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Insidemymind. Outsideyourmind
Si tratta di un work in progress che parte da un’installazione della durata di un giorno svoltasi nel maggio 2000: la seconda fase del progetto presenta l’evoluzione del work in progress e il video-documento del precedente
Comunicato stampa
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INSIDEMYMIND/DENTROLAMIATESTA OUTSIDETYOURMIND/FUORIDALLATUATESTA è un work in progress che parte da un’installazione– Inside My Mind/Dentro La Mia Testa - della durata di un giorno, svoltasi in forma privata, nel maggio 2007, con la sola presenza, insieme agli artisti, dell’amica e critica d’arte Viana Conti e di Gianfranco Vendemiati, presidente dell’Istituto per le Materie e le Forme Iconsapevoli-Museattivo Claudio Costa, ente che ha promosso ed organizzato questo evento.
La sede era una stanza di degenza dell’Ospedale Psichiatrico di Genova Quarto, abbandonata e decadente, dove 7 artisti, in gruppo, in coppia e singolarmente – Rosella Grillo, Margherita Levo Rosenberg, Dorina Monaco, Chiara Scarfò e Giovanna Vitarelli del gruppo COLLANT; Luisa Bugna e Bruno Cassaglia di ICE DOG e Mara Mayer – assumendo lo spazio nel suo stato attuale di degrado, si confrontavano con interventi site-specific, documentati in un video da Chiara Scarfò.
Gli artisti “raccogliendo le suggestioni e le presenze reali e metaforiche dello spazio espositivo” hanno realizzato opere che entrano in “empatica sintonia con le istanze espressive della loro mente”.
Nella sede dello Studio Ghiglione , a poco più di un anno di distanza, la seconda fase del progetto - Outside Your Mind/Fuori Dalla Tua Testa - presenta l’evoluzione del work in progress e il video-documento del precedente.
In galleria il manifesto della mostra con testo critico di Viana Conti
Isole della mente nel continente del vissuto
di Viana Conti
È a partire da un luogo, deprivato della sua connotazione di ospedale psichiatrico, che prende forma, come un’onda di memoria e di imma-ginazione, la mostra significativamente intitolata Inside My Mind-Outside Your Mind/Dentro la mia testa-Fuori dalla tua testa. Sede di par-tenza - una stanza di degenza abbandonata e decadente - lo spazio viene assunto nel suo attuale stato di abbandono e di conseguente degra-do, come non-luogo di sogni e incubi, di attese disattese, ma anche di ritrovamenti di interstizi, reali o virtuali, di identità, di proiezioni emo-zionali di soggetti e oggetti, di gesti intensi e ambienti densi di affezione. Vi si confrontano, nella sua destinazione itinerante, due tipologie:quella segreta dell’interiorità e quella esterna dell’alterità. Tende così a formalizzarsi, attraverso la messa in mostra di opere di carattere mul-timediale, una condizione di intelligenza relazionale di ordine interpersonale (Grillo, Monaco, Mayer), intrapersonale (Vitarelli), ma anche lin-guistica (Levo Rosenberg, Cassaglia), corporeo-cinestetica e spaziale (Scarfò), in possibile sintonia con la teoria dell’intelligenza multiplasostenuta dallo psicologo americano Howard Gardner. Gli artisti sono sette, uniti empaticamente, senza alcuna discriminante culturale, pro-fessionale, sociologica, terapeutica, artistica, e al tempo stesso liberi di esprimere all’altro, e iscrivere nella propria isola creativa, il portato diun’inalienabile soggettività. Una libertà di espressione, la loro, che risponde alle pulsioni liberatorie di desideri forse inibiti, talora addiritturarepressi, ma anche di confessioni infantilmente sussurrate nella discrezione silenziosa di una struttura vuota, sul bordo dell’oblìo. È negli inten-dimenti della mostra che la lettura del suo complesso e delle sue singolarità avvenga alla luce di una condizione di opportunità senza barrie-re. Dalla comune radice verbale motion, scaturiscono le motivazioni, le emozioni e i liberi movimenti nello spazio delle opere e degli artisti.La mostra viene documentata da un video realizzato da Scarfò, che si muove a proprio agio, anche per i suoi self clip, sia all’interno dell’exIstituto