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Incisioni al femminile
Le stampe presentate in questa rassegna consentono di avere un panorama interessante e completo della pratica incisoria, assicurando anche un notevole contributo sul piano dell’intensità creativa
Comunicato stampa
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Con questa mostra dedicata all’incisione prodotta da artiste, si vorrebbe inaugurare una nuova possibilità di manifestazione espositiva specializzata a Napoli. Nella città partenopea, la tradizione incisoria praticata da artiste donne risale al 1700 ed oggi se ne assume questa memoria storica come viatico per un’attualizzazione nel nostro presente. Hanno aderito con la propria partecipazione individuale ben 60 artiste di tutta Italia (e non manca anche qualche presenza straniera).
Le stampe presentate in questa rassegna consentono di avere un panorama interessante e completo della pratica incisoria, assicurando anche un notevole contributo sul piano dell’intensità creativa.
La mostra è stata curata da Rosario Pinto e Veronica Longo, ed è stata resa possibile dall’intervento proposito dell’organizzazione Aquila di mare, guidata da Emilio Caputo.
Sulla scorta dell’esperienza di quest’anno, ci si propone di rendere continuativo questo appuntamento con l’Incisione al femminile a Napoli, guadagnando così alla città un ulteriore appuntamento culturale ed inserendola negli spazi specifici dedicati all’incisione, anche in altri contesti nazionali.
Il mistero del segno inciso di Veronica Longo
A ben vedere, l’incisione è generalmente inserita nella manualistica artistica come una sorta di “appendice”, erroneamente definita un’arte “minore”, al pari della ceramica o dell’oreficeria, una pratica insomma, che si associa più al lavoro artigianale che a quello ideativo-progettuale. Eppure, dopo i primi cesellatori, grandissimi artisti come Dürer, Rembrandt, Piranesi (giusto per citarne qualcuno tra una massa infinita) hanno approfondito questa tecnica adottandola come mezzo divulgativo e comunicativo. Tutto ciò nasce dal comune preconcetto, se non addirittura dalla completa riluttanza, per qualcosa che non si conosce e pertanto, non si comprende. In fin dei conti, quello dell’incisione è un mondo oscuro, quasi alchemico, legato a vernici, solventi, acidi o soluzioni corrosive, punte, metalli, tempi di morsura, strumenti e procedure dalla terminologia indecifrabile per i non addetti ai lavori (basti come esempio: il brunitoio, la bisellatura, il berceaux...) e l’incisore appare quasi come uno “stregone” che, lavorando con unguenti e pozioni, porta dal nulla la vita. C’è senza dubbio qualcosa di magico in questo ed infatti, chiunque osservi di persona per la prima volta l’esecuzione di una matrice, o di una stampa, ne resta inizialmente incuriosito, in seguito incantato. Innanzitutto occorrerebbe ricordare che l’incisione è una forma d’arte antichissima che, paradossalmente, potremmo persino intravedere nei preistorici segni graffiti delle Grotte di Lascaux (dell’età del paleolitico superiore, 14.000-13.000 circa a. C.), ossia, nella prima testimonianza di comunicazione visiva da parte dell’uomo. L’opera d’arte, da sempre, nasce dal bisogno umano di esprimersi sotto forma di messaggi non verbali. È accertato che l’incisione fu una pratica dalle remote radici; lo testimoniano i cammei incisi sulla pietra viva, gli obelischi egizi, i sigilli, le impugnature delle armi romane e delle successive popolazioni barbariche, i vasi smaltati con metalli preziosi e gemme rare incastonate, i manufatti dell’oreficeria e persino i grandi poemi d’Omero o la Bibbia, in cui sono descritte opere eseguite con tali procedimenti. Da tutti questi processi è nata, nei millenni a seguire, dopo una lenta elaborazione, l’arte d’incidere per la stampa. L’esigenza di propagandare le proprie creazioni in versione più “rapida” ed “economica” offrì, a moltissimi pittori, il pretesto giusto per cimentarsi nell’incisione. La tecnica più antica è la xilografia, la cui prima testimonianza risale all’828; si tratta del libro