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Il volto dell’anima
Il progetto espositivo proposto prevede la partecipazione degli artisti con due opere sul tema del ritratto
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Progetto Associazione Artisolide Novara
A cura di Bruno Bandini
1 - 20 giugno 2014
Sale dell’Accademia
Complesso Monumentale del Broletto di Novara
Il progetto espositivo proposto prevede la partecipazione degli artisti sotto citati
con due opere sul tema del ritratto. Sedici artisti, operanti nel territorio nazionale
e internazionale, invitati a partecipare a questo progetto, attraverso la loro ricerca,
spaziando negli aspetti più diversi delle arti visive; dalla pittura tradizionale, alla
fotografia, al video, all'installazione con oggetti di uso quotidiano o industriale, alla
scultura realizzata con i materiali più vari.
Opere di
Davide Baroggi - Alberto Bongini - Corrado Bonomi - Massimo Caccia
Gianni Cella - Antonio De Luca - Salvatore Falci - Davide Ferro
Mario Finotti - Eliana Frontini - Florencia Martinez - Fabrizio Molinario
Max Papeschi - Massimo Romani – Leonardo Santoli - Giovanni Sesia
Catalogo con testo di Bruno Bandini
Si ringraziano
Comune di Novara, Assessorato alla Cultura
CSV Novara
Numismatica Novaria
Bistrot Nuares
Tipografia Vigentina, Zecone (PV)
INGANNI
“io sono questo” oppure “questo è il mio ritratto”
Non si tratta di un paradosso, di un gioco concettuale che ha a che fare con la
possibilità di additare noi stessi.
Il ritratto è un’immagine che in qualche modo ci custodisce. Custodisce una parvenza
che allude ad un’identità; una traccia sensibile che indica una presenza.
Può essere un’impronta, come quella che Menelao osserva, stupefatto, sul pavimento
che Elena ha calpestato un’ultima volta prima di raggiungere l’amato a Troia;
come quelle che insegue V. – fratello-investigatore che cerca di ricostruire la “vera
vita” di Sebastian Knight, protagonista del primo romanzo in lingua inglese di
Vladimir Nabokov – su una spiaggia che le maree saranno inevitabilmente destinate a
cancellare.
Può essere una riflessione che l’autore rivolge a se stesso, un interrogativo
rigorosamente personale che può basculare tra somiglianza fisiognomica e
sottolineatura del carattere, conformità al vero e idealizzazione, idealismo ed
espressione emotiva, tra astrazione e spaesamento.
Può, spesso, presentarsi come maschera, dissimulazione, inganno, senza dimenticare
che – come sottolinea Claude Lévy-Strauss – “la verità si riconosce dalla cura che
essa prende nel nascondersi”. Eppure disvelare è pericoloso, come lo è scoprire
la verità, che, per statuto etimologico, è “nuda”. Disvelarsi è inopportuno. Alle
celebrazioni dionisiache delle Menadi possono partecipare solo le donne. O meglio,
gli uomini possono essere della partita – a meno che non si tratti di Orfeo, che
disperatamente ricerca Euridice – solo se travestiti da donna. Se l’inganno decade, si
rischia la vita.
Insomma, fin dagli albori della nostra civiltà, mitica e letteraria, sembra valere
l’adagio “sua cuique persona”, “a ciascuno la sua maschera”.
Il ritratto non è solo un “genere” con il quale le arti visive si sono confrontate fin dai
tempi delle narrazioni omeriche, è anche una questione “etimologica”.
Che cosa significa “ritrarre”? Certo si tratta di “ritirare” di “tirare indietro” e,
figurativamente, di “trarre fuori l’immagine”, ma si tratta anche di “distogliere”, di
“sottrarsi”. Come dire: dietro un ritratto ci si nasconde.
Non appaia questa considerazione improntata ad una rivisitazione delle Etimologie
di Isidoro di Siviglia. Ma il termine “ritratto”, come ogni vocabolo e come voleva il
dottore della Chiesa del VII secolo, intrattiene una relazione con la “cosa” che si può
comprendere secundum naturam, oppure secundum propositum.
Come dire: il ritratto non è la pura radiografia di un volto, o non è solo questo.
