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Incisioni di Jean-Pierre Velly. Un point c’est tout
L’antologica Incisioni di Jean-Pierre Velly. Un point c’est tout prende il titolo da un lavoro di Velly del 1978 per sottolineare l’elemento distintivo delle sue opere: all’artista bastano un punto o un tratto inciso con il bulino per avviare sulla lastra la creazione di un mondo, ora composto da morbidi nudi femminili, altre volte affollato di resti di urbani naufragi, ora colmo di allucinate sarabande
Comunicato stampa
Segnala l'evento
A quasi quarant'anni dall'ultima occasione espositiva torinese, l'opera incisa dell'artista francese Jean-Pierre
Velly (1943-1990) viene presentata giovedì 16 febbraio alle ore 18 nello Spazio Don Chisciotte di Torino
della Fondazione Bottari Lattes, con un'ampia retrospettiva a cura di Vincenzo Gatti.
L'antologica Incisioni di Jean-Pierre Velly. Un point c’est tout prende il titolo da un lavoro di Velly del 1978
per sottolineare l'elemento distintivo delle sue opere: all'artista bastano un punto o un tratto inciso con il
bulino per avviare sulla lastra la creazione di un mondo, ora composto da morbidi nudi femminili, altre volte
affollato di resti di urbani naufragi, ora colmo di allucinate sarabande.
La mostra, a ingresso libero, rimane aperta fino al 22 aprile (martedì – sabato ore 10.30-12.30; 15-19) ed è
organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes (www.fondazionebottarilattes.it) con il sostegno della Regione
Piemonte.
Non si tratta solamente di un giusto omaggio a uno tra i più rilevanti esponenti dell'arte calcografica del
secondo Novecento, spiega il curatore Vincenzo Gatti, ma anche della testimonianza di un comune destino che
aveva legato Mario Lattes, a cui la Fondazione è dedicata, e l'artista francese. La galleria romana Don Chisciotte,
inaugurata con una personale di Lettes nel 1962 e di cui lo spazio torinese ha raccolto l'eredità, s arà punto di
riferimento costante per ambedue e il rapporto con il direttore Giuliano de Marsanich diventerà fondamentale
per la carriera di Velly.
I fogli esposti a Torino, una trentina circa, provengono dalla collezione Lattes e ben testimoniano
dell'apprezzamento, della stima e anche della comunanza di ideali ritrovati nelle opere dell'incisore: in
prevalenza bulini anche di grande formato, costituiscono una vera antologia dell'appassionato lavoro
dell'incisore, a partire dagli anni Sessanta, con fogli come Trinità dei Monti del 1968, fino a giungere alle
ultime opere prima della scomparsa come, ad esempio, Fleurs d’Hiver del 1989 nella quale l’uso della tecnica
della maniera nera testimonia del prevalente interesse pittorico manifestato dall’artista in quegli anni.
Velly, illustra Vincenzo Gatti, usa magistralmente il segno fatale e crudele del bulino per costruire un'immagine
del mondo sospesa fra tradizione, critica della modernità e dedizione totale all'arte. La limpidezza della traccia
sostiene e accentua le accumulazioni più disperate: sono visioni cosmiche e apocalittiche costruite con una
tecnica antica tanto intimamente vissuta da sciogliersi e sublimarsi nel sogno.
L'artista non nasconde l'ascendenza nordica delle sue fantasie e dei suoi fantasmi, da Dürer a Seghers ad
Altdorfer, fino a giungere, in coerenza al suo stesso ideale di vita, al romanticismo più acceso di Friedrich e di
Carus, più evidente quando verso gli anni Ottanta si dedicherà quasi esclusivamente alla pittura.
Lontano dagli ambienti mondani, da un mondo superficiale e distratto, lavora chiuso nel suo ambiente quasi
come una crisalide, in tensione continua verso l'essenza delle cose e il loro significato, oltre le apparenze, che
pur lucidamente definite, finiscono tuttavia per disgregarsi in una gloriosa e sofferta totalità.
Come lo stesso Velly dichiarava a proposito della sua dedizione al disegno e all'incisione: «... la visione in bianco
e nero è un fatto mentale, non esiste in natura, e nel bianco e nero si scatena tutta la mia ansia e sete di libertà
espressiva, senza inseguire le mode senza voler essere contemporaneo in tutti i modi...».