di carattere religioso buddista Sutra del Diamante, un rotolo continuo di quasi 5 metri, stampato con tavolette di legno di 75x30 cm. Tuttavia, questa nuova forma di conoscenza dall’Estremo Oriente apparve in Europa, a Strasburgo, solo nel 1430 dopo la diffusione della carta (che in realtà era stata introdotta dai musulmani fin dall’VIII secolo). Da quel momento l’evolversi delle tecniche è stato come un fiume in piena: dal bulino su legno si è passati al suo uso su rame con artisti strepitosi come Mantegna. La volontà di velocizzare il lavoro, e “vincere” la durezza del metallo, portò in breve alla nascita dell’incisione indiretta: al 1515 risale un’acquaforte su ferro di Dürer ed il Parmigianino fu, intorno al 1520-30, il primo pittore acquafortista su rame. Il desiderio di una maggiore sensibilità pittorica condusse fin dal Seicento, in Olanda, agli esperimenti di Seghers di vernice molle ed acquatinta. Quest’ultima fu poi divulgata in Inghilterra nel 1771 grazie a Le Prince e considerata come espressione raffinata solo dopo che Goya ne fece largo uso nei suoi Capricci nel 1799. Sempre a Goya, si deve la diffusione della litografia come procedimento artistico, nella quale si cimentò nei celeberrimi Tori di Bordeaux del 1826. A Picasso si devono inoltre brillanti intuizioni, come la realizzazione di acquatinte allo zucchero, la sostituzione dello zinco al rame (spesso con matrici “ingrassate”) e del linoleum al legno. Gli artisti degli anni Trenta del Novecento furono sempre più aperti ad un’ardita sperimentazione: Friedlaender intraprese il metodo delle acquatinte colorate sovrapposte inchiostrate “a poupée”, ma dobbiamo soprattutto alla genialità di Hayter, uno dei grandi progenitori della grafica contemporanea, la conoscenza delle morsure aperte e della stampa a colori simultanei su un’unica lastra; sul suo esempio, gli artisti dell’Atelier 17 si cimentarono nella stampa a secco (goffratura) ottenuta dalla totale assenza d’inchiostro sulla matrice realizzata per mezzo di protuberanze. Gli anni Cinquanta, con Goetz, furono infine caratterizzati da una vera e propria “rivoluzione”: a lui si deve l’uso di matrici con materiali non convenzionali come alcune pellicole plastiche e soprattutto l’invenzione del metodo al carborundum ed altre tecniche collografiche. Da allora in poi, il tragitto verso la ricerca è stata un’ampia strada spianata all’interno di una foresta vergine, a cui, tutti coloro che possedessero genialità ed estro potevano accedere senza remore, prelevando nuovi stimoli ed arricchendoli con il proprio contributo personale: un’apertura al mondo, al confronto di pensieri, parole, arte ed emozioni…
Sembra “doveroso”, nei confronti di chi si accosta a questo catalogo, senza essere un esperto del settore, fare almeno una brevissima distinzione che, ovviamente, non ha la presunzione di presentarsi come un approccio didattico, ma semplicemente di essere uno stimolo all’eventuale approfondimento delle tecniche. Rispetto al supporto sul quale si realizza l’opera, ed al tipo di segno ottenuto, le tecniche incisorie si suddividono in tre rami principali: a rilievo, ad incavo ed in piano. Al primo ambito appartiene la xilografia (o silografia, dal greco xylon e graféin, letteralmente: scrittura su legno) che può esser realizzata su legno di filo (taglio in senso longitudinale rispetto al tronco, seguendo il senso della fibra) o di testa (taglio trasversale dei tasselli, caratterizzati dalle venature concentriche), nella variante su linoleum (linoleografia) o su legni economici composti da impasti di fibre, come multistrati, compensati o MDF. Si tratta di un procedimento rilievografico, che produce tratti a risparmio, le parti scavate tramite sgorbie o bulini sono i bianchi, mentre le parti a rilievo sono i neri, che vengono inchiostrati con un rullo. Al secondo gruppo appartiene la parte più prolifica, la calcografia (etimologicamente da khalkòs e graphia: scrittura su rame) che, a sua volta, riunisce in sé due aspetti: le tecniche dirette ed indirette. Le prime si realizzano utilizzando direttamente