manicomiale di Cogoleto sia in quello - la parte in disuso - di Quarto, sede indimenticabile dell’Istituto per le Materie e le FormeInconsapevoli e della sezione Museattivo Claudio Costa, dal nome dell’artista precocemente scomparso nel 1995, che promuovono questamostra, e degli ateliers di arte-terapia. Ambientate ariosamente in questa struttura archeologica, ora ricovero prediletto di gatti, topi, piccio-ni, loro naturali ospiti, tra vetri rotti, pareti segnate da battaglie inenarrabili, finestre pesantemente sbarrate, pavimenti ingombri di cataste difascine, dove un mattone sbrecciato si improvvisa, nel gesto surreale di Gianfranco Vendemiati, vaso per la vita breve di un fiore, le opere,in contrappunto con il greve vissuto dello spazio che le circonda, si scaricano di dramma e si caricano di poetica leggerezza e fresca sponta-neità. Di Ice Dog, i cui esponenti sono Bruno Cassaglia e Luisa Bugna, termine algido che ribalta quello commestibile di Hot Dog, è la scrittaomonima in granoturco che, cosparsa di alcool e data alle fiamme, si trasforma, con un gesto performativo, in un pasto caldo per i piccioniche vi abitano; in altra sede l’opera viene appropriatamente sostituita dalla forma primaria di una croce “bendata”. Gli esponenti del gruppooperano anche sul terreno della verbo-visività, della tautologia tra gestualità e scrittura, tra i nomi e le cose. Di Rosella Grillo sono i micro-maglioncini lavorati a maglia, nei diversi colori dell’arcobaleno, appesi a un contenitore di cartone a voler rappresentare il dono di contattitanto ravvicinati da diventare possibili abbracci, termine questo che intitola i lavori. Di Abbracci ce ne sono tuttavia di vario tipo, quelli totalie quelli mutilati, a giudicare dalle ricorrenti mancanze di uno o l’altro braccio nelle piccole confezioni di lana colorata. Nella sua intenzione diesprimere calore, l’opera evidenzia slanci e resistenze al momento compartecipativo. Margherita Levo Rosenberg è emblematicamente pre-sente con l’installazione “Muri che parlano”, dodici coni, suoi topoi concettual-oggettuali, realizzati con lastre radiologiche del colore, utiliz-zato negli ospedali, grigio-verde lambrino, che lasciano intravvedere all’interno avvolgimenti di stampe su fogli di acetato. Queste immagina-rie sacche di realtà dolenti, occultate dalle barriere reali e metaforiche dei muri, si aprono a spirale lasciando trapelare immagini intensamen-te connesse a storie di vite vissute nella reclusione e tuttavia, alla luce dell’interesse di qualche spirito illuminato, esteticamente espresse edapprezzate dal mondo esterno, come quelle di Davide Mansueto Raggio, che l’artista Claudio Costa aveva descritto come uomo … di legnoantico, lavorato dal gelo, dalla memoria e da un tempo che si perde lontano, di Carlo Zinelli, i cui altamente simbolici lavori cromatici, segni-ci, scritturali, sonori, furono sottoposti da Vittorino Andreoli a Jean Dubuffet, di Aloïse che si rappresenta fiera regina di un mondo piattamen-te raggelato e decorato come una carta da gioco, di Adolf Wölfli i cui deliri figurativi, numerici e musicali divennero oggetto di una fondamen-tale monografia di Walter Morgenthaler, letta da Rilke e da Andreas-Salomé. Il linguaggio estetico di Levo Rosenberg, di possibile ascenden-za post-pop/concettuale, opera sovente su dispositivi di traslazione, traduzione ironica, transfert tra significato e significante. Di Mara Mayerè la foto di un frammento di un vistoso manifesto del circo che annuncia alla popolazione la sua visita: giusto Nella vostra città. In un fanto-matico spazio di detriti e relitti ecco irrompere, da una breccia del muro, una fierissima tigre che viene a visitare il luogo, risvegliando, con lafelinità della sua presenza, onde di paura sopita o soffocata. Evidente è la frizione che si crea tra un luogo, che è stato abitato da camici bian-chi e adibito alla terapia psichica, e il linguaggio aggressivo dei messaggi pubblicitari metropolitani. La danza aerea di figure specchianti, rita-gliate da Dorina Monaco per la mostra, ricostruisce