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Il Papero Rosso – Viaggio
Nessuno lo ha mai visto, nessuno sa chi sia. Usa un nome da fumetto, si sottrae evocando una improbabile natura: Il Papero ibrida fotografia e pittura, e ossessivamente le fonde sulle sue tavole
Comunicato stampa
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“L’arte contemporanea è piena di personaggi, più di quanti non siano gli artisti. Risponde alla logica del mercato, diciamo così, “post-moderno”: il personaggio raccoglie l’attenzione dei mass media, il semplice artista no. I mass media fanno salire le quotazioni, feticizzano i personaggi, finendo per feticizzare anche ciò che fanno, incluse le banalità più gratuite. Non si deve comprare l’arte, ma la reliquia del personaggio, si deve partecipare al culto collettivo di personalità che vogliono essere ritenute fuori dall’ordinario, secondo il vecchio clichè tardo-romantico del genio e sregolatezza, ancora prevalente.
Il Papero Rosso è un artista che ha rinunciato, più ancora che all’anagrafe, al personaggio. Un gesto che da solo è una dichiarazione di poetica, un’operazione intellettuale, controcorrente, forse anche provocatoria.” Vittorio Sgarbi
Nessuno lo ha mai visto, nessuno sa chi sia. Usa un nome da fumetto, si sottrae evocando una improbabile natura. I suoi quadri hanno raggiunto alte quotazioni, i collezionisti si sommano, i critici si interrogano e ne apprezzano le opere, rinunciando a decifrarne l’identità, molto ben celata, il suo gallerista di riferimento tace. Il “Papero Rosso” è un artista misterioso, enigmatico. E’ un artista singolare che, in tempi di sovraesposizioni e visibilità a tutti i costi, ha deciso di mostrare di sé solo ed esclusivamente il suo pensiero, i suoi quadri.
E non si tratta di una mera trovata pubblicitaria. Il Papero Rosso odia i preconcetti, il cicaleccio di alcuni ambienti artistici, il divismo applicato all’arte. Così non si mostra. Inutile cercare di carpire il suo segreto, scoprire chi sia, mistero condiviso solo con pochi intimi. Per mantenersi puro nella sua ricerca vuole essere presente solo con la forza delle sue grandi, potenti, inquietanti tele. Vittorio Sgarbi sottolinea e naturalmente approva: “Credo all’arte come espressione individuale, senza identificarla necessariamente con l’individualità anagrafica. Il Papero Rosso è un’individualità d’espressione, netta, lampante, indiscutibile.”
Il Papero ibrida fotografia e pittura, e ossessivamente le fonde sulle sue tavole.
Fraziona un’immagine di vita quotidiana (corridori in bicicletta, bagnanti in piscina, un luna park, il tendone di un circo, l’autogrill di un’autostrada…) con l’ombra di sè che osserva ( o è un altro?) e “opera uno stripping sull’immagine iperrealista, sezionandola in strisce uguali, lunghe e strette, che vengono ricomposte secondo una cadenza binaria alternata (a-b-a-b…), abbinando il piano oggettivo della visione e quello soggettivo di colui che vede e riproduce, ottenendo in questo modo quella che tecnicamente si chiamerebbe un’immagine di interferenza….”
La presenza della realtà esterna intercalata dall’immagine di chi la guarda crea un gioco di specchi intrigante e ambiguo, quasi frames subliminali di una pellicola cinematografica.
La mostra-evento di oggi , volutamente installata in un luogo lontano da musei e gallerie, un asettico edificio ex-industriale che prende vita dalla installazione, porta all’attenzione del pubblico un artista senza nome e senza volto, eppure già molto noto e quotato, e le sue ultime opere, puzzle di quotidiana realtà ritmati dal misterioso osservatore, con un effetto cinetico, di statico movimento che si presta a mille interpretazioni.
4 domande a il PAPERO ROSSO
- Il suo nome resta un mistero. Per tutti lei è “Il Papero Rosso”. Perché?
