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Iorio Vivarelli – Ritratti 1940–1950
…I disegni di Jorio Vivarelli sono linee pulite: la proiezione esatta del pensiero, dell’idea. Se non c’è il disegno non c’è forma.
È l’inizio, è il progetto della scultura…
Comunicato stampa
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Biografia
Iorio Vivarelli è nato a Fognano ( Pistoia) il 12 giugno del 1922. Terminati gli studi alla Scuola Artigiana , si scrisse all’Istituto d’Arte di Firenze . Nel 1942 venne chiamato alle armi prima in Montenegro poi in Albania e da qui, dopo l’8 settembre 1943, iniziarono per lui due anni di prigionia fatta di umiliazioni e sofferenze passando dalla Bulgaria all’Ungheria, all’Austria e alla Germania da cui l’anno seguente riuscì a fuggire per far ritorno in Italia. Nel 1949 si stabilì a Firenze e nello stesso anno sposò Gianna Pini, compagna silenziosa e musa ispiratrice della sua attività.
Nel 1951 iniziò a lavorare alla Fonderia Michelucci dove incontrò l’architetto Giovanni Michelucci con il quale stabilì una profonda amicizia e ne nacque una proficua collaborazione artistica. Furono realizzati, ad esempio, i famosi Crocifissi per la Chiesa della Vergine di Pistoia e per quella di San Giovanni dell’Autostrada del Sole a Campi Bisenzio.
Un altro significativo incontro professionale avvenne nel 1955, con l’architetto russo – americano Oskar Stonorov, conosciuto a Firenze in occasione della mostra di Wright a Palazzo Strozzi. Con Stonorov affrontò i problemi del rapporto tra scultura e architettura urbana dal cui esito usciranno le opere per le grandi piazze di Philadelphia e Detroit. Nel 1964 insieme a Oscar Stonorov vinse il Primo Premio per il Concorso Internazionale per Piazza Kennendy a Philadelphia.
Seguirono anni ricchi di contatti con talenti artistici quali Rafael Alberti, Rodriguez Aguielra, Miguel Angel Asturias e Le Corbusier e con istituzioni come l’UAW Family Education Center presieduta da Walter Reuther nel Black Lake del Michigan presso la quale lavorò per sei anni consecutivi. Nel 1966 partecipò , da protagonista , alla formazione del Gruppo Intrarealista firmando a Barcellona il Manifesto assieme a pittori, scultori e letterati di varia nazionalità fra cui: Giovanni Bassi, Cardona Torrandell, Cesareo Rodriguez Aguilera, Abel Valmitjana, Norman Narotzky, Carlos Mensa, Federico Fellini, José Augustin Goytisolo , Jaime Cubell, Novello Finotti, Silvano Girardello, Gian Lorenzo Mellini.
Oltre alla committenza privata ed al lavoro presso la Fonderia Michelucci tra il 1958 e il 1977 insegnò Arte dei Metalli e Oreficeria presso l’Itituto d’Arte Policarpo Petrocchi a Pistoia. L’attività di insegnante proseguì nel 1983/84 preso l’UIA Università Internazionale d’Arte a Firenze. Degli anni Settanta sono da ricordare una serie di monumenti pubblici quali il Monumento a Giacomo Matteotti a Roma Lungotevere, 1974, ma anche arditi progetti non realizzati riferiti all’uomo al suo ambiente e alla sua collettività, come Salviamo la Vittima 1967, proposta ideale per una testimonianza mediterranea per il porto di Taranto e nel 1974 per la Chiesa di Longarone realizzata dall’Architetto Michelucci.
Nel 1976 iniziò la sua produzione come medaglista: significativa è stata nel 1977 per la Zecca di San Marino la realizzazione della Monetazione Ecologica e l’anno successivo, sempre per San Marino, la Monetazione Aurea. Negli anni Settanta è stato promotore anche di due premi importanti per Pistoia, ovvero il Premio San Giorgio e il Premio Vallecorsi per il quale, tra l’altro, ha realizzato una galleria di ritratti per gli attori del Pistoia Teatro.
Dagli anni ottanta al duemila ha eseguto rilevanti opere pubbliche, fra le quali, nel 1986 la Fontana d’acciaio e plexiglas per la Città di Prato, nel 1979 il monumento Il sacrificio, una morte per la vita per Fognano e nel 1987 l’opera Inno alla vita per la città di Nagasaki (Giappone), per non dimenticare l’immane distruzione della bomba atomica.
Iorio Vivarelli è morto a Pistoia nel settembre 2008.
Alle radici dell’Etruria
Jorio Vivarelli, la prima grafica e i riflessi dell’ esperienza storica
- Quando da piccino dicevano che i miei disegni erano brutti, voleva dire che andavano bene e li mettevo via - cosi mi racconta Jorio Vivarelli in una mattina inondata di luglio, mentre il ventilatore ronza piano.
- Un giorno feci il ritratto a mia madre. Come mi hai fatto brutta! - disse. Una lacrima è stretta a fatica sul ciglio dell’occhio.
- E invece era bella?
- Era bella.
“Il brutto-bello”: questa è l’arte, anzi la perfezione dell’arte, perché va al di là di un giudizio estetico. Il brutto o il bello è l’eterna domanda dell’artista, dove bellezza è espressione di misura. I disegni di Jorio Vivarelli sono linee pulite: la proiezione esatta del pensiero, dell’idea. Se non c’è il disegno non c’è forma. È l’inizio, è il progetto della scultura. La prima grafica colpisce per essenzialità. Sono i volti semplici di uomini contadini, tagliati aspramente, come graffiati su un sasso. Sono gli stessi volti che vediamo tradotti nelle sculture della ricerca emozionale. Scolpite tra il 1947 e il ‘74, le teste sembrano seguire la lezione di Michelangelo, che liberava le forme già contenute nella pietra. Anche Jorio cercava in un torrente, il Riolunato, forme di pietra in cui riconoscere la sua ispirazione.