Indipendentemente dai mezzi con cui il ritratto viene realizzato (pittura, scultura,
fotografia, assemblaggio), la “natura” del soggetto è sottoposta all’intervento del
“proposito”, della motivazione, della scelta che è propria dell’artista. In una parola,
alla sua creatività, al suo talento.
Insomma, tra realtà, raffigurazione e percezione, tra il soggetto che viene “ritratto” e
l’autore si instaura una relazione complessa e divertente, incredibilmente ambigua,
tra le infinite possibilità dell’apparire e lo sforzo di restituire l’apparenza alla
disponibilità del nostro sguardo.
Detto ancora in un altro modo, il “ritratto” è un modo di dire l’infinità delle
disseminazione di senso del soggetto raffigurato, alla ricerca di un’ombra
insopprimibile, di un quid che nella distrazione del quotidiano sfugge, per quanto la
“verità” di colui che viene ritratto sia inesprimibile, per quanto ogni ritratto non possa
far altro che nasconderla, celarla.
Eppure il ritratto ci invita a riflettere su una sua caratteristica specifica: il suo
essere apertura sul silenzio della propria immagine assente. Fa tornare dall’oblio
dell’assenza, ma, contemporaneamente, rammemora nell’assenza. In una parola è un
monito al nostro sguardo: lo scava, lo esaspera, lo demolisce a volte. Un percorso
allusivo e misterioso che indica un’identità che comunque resta sempre “altra” ed
attorno alla quale si organizza lo spazio del nostro sguardo.
Dunque è il nostro sguardo ad esporre il soggetto. E’ il nostro sguardo che viene
sedotto, perché il ritratto ci chiama a sé facendoci vedere ciò che non può essere
visto.
Come se la metafora paolina videmus nunc per speculum in aenigmate si facesse
carne delle immagini.
Bruno Bandini
Bruno Bandini è nato a Russi (Ra) nel 1952. Laureato in Filosofia (Firenze, 1976), è entrato nella
Pubblica Amministrazione ed è stato direttore della “Casa dello Studente” (1979-82), vicedirettore
della Biblioteca “Classense” (1983-84), direttore della Pinacoteca comunale di Ravenna (1985-
91). Dal 1991 è docente di “Storia delle comunicazioni visive” presso l’ISIA di Urbino. È
docente di “Fenomenologia delle arti contemporanee” e di “Linguaggi dell’arte contemporanea”
all’Accademia Cignaroli di Verona e, dal 2001; è incaricato per le discipline di “Storia e semiologia
del mosaico” e di “Antropologia del mosaico contemporaneo” all’Accademia di Belle Arti di
Ravenna.
Davide Baroggi è nato a Locarno nel 1974, vive e lavora a Pavia. Ha frequentato la N.A.B.A.
Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, dove ha studiato con il Maestro Claudio Olivieri. La
sua ricerca esplode in un espressionismo coloristico di rara violenza e feroce, quasi inconsapevole,
purezza. Dipinge su tele e cartoni poveri, trovati, irregolari, a volte danneggiati e sporchi (ricordate
Munch?); dipinge tutto ciò che un infinito male di vivere gettato in colori gli detta.
Alberto Bongini è nato a Torino nel 1956, dove vive e lavora. Dopo il liceo artistico e la facoltà
di architettura a Torino, si dedica alle arti visive con esposizioni in tutta Italia dalla metà degli
anni Novanta. Il suo lavoro si caratterizza per una spiccata propensione ad una ricerca connotata
dall’inserimento della luce come materia, attraverso l’utilizzo di oggetti riflettenti e luminescenti
(definito da Vittorio Sgarbi “Neo Pop Bizantino”).