La scelta di usare uno pseudonimo nasce da una precisa volontà di allontanare e separare il mio lavoro dalla mia persona. Non amo la sovrapposizione tra la mia immagine e ciò che faccio. L’idea di esistere con uno pseudonimo credo permetta ai quadri di avere una visibilità e un’attenzione non “disturbata” da altri fattori.
- Il tema del “viaggio”, sia come spazio fisico che come iter emotivo, è ricorrente. Cosa rappresenta per lei questa dimensione?
Per me la dimensione del viaggio è fondamentale. E’ una tregua possibile da un disagio permanente dovuta a una difficoltà d’identità e di spaesamento continuo in un mondo dove diventa difficile un’aderenza totale alle cose. Paradossalmente, questo spostarsi, rende possibile aderire più profondamente alle cose.
- C’è un’altra costante nella sua ricerca artistica, evidente soprattutto nei primi lavori: gli animali e più in generale la Natura. E’ un tema esaurito per Il Papero Rosso o una ricerca che continua?
Indagare l’orrore che mi suscita l’uomo nel distruggere la natura e la violenza subita dagli animali, fra l’indifferenza dei più, saranno i temi centrali del mio prossimo lavoro.
- Le sue opere utilizzano sia la pittura che la fotografia attraverso una
tecnica molto personale, quasi cinematografica. Come ha sviluppato questo linguaggio di contaminazione stilistica?
Credo che, come per tutti la tecnica nasca dietro il lavoro. Ne è il necessario vettore, l’unico capace di portare quella tua emozione in quel preciso punto con quella precisa forma.
Il Papero Rosso, la realtà sfrangiata.
Non dirò, come altri hanno fatto, che trovo imbarazzo nel parlare di un artista che si nasconde dietro un nome d’arte, anche se nella fattispecie si tratta di un nome buffo come quello di un personaggio dei cartoni animati.
Credo all’arte come espressione individuale, senza identificarla necessariamente con l’individualità anagrafica. Il Papero Rosso è un’individualità d’espressione, netta, lampante, indiscutibile. Mi basta. Se dietro il pseudonimo si nasconde una persona che all’anagrafe ordinaria risulta chiamarsi in un modo o nell’altro, è cosa che, dal punto di vista strettamente artistico, dovrebbe esserci indifferente. Per l’anagrafe dell’arte, Il Papero Rosso è Il Papero Rosso, senza bisogno di altro. A meno di non voler cercare qualcosa di diverso dall’artista: il personaggio.
L’arte contemporanea é piena di personaggi, più di quanti non siano gli artisti. Risponde alla logica del mercato, diciamo così, “post-moderno”: il personaggio raccoglie l’attenzione dei mass media, il semplice artista no. I mass media fanno salire le quotazioni, feticizzano i personaggi, finendo per feticizzare anche ciò che fanno, incluse le banalità più gratuite. Non si deve comprare l’arte, ma la reliquia del personaggio, si deve partecipare al culto collettivo di personalità che vogliono essere ritenute fuori dall’ordinario, secondo il vecchio clichè tardo-romantico del genio e sregolatezza, ancora prevalente.
Il Papero Rosso è un artista che ha rinunciato, più ancora che all’anagrafe, al personaggio. Un gesto che da solo è una dichiarazione di poetica, un’operazione intellettuale, controcorrente, forse anche provocatoria. Perché quando un artista vuole nascondersi dietro un nome d’arte, per pudore o per divertimento, cerca di darselo da quel personaggio che non è, e che vorrebbe essere. Il Papero Rosso, invece, si è cercato un nome da anti-personaggio, da cartone animato. Uno schiaffo al culto della personalità dell’artista. Chi è che potrebbe dire, vedendo una sua opera, “mi piace questo Papero Rosso”, senza sentirsi ridicolo? Se però, all’imbarazzo iniziale, si fa seguire la riflessione, quel nome buffo può aiutarci a capire che, in realtà, i cartoni animati li fanno altri, i tanti, troppi personaggi dell’arte, compresi gli operatori del settore con ambizioni di “fuori dall’ordinario” analoghe a quelle degli artisti (come non pensare a un tipo dall’altezza dimezzata e dal cognome doppio, quello che viene in mente a tutti, molto più cartone animato di quanto non sia mai stato, né mai sarà Paperino?). D’altra parte la realtà supera l’immaginazione se qualcuno solo ricorda il nome di un pittore surrealista italiano: Colombotto Rosso.
