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In palmo di mano
La mostra, a cura di Peter Weiermair, presenta opere di piccolo formato (da cui il titolo “in palmo di mano”) di sette artisti internazionali. Le dimensioni delle opere intendono suggerire un atteggiamento, un’atmosfera di intimità e prossimità.
Comunicato stampa
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La mostra prende il nome da uno scatto del fotografo giapponese Masao Yamamoto, che si può trovare anche nella selezione di cartoline che accompagna l’esposizione: la foto di un piccolo uccello custodito nel palmo di una mano. È superfluo avanzare ipotesi a proposito dei sette artisti internazionali qui presentati: se costituiscano un gruppo, e se l’unico anello di congiunzione nel loro lavoro artistico siano le dimensioni dei loro quadri, sculture o fotografie, o gli elementi antropomorfi delle loro performance. Alcuni si conoscono e sono amici. Tutti sono uniti da un sentimento di stima reciproca. Le dimensioni delle opere esprimono un atteggiamento, una mentalità, un’atmosfera di intimità, che vale in ugual misura per le microperformance di Fabrizio Sacchetti, per i disegni diaristici di Andrea Fogli, che documentano i suoi sogni fantasmagorici, per le fotografie del britannico Robert Davies, che fissa gli insetti mummificati nel suo studio direttamente sulla pellicola, per i quadri multipli del giapponese Yamamoto, che mette in scena un dialogo fra foto sistemandole alla maniera di un haiku, ma anche per le scatole-raccoglitori di Anne Mandelbaum, che usa materiali sintetici per creare i suoi minuscoli oggetti che ricordano microrganismi.
E vale anche per la luce nei quadri dell’artista belga Fabrice Samin, che pare uscito da un passato simbolista, e che, ad esempio, trasforma un quadro in specchio oppure avvolge l’opera nell’oscurità per rendere più difficile la decodificazione delle immagini. Ma vale tuttavia anche per le preziose, colorate immagini di Michael Ziegler, oscillanti fra figurazione e costruzione, fotografie erotiche a cavallo fra ottocento e novecento trasposte in pittura attraverso un processo di anamnesi pittorica.
Se da un lato la diversa provenienza internazionale è stata decisiva nella scelta degli artisti, nel caso delle opere ha avuto un ruolo importante la varietà dei media. Una varietà ben documentata dalla mostra, e tuttavia presente anche in una serie di artisti che, accanto alla fotografia, coltivano la pittura e la scultura, e sono quindi ferrati in diversi media. Andrea Fogli ad esempio è disegnatore, pittore, artista plastico, ma è stato anche performer, oppure Anne Mandelbaum che dopo una lunga carriera da fotografa ora utilizza la scultura, mentre Fabrizio Sacchetti è un performer che usa la fotografia come mezzo privilegiato e dotato di un valore intrinseco. Esempio emblematico ne è la documentazione di un suo lavoro recente, pubblicata come serie di cartoline. La tendenza al piccolo formato, l’oggetto in miniatura, le lacrime quasi impercettibili, ha a che vedere con l’intenzione dell’artista di favorire nell’osservatore la concentrazione, parlando a voce bassa. Questo atteggiamento è legato a una dimensione estetica e morale che mi sembra essenziale proprio oggi, in questi tempi di sopraffazione visiva, in cui si deve per forza “parlare sopra” a ogni cosa esistente.
Questi artisti, invece, ci parlano a voce bassa. Il concetto di poesia per loro è ancora importante. Provengono da tradizioni culturali diverse, riconoscibili nelle loro opere. Questo vale soprattutto per i contributi italiani, belgi, inglesi o giapponesi.
(Peter Weiermair)
E vale anche per la luce nei quadri dell’artista belga Fabrice Samin, che pare uscito da un passato simbolista, e che, ad esempio, trasforma un quadro in specchio oppure avvolge l’opera nell’oscurità per rendere più difficile la decodificazione delle immagini. Ma vale tuttavia anche per le preziose, colorate immagini di Michael Ziegler, oscillanti fra figurazione e costruzione, fotografie erotiche a cavallo fra ottocento e novecento trasposte in pittura attraverso un processo di anamnesi pittorica.
Se da un lato la diversa provenienza internazionale è stata decisiva nella scelta degli artisti, nel caso delle opere ha avuto un ruolo importante la varietà dei media. Una varietà ben documentata dalla mostra, e tuttavia presente anche in una serie di artisti che, accanto alla fotografia, coltivano la pittura e la scultura, e sono quindi ferrati in diversi media. Andrea Fogli ad esempio è disegnatore, pittore, artista plastico, ma è stato anche performer, oppure Anne Mandelbaum che dopo una lunga carriera da fotografa ora utilizza la scultura, mentre Fabrizio Sacchetti è un performer che usa la fotografia come mezzo privilegiato e dotato di un valore intrinseco. Esempio emblematico ne è la documentazione di un suo lavoro recente, pubblicata come serie di cartoline. La tendenza al piccolo formato, l’oggetto in miniatura, le lacrime quasi impercettibili, ha a che vedere con l’intenzione dell’artista di favorire nell’osservatore la concentrazione, parlando a voce bassa. Questo atteggiamento è legato a una dimensione estetica e morale che mi sembra essenziale proprio oggi, in questi tempi di sopraffazione visiva, in cui si deve per forza “parlare sopra” a ogni cosa esistente.
Questi artisti, invece, ci parlano a voce bassa. Il concetto di poesia per loro è ancora importante. Provengono da tradizioni culturali diverse, riconoscibili nelle loro opere. Questo vale soprattutto per i contributi italiani, belgi, inglesi o giapponesi.
(Peter Weiermair)
02
ottobre 2008
In palmo di mano
Dal 02 ottobre al 14 novembre 2008
arte contemporanea
Location
LA NUOVA PESA CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA
Roma, Via Del Corso, 530, (Roma)
Roma, Via Del Corso, 530, (Roma)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì ore 10.30-13.00 15.30-19.00
Vernissage
2 Ottobre 2008, ore 19.00
Autore
Curatore