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Invito all’opera #3
Prosegue il ciclo di mostre dove l’opera è al centro dell’attenzione.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Achille Bonito Oliva
Invito all’opera
dal 15 ottobre al 4 dicembre 2009
push and pull, 1991
Allan Kaprowc
courtesy Fondazione MUDIMA (Milano)
courtesy Fondazione MORRA (Napoli)
galleria 1
Gli environment sono spazi ideati da Allan Kaprow, in cui il pubblico è chiamato a intervenire direttamente sui materiali, non semplici installazioni, poiché in continuo mutamento
L’intento è di approssimare l’ arte alla vita reale. Per questo motivo gli happenings e gli enviroiment abbattono la barriera divisoria tra l’artista e il fruitore che non è più ricettore passivo, spettatore di un’ arte da osservare dal di fuori.
L’interazione: gli spettatori sono attivamente coinvolti nelle azioni sulla stimolazione sensoriale; anche i diversi tipi di suoni e rumori sono materia dell’ arte, così come gli odori, i fasci di luce , le cose da toccare.
Dei principi dell'happining affermati da Kaprow ricordiamo i sette punti teorici:
"I) La linea tra arte e vita deve rimanere fluida, e la più indistinta possibile.
II) Pertanto la derivazione dei temi, dei materiali, delle azioni e la loro corrispondenza possono venire fuori da ogni posto o periodo fuori che dalle espressioni artistiche e dal loro ambiente e influsso.
III) La rappresentazione di un happening dovrebbe avvenire su parecchi spazi, talvolta mobili e mutevoli.
IV) Il tempo, di pari passo alle considerazioni sullo spazio, dovrebbe essere vario e discontinuo.
V) Gli happening dovrebbero essere rappresentati una sola volta.
VI) Il pubblico dovrebbe essere interamente eliminato.
VII) La composizione di un happening è eguale a quella di un assemblage e di un environment cioè è costituita di un certo collage di eventi in certe misure di tempo e in certe misure di spazio".
domestic glass meets wild glass, 2006
Jimmie Durham
RAM radioartemobile
atrium
Presentata per la prima volta alla collettiva del 2006 di Jimmie Durham e Jannis Kounellis presso RAM l’installazioni appositamente create per la mostra.
Jimmie Durham posiziona, una scala di alluminio di cui nasconde la sommità con un lenzuolo bianco, un chiaro richiamo iconografico, ma non iconologico, al tema trattato. Su di esso è poggiata una grossa pietra lucida di ossidiana nera, scalfita su vari lati. A terra migliaia di pezzi di vetro di calici da vino rotti. In una performance per pochi intimi l’artista aveva, infatti, provveduto a spaccare e frantumare un centinaio di bicchieri registrandone il suono, che è stato poi integrato nell’installazione in un secondo momento su suggerimento dei curatori, e lasciato scorrere come una memoria in feedback da un’altra stanza. Il bicchiere rotto riconduce allo spiritualismo, nonché alle pratiche legate all’occultismo: destinatario dell’energia trattenuta e rilasciata dalla pietra-monumento, esso è trasformato in qualcosa di altro, ma non per questo di negativo. Ecco come la cultura Cherokee dell’artista si insinua nell’opera dichiarando guerra agli stereotipi della mentalità occidentale rappresentati dai bicchieri di produzione industriale: la pietra deposta e apparentemente immobile è in realtà fonte di mutazione e di energia positiva. “È come se la pietra esprimesse di per sé un desiderio di volare, per rompere i bicchieri e poi tornare al suo posto”
L’artista mette in gioco, un assunto molto presente nella sua poetica: la trasformazione della materia.