Ammettiamolo: dovremmo sentirci ridicoli nel dire che ci piacciono le opere non del Papero Rosso, ma di certi vuoti personaggi, dal discutibilissimo talento artistico e intellettuale, tali solo perché promossi da altri vuoti personaggi. Col che comprendiamo un paradosso solo apparente: già dal nome, primo punto della sua proposta estetica, Il Papero Rosso è per la serietà dell’arte, rigorosamente, contro la seriosità della non-arte. Pretesa che le opere del Papero Rosso, le uniche legittimate a testimoniare della sua personalità artistica, dichiarano del tutto giustificata.
Il presupposto storico e concettuale alla base dell’arte del Papero Rosso fa riferimento all’esperienza iperrealista. Non tanto per gli esiti pittorici, che sarebbero solo parzialmente assimilabili ai modi canonici dell’Iperrealismo (alludo, in particolare, a quello storico degli anni Settanta-Ottanta, d’area prevalentemente americana), quanto per il rapporto che l’artista stabilisce, in questa esperienza, con il mezzo fotografico. L’artista riconosce alla fotografia, alla sua natura meccanica, la capacità di riprodurre il mondo secondo un’oggettività che è negata alla percezione umana, condizionata dal fattore emotivo. La fotografia, quindi, è il vero occhio della modernità, razionale, neutrale, la grande madre della comunicazione visiva nell’epoca dei mass media. E’ un ribaltamento della prospettiva, a lungo dominante nella storia dell’arte e ancora prevalente nella mentalità comune, per la quale la pittura è stata ritenuta superiore alla fotografia, sulla base, più ancora che della maggiore capacità manuale, della maggiore libertà espressiva che concederebbe all’autore.
All’artista moderno che si proponga di rappresentare la realtà non resta, quindi, che assecondare la tecnica fotografica, fino a mimetizzarsi quanto più possibile in essa, mostrandosi riconoscibile come altro da essa solo a distanza ravvicinata. Il massimo che viene chiesto alla pittura é di rinnegarsi, di fare in modo - sublime perversione - che la manualità più sofisticata di un artista venga scambiata per l’automatismo di una macchina. Solo la tecnica a primeggiare, inarrivabile, “disumanizzata”, a spese della libera, umanissima, ma fallace soggettività.
Le opere del Papero Rosso, come abbiamo detto, non hanno però l’aspetto abituale delle opere iperrealiste. In un certo senso, anzi, ne sono la negazione, se è vero che una delle caratteristiche più comuni della pittura iperrealista è quella di creare immagini di facile percezione, immediatamente riconoscibili per ciò che rappresentano. Il Papero Rosso, invece, complica le cose, e non poco: opera uno stripping sull’immagine iperrealista, sezionandola in strisce uguali, lunghe e strette, che vengono ricomposte secondo una cadenza binaria alternata (a-b-a-b…), abbinando il piano oggettivo della visione e quello soggettivo di colui che vede e riproduce, ottenendo in questo modo quella che tecnicamente si chiamerebbe un’immagine di interferenza. L’effetto è simile a quello di moiré che certa arte optical degli anni Sessanta otteneva dall’incrocio di due pattern (si pensi, per esempio, a Yaacov Agam, Carlos Cruz-Diez, Jesus Raphael Soto), ma trasposto in figurazione, quando quell’arte era invece ciò che di più astratto e geometrico si potesse concepire.