Corrado Bonomi nasce a Novara nel 1956. Terminati gli studi artistici si dedica alla propria
formazione umana e professionale fino al 1982 anno della sua prima esposizione. In passato le
scatolette contenevano sardine. Corrado Bonomi le ha vuotate. Poi ha dipinto una sardina sul fondo
della scatoletta, ad olio: naturalmente. Questo calza a pennello – che lo si chiami “Concettualismo
ironico” o no. Nelle sue opere successive Bonomi ha ulteriormente sviluppato i suoi concetti
recandosi nel regno delle fiabe. Le fiabe si possono intendere come rappresentazioni letterarie di
generi vecchissimi di modi di agire, pensieri e desideri, come riflessioni in un guscio di noce sulla
condizione umana. A queste appartengono i “castelli in aria”. La predilezione di Corrado Bonomi
per la storia delle idee nella cultura ed in particolare nell’arte, lo spinge anche a contraffare opere
d’arte storiche, per esempio dipinti di Arcimboldo. Ma Bonomi non li copia, li ri-produce come
oggetti tridimensionali, come bizzarri busti in plastica. Così acquistano una vita ed una dinamica
propria, eppure sono l’eco della storia.
La ricerca di Massimo Caccia si esprime attraverso una narrazione sospesa e delicata che rivela
una profonda sensibilità nei confronti dell’uomo e della sua quotidiana esperienza. Per raccontare
le debolezze, i desideri, le paure e le speranze dell’umanità Caccia sceglie allora la metafora del
mondo animale, individuando a seconda del tema un particolare essere vivente e collocandolo nello
spazio pittorico spesso insieme ad un oggetto che sottolinea ulteriormente la peculiare condizione
vissuta.
Gianni Cella è nato a Pavia nel 1953, dove vive e lavora. E’ un visionario della vita, artista
prolifico, polimorfo e caleidoscopico, vive in un perenne isolamento adolescenziale. Il clima
delle sue opere è quello dell’ironia agrodolce dei temi trattati, rappresentativi di un immaginario
apparentemente ludico e scanzonato che lascia intravedere un sottofondo di sottile tragicità.
La fotografia spesso e volentieri è un linguaggio violento. Il fotografo prende la mira, scatta, spara
l’immagine, cerca di appropriarsi del mondo, di fermare il tempo, di raccontare la vita. Ma ad
Antonio De Luca viene il dubbio che sia un’operazione di morte e dice: “In giro per il mondo mi
sento più sicuro con una Reflex in mano, alla fine scatti e succede sempre qualcosa che vale la pena
di essere raccolto, mostrato, condiviso; poni dei quesiti e ti sembra di trovare le risposte. Vi è una
componente di piacere fisico nel prendere fotografie, ma v’è anche fatica e paura della caccia. Fare
ritratti, raccontare uomini ti lascia scorie. Non ho più bisogno di cercare il controllo quando scatto
una foto. Transiti, i miei ritratti urbani, sono scattati velocemente, senza inquadrare l’immagine nel
mirino. Non pretendo di dare risposte, vado a spasso con la mia ombra cercando altre ombre, non ho
bisogno di una bella luce, mi basta quella che trovo”.
Salvatore Falci nato a Portoferraio (LI) nel 1950, vive e lavora a Bergamo. E’ docente di Arti
Visive all’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, per anni alla Libera Accademia di Belle
Arti di Brescia, e di Metodologia e Tecniche della Sperimentazione Artistica presso l’Università
di Bergamo. Realizza grandi tele, sculture ed installazioni create con l’obbiettivo di comunicare in
maniera forte ed immediata con un pubblico ampio e diversificato. Il tema principale è quello della
soggettività. L’individuo è sempre al centro...
Davide Ferro è nato a Pavia nel 1963, dove vive e lavora. Consegue il diploma in Pittura presso
l’Accademia di Belle Arti Europea dei Media di Milano con una tesi intitolata “Arte come
coinvolgimento sociale”. Attua una trasfigurazione simbolica e cromatica, con cui inneggia la
spontaneità, la libertà e l’innocenza dei bambini coniugata con l’esperienza e l’esistenza dell’adulto.
Mario Finotti, fotografo per molti anni impegnato nella cronaca. Da sempre parallelamente coltiva
un modo personale di guardare e raccontare le persone, l’architettura ed il paesaggio naturale. Con
spirito critico ed ironia e con la voglia di cambiare (secondo le sue limitate possibilità) il mondo che
lo circonda.