gli strumenti sulle matrici: puntasecca, bulino, criblé, maniera nera, rotelle; le seconde necessitano invece dell’azione di un mordente (acido nitrico, percloruro ferrico…) che “corrode” il metallo creando gli incavi in cui si andrà a depositare l’inchiostro, rendendo alla stampa i neri. Questo tipo di tecniche spesso sono impiegate in modo combinato: acquaforte, acquatinta, cera molle, maniera allo zucchero, punteggiata settecentesca, roulette, maniera a lapis… Alla calcografia oggi si fanno rientrare anche tutte quelle tecniche sperimentali che, pur non incidendo, nel senso classico del termine la matrice, si realizzano con la sovrapposizione di diversi materiali dal carborundum (carburo di silicio), a spaghi, corde, colle, spesso applicati su supporti poveri o forniti dall’attuale tecnologia, come plexiglas, PVC, forex, cartoni pressati… Infine, alle tecniche in piano, appartiene la litografia (da lithos e graphia, scrittura su pietra), realizzabile su pietra litografica o su lastre granite, e qui i segni positivi e negativi sono tutti sullo stesso piano. Questo è solo un rapido assunto, per rendere l’idea di ciò che seguirà in queste pagine e che sarà visibile nella sede del Complesso Monumentale di San Severo al Pendino, situata nel centro storico della città. Potrebbe sorgere spontanea una domanda: perché le Incisioni al femminile? Questa mostra nasce inizialmente dall’incontro fortuito a Bagnacavallo con Emilio Caputo (dell’organizzazione Aquila di Mare), durante la presentazione del V Repertorio degli Incisori Italiani. Entrambi, condividendo l’amore per la grafica, sentiamo la necessità di mostrare anche a Napoli, un panorama spesso poco conosciuto. Sfogliando le pagine del suddetto Repertorio appare evidente, infatti, non solo la grande quantità d’incisori che si dedicano costantemente a queste tecniche, ma che tra i tantissimi nomi, molti sono proprio di donne. Non poteva mancare a questo punto, l’apporto storico artistico fondamentale di Rosario Pinto, che da anni studia alacremente e con profonda coscienza la produzione al femminile, mostrando, attraverso le sue innumerevoli pubblicazioni, una quantità di opere di considerevole pregio, realizzate da donne spesso rimaste in sordina o all’ombra di personaggi più noti. Le artiste invitate per questa esposizione sono state scelte in parte dal Repertorio stesso: si tratta infatti di professioniste che s’impegnano costantemente in questa disciplina, raggiungendo ottimi livelli espressivi ed interpretativi. A tutte loro è stato chiesto di partecipare con un massimo di due opere in formato verticale 500x350 mm, lasciando la totale libertà di linguaggio, forma, tecnica o dimensione della matrice, purché rientrassero nell’ambito della grafica d’arte originale, ossia, di opere incise a mano su matrici. Osservando i lavori qui esposti, si può notare come i fogli stampati oscillino dall’incisione tradizionale a quella sperimentale, dal classico e puro bianco e nero al colore più acceso, dal figurativo all’informale, mostrando una varietà di matrici realizzate su zinco, rame, plexiglas, PVC, incise con tecnica diretta o indiretta, con stampa alta, ad incavo o a secco, e persino la scelta delle carte è del tipo più vario e non casuale: Graphia ruvida e liscia, Alcantara, Murillo, Amatruda, Hahnemühle, Rosaspina, Pescia, carta giapponese… tutte dalle grammature e tonalità più disparate. Questa varietà è anche visibile dalla provenienza delle artiste dal Nord al Sud dell’Italia, con la presenza anche di un’argentina ed una cilena; molte di loro appartengono ad associazioni specialistiche e consolidate negli anni che si dedicano attivamente all’incisione, come l’Associazione Nazionale Incisori Italiani, l’Associazione Incisori Siciliani o l’Associazione Incisori Veneti altre, invece, hanno aderito da centri prestigiosi come l’Atelier Aperto di Venezia, da sempre promotore di una ricerca grafica senza limiti e confini. Giovani promesse Under 35 hanno inoltre partecipato con alcuni di questi lavori a rassegne di rilevanza internazionale, come la ormai decennale