Sicché la moiré figurativa finisce per corrispondere a un corto circuito della percezione che dai sensi si proietta sulla mente, determinando in noi l’incapacità di cogliere la continuità in ciò che vediamo. La macchina è difettosa, la fotografia, che doveva garantire l’oggettività, ha mancato il traguardo, così come l’iperrealismo, che ci aveva promesso chiarezza d’immagine. La realtà è sfrangiata, sfalsata, anche nelle sue apparenze, che in teoria dovrebbero essere più docili delle loro sostanze corrispondenti.
L’utopia di una rappresentazione realistica del mondo, quanto più diretta possibile, ne risulta seriamente incrinata. Vedere in questo modo ci genera un senso di straniamento, forse anche di delusione e frustrazione, per la promessa non mantenuta. La metafora, che entra direttamente nel merito della condizione dell’uomo contemporaneo, è evidente: dobbiamo guardarci dall’illusione, tipicamente moderna, che i mezzi meccanici di riproduzione visiva ci garantiscano il controllo della realtà. Non solo perché la realtà è molto più sfuggente di quanto non siano le sue apparenze, ma perché dietro i mezzi meccanici ci sono gli uomini, con il loro vissuto individuale, con le loro umanissime parzialità. Non ci sarà mai coincidenza fra l’occhio umano e l’obbiettivo di una macchina, ci sarà sempre un livello di sfasamento, una frizione. Il quadro, come si dice dei televisori, rimarrà sempre non regolato alla perfezione, nessuna manopola sarà in grado di ripristinare l’immagine ottimale. Il virtuale non sarà mai il reale, il soggettivo non sarà mai oggettivo. La pittura è il campo, fisico e intellettuale, che ristabilisce queste distanze, riproponendo l’insanabilità dell’interferenza, se non, addirittura, la sua necessità. Vedere, con gli occhi come con la mente, è sempre interferire, incrociare, attraversare, altro gli umani non possono fare.
Se Il Papero Rosso voleva convincerci che è meglio un artista nascosto dietro un nome da cartone animato, piuttosto che un cartone animato nascosto nelle sembianze di un artista, ci è riuscito perfettamente. Che non si levi mai il costume da Zorro, i Don Diego in borghese non interessano a nessuno. Che rimanga sempre, qualunque cosa realizzi in futuro, un artista: è di loro che abbiamo bisogno, non di personaggi.
Il Papero Rosso è un artista che ha rinunciato, più ancora che all’anagrafe, al personaggio. Un gesto che da solo è una dichiarazione di poetica, un’operazione intellettuale, controcorrente, forse anche provocatoria.” Vittorio Sgarbi
Nessuno lo ha mai visto, nessuno sa chi sia. Usa un nome da fumetto, si sottrae evocando una improbabile natura. I suoi quadri hanno raggiunto alte quotazioni, i collezionisti si sommano, i critici si interrogano e ne apprezzano le opere, rinunciando a decifrarne l’identità, molto ben celata, il suo gallerista di riferimento tace. Il “Papero Rosso” è un artista misterioso, enigmatico. E’ un artista singolare che, in tempi di sovraesposizioni e visibilità a tutti i costi, ha deciso di mostrare di sé solo ed esclusivamente il suo pensiero, i suoi quadri.
E non si tratta di una mera trovata pubblicitaria. Il Papero Rosso odia i preconcetti, il cicaleccio di alcuni ambienti artistici, il divismo applicato all’arte. Così non si mostra. Inutile cercare di carpire il suo segreto, scoprire chi sia, mistero condiviso solo con pochi intimi. Per mantenersi puro nella sua ricerca vuole essere presente solo con la forza delle sue grandi, potenti, inquietanti tele. Vittorio Sgarbi sottolinea e naturalmente approva: “Credo all’arte come espressione individuale, senza identificarla necessariamente con l’individualità anagrafica. Il Papero Rosso è un’individualità d’espressione, netta, lampante, indiscutibile.”
Il Papero ibrida fotografia e pittura, e ossessivamente le fonde sulle sue tavole.