l’identità di un soggetto emblematico come il gatto che, animale d’affezione, randagio,da salotto, ma sempre tendenzialmente solo e libero, mantiene alta la sua dignità, la sua innata eleganza di postura, il magnetico fascinodel suo sguardo al fosforo. L’oscillare nello spazio di questi felini specchianti, da cui viene ritagliata e altrove dislocata la coda, diventa, comesi può rilevare nel video di documentazione, improvviso rispecchiamento di un volto in transito. Plasticamente disinibita, sospesa tra la real-tà e l’utopia, tra la terra e il vuoto, il volo e la stasi, è La danza delle libertà mancate che Chiara Scarfò improvvisa, nei suoi self-video-clip,dialogando con la sua ombra, il suo doppio allo specchio, oggetti d’arredo, relitti trash, improvvisi spiragli di luce. Videoartista e performerScarfò, slittando da pose fetali a pose fatali, da equilibrismi spericolati a salde figure ginniche, costruisce e decostruisce strutture labirintiche,flash di giochi infantili, ritrovandosi o smarrendosi, di soglia in soglia, in spazi vagamente allucinatori, in tunnel attraversati da sogni e incu-bi. È ipotizzabile che la forte tensione che si percepisce nei suoi autoscatti e nelle sue videoazioni derivi dal contrasto tra il suo giovane corpoe il degrado dello spazio ambientale in cui si muove. Le opere di Giovanna Vitarelli sono l’espressione di un vero e proprio culto praticatoverso le pietre dure e preziose, in questo caso con riferimento a quella varietà di berillo di colore verde che è lo smeraldo, la cui bellezza,purezza e trasparenza riconduce all’archeomistero del Santo Graal, il calice in cui Gesù sembra aver bevuto nell’Ultima Cena e in cui Giuseppe d’Arimatea, segreto discepolo di Cristo, si pensa ne abbia raccolto il sangue dalla Croce, come viene riportato nella scritta sulle pareti verdidello spazio espositivo, insignite, al centro, di una collana e ai piedi di un cristallo di radice di smeraldo. Spesso nel lavoro di Vitarelli si instau-ra un dialogo di ordine metaforico e simbolico, tra la materia originata dalla natura e quella derivata dal lavoro industriale dell’uomo. In con-clusione si può rilevare come tutte le opere realizzate dagli artisti selezionati, raccogliendo le suggestioni e le presenze reali e metaforichedello spazio espositivo, entrino in empatica sintonia con le istanze espressive della loro mente. Interessante è osservare come talora le solu-zioni estetiche bidimensionali esprimano, a differenza di quelle tridimensionali, un rapporto conflittuale o comunque difficile con la realtà. Inquesto esplicito contesto di pari opportunità creative ed espositive, si può anche rilevare come alcune opere nascano da un’imprescindibileurgenza interiore, che trova nella realizzazione e rappresentazione l’alleggerimento di un malessere profondo, configurandosi come reazioneinterna a una provocazione esterna e altre nascano da una naturale evoluzione linguistica in seno a una ricerca in atto, nel cui ambito la pre-senza di tensione è ascrivibile alla difficoltà consapevole di dare forma concreta all’immaterialità di un’idea, di iscrivere in un’opera finita unadomanda di infinito.
La sede era una stanza di degenza dell’Ospedale Psichiatrico di Genova Quarto, abbandonata e decadente, dove 7 artisti, in gruppo, in coppia e singolarmente – Rosella Grillo, Margherita Levo Rosenberg, Dorina Monaco, Chiara Scarfò e Giovanna Vitarelli del gruppo COLLANT; Luisa Bugna e Bruno Cassaglia di ICE DOG e Mara Mayer – assumendo lo spazio nel suo stato attuale di degrado, si confrontavano con interventi site-specific, documentati in un video da Chiara Scarfò.
Gli artisti “raccogliendo le suggestioni e le presenze reali e metaforiche dello spazio espositivo” hanno realizzato opere che entrano in “empatica sintonia con le istanze espressive della loro mente”.
Nella sede dello Studio Ghiglione , a poco più di un anno di distanza, la seconda fase del progetto - Outside Your Mind/Fuori Dalla Tua Testa - presenta l’evoluzione del work in progress e il video-documento del precedente.