L’Arte e il torchio che ha fatto di Cremona un punto nevralgico d’incontro, a dimostrazione che esiste un concreto interesse per questo tipo d’arte. Appare qui utile far notare che l’incisione, a differenza di altre tecniche, non si può apprendere da autodidatta ma necessita, almeno inizialmente, della guida di un maestro che mostri la tecnica per poi “dimenticarla” e farla propria una volta che se ne siano acquisiti i principi. Inoltre, al di là di ciò che banalmente si crede, l’incisione, pur generando multipli, non è in se stessa imitabile: non si può duplicare pedissequamente la matrice originaria attraverso processi artigianali. Persino durante la tiratura, si producono un numero di esemplari simili, ma mai uguali l’uno all’altro, in quanto, essendoci per ogni copia l’intervento manuale dell’uomo, diventa impossibile inchiostrare e pulire ogni matrice allo stesso identico modo: un “giro” di tarlatana in più, o un soffio di bianco di Spagna, sono sufficienti a rendere una lastra “velata” o “a palmo”. Un altro aspetto che non viene mai considerato è quello della difficoltà, dei tempi tecnici o della perizia meticolosa che occorre per la realizzazione di una matrice, il cui lavoro va seguito accuratamente in tutte le sue fasi, facendo attenzione alla lentezza o alla rapidità di un mordente, realizzando il disegno nel senso speculare, pensando in origine allo strumento in funzione al risultato che si vuole ottenere, per cui, nulla è lasciato al caso. Affinché un’incisione sia perfetta in tutti i suoi toni, dal bianco netto al nero più profondo, non solo la matrice deve esser stata eseguita in maniera corretta, ma anche la stampa gioca un ruolo fondamentale; non a caso, quello dello stampatore è un’altra professione per la capacità di saper interpretare un segno, trovando la soluzione più adatta per ogni singola lastra. Come un puzzle dagli infiniti pezzi, un foglio inciso per avere la sua completezza necessita della calibrazione perfetta di una serie di elementi che sono in continuo equilibrio dinamico: la scelta di un colore o di una carta, l’umidità della stessa, la fluidità o densità dell’inchiostro, la temperatura dell’ambiente in cui si stampa, ogni singolo ed infimo dettaglio è indispensabile per la riuscita dell’opera. È con questo spirito che nasce Incisioni al femminile, in cui ciascuno è un tassello fondamentale per la sua riuscita, a partire dall’organizzatore, ai curatori per giungere, soprattutto, alle artiste che con tanta passione hanno aderito donando con generosità le loro opere. Una ricchezza immensa, di tratti, tecniche, linguaggi e mondi interiori, tutti riuniti in un intento comune: l’amore per l’incisione. In una grande metropoli come quella napoletana, terra di passione ed artisticità solare, convoglio di mille contraddizioni, prende finalmente vita questa iniziativa, e tenta di rimettere in luce segni, volti e nomi, spesso confinati alle ombre. Si tratta, nel suo piccolo, di un progetto ambizioso, che parte dal nulla, senza alcun sostegno, la cui forza è data da coloro che lavorano disinteressatamente perché ci credono… Ma in fin dei conti, ogni progetto nasce da una visione, dalla “follia” o dal coraggio di rischiare, come una figura in bilico sul ciglio di un immenso promontorio, a strapiombo sul mare… Dopo il brivido iniziale, si chiudono gli occhi e ci si tuffa nel vuoto… Noi ci siamo lanciati ed ora stiamo volando…Sono certa che questa voce diventerà sempre più forte, conferendo alle prossime edizioni, un respiro internazionale. Mi piace concludere con uno scritto di Dino Formaggio (filosofo dell’arte, recentemente scomparso): Amate l’incisione. Essa non giunge all’occhio, ad un semplice vedere, ma allo “sguardo”. A qualcosa di più profondo dell’occhio esterno; poiché più che un distratto guardare, richiede lo sguardo che si coniuga con l’occhio interno e penetra meditando: Non è un gioco di segni, ma un intero “vissuto” che chiede di essere vissuto, facendone un vissuto proprio.*
* Testo tratto dal catalogo della Rassegna L’Arte e il Torchio, 1999, a cura di Vladimiro Elvieri.