Fraziona un’immagine di vita quotidiana (corridori in bicicletta, bagnanti in piscina, un luna park, il tendone di un circo, l’autogrill di un’autostrada…) con l’ombra di sè che osserva ( o è un altro?) e “opera uno stripping sull’immagine iperrealista, sezionandola in strisce uguali, lunghe e strette, che vengono ricomposte secondo una cadenza binaria alternata (a-b-a-b…), abbinando il piano oggettivo della visione e quello soggettivo di colui che vede e riproduce, ottenendo in questo modo quella che tecnicamente si chiamerebbe un’immagine di interferenza….”
La presenza della realtà esterna intercalata dall’immagine di chi la guarda crea un gioco di specchi intrigante e ambiguo, quasi frames subliminali di una pellicola cinematografica.
La mostra-evento di oggi , volutamente installata in un luogo lontano da musei e gallerie, un asettico edificio ex-industriale che prende vita dalla installazione, porta all’attenzione del pubblico un artista senza nome e senza volto, eppure già molto noto e quotato, e le sue ultime opere, puzzle di quotidiana realtà ritmati dal misterioso osservatore, con un effetto cinetico, di statico movimento che si presta a mille interpretazioni.
4 domande a il PAPERO ROSSO
- Il suo nome resta un mistero. Per tutti lei è “Il Papero Rosso”. Perché?
La scelta di usare uno pseudonimo nasce da una precisa volontà di allontanare e separare il mio lavoro dalla mia persona. Non amo la sovrapposizione tra la mia immagine e ciò che faccio. L’idea di esistere con uno pseudonimo credo permetta ai quadri di avere una visibilità e un’attenzione non “disturbata” da altri fattori.
- Il tema del “viaggio”, sia come spazio fisico che come iter emotivo, è ricorrente. Cosa rappresenta per lei questa dimensione?
Per me la dimensione del viaggio è fondamentale. E’ una tregua possibile da un disagio permanente dovuta a una difficoltà d’identità e di spaesamento continuo in un mondo dove diventa difficile un’aderenza totale alle cose. Paradossalmente, questo spostarsi, rende possibile aderire più profondamente alle cose.
- C’è un’altra costante nella sua ricerca artistica, evidente soprattutto nei primi lavori: gli animali e più in generale la Natura. E’ un tema esaurito per Il Papero Rosso o una ricerca che continua?
Indagare l’orrore che mi suscita l’uomo nel distruggere la natura e la violenza subita dagli animali, fra l’indifferenza dei più, saranno i temi centrali del mio prossimo lavoro.
- Le sue opere utilizzano sia la pittura che la fotografia attraverso una
tecnica molto personale, quasi cinematografica. Come ha sviluppato questo linguaggio di contaminazione stilistica?
Credo che, come per tutti la tecnica nasca dietro il lavoro. Ne è il necessario vettore, l’unico capace di portare quella tua emozione in quel preciso punto con quella precisa forma.
Il Papero Rosso, la realtà sfrangiata.
Non dirò, come altri hanno fatto, che trovo imbarazzo nel parlare di un artista che si nasconde dietro un nome d’arte, anche se nella fattispecie si tratta di un nome buffo come quello di un personaggio dei cartoni animati.
Credo all’arte come espressione individuale, senza identificarla necessariamente con l’individualità anagrafica. Il Papero Rosso è un’individualità d’espressione, netta, lampante, indiscutibile. Mi basta. Se dietro il pseudonimo si nasconde una persona che all’anagrafe ordinaria risulta chiamarsi in un modo o nell’altro, è cosa che, dal punto di vista strettamente artistico, dovrebbe esserci indifferente. Per l’anagrafe dell’arte, Il Papero Rosso è Il Papero Rosso, senza bisogno di altro. A meno di non voler cercare qualcosa di diverso dall’artista: il personaggio.
