempre lo stesso quadro». A chiusura del percorso artistico della mostra, nel giardino con affaccio sul Canal Grande, vegliano su Palazzo Franchetti i totem di Roberto Sebastian Matta, guardiani di un futuro che è già oggi.
10
giugno 2020
Il Novecento a Palazzo Franchetti
Dal 10 giugno al 10 luglio 2020
arte moderna e contemporanea
Location
PALAZZO FRANCHETTI
Venezia, San Marco, 2847, (Venezia)
Venezia, San Marco, 2847, (Venezia)
Biglietti
L'ingresso è gratuito e prevede la formula della visita guidata al prezzo di 7,00 Euro a persona. P
Orario di apertura
Su prenotazione: 333 1012415; tickets@acp-palazzofranchetti.com indicando i giorni e gli orari di preferenza.
Vernissage
10 Giugno 2020, riapertura post Covid