Eliana Frontini è nata a Novara, dove vive e lavora. E’ laureata in Arti Visive e Discipline dello
Spettacolo (scenografia e scultura) all’Accademia delle Belle Arti di Brera. Attualmente insegna
Disegno e Storia dell’Arte al Liceo Scientifico Statale “Pascal” di Romentino (NO) e collabora con
periodici locali per le pagine di arte e cultura. Artista e performer, dopo anni di esperienze in bianco
e nero, ha deciso di sposare la causa del colore proponendo lavori new pop, fotografie uniche
stampate su tela e completate dall’inserimento di piccoli specchi la cui funzione è coinvolgere, far
entrare lo spettatore dentro l’opera d’arte.
Florencia Martinez è nata a Buenos Aires nel 1962, vive e lavora a Milano. Dice Florencia
Martinez: “Il tessuto, la fotografia, la pittura e il ricamo: quattro elementi con i quali compongo in
diversa percentuale ogni volta un racconto. Cerco in tutte le maniere possibili di raccontare storie,
modificare punti di vista, nascondere brutture quotidiane, portare alla luce schegge di luce impaurita
e persa. Dipingo con il tessuto, fotografo semplici gesti, sottolineo con l’ago e il filo. Le donne, i
sorrisi, i corpi che scappano, le città che sanno solo di finestre chiuse, l’infanzia come unico spazio
abitabile possibile, di questo parlo”.
Fabrizio Molinario è nato a Novara nel 1968, dove vive e lavora. Dal 2003 partecipa a numerose
mostre personali e collettive con artisti emergenti in ambito nazionale ed internazionale. Fabrizio
Molinario imposta i suoi lavori su un disegno di tipo infantile, quasi primitivo, quella ART BRUT
che utilizza espressioni grafiche barbariche come segno di trasgressione.
Max Papeschi approda nel mondo dell’arte contemporanea alla fine del 2008, dopo un’esperienza
da autore e regista in ambito teatrale, televisivo e cinematografico. Il clamore mediatico sollevato
da una sua opera gigante affissa sulla facciata di un palazzo nel centro di Poznan in Polonia lo
proietta sulla scena internazionale, rendendolo in pochissimo tempo uno dei giovani artisti italiani
più apprezzati e conosciuti all’estero. In soli 5 anni di attività ha realizzato più di un centinaio di
mostre in giro per tutto il mondo.
Massimo Romani è nato a Novara nel 1968, dove vive e lavora. Dopo una serie di sperimentazioni
e ricerche dopo l’Accademia di Belle Arti di Brera, giunge ad una ricerca pittorica figurativa. Oggi,
dipinge con una tecnica realistica, soggetti caratterizzati da una forte carica simbolica ed estetica
estrapolati dalla natura e dall’arte visiva. Elementi che nella realtà sono difficilmente coniugabili,
ma una volta entrati in contatto sono capaci di creare un corto circuito imprevedibile e spiazzante.
Leonardo Santoli è nato a Firenze nel 1959, vive e lavora a Casalecchio di Reno (BO). Pittore e
scultore che dalle origini arcaiche e “concettuale caldo”, continua la ricerca su segni e simboli,
costellazioni e mappe. Reinserisce il tutto come sfondi, in tele e sculture che raffigurano personaggi
che sono una sorta di Arlecchini-Pinocchi. Ha collaborato con numerosi personaggi dello spettacolo
per la realizzazione di scenografie e copertine di album e libri. Sue opere si trovano in numerose
collezioni pubbliche e private.
Giovanni Sesia è nato a Magenta (MI) nel 1955, dove vive e lavora. Dopo aver frequentato
l’Accademia di Brera a Milano inizia a realizzare dipinti caratterizzati dall’accentuato cromatismo
e dal segno forte. Alla fine degli anni ’90 quando viene in possesso di un vecchio archivio
fotografico di un ospedale psichiatrico in abbandono. Le immagini scelte da Sesia evocano la
storia e la memoria e questa tendenza lo ha portato a privilegiare sempre più volti, luoghi e oggetti.
La fotografia diviene per l’artista un pretesto su cui si innesca tutto il suo istinto e la sua ricerca
artistica e l’equilibrio che l’opera trasmette è dato dalle pennellate e dalla grafia, segni che creano
una sinergia tra spazi pieni e vuoti, ma in perfetta combinazione tra loro.