L’arte contemporanea é piena di personaggi, più di quanti non siano gli artisti. Risponde alla logica del mercato, diciamo così, “post-moderno”: il personaggio raccoglie l’attenzione dei mass media, il semplice artista no. I mass media fanno salire le quotazioni, feticizzano i personaggi, finendo per feticizzare anche ciò che fanno, incluse le banalità più gratuite. Non si deve comprare l’arte, ma la reliquia del personaggio, si deve partecipare al culto collettivo di personalità che vogliono essere ritenute fuori dall’ordinario, secondo il vecchio clichè tardo-romantico del genio e sregolatezza, ancora prevalente.
Il Papero Rosso è un artista che ha rinunciato, più ancora che all’anagrafe, al personaggio. Un gesto che da solo è una dichiarazione di poetica, un’operazione intellettuale, controcorrente, forse anche provocatoria. Perché quando un artista vuole nascondersi dietro un nome d’arte, per pudore o per divertimento, cerca di darselo da quel personaggio che non è, e che vorrebbe essere. Il Papero Rosso, invece, si è cercato un nome da anti-personaggio, da cartone animato. Uno schiaffo al culto della personalità dell’artista. Chi è che potrebbe dire, vedendo una sua opera, “mi piace questo Papero Rosso”, senza sentirsi ridicolo? Se però, all’imbarazzo iniziale, si fa seguire la riflessione, quel nome buffo può aiutarci a capire che, in realtà, i cartoni animati li fanno altri, i tanti, troppi personaggi dell’arte, compresi gli operatori del settore con ambizioni di “fuori dall’ordinario” analoghe a quelle degli artisti (come non pensare a un tipo dall’altezza dimezzata e dal cognome doppio, quello che viene in mente a tutti, molto più cartone animato di quanto non sia mai stato, né mai sarà Paperino?). D’altra parte la realtà supera l’immaginazione se qualcuno solo ricorda il nome di un pittore surrealista italiano: Colombotto Rosso.
Ammettiamolo: dovremmo sentirci ridicoli nel dire che ci piacciono le opere non del Papero Rosso, ma di certi vuoti personaggi, dal discutibilissimo talento artistico e intellettuale, tali solo perché promossi da altri vuoti personaggi. Col che comprendiamo un paradosso solo apparente: già dal nome, primo punto della sua proposta estetica, Il Papero Rosso è per la serietà dell’arte, rigorosamente, contro la seriosità della non-arte. Pretesa che le opere del Papero Rosso, le uniche legittimate a testimoniare della sua personalità artistica, dichiarano del tutto giustificata.
Il presupposto storico e concettuale alla base dell’arte del Papero Rosso fa riferimento all’esperienza iperrealista. Non tanto per gli esiti pittorici, che sarebbero solo parzialmente assimilabili ai modi canonici dell’Iperrealismo (alludo, in particolare, a quello storico degli anni Settanta-Ottanta, d’area prevalentemente americana), quanto per il rapporto che l’artista stabilisce, in questa esperienza, con il mezzo fotografico. L’artista riconosce alla fotografia, alla sua natura meccanica, la capacità di riprodurre il mondo secondo un’oggettività che è negata alla percezione umana, condizionata dal fattore emotivo. La fotografia, quindi, è il vero occhio della modernità, razionale, neutrale, la grande madre della comunicazione visiva nell’epoca dei mass media. E’ un ribaltamento della prospettiva, a lungo dominante nella storia dell’arte e ancora prevalente nella mentalità comune, per la quale la pittura è stata ritenuta superiore alla fotografia, sulla base, più ancora che della maggiore capacità manuale, della maggiore libertà espressiva che concederebbe all’autore.
All’artista moderno che si proponga di rappresentare la realtà non resta, quindi, che assecondare la tecnica fotografica, fino a mimetizzarsi quanto più possibile in essa, mostrandosi riconoscibile come altro da essa solo a distanza ravvicinata. Il massimo che viene chiesto alla pittura é di rinnegarsi, di fare in modo - sublime perversione - che la manualità più sofisticata di un artista venga scambiata per l’automatismo di una macchina. Solo la tecnica a primeggiare, inarrivabile, “disumanizzata”, a spese della libera, umanissima, ma fallace soggettività.