Le stampe presentate in questa rassegna consentono di avere un panorama interessante e completo della pratica incisoria, assicurando anche un notevole contributo sul piano dell’intensità creativa.
La mostra è stata curata da Rosario Pinto e Veronica Longo, ed è stata resa possibile dall’intervento proposito dell’organizzazione Aquila di mare, guidata da Emilio Caputo.
Sulla scorta dell’esperienza di quest’anno, ci si propone di rendere continuativo questo appuntamento con l’Incisione al femminile a Napoli, guadagnando così alla città un ulteriore appuntamento culturale ed inserendola negli spazi specifici dedicati all’incisione, anche in altri contesti nazionali.
Il mistero del segno inciso di Veronica Longo
A ben vedere, l’incisione è generalmente inserita nella manualistica artistica come una sorta di “appendice”, erroneamente definita un’arte “minore”, al pari della ceramica o dell’oreficeria, una pratica insomma, che si associa più al lavoro artigianale che a quello ideativo-progettuale. Eppure, dopo i primi cesellatori, grandissimi artisti come Dürer, Rembrandt, Piranesi (giusto per citarne qualcuno tra una massa infinita) hanno approfondito questa tecnica adottandola come mezzo divulgativo e comunicativo. Tutto ciò nasce dal comune preconcetto, se non addirittura dalla completa riluttanza, per qualcosa che non si conosce e pertanto, non si comprende. In fin dei conti, quello dell’incisione è un mondo oscuro, quasi alchemico, legato a vernici, solventi, acidi o soluzioni corrosive, punte, metalli, tempi di morsura, strumenti e procedure dalla terminologia indecifrabile per i non addetti ai lavori (basti come esempio: il brunitoio, la bisellatura, il berceaux...) e l’incisore appare quasi come uno “stregone” che, lavorando con unguenti e pozioni, porta dal nulla la vita. C’è senza dubbio qualcosa di magico in questo ed infatti, chiunque osservi di persona per la prima volta l’esecuzione di una matrice, o di una stampa, ne resta inizialmente incuriosito, in seguito incantato. Innanzitutto occorrerebbe ricordare che l’incisione è una forma d’arte antichissima che, paradossalmente, potremmo persino intravedere nei preistorici segni graffiti delle Grotte di Lascaux (dell’età del paleolitico superiore, 14.000-13.000 circa a. C.), ossia, nella prima testimonianza di comunicazione visiva da parte dell’uomo. L’opera d’arte, da sempre, nasce dal bisogno umano di esprimersi sotto forma di messaggi non verbali. È accertato che l’incisione fu una pratica dalle remote radici; lo testimoniano i cammei incisi sulla pietra viva, gli obelischi egizi, i sigilli, le impugnature delle armi romane e delle successive popolazioni barbariche, i vasi smaltati con metalli preziosi e gemme rare incastonate, i manufatti dell’oreficeria e persino i grandi poemi d’Omero o la Bibbia, in cui sono descritte opere eseguite con tali procedimenti. Da tutti questi processi è nata, nei millenni a seguire, dopo una lenta elaborazione, l’arte d’incidere per la stampa. L’esigenza di propagandare le proprie creazioni in versione più “rapida” ed “economica” offrì, a moltissimi pittori, il pretesto giusto per cimentarsi nell’incisione. La tecnica più antica è la xilografia, la cui prima testimonianza risale all’828; si tratta del libro di carattere religioso buddista Sutra del Diamante, un rotolo continuo di quasi 5 metri, stampato con tavolette di legno di 75x30 cm. Tuttavia, questa nuova forma di conoscenza dall’Estremo Oriente apparve in Europa, a Strasburgo, solo nel 1430 dopo la diffusione della carta (che in realtà era stata introdotta dai musulmani fin dall’VIII secolo). Da quel momento l’evolversi delle tecniche è stato come un fiume in piena: dal bulino su legno si è passati al suo uso su rame con artisti strepitosi come Mantegna. La volontà di velocizzare il lavoro, e “vincere” la durezza del metallo, portò in breve alla nascita dell’incisione indiretta: al 1515 risale un’acquaforte su ferro di Dürer ed il