In galleria il manifesto della mostra con testo critico di Viana Conti
Isole della mente nel continente del vissuto
di Viana Conti
È a partire da un luogo, deprivato della sua connotazione di ospedale psichiatrico, che prende forma, come un’onda di memoria e di imma-ginazione, la mostra significativamente intitolata Inside My Mind-Outside Your Mind/Dentro la mia testa-Fuori dalla tua testa. Sede di par-tenza - una stanza di degenza abbandonata e decadente - lo spazio viene assunto nel suo attuale stato di abbandono e di conseguente degra-do, come non-luogo di sogni e incubi, di attese disattese, ma anche di ritrovamenti di interstizi, reali o virtuali, di identità, di proiezioni emo-zionali di soggetti e oggetti, di gesti intensi e ambienti densi di affezione. Vi si confrontano, nella sua destinazione itinerante, due tipologie:quella segreta dell’interiorità e quella esterna dell’alterità. Tende così a formalizzarsi, attraverso la messa in mostra di opere di carattere mul-timediale, una condizione di intelligenza relazionale di ordine interpersonale (Grillo, Monaco, Mayer), intrapersonale (Vitarelli), ma anche lin-guistica (Levo Rosenberg, Cassaglia), corporeo-cinestetica e spaziale (Scarfò), in possibile sintonia con la teoria dell’intelligenza multiplasostenuta dallo psicologo americano Howard Gardner. Gli artisti sono sette, uniti empaticamente, senza alcuna discriminante culturale, pro-fessionale, sociologica, terapeutica, artistica, e al tempo stesso liberi di esprimere all’altro, e iscrivere nella propria isola creativa, il portato diun’inalienabile soggettività. Una libertà di espressione, la loro, che risponde alle pulsioni liberatorie di desideri forse inibiti, talora addiritturarepressi, ma anche di confessioni infantilmente sussurrate nella discrezione silenziosa di una struttura vuota, sul bordo dell’oblìo. È negli inten-dimenti della mostra che la lettura del suo complesso e delle sue singolarità avvenga alla luce di una condizione di opportunità senza barrie-re. Dalla comune radice verbale motion, scaturiscono le motivazioni, le emozioni e i liberi movimenti nello spazio delle opere e degli artisti.La mostra viene documentata da un video realizzato da Scarfò, che si muove a proprio agio, anche per i suoi self clip, sia all’interno dell’exIstituto manicomiale di Cogoleto sia in quello - la parte in disuso - di Quarto, sede indimenticabile dell’Istituto per le Materie e le FormeInconsapevoli e della sezione Museattivo Claudio Costa, dal nome dell’artista precocemente scomparso nel 1995, che promuovono questamostra, e degli ateliers di arte-terapia. Ambientate ariosamente in questa struttura archeologica, ora ricovero prediletto di gatti, topi, piccio-ni, loro naturali ospiti, tra vetri rotti, pareti segnate da battaglie inenarrabili, finestre pesantemente sbarrate, pavimenti ingombri di cataste difascine, dove un mattone sbrecciato si improvvisa, nel gesto surreale di Gianfranco Vendemiati, vaso per la vita breve di un fiore, le opere,in contrappunto con il greve vissuto dello spazio che le circonda, si scaricano di dramma e si caricano di poetica leggerezza e fresca sponta-neità. Di Ice Dog, i cui esponenti sono Bruno Cassaglia e Luisa Bugna, termine algido che ribalta quello commestibile di Hot Dog, è la scrittaomonima in granoturco che, cosparsa di alcool e data alle fiamme, si trasforma, con un gesto performativo, in un pasto caldo per i piccioniche vi abitano; in altra sede l’opera viene appropriatamente sostituita dalla forma primaria di una croce “bendata”. Gli esponenti del gruppooperano anche sul terreno della verbo-visività, della tautologia tra gestualità e scrittura, tra i nomi e le cose. Di Rosella Grillo sono i micro-maglioncini lavorati a maglia, nei diversi colori dell’arcobaleno, appesi a un contenitore di cartone a voler rappresentare il dono di contattitanto ravvicinati da diventare possibili abbracci, termine questo che intitola i lavori. Di Abbracci ce ne sono tuttavia di vario tipo, quelli totalie quelli mutilati, a giudicare dalle ricorrenti mancanze di uno o l’altro braccio nelle piccole confezioni di lana colorata. Nella sua intenzione diesprimere calore, l’opera evidenzia slanci e resistenze al momento compartecipativo. Margherita Levo Rosenberg è emblematicamente pre-sente con l’installazione “Muri che parlano”, dodici coni, suoi topoi concettual-oggettuali, realizzati con lastre radiologiche del colore, utiliz-zato negli ospedali, grigio-verde lambrino, che lasciano intravvedere all’interno avvolgimenti di stampe su fogli di acetato. Queste immagina-rie sacche di realtà dolenti, occultate dalle barriere reali e metaforiche dei muri, si aprono a spirale lasciando trapelare immagini intensamen-te connesse a storie di vite vissute nella reclusione e tuttavia, alla luce dell’interesse di qualche spirito illuminato, esteticamente espresse edapprezzate dal mondo esterno, come