Il termine Illuminotecnica “rubato” all’elettrotecnica viene reinventato in chiave artistica: questa nuova concezione nasce prima di tutto da “illumino”, che richiama lo studio delle fonti luminose artificiali e naturali, reimpostando il ruolo stesso della luce nelle opere d’arte. La luce infatti viene qui vista come ciò che “dipinge l’immagine” attraverso le sue funzioni principali: sia quella di definizione dei contorni e di creazione del soggetto stesso, sia il suo aspetto “distruttivo” in quanto produce ombre che scolpiscono gli spazi.

La quadratura del cerchio è data ancora da quella luce che diviene la risultante del prodotto dei colori che la compongono, ma al contempo ne diventa anche fautrice raccontandoli e permettendo di visualizzarli. I colori assumono importanza attraverso i tre parametri con cui si misurano, ovvero la croma (o tono), la brillanza e la saturazione (o purezza).

A completare la costruzione si aggiunge il significato di “tecnica”, termine con cui si indica l’insieme dei modi e dei metodi, nel nostro caso appresi dall’esperienza artistica, atti a produrre l’immagine fotografica o pittorica attraverso la conoscenza degli strumenti da un lato, ma dall’altro, essa vuol sottolineare come le opere d’arte possano essere anch’esse modi o metodi che fungono da “imprinting” nell’osservatore nella produzione di nuovi punti di vista e nuove sensazioni.

Illuminare la propria sensibilità artistica assume una sua precisa definizione attraverso la concezione estetica delle opere, coadiuvata dalla consapevolezza dell’importanza dei colori oltre che dalle forme.

Ogni opera infine, come qualsiasi altro oggetto, assume un suo diverso aspetto in base all’illuminazione dell’ambiente in cui viene esposta: ne consegue che ogni spettatore assorbe una percezione sensoriale e visiva tutta personale e diversa dalle altre. La totale assenza di luce ne comporta l’annullamento visivo.