Parmigianino fu, intorno al 1520-30, il primo pittore acquafortista su rame. Il desiderio di una maggiore sensibilità pittorica condusse fin dal Seicento, in Olanda, agli esperimenti di Seghers di vernice molle ed acquatinta. Quest’ultima fu poi divulgata in Inghilterra nel 1771 grazie a Le Prince e considerata come espressione raffinata solo dopo che Goya ne fece largo uso nei suoi Capricci nel 1799. Sempre a Goya, si deve la diffusione della litografia come procedimento artistico, nella quale si cimentò nei celeberrimi Tori di Bordeaux del 1826. A Picasso si devono inoltre brillanti intuizioni, come la realizzazione di acquatinte allo zucchero, la sostituzione dello zinco al rame (spesso con matrici “ingrassate”) e del linoleum al legno. Gli artisti degli anni Trenta del Novecento furono sempre più aperti ad un’ardita sperimentazione: Friedlaender intraprese il metodo delle acquatinte colorate sovrapposte inchiostrate “a poupée”, ma dobbiamo soprattutto alla genialità di Hayter, uno dei grandi progenitori della grafica contemporanea, la conoscenza delle morsure aperte e della stampa a colori simultanei su un’unica lastra; sul suo esempio, gli artisti dell’Atelier 17 si cimentarono nella stampa a secco (goffratura) ottenuta dalla totale assenza d’inchiostro sulla matrice realizzata per mezzo di protuberanze. Gli anni Cinquanta, con Goetz, furono infine caratterizzati da una vera e propria “rivoluzione”: a lui si deve l’uso di matrici con materiali non convenzionali come alcune pellicole plastiche e soprattutto l’invenzione del metodo al carborundum ed altre tecniche collografiche. Da allora in poi, il tragitto verso la ricerca è stata un’ampia strada spianata all’interno di una foresta vergine, a cui, tutti coloro che possedessero genialità ed estro potevano accedere senza remore, prelevando nuovi stimoli ed arricchendoli con il proprio contributo personale: un’apertura al mondo, al confronto di pensieri, parole, arte ed emozioni…
Sembra “doveroso”, nei confronti di chi si accosta a questo catalogo, senza essere un esperto del settore, fare almeno una brevissima distinzione che, ovviamente, non ha la presunzione di presentarsi come un approccio didattico, ma semplicemente di essere uno stimolo all’eventuale approfondimento delle tecniche. Rispetto al supporto sul quale si realizza l’opera, ed al tipo di segno ottenuto, le tecniche incisorie si suddividono in tre rami principali: a rilievo, ad incavo ed in piano. Al primo ambito appartiene la xilografia (o silografia, dal greco xylon e graféin, letteralmente: scrittura su legno) che può esser realizzata su legno di filo (taglio in senso longitudinale rispetto al tronco, seguendo il senso della fibra) o di testa (taglio trasversale dei tasselli, caratterizzati dalle venature concentriche), nella variante su linoleum (linoleografia) o su legni economici composti da impasti di fibre, come multistrati, compensati o MDF. Si tratta di un procedimento rilievografico, che produce tratti a risparmio, le parti scavate tramite sgorbie o bulini sono i bianchi, mentre le parti a rilievo sono i neri, che vengono inchiostrati con un rullo. Al secondo gruppo appartiene la parte più prolifica, la calcografia (etimologicamente da khalkòs e graphia: scrittura su rame) che, a sua volta, riunisce in sé due aspetti: le tecniche dirette ed indirette. Le prime si realizzano utilizzando direttamente gli strumenti sulle matrici: puntasecca, bulino, criblé, maniera nera, rotelle; le seconde necessitano invece dell’azione di un mordente (acido nitrico, percloruro ferrico…) che “corrode” il metallo creando gli incavi in cui si andrà a depositare l’inchiostro, rendendo alla stampa i neri. Questo tipo di tecniche spesso sono impiegate in modo combinato: acquaforte, acquatinta, cera molle, maniera allo zucchero, punteggiata settecentesca, roulette, maniera a lapis… Alla calcografia oggi si fanno rientrare anche tutte quelle tecniche sperimentali che, pur non