A cura di Bruno Bandini
1 - 20 giugno 2014
Sale dell’Accademia
Complesso Monumentale del Broletto di Novara
Il progetto espositivo proposto prevede la partecipazione degli artisti sotto citati
con due opere sul tema del ritratto. Sedici artisti, operanti nel territorio nazionale
e internazionale, invitati a partecipare a questo progetto, attraverso la loro ricerca,
spaziando negli aspetti più diversi delle arti visive; dalla pittura tradizionale, alla
fotografia, al video, all'installazione con oggetti di uso quotidiano o industriale, alla
scultura realizzata con i materiali più vari.
Opere di
Davide Baroggi - Alberto Bongini - Corrado Bonomi - Massimo Caccia
Gianni Cella - Antonio De Luca - Salvatore Falci - Davide Ferro
Mario Finotti - Eliana Frontini - Florencia Martinez - Fabrizio Molinario
Max Papeschi - Massimo Romani – Leonardo Santoli - Giovanni Sesia
Catalogo con testo di Bruno Bandini
Si ringraziano
Comune di Novara, Assessorato alla Cultura
CSV Novara
Numismatica Novaria
Bistrot Nuares
Tipografia Vigentina, Zecone (PV)
INGANNI
“io sono questo” oppure “questo è il mio ritratto”
Non si tratta di un paradosso, di un gioco concettuale che ha a che fare con la
possibilità di additare noi stessi.
Il ritratto è un’immagine che in qualche modo ci custodisce. Custodisce una parvenza
che allude ad un’identità; una traccia sensibile che indica una presenza.
Può essere un’impronta, come quella che Menelao osserva, stupefatto, sul pavimento
che Elena ha calpestato un’ultima volta prima di raggiungere l’amato a Troia;
come quelle che insegue V. – fratello-investigatore che cerca di ricostruire la “vera
vita” di Sebastian Knight, protagonista del primo romanzo in lingua inglese di
Vladimir Nabokov – su una spiaggia che le maree saranno inevitabilmente destinate a
cancellare.
Può essere una riflessione che l’autore rivolge a se stesso, un interrogativo
rigorosamente personale che può basculare tra somiglianza fisiognomica e
sottolineatura del carattere, conformità al vero e idealizzazione, idealismo ed
espressione emotiva, tra astrazione e spaesamento.
Può, spesso, presentarsi come maschera, dissimulazione, inganno, senza dimenticare
che – come sottolinea Claude Lévy-Strauss – “la verità si riconosce dalla cura che
essa prende nel nascondersi”. Eppure disvelare è pericoloso, come lo è scoprire
la verità, che, per statuto etimologico, è “nuda”. Disvelarsi è inopportuno. Alle
celebrazioni dionisiache delle Menadi possono partecipare solo le donne. O meglio,
gli uomini possono essere della partita – a meno che non si tratti di Orfeo, che
disperatamente ricerca Euridice – solo se travestiti da donna. Se l’inganno decade, si
rischia la vita.
Insomma, fin dagli albori della nostra civiltà, mitica e letteraria, sembra valere
l’adagio “sua cuique persona”, “a ciascuno la sua maschera”.
Il ritratto non è solo un “genere” con il quale le arti visive si sono confrontate fin dai
tempi delle narrazioni omeriche, è anche una questione “etimologica”.
Che cosa significa “ritrarre”? Certo si tratta di “ritirare” di “tirare indietro” e,
figurativamente, di “trarre fuori l’immagine”, ma si tratta anche di “distogliere”, di
“sottrarsi”. Come dire: dietro un ritratto ci si nasconde.
Non appaia questa considerazione improntata ad una rivisitazione delle Etimologie
di Isidoro di Siviglia. Ma il termine “ritratto”, come ogni vocabolo e come voleva il
dottore della Chiesa del VII secolo, intrattiene una relazione con la “cosa” che si può
comprendere secundum naturam, oppure secundum propositum.
Come dire: il ritratto non è la pura radiografia di un volto, o non è solo questo.
Indipendentemente dai mezzi con cui il ritratto viene realizzato (pittura, scultura,
fotografia, assemblaggio), la “natura” del soggetto è sottoposta all’intervento del
“proposito”, della motivazione, della scelta che è propria dell’artista. In una parola,
alla sua creatività, al suo talento.
