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Io scrivo sui muri
In un museo prestigioso venti importanti artisti di strada dedicheranno su tele delle dimensioni 70×100 delle opere a delle scritte per loro significative.
Comunicato stampa
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…“Famme er palo che non me ne frega un cazzo, glielo scrivo sotto casa: Ti amo!”…
…“Daje, mettemose giù, appena passa, te da ‘na parte, io dall’altra, se lo famo tutto.”…
…“Fajela là sotto significa dije abbassa la testa. Se me devono menà me menassero, ma se su quer muro ‘n ce scrivo ‘n cazzo, significa che a me me sta bene così. Significa che so’ fascista pur’io”…
Incise, disegnate, colorate, nere, le scritte sui muri raccontano la vita su un supporto che divide, nasconde, nega, custodisce le nostre solitudini, crea la nostra assenza di parole, gela i nostri sentimenti. Segni che tagliano e aprono varchi su muri che riempiono di cemento i nostri occhi. Non abbiamo più diari e nemmeno libri che parlano di noi. Non abbiamo la forza di guardarci allo specchio e, come con l’autobus nel rumore del traffico, si attende il post che non arriva mai tra le tante cazzate di facebook. Ci muoviamo come macchine e incontriamo solo immagini pubblicitarie, propagande elettorali, donne e uomini photoshoppati per convincerti a non essere te stesso. Non usiamo gli occhi per leggere poesie, per vedere orizzonti, per colpa loro, ma è indecoroso leggere “Lo stato uccide”, “Viva la fregna”, una bestemmia o incontrare una falce e martello una A cerchiata mentre si muovono le gambe trascinando il proprio corpo tra casa e lavoro e dal lavoro a casa, convinti di camminare. E’ indecoroso incontrare in quelle scritte la realtà o la tua storia. Rivedere la rabbia che hai per quello che ti succede attorno, pensare che qualcuno ama qualcun altro e che qualcuno tradisce o fa i bocchini. E’ indecoroso che uno curi la sua grafia in modo diverso, fino a stravolgere le lettere in mondi fatti di spray e non di colletti bianchi e cravatte griffate. E’ indecoroso che a parlare siano i futuri benzinai, i manovali, i migranti, gli studenti, i giovani. E’ indecoroso che invece di farsi, o di farsi fottere come tutti gli altri, qualcuno scriva. Ma soprattutto è indecoroso che invece di mettere tutto nel cassetto, qualcuno scriva sui muri. Un gesto che mette in mutande un re, quello che ti vuole controllare con le telecamere, che vuole palazzinare il tuo angolo di mondo, un gesto che dice che esisti e lo fa capire anche agli altri, come quando scopri che tua moglie ha partorito e incidi la data su un muro, nell’ospedale, e poi un nome che sarà di tuo figlio e sarà così per tutti. Scrivi perché ti va, perché hai coraggio, perché hai fumato, perché sei con gli amici, perché sei solo e ti girano le palle, scrivi come vivi, bene o male, e se non scrivi sei morto. Tutto parte da qui, dall’incidere segni su un muro, segni che sapevano sia di scrittura che di pittura, oggi si rincorre la street art, ma non si vuole conoscere la strada, non si vogliono vedere le cose che fanno male. Si mettono al bando i film cattivi, i libri sovversivi, e come si trasforma un migrante in un terrorista, l’erba in eroina, si vede nella scritta la violenza, l’ignoranza, lo schifo tra montagne di immondizia non raccolta.
Esistono scritte che significano tutto per una singola esistenza, altre per una collettività. Raccolgono più emozioni di una fotografia, raccontano storie e portano con loro lacrime, sangue, paure, sorrisi, sudore.
In un museo prestigioso venti importanti artisti di strada dedicheranno su tele delle dimensioni 70×100 delle opere a delle scritte per loro significative. Una posizione forte, netta, carica di poesia, che rimanda gli spettatori sulla strada, che dice che qualcuno ci ha capito poco, ma soprattutto una prova di forza e d’amore, quella di chi restituisce una biblioteca piena di diari a tante persone – la strada – e la omaggia con lavori preziosi che non sarebbero stati tali senza essere opere di chi in qualche modo nella sua vita è stato writer.