incidendo, nel senso classico del termine la matrice, si realizzano con la sovrapposizione di diversi materiali dal carborundum (carburo di silicio), a spaghi, corde, colle, spesso applicati su supporti poveri o forniti dall’attuale tecnologia, come plexiglas, PVC, forex, cartoni pressati… Infine, alle tecniche in piano, appartiene la litografia (da lithos e graphia, scrittura su pietra), realizzabile su pietra litografica o su lastre granite, e qui i segni positivi e negativi sono tutti sullo stesso piano. Questo è solo un rapido assunto, per rendere l’idea di ciò che seguirà in queste pagine e che sarà visibile nella sede del Complesso Monumentale di San Severo al Pendino, situata nel centro storico della città. Potrebbe sorgere spontanea una domanda: perché le Incisioni al femminile? Questa mostra nasce inizialmente dall’incontro fortuito a Bagnacavallo con Emilio Caputo (dell’organizzazione Aquila di Mare), durante la presentazione del V Repertorio degli Incisori Italiani. Entrambi, condividendo l’amore per la grafica, sentiamo la necessità di mostrare anche a Napoli, un panorama spesso poco conosciuto. Sfogliando le pagine del suddetto Repertorio appare evidente, infatti, non solo la grande quantità d’incisori che si dedicano costantemente a queste tecniche, ma che tra i tantissimi nomi, molti sono proprio di donne. Non poteva mancare a questo punto, l’apporto storico artistico fondamentale di Rosario Pinto, che da anni studia alacremente e con profonda coscienza la produzione al femminile, mostrando, attraverso le sue innumerevoli pubblicazioni, una quantità di opere di considerevole pregio, realizzate da donne spesso rimaste in sordina o all’ombra di personaggi più noti. Le artiste invitate per questa esposizione sono state scelte in parte dal Repertorio stesso: si tratta infatti di professioniste che s’impegnano costantemente in questa disciplina, raggiungendo ottimi livelli espressivi ed interpretativi. A tutte loro è stato chiesto di partecipare con un massimo di due opere in formato verticale 500x350 mm, lasciando la totale libertà di linguaggio, forma, tecnica o dimensione della matrice, purché rientrassero nell’ambito della grafica d’arte originale, ossia, di opere incise a mano su matrici. Osservando i lavori qui esposti, si può notare come i fogli stampati oscillino dall’incisione tradizionale a quella sperimentale, dal classico e puro bianco e nero al colore più acceso, dal figurativo all’informale, mostrando una varietà di matrici realizzate su zinco, rame, plexiglas, PVC, incise con tecnica diretta o indiretta, con stampa alta, ad incavo o a secco, e persino la scelta delle carte è del tipo più vario e non casuale: Graphia ruvida e liscia, Alcantara, Murillo, Amatruda, Hahnemühle, Rosaspina, Pescia, carta giapponese… tutte dalle grammature e tonalità più disparate. Questa varietà è anche visibile dalla provenienza delle artiste dal Nord al Sud dell’Italia, con la presenza anche di un’argentina ed una cilena; molte di loro appartengono ad associazioni specialistiche e consolidate negli anni che si dedicano attivamente all’incisione, come l’Associazione Nazionale Incisori Italiani, l’Associazione Incisori Siciliani o l’Associazione Incisori Veneti altre, invece, hanno aderito da centri prestigiosi come l’Atelier Aperto di Venezia, da sempre promotore di una ricerca grafica senza limiti e confini. Giovani promesse Under 35 hanno inoltre partecipato con alcuni di questi lavori a rassegne di rilevanza internazionale, come la ormai decennale L’Arte e il torchio che ha fatto di Cremona un punto nevralgico d’incontro, a dimostrazione che esiste un concreto interesse per questo tipo d’arte. Appare qui utile far notare che l’incisione, a differenza di altre tecniche, non si può apprendere da autodidatta ma necessita, almeno inizialmente, della guida di un maestro che mostri la tecnica per poi “dimenticarla” e farla propria una volta che se ne siano acquisiti i principi. Inoltre, al