Insomma, tra realtà, raffigurazione e percezione, tra il soggetto che viene “ritratto” e
l’autore si instaura una relazione complessa e divertente, incredibilmente ambigua,
tra le infinite possibilità dell’apparire e lo sforzo di restituire l’apparenza alla
disponibilità del nostro sguardo.
Detto ancora in un altro modo, il “ritratto” è un modo di dire l’infinità delle
disseminazione di senso del soggetto raffigurato, alla ricerca di un’ombra
insopprimibile, di un quid che nella distrazione del quotidiano sfugge, per quanto la
“verità” di colui che viene ritratto sia inesprimibile, per quanto ogni ritratto non possa
far altro che nasconderla, celarla.
Eppure il ritratto ci invita a riflettere su una sua caratteristica specifica: il suo
essere apertura sul silenzio della propria immagine assente. Fa tornare dall’oblio
dell’assenza, ma, contemporaneamente, rammemora nell’assenza. In una parola è un
monito al nostro sguardo: lo scava, lo esaspera, lo demolisce a volte. Un percorso
allusivo e misterioso che indica un’identità che comunque resta sempre “altra” ed
attorno alla quale si organizza lo spazio del nostro sguardo.
Dunque è il nostro sguardo ad esporre il soggetto. E’ il nostro sguardo che viene
sedotto, perché il ritratto ci chiama a sé facendoci vedere ciò che non può essere
visto.
Come se la metafora paolina videmus nunc per speculum in aenigmate si facesse
carne delle immagini.
Bruno Bandini
Bruno Bandini è nato a Russi (Ra) nel 1952. Laureato in Filosofia (Firenze, 1976), è entrato nella
Pubblica Amministrazione ed è stato direttore della “Casa dello Studente” (1979-82), vicedirettore
della Biblioteca “Classense” (1983-84), direttore della Pinacoteca comunale di Ravenna (1985-
91). Dal 1991 è docente di “Storia delle comunicazioni visive” presso l’ISIA di Urbino. È
docente di “Fenomenologia delle arti contemporanee” e di “Linguaggi dell’arte contemporanea”
all’Accademia Cignaroli di Verona e, dal 2001; è incaricato per le discipline di “Storia e semiologia
del mosaico” e di “Antropologia del mosaico contemporaneo” all’Accademia di Belle Arti di
Ravenna.
Davide Baroggi è nato a Locarno nel 1974, vive e lavora a Pavia. Ha frequentato la N.A.B.A.
Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, dove ha studiato con il Maestro Claudio Olivieri. La
sua ricerca esplode in un espressionismo coloristico di rara violenza e feroce, quasi inconsapevole,
purezza. Dipinge su tele e cartoni poveri, trovati, irregolari, a volte danneggiati e sporchi (ricordate
Munch?); dipinge tutto ciò che un infinito male di vivere gettato in colori gli detta.
Alberto Bongini è nato a Torino nel 1956, dove vive e lavora. Dopo il liceo artistico e la facoltà
di architettura a Torino, si dedica alle arti visive con esposizioni in tutta Italia dalla metà degli
anni Novanta. Il suo lavoro si caratterizza per una spiccata propensione ad una ricerca connotata
dall’inserimento della luce come materia, attraverso l’utilizzo di oggetti riflettenti e luminescenti
(definito da Vittorio Sgarbi “Neo Pop Bizantino”).
Corrado Bonomi nasce a Novara nel 1956. Terminati gli studi artistici si dedica alla propria
formazione umana e professionale fino al 1982 anno della sua prima esposizione. In passato le
scatolette contenevano sardine. Corrado Bonomi le ha vuotate. Poi ha dipinto una sardina sul fondo
della scatoletta, ad olio: naturalmente. Questo calza a pennello – che lo si chiami “Concettualismo
ironico” o no. Nelle sue opere successive Bonomi ha ulteriormente sviluppato i suoi concetti
recandosi nel regno delle fiabe. Le fiabe si possono intendere come rappresentazioni letterarie di
generi vecchissimi di modi di agire, pensieri e desideri, come riflessioni in un guscio di noce sulla
condizione umana. A queste appartengono i “castelli in aria”. La predilezione di Corrado Bonomi
per la storia delle idee nella cultura ed in particolare nell’arte, lo spinge anche a contraffare opere
d’arte storiche, per esempio dipinti di Arcimboldo. Ma Bonomi non li copia, li ri-produce come
oggetti tridimensionali, come bizzarri busti in plastica. Così acquistano una vita ed una dinamica
propria, eppure sono l’eco della storia.