L'ossidiana, rompendo i bicchieri, trasforma, non distrugge, cambia la forma e l’uso di un oggetto, lo traduce in altro. La Deposizione, nell’opera di Durham, è la distruzione. La pietra, la “movie star” dell’opera, come l’artista la ama chiamare, trova il suo posto stabile e fisso nell’atto di trasformazione della materia. Come afferma l’artista “..La distruzione è il posto stabile della pietra. Non si può distruggere la materia, si può eliminare la sua funzionalità, la sua forma. Se venissi a casa tua, e ti rompessi i tuoi bicchieri di vino, questo sarebbe soltanto un atto criminale, ma se li compro e li rompo, questa non è criminalità, non è distruzione, è trasformazione. Così, quando parlo di frantumazione di bicchieri di vino, non voglio dire che questi vengono distrutti, bensì che si trasformano grazie ad una bella pietra nera”.
drowning history 2007
Ugo Untoro
galleria 2
Ugo Untoro ( Java, 1970), pittore, scultore, video maker e performing artist, é tra maggiori rappresentanti della scena artistica contemporanea asiatica. L’artista proviene da un contesto di strada legato alla pratica del graffiti e della performance sociale. I suo esperimenti artistici sono spontanei, ironici e spesso inquietanti perché riflettono la sua personale battaglia spirituale nell’affrontare il disagio sociale che lo circonda. Le sue opere controverse e magnetiche sono poemi tridimensionali con cui esprime una realtá che cresce senza per questo evolversi. L’installazione, site-specific realizzata per “Invito all’ opera” presenta un duplice intervento in cui un monolite di cemento contente (in apparenza) il corpo “annegato” di un cavallo dialoga con un graffito, (tecnica mista, carboncino incisione) realizzato sulla parete attigua. Il cavallo rappresenta l’alter ego dell’artista evocando una moderna versione del leggendario minotauro. Una metaphora contempoarnea del passaggio tra l’umano e il divino, tra il regno fisico e quello spirituale. L’intervento dell‘artista esemplifica la transizione di un’umanitá in continua metamorfosi. L’installazione e infatti concepita al fine di coinvolgere opera, spazio, pubblico e artista in un viaggio comune nei luoghi piu reconditi dell’inconscio. Allegoricamente, la figura del centauro-minotauro rappresenta a contempo la solitudine dell’artista e la collettivitá che combatte per trovare una propria identitá. “Drowning History” è il cavallo di Troia che penetra il regno della follia umana
cristo bianco – cristo nero
Betty Bee
galleria 3
il Cristo nero (stampa fotografica 170x242), creata durante la sua esperienza negli Stati Uniti. Una rottura con le convenzioni che, certo, ha una lunga tradizione alle spalle. Partendo dalle tante statue che raffigurano un Cristo dalla pelle scura, risalenti addirittura al XIII secolo, venerate e portate in processione in diverse città del sud d’Italia, fino ad arrivare, compiendo un notevole salto artistico e sociologico, agli anni ‘80, con il bacio della cantante Madonna ad un Cristo di colore nel videoclip-scandalo di Like a prayer, o ancora al tanto discusso Color of the Cross, film diretto e interpretato a Jean-Claude La Marre, in cui Gesù ha lineamenti afroamericani, e viene condannato per motivi razziali. Non a caso, le ragioni che hanno mosso l’artista a scegliere un corpo di colore per la sua opera sono derivate proprio dalla conoscenza diretta, avvenuta durante l’esperienza newyorkese, della terribile, lunga storia di schiavitù ed emarginazione del popolo nero.
Non solo, il Cristo di Betty Bee è visto di spalle. Tale scelta è scaturita da quella curiosità che porta l’artista napoletana a «vedere l’altro lato delle medaglia in tutte le cose», come afferma lei stessa.
15
ottobre 2009
Invito all’opera #3
Dal 15 ottobre al 04 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA IL PONTE CONTEMPORANEA
Roma, Via Beatrice Cenci, 9/9a, (Roma)
Roma, Via Beatrice Cenci, 9/9a, (Roma)
Orario di apertura
Dal Lunedì al Sabato 12.00-20.00
Vernissage
15 Ottobre 2009, ore 18.00
Autore
Curatore