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Il velo di Maya
Una collettiva che indaga i diversi modi di vedere e di vivere il mondo, nella piena consapevolezza della soggettività deviatrice ma nella totale fiducia in un nucleo spirituale forte che tutti accomuna.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
ATTENZIONE: La mostra si svolge all'Atelier Chagall, Alzaia Naviglio Grande 4, Milano
Il velo di Maya
Spesso di fronte alla nostra percezione della realtà ci si trova ad affrontare il dilemma della sua veridicità. Ci si accorge che quello che pensiamo vero a volte non lo è oppure che quello che vediamo non corrisponde a quello che vede nelle stesso momento nello stesso luogo un’altra persona.
In Occidente sin dai tempi di Schopenauer si utilizza un’immagine orientale per descrivere quel velo che copre il reale, rendendo potenzialmente fallace ogni tentativo di interpretare il mondo: il velo di Maya.
Lungi dal voler pretenziosamente mostrare la sostanza delle cose gli artisti che vengono raccolti in questa collettiva danno delle suggestioni, dei suggerimenti per l’elaborazione di un discorso grazie alle potenzialità espressive della pittura, della scultura, della fotografia, della grafica.
Molti rappresentano le deformazioni implicite nella visione soggettiva: Angela Keller e il suo figurativo onirico; Michele Recluta e la deformazione del reale ad opera di una colorata immaginazione; Nadia Ginelli, Claudia Strà e Amira Redaelli e i loro soggetti che sfuggono ad una rappresentazione fissa; Vito Carta e i diversi piani del reale (umano naturale e architettonico) che si fondono e si confondono in un dialogo continuo.
Altri prediligono un riferimento al cuore palpiante dell’animo umano, non visibile ma forse anche per questo più facile da sentire nella sua Verità: Walter Mutton e i suoi abbracci, dove esiste tendenzialmente solo il riferimento alla grandezza del sentimento a scapito di ogni riferimento diretto alla figura; Simone Azzurrini e il continuo riferimento ad un’antichità storica in cui si poteva godere della vita a stretto contatto con lo Spirito senza le intrusioni di una prepotente Ragione; l’estrema Maeva Marrone e la rappresentazione della atomica sostanza delle cose.
Anna Maria Angelini è il punto di partenza giacché i suoi lavori sono una visione sulla sostanza stessa del velo di Maya, mentre Marco Post, oltre a rappresentare la Realtà quasi priva dei colori dell’iride, in uno dei suoi lavori ci rimanda indietro alle origini del Pensiero, al mito della caverna di Platone, che già quasi duemila e cinquecento anni fa sapeva dell’impossibilità di rappresentare il reale.
Se ciò che ci sfugge lo chiamiamo Idea o Realtà Ultima o Sostanza non cambia molto, la Verità è che forse solo grazie allo spirito intuitivo dell’Arte noi abbiamo la possibilità di conoscere il mondo e di conseguenza noi stessi.
Alessandro Baito
Il velo di Maya
Spesso di fronte alla nostra percezione della realtà ci si trova ad affrontare il dilemma della sua veridicità. Ci si accorge che quello che pensiamo vero a volte non lo è oppure che quello che vediamo non corrisponde a quello che vede nelle stesso momento nello stesso luogo un’altra persona.
In Occidente sin dai tempi di Schopenauer si utilizza un’immagine orientale per descrivere quel velo che copre il reale, rendendo potenzialmente fallace ogni tentativo di interpretare il mondo: il velo di Maya.
Lungi dal voler pretenziosamente mostrare la sostanza delle cose gli artisti che vengono raccolti in questa collettiva danno delle suggestioni, dei suggerimenti per l’elaborazione di un discorso grazie alle potenzialità espressive della pittura, della scultura, della fotografia, della grafica.
Molti rappresentano le deformazioni implicite nella visione soggettiva: Angela Keller e il suo figurativo onirico; Michele Recluta e la deformazione del reale ad opera di una colorata immaginazione; Nadia Ginelli, Claudia Strà e Amira Redaelli e i loro soggetti che sfuggono ad una rappresentazione fissa; Vito Carta e i diversi piani del reale (umano naturale e architettonico) che si fondono e si confondono in un dialogo continuo.
Altri prediligono un riferimento al cuore palpiante dell’animo umano, non visibile ma forse anche per questo più facile da sentire nella sua Verità: Walter Mutton e i suoi abbracci, dove esiste tendenzialmente solo il riferimento alla grandezza del sentimento a scapito di ogni riferimento diretto alla figura; Simone Azzurrini e il continuo riferimento ad un’antichità storica in cui si poteva godere della vita a stretto contatto con lo Spirito senza le intrusioni di una prepotente Ragione; l’estrema Maeva Marrone e la rappresentazione della atomica sostanza delle cose.
Anna Maria Angelini è il punto di partenza giacché i suoi lavori sono una visione sulla sostanza stessa del velo di Maya, mentre Marco Post, oltre a rappresentare la Realtà quasi priva dei colori dell’iride, in uno dei suoi lavori ci rimanda indietro alle origini del Pensiero, al mito della caverna di Platone, che già quasi duemila e cinquecento anni fa sapeva dell’impossibilità di rappresentare il reale.
Se ciò che ci sfugge lo chiamiamo Idea o Realtà Ultima o Sostanza non cambia molto, la Verità è che forse solo grazie allo spirito intuitivo dell’Arte noi abbiamo la possibilità di conoscere il mondo e di conseguenza noi stessi.
Alessandro Baito
02
giugno 2012
Il velo di Maya
Dal 02 al 13 giugno 2012
arte contemporanea
Location
ZAMENHOF
Milano, Via Ludovico Lazzaro Zamenhof, 11, (Milano)
Milano, Via Ludovico Lazzaro Zamenhof, 11, (Milano)
Orario di apertura
da mercoledì a sabato ore 15-19. Domenica ore 11-19. Lunedì e martedì chiuso.
Vernissage
2 Giugno 2012, ore 16.00
Autore