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Intermezzo: messa in scena di un costume
LeLabò inaugura il suo nuovo spazio multifunzionale con una mostra di costumi teatrali realizzati ad hoc per l’occasione, indossati da interpreti d’eccezione e fotografati dall’occhio magico di Paola Saia. La mostra comprenderà anche le opere selezionate di Intermezzo: concorso di fiber art.
Comunicato stampa
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Bianco e nero. Luce e oscurità. Equilibrio e follia.
Questo il punto di partenza del lavoro alla base della mostra del laboratorio LeLabò: il passaggio quasi alchemico da uno stato all’altro.
Lo stimolo di partenza è legato all’artigianalità del mestiere di sartoria teatrale, dove la preparazione di un costume comincia dalla preparazione di una sola metà, prima di affrontare il completamento. Alla parte in cui i dettagli sono stati definiti se ne affianca una neutra, ancora in divenire, pregna di tutte le possibilità che potrebbe cogliere.
Ma diventa anche metafora di uno stato più profondo dei personaggi, di cui il costume diventa un portavoce: la dualità in cui si dibattono, che li porta a raccontare i tormenti dell’anima umana sul palcoscenico.
La solarità di Arlecchino convive con la sua origine demoniaca, Don Chisciotte è spezzato a metà perché vive secondo un codice cavalleresco in un mondo che della cavalleria ha mantenuto solo gli elementi esteriori, così come Elisabetta, che per assumere il suo ruolo regale deve reprimere la propria identità femminile.
Il costume è parte del personaggio, trasforma l’attore e comunica con il pubblico, e lo fa attraverso un codice di segni precisi: la preferenza per specifici materiali e colori ci narra già molto di ciò che accadrà in scena.
Qui la scelta è caduta su tinte che in realtà non sono colori, ma in sé raccolgono tutto lo spettro cromatico, e su materiali ibridi, la cui combinazione mira a raggiungere particolari funzioni comunicative.
Bianco come equilibrio, elemento in potenza, nero come espressione delle inquietudini del doppio che spinge dai recessi dell’anima, involucro che contiene tutte le sfumature dell’io, così come la carta è un’evoluzione del tessuto, un’imprevista associazione materica che in realtà segue un filone ben preciso e coerente: la fibra, il cuore dell’intreccio è la chiave, al di là dell’esito finale del prodotto.
Ogni elemento risulta connesso e frutto di scelte ragionate sin nel dettaglio: infatti anche le fotografie di Paola Saia esposte insieme ai costumi rispondono al principio di mostrare la dualità degli elementi, ma pure riecheggiano in modo sottilmente elegante la logica combinatoria del Calvino de Il castello dei destini incrociati mostrando le immagini come carte di un mazzo che ci sta esponendo nuove possibilità narrative.
Per questo per il concorso in cui si sono cimentati vari giovani artisti la richiesta è stata di creare opere in cui si declinassero le possibilità espressive non solo del bianco e del nero, ma anche della stoffa e della carta, inusuale unione che apre spazi per l’invenzione artistica.
Vi invito a guardare le opere esposte dalla soglia, dal limen che separa i mondi in cui si collocano, a compiere un’operazione di sinestesia toccando con lo sguardo la texture inaspettata plasmata dalla somma degli elementi scelti per la loro realizzazione.
Perdetevi e ritrovatevi dall’altra parte in un viaggio visivo sorprendente.
Chiara Gualdoni
Questo il punto di partenza del lavoro alla base della mostra del laboratorio LeLabò: il passaggio quasi alchemico da uno stato all’altro.
Lo stimolo di partenza è legato all’artigianalità del mestiere di sartoria teatrale, dove la preparazione di un costume comincia dalla preparazione di una sola metà, prima di affrontare il completamento. Alla parte in cui i dettagli sono stati definiti se ne affianca una neutra, ancora in divenire, pregna di tutte le possibilità che potrebbe cogliere.
Ma diventa anche metafora di uno stato più profondo dei personaggi, di cui il costume diventa un portavoce: la dualità in cui si dibattono, che li porta a raccontare i tormenti dell’anima umana sul palcoscenico.
La solarità di Arlecchino convive con la sua origine demoniaca, Don Chisciotte è spezzato a metà perché vive secondo un codice cavalleresco in un mondo che della cavalleria ha mantenuto solo gli elementi esteriori, così come Elisabetta, che per assumere il suo ruolo regale deve reprimere la propria identità femminile.
Il costume è parte del personaggio, trasforma l’attore e comunica con il pubblico, e lo fa attraverso un codice di segni precisi: la preferenza per specifici materiali e colori ci narra già molto di ciò che accadrà in scena.
Qui la scelta è caduta su tinte che in realtà non sono colori, ma in sé raccolgono tutto lo spettro cromatico, e su materiali ibridi, la cui combinazione mira a raggiungere particolari funzioni comunicative.
Bianco come equilibrio, elemento in potenza, nero come espressione delle inquietudini del doppio che spinge dai recessi dell’anima, involucro che contiene tutte le sfumature dell’io, così come la carta è un’evoluzione del tessuto, un’imprevista associazione materica che in realtà segue un filone ben preciso e coerente: la fibra, il cuore dell’intreccio è la chiave, al di là dell’esito finale del prodotto.
Ogni elemento risulta connesso e frutto di scelte ragionate sin nel dettaglio: infatti anche le fotografie di Paola Saia esposte insieme ai costumi rispondono al principio di mostrare la dualità degli elementi, ma pure riecheggiano in modo sottilmente elegante la logica combinatoria del Calvino de Il castello dei destini incrociati mostrando le immagini come carte di un mazzo che ci sta esponendo nuove possibilità narrative.
Per questo per il concorso in cui si sono cimentati vari giovani artisti la richiesta è stata di creare opere in cui si declinassero le possibilità espressive non solo del bianco e del nero, ma anche della stoffa e della carta, inusuale unione che apre spazi per l’invenzione artistica.
Vi invito a guardare le opere esposte dalla soglia, dal limen che separa i mondi in cui si collocano, a compiere un’operazione di sinestesia toccando con lo sguardo la texture inaspettata plasmata dalla somma degli elementi scelti per la loro realizzazione.
Perdetevi e ritrovatevi dall’altra parte in un viaggio visivo sorprendente.
Chiara Gualdoni
24
settembre 2017
Intermezzo: messa in scena di un costume
Dal 24 settembre al 12 ottobre 2017
fotografia
arte contemporanea
giovane arte
arte contemporanea
giovane arte
Location
LeLAbO’
Milano, piazzale della Cooperazione , 1, (Milano)
Milano, piazzale della Cooperazione , 1, (Milano)
Orario di apertura
su appuntamento
Vernissage
24 Settembre 2017, ore 19.00
Autore
Curatore