Le opere del Papero Rosso, come abbiamo detto, non hanno però l’aspetto abituale delle opere iperrealiste. In un certo senso, anzi, ne sono la negazione, se è vero che una delle caratteristiche più comuni della pittura iperrealista è quella di creare immagini di facile percezione, immediatamente riconoscibili per ciò che rappresentano. Il Papero Rosso, invece, complica le cose, e non poco: opera uno stripping sull’immagine iperrealista, sezionandola in strisce uguali, lunghe e strette, che vengono ricomposte secondo una cadenza binaria alternata (a-b-a-b…), abbinando il piano oggettivo della visione e quello soggettivo di colui che vede e riproduce, ottenendo in questo modo quella che tecnicamente si chiamerebbe un’immagine di interferenza. L’effetto è simile a quello di moiré che certa arte optical degli anni Sessanta otteneva dall’incrocio di due pattern (si pensi, per esempio, a Yaacov Agam, Carlos Cruz-Diez, Jesus Raphael Soto), ma trasposto in figurazione, quando quell’arte era invece ciò che di più astratto e geometrico si potesse concepire.
Sicché la moiré figurativa finisce per corrispondere a un corto circuito della percezione che dai sensi si proietta sulla mente, determinando in noi l’incapacità di cogliere la continuità in ciò che vediamo. La macchina è difettosa, la fotografia, che doveva garantire l’oggettività, ha mancato il traguardo, così come l’iperrealismo, che ci aveva promesso chiarezza d’immagine. La realtà è sfrangiata, sfalsata, anche nelle sue apparenze, che in teoria dovrebbero essere più docili delle loro sostanze corrispondenti.
L’utopia di una rappresentazione realistica del mondo, quanto più diretta possibile, ne risulta seriamente incrinata. Vedere in questo modo ci genera un senso di straniamento, forse anche di delusione e frustrazione, per la promessa non mantenuta. La metafora, che entra direttamente nel merito della condizione dell’uomo contemporaneo, è evidente: dobbiamo guardarci dall’illusione, tipicamente moderna, che i mezzi meccanici di riproduzione visiva ci garantiscano il controllo della realtà. Non solo perché la realtà è molto più sfuggente di quanto non siano le sue apparenze, ma perché dietro i mezzi meccanici ci sono gli uomini, con il loro vissuto individuale, con le loro umanissime parzialità. Non ci sarà mai coincidenza fra l’occhio umano e l’obbiettivo di una macchina, ci sarà sempre un livello di sfasamento, una frizione. Il quadro, come si dice dei televisori, rimarrà sempre non regolato alla perfezione, nessuna manopola sarà in grado di ripristinare l’immagine ottimale. Il virtuale non sarà mai il reale, il soggettivo non sarà mai oggettivo. La pittura è il campo, fisico e intellettuale, che ristabilisce queste distanze, riproponendo l’insanabilità dell’interferenza, se non, addirittura, la sua necessità. Vedere, con gli occhi come con la mente, è sempre interferire, incrociare, attraversare, altro gli umani non possono fare.
Se Il Papero Rosso voleva convincerci che è meglio un artista nascosto dietro un nome da cartone animato, piuttosto che un cartone animato nascosto nelle sembianze di un artista, ci è riuscito perfettamente. Che non si levi mai il costume da Zorro, i Don Diego in borghese non interessano a nessuno. Che rimanga sempre, qualunque cosa realizzi in futuro, un artista: è di loro che abbiamo bisogno, non di personaggi.
07
maggio 2008
Il Papero Rosso – Viaggio
Dal 07 al 17 maggio 2008
arte contemporanea
Location
SUPERSTUDIO PIU’
Milano, Via Tortona, 27, (Milano)
Milano, Via Tortona, 27, (Milano)
Orario di apertura
11-21
Vernissage
7 Maggio 2008, ore 18.30
Autore
Curatore