La ricerca di Massimo Caccia si esprime attraverso una narrazione sospesa e delicata che rivela
una profonda sensibilità nei confronti dell’uomo e della sua quotidiana esperienza. Per raccontare
le debolezze, i desideri, le paure e le speranze dell’umanità Caccia sceglie allora la metafora del
mondo animale, individuando a seconda del tema un particolare essere vivente e collocandolo nello
spazio pittorico spesso insieme ad un oggetto che sottolinea ulteriormente la peculiare condizione
vissuta.
Gianni Cella è nato a Pavia nel 1953, dove vive e lavora. E’ un visionario della vita, artista
prolifico, polimorfo e caleidoscopico, vive in un perenne isolamento adolescenziale. Il clima
delle sue opere è quello dell’ironia agrodolce dei temi trattati, rappresentativi di un immaginario
apparentemente ludico e scanzonato che lascia intravedere un sottofondo di sottile tragicità.
La fotografia spesso e volentieri è un linguaggio violento. Il fotografo prende la mira, scatta, spara
l’immagine, cerca di appropriarsi del mondo, di fermare il tempo, di raccontare la vita. Ma ad
Antonio De Luca viene il dubbio che sia un’operazione di morte e dice: “In giro per il mondo mi
sento più sicuro con una Reflex in mano, alla fine scatti e succede sempre qualcosa che vale la pena
di essere raccolto, mostrato, condiviso; poni dei quesiti e ti sembra di trovare le risposte. Vi è una
componente di piacere fisico nel prendere fotografie, ma v’è anche fatica e paura della caccia. Fare
ritratti, raccontare uomini ti lascia scorie. Non ho più bisogno di cercare il controllo quando scatto
una foto. Transiti, i miei ritratti urbani, sono scattati velocemente, senza inquadrare l’immagine nel
mirino. Non pretendo di dare risposte, vado a spasso con la mia ombra cercando altre ombre, non ho
bisogno di una bella luce, mi basta quella che trovo”.
Salvatore Falci nato a Portoferraio (LI) nel 1950, vive e lavora a Bergamo. E’ docente di Arti
Visive all’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, per anni alla Libera Accademia di Belle
Arti di Brescia, e di Metodologia e Tecniche della Sperimentazione Artistica presso l’Università
di Bergamo. Realizza grandi tele, sculture ed installazioni create con l’obbiettivo di comunicare in
maniera forte ed immediata con un pubblico ampio e diversificato. Il tema principale è quello della
soggettività. L’individuo è sempre al centro...
Davide Ferro è nato a Pavia nel 1963, dove vive e lavora. Consegue il diploma in Pittura presso
l’Accademia di Belle Arti Europea dei Media di Milano con una tesi intitolata “Arte come
coinvolgimento sociale”. Attua una trasfigurazione simbolica e cromatica, con cui inneggia la
spontaneità, la libertà e l’innocenza dei bambini coniugata con l’esperienza e l’esistenza dell’adulto.
Mario Finotti, fotografo per molti anni impegnato nella cronaca. Da sempre parallelamente coltiva
un modo personale di guardare e raccontare le persone, l’architettura ed il paesaggio naturale. Con
spirito critico ed ironia e con la voglia di cambiare (secondo le sue limitate possibilità) il mondo che
lo circonda.
Eliana Frontini è nata a Novara, dove vive e lavora. E’ laureata in Arti Visive e Discipline dello
Spettacolo (scenografia e scultura) all’Accademia delle Belle Arti di Brera. Attualmente insegna
Disegno e Storia dell’Arte al Liceo Scientifico Statale “Pascal” di Romentino (NO) e collabora con
periodici locali per le pagine di arte e cultura. Artista e performer, dopo anni di esperienze in bianco
e nero, ha deciso di sposare la causa del colore proponendo lavori new pop, fotografie uniche
stampate su tela e completate dall’inserimento di piccoli specchi la cui funzione è coinvolgere, far
entrare lo spettatore dentro l’opera d’arte.
