Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
(In)visibile (in)corporeo
Intra moenia: Yves Klein, Ettore Spalletti, Anish Kapoor, Marisa Merz, Hiroshi Sugimoto, Lee U Fan, Medardo Rosso, Addo Lodovico Trinci, Salis-Vitangeli, Mark Lewis, Koo Jeong-a, Giovanni Ozzola, Sabrina Mezzaqui, Giandomenico Sozzi, Francesco Dal Bosco, Robert Vincent, Davide Rivalta, Giuseppe Caccavale, Rotraut, Pastorello. Extra moenia: Cai Guo Qiang, Pawel Althamer, Piotr Uklanski
Comunicato stampa
Segnala l'evento
L’antichità classica, dagli Egizi ai Greci e ai Romani, si era orientata sulla resa plastica del corpo, dei corpi, della loro armonica bellezza, del loro movimento e della loro espansione nello spazio. La modernità post-medievale aveva enfatizzato la visibilità sia attraverso la pittura che la scultura, e l’architettura stessa non ne era stata indenne. Nel corso del secolo appena trascorso gli artisti avevano messo in questione entrambe le procedure: Duchamp aveva criticato il carattere “retinico” dell’arte, Picasso aveva fatto deflettere la grande tradizione della scultura occidentale optando
per “l’arte negra”. Negli ultimi cinquant’anni gli artisti sempre più si sono volti verso quell’Altro e quell’Altrove rispetto alla presenza che la cultura europea poneva nei termini della rappresentazione: la rappresentazione come forma particolare della presenza. (IN) VISIBILE (IN) CORPOREO ha l’ambizione di tracciare una mappa, per quanto
parziale, ma non meno pertinente, dell’area operativa più recente in cui si manifestano le concezioni parallele e integrate dell’invisibile nel visibile e dell’incorporeo nel corporeo. Il progetto mira a presentare una varietà di approcci e di esiti molto diversificati tra loro, in un percorso e in un racconto per opere che su queste assunzioni iniziali, la presenza
dell’invisibile nel visibile e l’evidenza dell’incorporeo nel corporeo, così come la tensione del visibile verso l’invisibile e del corporeo verso l’incorporeo, sono in varia maniera impostate. Se gli strumenti non possono essere che quelli dell’arte, nel caso specifico di una manifestazione artistica, i due assiomi oppositivi e interconnessi si estendono oltre l’ambito strettamente artistico per collocarsi in un’area di interesse più vasta che abbraccia il senso stesso della cultura nell’epoca che stiamo vivendo.
L’incipit del percorso/racconto è dato da una splendida ed emblematica Cosmogonie di Yves Klein in cui l’impronta di un corpo è restituita nel pigmento blu, cifra essenziale di tutta la sua opera. È di fatto l’artista francese a sollevare in modo perentorio il problema di un’arte immateriale. Se questo è l’inizio, successivamente il percorso si snoda in fasi ed
episodi molteplici e lontani da quella affermazione originaria.
Sensualità estetica e culto della bellezza elevano corpi e figure nell’immaterialità sia pure illusoria delle loro apparizioni nell’opera di Ettore Spalletti. Parallelamente, e nella
stessa temperie culturale che aveva caratterizzato gli Anni Ottanta, si accende il richiamo a una spiritualità che si manifesta
altrettanto ingannevolmente nelle materie e nelle costruzioni di Anish Kapoor. La tensione di un desiderio senza nome, come una passione senza oggetto che non sia meno della totalità di senso della vita e dell’essere, trasfigura l’opera di Marisa Merz in indice e annuncio di un qualcosa che supera la trivialità di ogni apparenza. L’annullamento dell’immagine nell’opera di Hiroshi Sugimoto fa sì che lo sguardo torni su se stesso e sulla propria solitudine. Il segno/gesto che marca il vuoto nella pittura di Lee U Fan, così come il dissolversi della forma nella scultura di Medardo
Rosso – accostati oltre il tempo in cui hanno fatto la loro comparsa le rispettive opere – indicano la continua emersione dell’invisibile nel visibile e dell’incorporeo nel corporeo. Addo Lodovico Trinci che segna secondo i principi della dottrina cinese del Feng Shui le polarità dell’energia dell’universo, e Salis-Vitangeli, che nella loro rappresentazione di un
ambiente sacro fanno trascorrere come ombre fatue delle figure umane, rendono visibile quel che resta invisibile e sottraggono ai corpi la loro potenzialità di rappresentazione. Il cinema di Mark Lewis nella propria evidenza filmica
esibisce quel che non appare non sottraendo nulla a quel che è visibile. Gli interventi di Koo Jeong-a sono sempre site specific e rivelano, pur nella discrezione della loro costruzione, un’essenza sottile che trafigge corpi, sostanze e figure, come un filo di brezza che si leva e penetra nella giornata più calda, facendo riemergere il nascosto e il sopito.