Jean-Pierre Velly nasce ad Audierne, in Francia, nel 1943. Dopo un breve soggiorno in Tunisia, la famiglia si
trasferisce in Normandia. I suoi studi si svolgono tra Tolone e Parigi, dove segue i corsi delle Scuole di Belle
Arti. Talento molto precoce, nel 1966 vince il Grand Prix de Rome con un'incisione a bulino che rivela già
pienamente la qualità e la maturità della sua ricerca. Il Premio prevede una borsa di studio e un soggiorno di
quaranta mesi presso Villa Medici, prestigiosa sede dell'Accademia di Francia a Roma, diretta in quegli anni da
Balthus: per la sua carriera si tratta di un'opportunità fondamentale, che gli consente di frequentare l'ambiente
culturale romano e di farsi apprezzare dal pubblico e dalla critica, colpita dalle qualità tecniche e visionarie
delle sue incisioni. Espone a Milano presso la Galleria Transart nel 1969 e a Napoli presso la Galleria S. Carlo nel
1970.
Si stabilisce, ed è una scelta di vita definitiva, a Formello, un antico borgo vicino alla capitale. Nel 1971 incontra
Giuliano de Marsanich, proprietario della Galleria don Chisciotte di Roma (di cui lo spazio torinese ha raccolto
l'eredità), che in breve tempo gli organizza una personale: sarà l'inizio di un sodalizio che continuerà negli anni
con ripetuti appuntamenti espositivi .
A Torino espone nel 1971 nella Galleria Davico e nel 1979 nella Galleria Arte Club. Si moltiplicano le mostre, in
Italia e all'estero, di cui scriveranno Moravia, Sciascia, Soavi, Sgarbi e Praz.
Dalla fine degli anni Settanta si assiste a un progressivo passaggio dall'incisione, sua tecnica d'elezione, alla
pittura. Nel 1990 muore tragicamente durante una gita sul lago di Bracciano.
Negli anni seguenti gli sono state dedicate importanti retrospettive, tra cui l'ultima, recentissima, all'Istituto
Centrale per la Grafica di Roma nel 2016.
Mostra: 17 febbraio – 22 aprile 2017
Martedì - sabato ore 10.30-12.30; 15-19.
Ingresso libero
www.fondazionebottarilattes.it
segreteria@spaziodonchisciotte.it
tel. 011.19771755
Ufficio stampa:
Paola Galletto 340.7892412 pao.galletto@gmail.com
Velly (1943-1990) viene presentata giovedì 16 febbraio alle ore 18 nello Spazio Don Chisciotte di Torino
della Fondazione Bottari Lattes, con un'ampia retrospettiva a cura di Vincenzo Gatti.
L'antologica Incisioni di Jean-Pierre Velly. Un point c’est tout prende il titolo da un lavoro di Velly del 1978
per sottolineare l'elemento distintivo delle sue opere: all'artista bastano un punto o un tratto inciso con il
bulino per avviare sulla lastra la creazione di un mondo, ora composto da morbidi nudi femminili, altre volte
affollato di resti di urbani naufragi, ora colmo di allucinate sarabande.
La mostra, a ingresso libero, rimane aperta fino al 22 aprile (martedì – sabato ore 10.30-12.30; 15-19) ed è
organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes (www.fondazionebottarilattes.it) con il sostegno della Regione
Piemonte.
Non si tratta solamente di un giusto omaggio a uno tra i più rilevanti esponenti dell'arte calcografica del
secondo Novecento, spiega il curatore Vincenzo Gatti, ma anche della testimonianza di un comune destino che
aveva legato Mario Lattes, a cui la Fondazione è dedicata, e l'artista francese. La galleria romana Don Chisciotte,
inaugurata con una personale di Lettes nel 1962 e di cui lo spazio torinese ha raccolto l'eredità, s arà punto di
riferimento costante per ambedue e il rapporto con il direttore Giuliano de Marsanich diventerà fondamentale
per la carriera di Velly.
I fogli esposti a Torino, una trentina circa, provengono dalla collezione Lattes e ben testimoniano
dell'apprezzamento, della stima e anche della comunanza di ideali ritrovati nelle opere dell'incisore: in
prevalenza bulini anche di grande formato, costituiscono una vera antologia dell'appassionato lavoro
dell'incisore, a partire dagli anni Sessanta, con fogli come Trinità dei Monti del 1968, fino a giungere alle
ultime opere prima della scomparsa come, ad esempio, Fleurs d’Hiver del 1989 nella quale l’uso della tecnica
della maniera nera testimonia del prevalente interesse pittorico manifestato dall’artista in quegli anni.