…“Daje, mettemose giù, appena passa, te da ‘na parte, io dall’altra, se lo famo tutto.”…
…“Fajela là sotto significa dije abbassa la testa. Se me devono menà me menassero, ma se su quer muro ‘n ce scrivo ‘n cazzo, significa che a me me sta bene così. Significa che so’ fascista pur’io”…
Incise, disegnate, colorate, nere, le scritte sui muri raccontano la vita su un supporto che divide, nasconde, nega, custodisce le nostre solitudini, crea la nostra assenza di parole, gela i nostri sentimenti. Segni che tagliano e aprono varchi su muri che riempiono di cemento i nostri occhi. Non abbiamo più diari e nemmeno libri che parlano di noi. Non abbiamo la forza di guardarci allo specchio e, come con l’autobus nel rumore del traffico, si attende il post che non arriva mai tra le tante cazzate di facebook. Ci muoviamo come macchine e incontriamo solo immagini pubblicitarie, propagande elettorali, donne e uomini photoshoppati per convincerti a non essere te stesso. Non usiamo gli occhi per leggere poesie, per vedere orizzonti, per colpa loro, ma è indecoroso leggere “Lo stato uccide”, “Viva la fregna”, una bestemmia o incontrare una falce e martello una A cerchiata mentre si muovono le gambe trascinando il proprio corpo tra casa e lavoro e dal lavoro a casa, convinti di camminare. E’ indecoroso incontrare in quelle scritte la realtà o la tua storia. Rivedere la rabbia che hai per quello che ti succede attorno, pensare che qualcuno ama qualcun altro e che qualcuno tradisce o fa i bocchini. E’ indecoroso che uno curi la sua grafia in modo diverso, fino a stravolgere le lettere in mondi fatti di spray e non di colletti bianchi e cravatte griffate. E’ indecoroso che a parlare siano i futuri benzinai, i manovali, i migranti, gli studenti, i giovani. E’ indecoroso che invece di farsi, o di farsi fottere come tutti gli altri, qualcuno scriva. Ma soprattutto è indecoroso che invece di mettere tutto nel cassetto, qualcuno scriva sui muri. Un gesto che mette in mutande un re, quello che ti vuole controllare con le telecamere, che vuole palazzinare il tuo angolo di mondo, un gesto che dice che esisti e lo fa capire anche agli altri, come quando scopri che tua moglie ha partorito e incidi la data su un muro, nell’ospedale, e poi un nome che sarà di tuo figlio e sarà così per tutti. Scrivi perché ti va, perché hai coraggio, perché hai fumato, perché sei con gli amici, perché sei solo e ti girano le palle, scrivi come vivi, bene o male, e se non scrivi sei morto. Tutto parte da qui, dall’incidere segni su un muro, segni che sapevano sia di scrittura che di pittura, oggi si rincorre la street art, ma non si vuole conoscere la strada, non si vogliono vedere le cose che fanno male. Si mettono al bando i film cattivi, i libri sovversivi, e come si trasforma un migrante in un terrorista, l’erba in eroina, si vede nella scritta la violenza, l’ignoranza, lo schifo tra montagne di immondizia non raccolta.
Esistono scritte che significano tutto per una singola esistenza, altre per una collettività. Raccolgono più emozioni di una fotografia, raccontano storie e portano con loro lacrime, sangue, paure, sorrisi, sudore.
In un museo prestigioso venti importanti artisti di strada dedicheranno su tele delle dimensioni 70×100 delle opere a delle scritte per loro significative. Una posizione forte, netta, carica di poesia, che rimanda gli spettatori sulla strada, che dice che qualcuno ci ha capito poco, ma soprattutto una prova di forza e d’amore, quella di chi restituisce una biblioteca piena di diari a tante persone – la strada – e la omaggia con lavori preziosi che non sarebbero stati tali senza essere opere di chi in qualche modo nella sua vita è stato writer.
03
settembre 2016
Io scrivo sui muri
Dal 03 al 14 settembre 2016
fotografia
arte contemporanea
disegno e grafica
arte contemporanea
disegno e grafica
Location
MUSEO FONDAZIONE VENANZO CROCETTI
Roma, Via Cassia, 492, (Roma)
Roma, Via Cassia, 492, (Roma)
Orario di apertura
da lunedì a sabato 10-13 17-21.30
Vernissage
3 Settembre 2016, h 18
Autore
Curatore