quelle di Davide Mansueto Raggio, che l’artista Claudio Costa aveva descritto come uomo … di legnoantico, lavorato dal gelo, dalla memoria e da un tempo che si perde lontano, di Carlo Zinelli, i cui altamente simbolici lavori cromatici, segni-ci, scritturali, sonori, furono sottoposti da Vittorino Andreoli a Jean Dubuffet, di Aloïse che si rappresenta fiera regina di un mondo piattamen-te raggelato e decorato come una carta da gioco, di Adolf Wölfli i cui deliri figurativi, numerici e musicali divennero oggetto di una fondamen-tale monografia di Walter Morgenthaler, letta da Rilke e da Andreas-Salomé. Il linguaggio estetico di Levo Rosenberg, di possibile ascenden-za post-pop/concettuale, opera sovente su dispositivi di traslazione, traduzione ironica, transfert tra significato e significante. Di Mara Mayerè la foto di un frammento di un vistoso manifesto del circo che annuncia alla popolazione la sua visita: giusto Nella vostra città. In un fanto-matico spazio di detriti e relitti ecco irrompere, da una breccia del muro, una fierissima tigre che viene a visitare il luogo, risvegliando, con lafelinità della sua presenza, onde di paura sopita o soffocata. Evidente è la frizione che si crea tra un luogo, che è stato abitato da camici bian-chi e adibito alla terapia psichica, e il linguaggio aggressivo dei messaggi pubblicitari metropolitani. La danza aerea di figure specchianti, rita-gliate da Dorina Monaco per la mostra, ricostruisce l’identità di un soggetto emblematico come il gatto che, animale d’affezione, randagio,da salotto, ma sempre tendenzialmente solo e libero, mantiene alta la sua dignità, la sua innata eleganza di postura, il magnetico fascinodel suo sguardo al fosforo. L’oscillare nello spazio di questi felini specchianti, da cui viene ritagliata e altrove dislocata la coda, diventa, comesi può rilevare nel video di documentazione, improvviso rispecchiamento di un volto in transito. Plasticamente disinibita, sospesa tra la real-tà e l’utopia, tra la terra e il vuoto, il volo e la stasi, è La danza delle libertà mancate che Chiara Scarfò improvvisa, nei suoi self-video-clip,dialogando con la sua ombra, il suo doppio allo specchio, oggetti d’arredo, relitti trash, improvvisi spiragli di luce. Videoartista e performerScarfò, slittando da pose fetali a pose fatali, da equilibrismi spericolati a salde figure ginniche, costruisce e decostruisce strutture labirintiche,flash di giochi infantili, ritrovandosi o smarrendosi, di soglia in soglia, in spazi vagamente allucinatori, in tunnel attraversati da sogni e incu-bi. È ipotizzabile che la forte tensione che si percepisce nei suoi autoscatti e nelle sue videoazioni derivi dal contrasto tra il suo giovane corpoe il degrado dello spazio ambientale in cui si muove. Le opere di Giovanna Vitarelli sono l’espressione di un vero e proprio culto praticatoverso le pietre dure e preziose, in questo caso con riferimento a quella varietà di berillo di colore verde che è lo smeraldo, la cui bellezza,purezza e trasparenza riconduce all’archeomistero del Santo Graal, il calice in cui Gesù sembra aver bevuto nell’Ultima Cena e in cui Giuseppe d’Arimatea, segreto discepolo di Cristo, si pensa ne abbia raccolto il sangue dalla Croce, come viene riportato nella scritta sulle pareti verdidello spazio espositivo, insignite, al centro, di una collana e ai piedi di un cristallo di radice di smeraldo. Spesso nel lavoro di Vitarelli si instau-ra un dialogo di ordine metaforico e simbolico, tra la materia originata dalla natura e quella derivata dal lavoro industriale dell’uomo. In con-clusione si può rilevare come tutte le opere realizzate dagli artisti selezionati, raccogliendo le suggestioni e le presenze reali e metaforichedello spazio espositivo, entrino in empatica sintonia con le istanze espressive della loro mente. Interessante è osservare come talora le solu-zioni estetiche bidimensionali esprimano, a differenza di quelle tridimensionali, un rapporto conflittuale o comunque difficile con la realtà. Inquesto esplicito contesto di pari opportunità creative ed espositive, si può anche rilevare come alcune opere nascano da un’imprescindibileurgenza interiore, che trova nella realizzazione e rappresentazione l’alleggerimento di un malessere profondo, configurandosi come reazioneinterna a una provocazione esterna e altre nascano da una naturale evoluzione linguistica in seno a una ricerca in atto, nel cui ambito la pre-senza di tensione è ascrivibile alla difficoltà consapevole di dare forma concreta all’immaterialità di un’idea, di iscrivere in un’opera finita unadomanda di infinito.
27
giugno 2008
Insidemymind. Outsideyourmind
Dal 27 giugno al 13 settembre 2008
arte contemporanea
Location
STUDIO GHIGLIONE 1885
Genova, Piazza San Matteo, 6B/R, (Genova)
Genova, Piazza San Matteo, 6B/R, (Genova)
Vernissage
27 Giugno 2008, dalle 18
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