Giovanni Ozzola opera nelle sue fotografie e nei suoi video su una sostanza aurorale dove cose, sentimenti e forme vengono in superficie dall’invisibilità che le avvolge e si convertono in forme diafane o in massicce apparizioni in cui
qualcosa viene occultato o rimosso.
Il video di Sabrina Mezzaqui è di pari evidenza e non concede alcun accesso se non come mobile cortina che blocca ogni ulteriore visione possibile. Giandomenico Sozzi presenta un percorso di monocromi che si apre con foto trovate e si conclude in una mini scultura di assoluta sacralità, che non racconta nient’altro che la propria imperscrutabile storia. È del filmmaker Francesco Dal Bosco uno spassionato apologo sulla cecità: due momenti di silenzio che sospendono la parola. Robert Vincent propone un ambiente abbacinante intorno a un oggetto di elaborate e successive costruzioni, che è indice di un’assenza fondamentale. Davide Rivalta recupera con il disegnare sul muro la più antica tecnica di rappresentazione della storia e la destina alla raffigurazione di animali, come nelle caverne dell’origine dell’arte, non più oggetto di caccia per il sostentamento, ma creature a noi prossime e ormai dimenticate se non come sostanze nutritive senza identità, strumenti di laboratorio e di spettacolo, paria della vita sulla terra. Anche Giuseppe Caccavale recupera antichi modi della cultura mediterranea, che attraverso la decorazione e le simbologie desuete esprimono il senso del mistero e l’aspirazione alla bellezza.
La mostra termina con le immagini cosmiche di Rotraut a cui fa da pendant le petit prince rustico di Pastorello, figura di fantasia, personificazione di un’eterna infanzia, che tocca con il pennello della pittura una stella.
Se la mostra dentro il museo qui si conclude, continua oltre le mura di quello e oltre l’evento della sua inaugurazione, nel contesto della città e del suo territorio con interventi segreti, Pawel Althamer, e occasionali, Piotr Uklanski, per concludersi nello spettacolo effimero e conclusivo di Cai Guo Qiang. Se è così, è perché ben si addice a ciò che resta invisibile nel visibile e a ciò che di incorporeo prende corpo in corso d’opera.
per “l’arte negra”. Negli ultimi cinquant’anni gli artisti sempre più si sono volti verso quell’Altro e quell’Altrove rispetto alla presenza che la cultura europea poneva nei termini della rappresentazione: la rappresentazione come forma particolare della presenza. (IN) VISIBILE (IN) CORPOREO ha l’ambizione di tracciare una mappa, per quanto
parziale, ma non meno pertinente, dell’area operativa più recente in cui si manifestano le concezioni parallele e integrate dell’invisibile nel visibile e dell’incorporeo nel corporeo. Il progetto mira a presentare una varietà di approcci e di esiti molto diversificati tra loro, in un percorso e in un racconto per opere che su queste assunzioni iniziali, la presenza
dell’invisibile nel visibile e l’evidenza dell’incorporeo nel corporeo, così come la tensione del visibile verso l’invisibile e del corporeo verso l’incorporeo, sono in varia maniera impostate. Se gli strumenti non possono essere che quelli dell’arte, nel caso specifico di una manifestazione artistica, i due assiomi oppositivi e interconnessi si estendono oltre l’ambito strettamente artistico per collocarsi in un’area di interesse più vasta che abbraccia il senso stesso della cultura nell’epoca che stiamo vivendo.
L’incipit del percorso/racconto è dato da una splendida ed emblematica Cosmogonie di Yves Klein in cui l’impronta di un corpo è restituita nel pigmento blu, cifra essenziale di tutta la sua opera. È di fatto l’artista francese a sollevare in modo perentorio il problema di un’arte immateriale. Se questo è l’inizio, successivamente il percorso si snoda in fasi ed
episodi molteplici e lontani da quella affermazione originaria.