di là di ciò che banalmente si crede, l’incisione, pur generando multipli, non è in se stessa imitabile: non si può duplicare pedissequamente la matrice originaria attraverso processi artigianali. Persino durante la tiratura, si producono un numero di esemplari simili, ma mai uguali l’uno all’altro, in quanto, essendoci per ogni copia l’intervento manuale dell’uomo, diventa impossibile inchiostrare e pulire ogni matrice allo stesso identico modo: un “giro” di tarlatana in più, o un soffio di bianco di Spagna, sono sufficienti a rendere una lastra “velata” o “a palmo”. Un altro aspetto che non viene mai considerato è quello della difficoltà, dei tempi tecnici o della perizia meticolosa che occorre per la realizzazione di una matrice, il cui lavoro va seguito accuratamente in tutte le sue fasi, facendo attenzione alla lentezza o alla rapidità di un mordente, realizzando il disegno nel senso speculare, pensando in origine allo strumento in funzione al risultato che si vuole ottenere, per cui, nulla è lasciato al caso. Affinché un’incisione sia perfetta in tutti i suoi toni, dal bianco netto al nero più profondo, non solo la matrice deve esser stata eseguita in maniera corretta, ma anche la stampa gioca un ruolo fondamentale; non a caso, quello dello stampatore è un’altra professione per la capacità di saper interpretare un segno, trovando la soluzione più adatta per ogni singola lastra. Come un puzzle dagli infiniti pezzi, un foglio inciso per avere la sua completezza necessita della calibrazione perfetta di una serie di elementi che sono in continuo equilibrio dinamico: la scelta di un colore o di una carta, l’umidità della stessa, la fluidità o densità dell’inchiostro, la temperatura dell’ambiente in cui si stampa, ogni singolo ed infimo dettaglio è indispensabile per la riuscita dell’opera. È con questo spirito che nasce Incisioni al femminile, in cui ciascuno è un tassello fondamentale per la sua riuscita, a partire dall’organizzatore, ai curatori per giungere, soprattutto, alle artiste che con tanta passione hanno aderito donando con generosità le loro opere. Una ricchezza immensa, di tratti, tecniche, linguaggi e mondi interiori, tutti riuniti in un intento comune: l’amore per l’incisione. In una grande metropoli come quella napoletana, terra di passione ed artisticità solare, convoglio di mille contraddizioni, prende finalmente vita questa iniziativa, e tenta di rimettere in luce segni, volti e nomi, spesso confinati alle ombre. Si tratta, nel suo piccolo, di un progetto ambizioso, che parte dal nulla, senza alcun sostegno, la cui forza è data da coloro che lavorano disinteressatamente perché ci credono… Ma in fin dei conti, ogni progetto nasce da una visione, dalla “follia” o dal coraggio di rischiare, come una figura in bilico sul ciglio di un immenso promontorio, a strapiombo sul mare… Dopo il brivido iniziale, si chiudono gli occhi e ci si tuffa nel vuoto… Noi ci siamo lanciati ed ora stiamo volando…Sono certa che questa voce diventerà sempre più forte, conferendo alle prossime edizioni, un respiro internazionale. Mi piace concludere con uno scritto di Dino Formaggio (filosofo dell’arte, recentemente scomparso): Amate l’incisione. Essa non giunge all’occhio, ad un semplice vedere, ma allo “sguardo”. A qualcosa di più profondo dell’occhio esterno; poiché più che un distratto guardare, richiede lo sguardo che si coniuga con l’occhio interno e penetra meditando: Non è un gioco di segni, ma un intero “vissuto” che chiede di essere vissuto, facendone un vissuto proprio.*
* Testo tratto dal catalogo della Rassegna L’Arte e il Torchio, 1999, a cura di Vladimiro Elvieri.
13
giugno 2009
Incisioni al femminile
Dal 13 al 27 giugno 2009
disegno e grafica
Location
CHIESA DI SAN SEVERO AL PENDINO
Napoli, Via Duomo, 286, (Napoli)
Napoli, Via Duomo, 286, (Napoli)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 10-18 (domenica chiuso)
Vernissage
13 Giugno 2009, ore 17
Autore
Curatore