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Il presente remoto come ombre di luce
La scrittura con la luce nasce ufficialmente nel periodo dell’euforia ottocentesca, nasce come fotografia tra le braccia della scienza e con una prudente accoglienza artistica.
Le antiche origini, dentro le primitive arti delle caverne, si perdono nel tempo.
Furono scritture incise nell’oscuro con
Comunicato stampa
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La scrittura con la luce nasce ufficialmente nel periodo dell'euforia ottocentesca, nasce come fotografia tra le braccia della scienza e con una prudente accoglienza artistica.
Le antiche origini, dentro le primitive arti delle caverne, si perdono nel tempo.
Furono scritture incise nell'oscuro con una punta arroventata, tra i riflessi del fuoco, dipinsero nel chiaro del sole dei segni in antri a lungo protetti dall'invasione dell'esterno.
Furono sapienti tracce di luce-buio, come insegnamenti silenziosi di bruciature del cielo, potenza di fulmini o altre forze naturali. Perchè rivangare in questa direzione?
Si sa che la storia sviluppa un seguito nel secolo successivo, il novecento, che vede la fotografia impegnata per definire identità e potenziare i suoi punti di forza, così come ad esempio la pittura si trova invece a fare i conti con mutamenti o rivisitazioni di funzione che il nuovo periodo richiede.
A distanza si può affermare che per entrambi i generi è avvenuto un inimmaginabile caos creativo che sbalordisce per la reciproca riuscita di consolidare identità e proficua collaborazione. Tutto ciò è un frammento per annodare le ricerche di foto e pittura senza dimenticarne l passaggi difficili, ostacolati da ostracismi pittorici, seducenti slanci di promozione creativa (Man Ray) fotografica e un' interessante ramificazione di settori ( foto documentaria, pittorialismo, etc.) e correnti (l'avventura dell'immagine nella pittura novecentesca).
E la luce? Sta nella sua ombra, il suo essere da sempre. È un trascorrere come possibilità delle cose, si fa chiamare traccia, scia che scivola nella materia di colore, sottolinea in trasparenza, ricompare, ma diversa
Ferite, "Scars", scandisce il titolo di una recentissima personale fotografica di Chiara Bonelli. La ricerca che la contraddistingue non concepisce più questo genere artistico come efficace rappresentazione del reale. Come fotografa declina anche la denominazione di artista. Le basta chiarire che intende mostrare le cose come lei vuole.
Di fatto la sua fotografia, che mette un po' in disparte lo scatto, rimanda al suo vissuto.
Abile e creativa, Chiara Bonelli segna nella sua mente i momenti troppo affannati, inafferrabili, che la attraversano come attimi fuggenti e non vissuti. Ognuno di essi lascia una ferita che si aggiunge alla sua geografia di cicatrici. Parla una storia femminile, una strada dalle figurazioni esasperate e dai richiami espressionistici.
Chiara Bonelli ama il raccogliersi nel nero della notte. Forse, in quel buio, è l'ombra della luce che disegna in lei i suoi ricordi.
Le grandi dimensioni della pittura di Angelo Petrucci stende un velo titanico sulle forti figure di nudi che un pennello 'espressionista' deforma e/o contiene entro confini controllati e rinforzati da listelli di legno.
Un classicismo del duemila stringe l'uomo (e la donna) in un gabbia tecnologica ma l'estetica petrucciana non è semplice denuncia.
È vero che i caldi colori terrosi dei corpi non trasmettono la vitalità di Gea, la terra madre.
Eppure quella staticità che paralizza può incrinarsi, e le membra muoversi, sciogliere un sangue congelato. Pare una ricerca pittorica, personale nella cifra stilistica, che in qualche
modo ravvisa la tematica della Bonelli.
Felipe Alarcon, madrileno di origine cubana, irrompe con le sue opere inquiete ed esplosive: sono micromondi creati da una penna abilissima nel disegno, stravagante nelle deformazioni e strabordante nell'ammasso poetico di personaggi, storie, raffinatezze decorative e chiassosità felice di colori.
È uno sperimentare che supera anche la nostra idea di contaminazione. Ci combina un 'pastiche' di collage,olio, acrilici, matita, acquerelli, un montaggio di ritratti, fotografia, stampa,schizzi, entro un insieme compositivo complesso e bidimensionale.
La sua poetica è teatro e dramma, visionaria, coraggiosa, e richiede una lettura a più livelli.
Come detto sopra anche la fotografia rientra serenamente nel mescolamento di generi e tecniche che questo artista costruisce.
Discepolo Girardi, avellinese che risiede a Napoli, è figlio d'arte ed è un pittore di mestiere e talento, oltre ad essere un bravo illustratore, scultore, esperto incisore e architetto di formazione.
La sua ricerca pittorica, tra i vari influssi, ricorda anche la freschezza dell'impressionismo, la sua pennellata veloce, l'idea dell'istante nel senso della più riuscita fotografia di tradizione documentaria.
Un sorprendente colorismo crea atmosfere luminose dove si nasconde l'architetto nelle pieghe di una magia che sfalda e rende irreale i suoi abitati; l'interpretazione di Discepolo Girardi si gioca su una capacità compositiva guidata da sicurezza cromatica rivista nel segno della scuola napoletana.