Sensualità estetica e culto della bellezza elevano corpi e figure nell’immaterialità sia pure illusoria delle loro apparizioni nell’opera di Ettore Spalletti. Parallelamente, e nella
stessa temperie culturale che aveva caratterizzato gli Anni Ottanta, si accende il richiamo a una spiritualità che si manifesta
altrettanto ingannevolmente nelle materie e nelle costruzioni di Anish Kapoor. La tensione di un desiderio senza nome, come una passione senza oggetto che non sia meno della totalità di senso della vita e dell’essere, trasfigura l’opera di Marisa Merz in indice e annuncio di un qualcosa che supera la trivialità di ogni apparenza. L’annullamento dell’immagine nell’opera di Hiroshi Sugimoto fa sì che lo sguardo torni su se stesso e sulla propria solitudine. Il segno/gesto che marca il vuoto nella pittura di Lee U Fan, così come il dissolversi della forma nella scultura di Medardo
Rosso – accostati oltre il tempo in cui hanno fatto la loro comparsa le rispettive opere – indicano la continua emersione dell’invisibile nel visibile e dell’incorporeo nel corporeo. Addo Lodovico Trinci che segna secondo i principi della dottrina cinese del Feng Shui le polarità dell’energia dell’universo, e Salis-Vitangeli, che nella loro rappresentazione di un
ambiente sacro fanno trascorrere come ombre fatue delle figure umane, rendono visibile quel che resta invisibile e sottraggono ai corpi la loro potenzialità di rappresentazione. Il cinema di Mark Lewis nella propria evidenza filmica
esibisce quel che non appare non sottraendo nulla a quel che è visibile. Gli interventi di Koo Jeong-a sono sempre site specific e rivelano, pur nella discrezione della loro costruzione, un’essenza sottile che trafigge corpi, sostanze e figure, come un filo di brezza che si leva e penetra nella giornata più calda, facendo riemergere il nascosto e il sopito.
Giovanni Ozzola opera nelle sue fotografie e nei suoi video su una sostanza aurorale dove cose, sentimenti e forme vengono in superficie dall’invisibilità che le avvolge e si convertono in forme diafane o in massicce apparizioni in cui
qualcosa viene occultato o rimosso.
Il video di Sabrina Mezzaqui è di pari evidenza e non concede alcun accesso se non come mobile cortina che blocca ogni ulteriore visione possibile. Giandomenico Sozzi presenta un percorso di monocromi che si apre con foto trovate e si conclude in una mini scultura di assoluta sacralità, che non racconta nient’altro che la propria imperscrutabile storia. È del filmmaker Francesco Dal Bosco uno spassionato apologo sulla cecità: due momenti di silenzio che sospendono la parola. Robert Vincent propone un ambiente abbacinante intorno a un oggetto di elaborate e successive costruzioni, che è indice di un’assenza fondamentale. Davide Rivalta recupera con il disegnare sul muro la più antica tecnica di rappresentazione della storia e la destina alla raffigurazione di animali, come nelle caverne dell’origine dell’arte, non più oggetto di caccia per il sostentamento, ma creature a noi prossime e ormai dimenticate se non come sostanze nutritive senza identità, strumenti di laboratorio e di spettacolo, paria della vita sulla terra. Anche Giuseppe Caccavale recupera antichi modi della cultura mediterranea, che attraverso la decorazione e le simbologie desuete esprimono il senso del mistero e l’aspirazione alla bellezza.
La mostra termina con le immagini cosmiche di Rotraut a cui fa da pendant le petit prince rustico di Pastorello, figura di fantasia, personificazione di un’eterna infanzia, che tocca con il pennello della pittura una stella.
Se la mostra dentro il museo qui si conclude, continua oltre le mura di quello e oltre l’evento della sua inaugurazione, nel contesto della città e del suo territorio con interventi segreti, Pawel Althamer, e occasionali, Piotr Uklanski, per concludersi nello spettacolo effimero e conclusivo di Cai Guo Qiang. Se è così, è perché ben si addice a ciò che resta invisibile nel visibile e a ciò che di incorporeo prende corpo in corso d’opera.
30
giugno 2005
(In)visibile (in)corporeo
Dal 30 giugno al 04 settembre 2005
arte contemporanea
Location
MAN – MUSEO D’ARTE DELLA PROVINCIA DI NUORO
Nuoro, Via Sebastiano Satta, 27, (Nuoro)
Nuoro, Via Sebastiano Satta, 27, (Nuoro)
Orario di apertura
dal martedì alla domenica 10-13 e 16:30-20:30
Vernissage
30 Giugno 2005, ore 19
Autore
Curatore