Florencia Martinez è nata a Buenos Aires nel 1962, vive e lavora a Milano. Dice Florencia
Martinez: “Il tessuto, la fotografia, la pittura e il ricamo: quattro elementi con i quali compongo in
diversa percentuale ogni volta un racconto. Cerco in tutte le maniere possibili di raccontare storie,
modificare punti di vista, nascondere brutture quotidiane, portare alla luce schegge di luce impaurita
e persa. Dipingo con il tessuto, fotografo semplici gesti, sottolineo con l’ago e il filo. Le donne, i
sorrisi, i corpi che scappano, le città che sanno solo di finestre chiuse, l’infanzia come unico spazio
abitabile possibile, di questo parlo”.
Fabrizio Molinario è nato a Novara nel 1968, dove vive e lavora. Dal 2003 partecipa a numerose
mostre personali e collettive con artisti emergenti in ambito nazionale ed internazionale. Fabrizio
Molinario imposta i suoi lavori su un disegno di tipo infantile, quasi primitivo, quella ART BRUT
che utilizza espressioni grafiche barbariche come segno di trasgressione.
Max Papeschi approda nel mondo dell’arte contemporanea alla fine del 2008, dopo un’esperienza
da autore e regista in ambito teatrale, televisivo e cinematografico. Il clamore mediatico sollevato
da una sua opera gigante affissa sulla facciata di un palazzo nel centro di Poznan in Polonia lo
proietta sulla scena internazionale, rendendolo in pochissimo tempo uno dei giovani artisti italiani
più apprezzati e conosciuti all’estero. In soli 5 anni di attività ha realizzato più di un centinaio di
mostre in giro per tutto il mondo.
Massimo Romani è nato a Novara nel 1968, dove vive e lavora. Dopo una serie di sperimentazioni
e ricerche dopo l’Accademia di Belle Arti di Brera, giunge ad una ricerca pittorica figurativa. Oggi,
dipinge con una tecnica realistica, soggetti caratterizzati da una forte carica simbolica ed estetica
estrapolati dalla natura e dall’arte visiva. Elementi che nella realtà sono difficilmente coniugabili,
ma una volta entrati in contatto sono capaci di creare un corto circuito imprevedibile e spiazzante.
Leonardo Santoli è nato a Firenze nel 1959, vive e lavora a Casalecchio di Reno (BO). Pittore e
scultore che dalle origini arcaiche e “concettuale caldo”, continua la ricerca su segni e simboli,
costellazioni e mappe. Reinserisce il tutto come sfondi, in tele e sculture che raffigurano personaggi
che sono una sorta di Arlecchini-Pinocchi. Ha collaborato con numerosi personaggi dello spettacolo
per la realizzazione di scenografie e copertine di album e libri. Sue opere si trovano in numerose
collezioni pubbliche e private.
Giovanni Sesia è nato a Magenta (MI) nel 1955, dove vive e lavora. Dopo aver frequentato
l’Accademia di Brera a Milano inizia a realizzare dipinti caratterizzati dall’accentuato cromatismo
e dal segno forte. Alla fine degli anni ’90 quando viene in possesso di un vecchio archivio
fotografico di un ospedale psichiatrico in abbandono. Le immagini scelte da Sesia evocano la
storia e la memoria e questa tendenza lo ha portato a privilegiare sempre più volti, luoghi e oggetti.
La fotografia diviene per l’artista un pretesto su cui si innesca tutto il suo istinto e la sua ricerca
artistica e l’equilibrio che l’opera trasmette è dato dalle pennellate e dalla grafia, segni che creano
una sinergia tra spazi pieni e vuoti, ma in perfetta combinazione tra loro.
01
giugno 2014
Il volto dell’anima
Dal primo al 20 giugno 2014
arte contemporanea
Location
MUSEO CIVICO DEL BROLETTO – GALLERIA GIANNONI
Novara, Via Fratelli Rosselli, 20, (Novara)
Novara, Via Fratelli Rosselli, 20, (Novara)
Orario di apertura
Da martedì a Sabato 14-19 / Domenica 10-19
Vernissage
1 Giugno 2014, ore 17
Autore
Curatore