Le antiche origini, dentro le primitive arti delle caverne, si perdono nel tempo.
Furono scritture incise nell'oscuro con una punta arroventata, tra i riflessi del fuoco, dipinsero nel chiaro del sole dei segni in antri a lungo protetti dall'invasione dell'esterno.
Furono sapienti tracce di luce-buio, come insegnamenti silenziosi di bruciature del cielo, potenza di fulmini o altre forze naturali. Perchè rivangare in questa direzione?
Si sa che la storia sviluppa un seguito nel secolo successivo, il novecento, che vede la fotografia impegnata per definire identità e potenziare i suoi punti di forza, così come ad esempio la pittura si trova invece a fare i conti con mutamenti o rivisitazioni di funzione che il nuovo periodo richiede.
A distanza si può affermare che per entrambi i generi è avvenuto un inimmaginabile caos creativo che sbalordisce per la reciproca riuscita di consolidare identità e proficua collaborazione. Tutto ciò è un frammento per annodare le ricerche di foto e pittura senza dimenticarne l passaggi difficili, ostacolati da ostracismi pittorici, seducenti slanci di promozione creativa (Man Ray) fotografica e un' interessante ramificazione di settori ( foto documentaria, pittorialismo, etc.) e correnti (l'avventura dell'immagine nella pittura novecentesca).
E la luce? Sta nella sua ombra, il suo essere da sempre. È un trascorrere come possibilità delle cose, si fa chiamare traccia, scia che scivola nella materia di colore, sottolinea in trasparenza, ricompare, ma diversa
Ferite, "Scars", scandisce il titolo di una recentissima personale fotografica di Chiara Bonelli. La ricerca che la contraddistingue non concepisce più questo genere artistico come efficace rappresentazione del reale. Come fotografa declina anche la denominazione di artista. Le basta chiarire che intende mostrare le cose come lei vuole.
Di fatto la sua fotografia, che mette un po' in disparte lo scatto, rimanda al suo vissuto.
Abile e creativa, Chiara Bonelli segna nella sua mente i momenti troppo affannati, inafferrabili, che la attraversano come attimi fuggenti e non vissuti. Ognuno di essi lascia una ferita che si aggiunge alla sua geografia di cicatrici. Parla una storia femminile, una strada dalle figurazioni esasperate e dai richiami espressionistici.
Chiara Bonelli ama il raccogliersi nel nero della notte. Forse, in quel buio, è l'ombra della luce che disegna in lei i suoi ricordi.
Le grandi dimensioni della pittura di Angelo Petrucci stende un velo titanico sulle forti figure di nudi che un pennello 'espressionista' deforma e/o contiene entro confini controllati e rinforzati da listelli di legno.
Un classicismo del duemila stringe l'uomo (e la donna) in un gabbia tecnologica ma l'estetica petrucciana non è semplice denuncia.
È vero che i caldi colori terrosi dei corpi non trasmettono la vitalità di Gea, la terra madre.
Eppure quella staticità che paralizza può incrinarsi, e le membra muoversi, sciogliere un sangue congelato. Pare una ricerca pittorica, personale nella cifra stilistica, che in qualche
modo ravvisa la tematica della Bonelli.
Felipe Alarcon, madrileno di origine cubana, irrompe con le sue opere inquiete ed esplosive: sono micromondi creati da una penna abilissima nel disegno, stravagante nelle deformazioni e strabordante nell'ammasso poetico di personaggi, storie, raffinatezze decorative e chiassosità felice di colori.
È uno sperimentare che supera anche la nostra idea di contaminazione. Ci combina un 'pastiche' di collage,olio, acrilici, matita, acquerelli, un montaggio di ritratti, fotografia, stampa,schizzi, entro un insieme compositivo complesso e bidimensionale.
La sua poetica è teatro e dramma, visionaria, coraggiosa, e richiede una lettura a più livelli.
Come detto sopra anche la fotografia rientra serenamente nel mescolamento di generi e tecniche che questo artista costruisce.
Discepolo Girardi, avellinese che risiede a Napoli, è figlio d'arte ed è un pittore di mestiere e talento, oltre ad essere un bravo illustratore, scultore, esperto incisore e architetto di formazione.
La sua ricerca pittorica, tra i vari influssi, ricorda anche la freschezza dell'impressionismo, la sua pennellata veloce, l'idea dell'istante nel senso della più riuscita fotografia di tradizione documentaria.
Un sorprendente colorismo crea atmosfere luminose dove si nasconde l'architetto nelle pieghe di una magia che sfalda e rende irreale i suoi abitati; l'interpretazione di Discepolo Girardi si gioca su una capacità compositiva guidata da sicurezza cromatica rivista nel segno della scuola napoletana.
02
giugno 2012
Il presente remoto come ombre di luce
Dal 02 al 16 giugno 2012
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARIELE
Torino, Via Lauro Rossi, 9 c, (Torino)
Torino, Via Lauro Rossi, 9 c, (Torino)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 16-19,30
Vernissage
2 Giugno 2012, ore 18,00
Autore
Curatore