Velly, illustra Vincenzo Gatti, usa magistralmente il segno fatale e crudele del bulino per costruire un'immagine
del mondo sospesa fra tradizione, critica della modernità e dedizione totale all'arte. La limpidezza della traccia
sostiene e accentua le accumulazioni più disperate: sono visioni cosmiche e apocalittiche costruite con una
tecnica antica tanto intimamente vissuta da sciogliersi e sublimarsi nel sogno.
L'artista non nasconde l'ascendenza nordica delle sue fantasie e dei suoi fantasmi, da Dürer a Seghers ad
Altdorfer, fino a giungere, in coerenza al suo stesso ideale di vita, al romanticismo più acceso di Friedrich e di
Carus, più evidente quando verso gli anni Ottanta si dedicherà quasi esclusivamente alla pittura.
Lontano dagli ambienti mondani, da un mondo superficiale e distratto, lavora chiuso nel suo ambiente quasi
come una crisalide, in tensione continua verso l'essenza delle cose e il loro significato, oltre le apparenze, che
pur lucidamente definite, finiscono tuttavia per disgregarsi in una gloriosa e sofferta totalità.
Come lo stesso Velly dichiarava a proposito della sua dedizione al disegno e all'incisione: «... la visione in bianco
e nero è un fatto mentale, non esiste in natura, e nel bianco e nero si scatena tutta la mia ansia e sete di libertà
espressiva, senza inseguire le mode senza voler essere contemporaneo in tutti i modi...».
Jean-Pierre Velly nasce ad Audierne, in Francia, nel 1943. Dopo un breve soggiorno in Tunisia, la famiglia si
trasferisce in Normandia. I suoi studi si svolgono tra Tolone e Parigi, dove segue i corsi delle Scuole di Belle
Arti. Talento molto precoce, nel 1966 vince il Grand Prix de Rome con un'incisione a bulino che rivela già
pienamente la qualità e la maturità della sua ricerca. Il Premio prevede una borsa di studio e un soggiorno di
quaranta mesi presso Villa Medici, prestigiosa sede dell'Accademia di Francia a Roma, diretta in quegli anni da
Balthus: per la sua carriera si tratta di un'opportunità fondamentale, che gli consente di frequentare l'ambiente
culturale romano e di farsi apprezzare dal pubblico e dalla critica, colpita dalle qualità tecniche e visionarie
delle sue incisioni. Espone a Milano presso la Galleria Transart nel 1969 e a Napoli presso la Galleria S. Carlo nel
1970.
Si stabilisce, ed è una scelta di vita definitiva, a Formello, un antico borgo vicino alla capitale. Nel 1971 incontra
Giuliano de Marsanich, proprietario della Galleria don Chisciotte di Roma (di cui lo spazio torinese ha raccolto
l'eredità), che in breve tempo gli organizza una personale: sarà l'inizio di un sodalizio che continuerà negli anni
con ripetuti appuntamenti espositivi .
A Torino espone nel 1971 nella Galleria Davico e nel 1979 nella Galleria Arte Club. Si moltiplicano le mostre, in
Italia e all'estero, di cui scriveranno Moravia, Sciascia, Soavi, Sgarbi e Praz.
Dalla fine degli anni Settanta si assiste a un progressivo passaggio dall'incisione, sua tecnica d'elezione, alla
pittura. Nel 1990 muore tragicamente durante una gita sul lago di Bracciano.
Negli anni seguenti gli sono state dedicate importanti retrospettive, tra cui l'ultima, recentissima, all'Istituto
Centrale per la Grafica di Roma nel 2016.
Mostra: 17 febbraio – 22 aprile 2017
Martedì - sabato ore 10.30-12.30; 15-19.
Ingresso libero
www.fondazionebottarilattes.it
segreteria@spaziodonchisciotte.it
tel. 011.19771755
Ufficio stampa:
Paola Galletto 340.7892412 pao.galletto@gmail.com
16
febbraio 2017
Incisioni di Jean-Pierre Velly. Un point c’est tout
Dal 16 febbraio al 22 aprile 2017
arte contemporanea
disegno e grafica
disegno e grafica
Location
SPAZIO DON CHISCIOTTE
Torino, Via Della Rocca, 37, (Torino)
Torino, Via Della Rocca, 37, (Torino)
Orario di apertura
martedì – sabato ore 10.30-12.30; 15-19
Vernissage
16 Febbraio 2017, h 18
Sito web
www.fondazionebottarilattes.it
Autore
Curatore