Oltre ai ritratti, i disegni raffigurano un albero, nudi classici e un nudo di donna a forma di ocarina.
Jorio Vivarelli viene spesso chiamato “scultore etrusco”. Non so fino a che punto abbia influito su di lui l’arte etrusca, quanto l’abbia conosciuta e osservata. Però non sfugge la presenza di echi di espressioni artistiche varie, lontane e sapienti. Incatramate nella terra di un passato che, al di là dello studio, della conoscenza o della ricerca, “esistono in sé’.
Alcune teste, come quelle delle terrecotte modellate negli anni del secondo dopoguerra, come la Figura o L’idiota, ad esempio, ricordano i canopi di Chiusi, urne cinerarie con il coperchio antropomorfo. Ancora, i modellini delle fontane in bronzo e le fontane stesse riportano ad alcune decorazioni del periodo orientalizzante. Una figura seduta può sembrare una “mater matuta”, per non parlare della precisa impronta classica del guerriero di gesso del 1933 o dei bronzetti, che risuonano di etrusco, nuragico, greco...
I sette libri di storia dell’arte, che mise nello zaino quando partì soldato, furono con ogni probabilità consumati a furia di essere letti. Costituivano, forse, un legame con la bellezza, unica distrazione dal brutto della guerra, ma evidentemente anche fonte di riflessione e di studio.
Il cammino dell’artista all’inizio è cauto, quasi timido come certe sfumature dei pastelli e delle matite usate per questi primi disegni, poi diventa sempre più incisivo e vigoroso.
La Crocifissione in legno del 1956, nella Chiesa della Vergine a Pistoia, delinea preziosi ed esatti bizantinismi sia nel modellato del torso, sia nel panneggio, ma le crocifissioni in bronzo esplodono in una drammaticità così potente da far risuonare il ventre cavo del metallo. E con soluzioni geniali. Ad esempio, il volto del Cristo della Crocifissione del 1963, ma anche quello nella celebre Chiesa dell’Autostrada, è come avviluppato in un sudario che incorniciano il volto e pende come ragnatela di dolore.
Un simile sudario ricopre il Cristo uscente dal sarcofago, nella formella del secondo pulpito, nella Chiesa di San Lorenzo, opera fondamentale di Donatello risalente al 1461. Cristo è affranto dalla fatica della sua resurrezione , come lo era per il dolore della morte. Una soluzione raccolta da Iorio Vivarelli che dà spessore e profondità al rilievo di Vivarelli e diventa scultura, si moltiplica proprio nei grandi celebri crocifissi.
Il confronto con tante opere dell’arte antica non sia fuorviante: non si parla di semplice influenza, dimostra invece sapienza e grande cultura artistica. Studio, conoscenza e consapevolezza.
Tuttavia l’essere “etrusco” per Iorio Vivarelli significa fondamentalmente essere legato ad una terra che gli appartiene. Un’immagine interiorizzata fin da piccino, quando già sapeva la differenza tra brutto, bello e brutto-bello.
L’Etruria è per Vivarelli la curva placida di una donna addormentata. Le superfici trattate in modo delicatissimo. Il colore della pietra come una tavolozza su cui ognuno può immaginare il paesaggio che desidera: il giallo delle spighe, il rosso dei papaveri, l’erba alta di certe primavere. Le colline toscane, insomma...
Maria Milvia Morciano
Docente di Archeologia
Università degli Studi di Macerata
LISTA OPERE
Disegni
Ritratto, 1946 - pastello (21,6 x 13,6)
Ritratto di Giannetta,1948 - china marrone (30,3 x 20,5)
Ritratto (la madre), 1947 - china (29,7 x 20,5)
Ritratto, 1948 - china marrone (29,7 x 20,3)
Ritratto, 1949 - matita (29 x 20,9)
Ritratto (la moglie), 1949 - china marrone (18,4 x 25,2)
Ritratto (studio), 1949 - carboncino (33,3 x 26,1)
Ritratto, 1950 - sanguigna (50 x 35)
Autoritratto, 1950 - inchiostro (38,5 x 25)
Cristo (studio), 1950 - sanguigna (49,8 x 35)
Ritratto del padre, 1950 - matita (37 x 25)
Ritratto della madre, 1950 - matita (30,6 x 23,5)
Ritratto, 1950 - carboncino (36,5 x 24,5)
Studio per pietra, 1951 - pastello (35,9 x 24,5)
Ritratto, 1952 - pastello (35,5 x 25)
Ritratto (studio), 1952 - pastello (37,7 x 24,8)
Ritratto, 1953 - china (22 x 17)
Ritratto, 1953 - pastello (33,5 x 24,8)
Ritratto, 1953 - acquerello (26,9 x 20,4)
Ritratto, 1954 - sanguigna (31,2 x 23,2)
Studio per pietre, 1955 - penna a feltro (40,7 x 32,8)
Cristo, 1956 - china (44,5 x 32,3)
Crocifissione (studio), 1956 - penna (16,8 x 24,3)
Crocifissione (studio), 1956 - china (27,8 x 21,9)
Crocifissione (studio), 1959 - carboncino (42 x 28,2)
Sculture
L'idiota, 1948 - terracotta (h. 28)
L' accattone, 1949 - terracotta (h. 33)
Maschera il bendato, 1946 - bronzo (h. 31)
Bimbo infelice, 1946 - bronzo (h. 27,5)
Gli occhi sono di vetro, 1947 - bronzo (h. 34)
Colono, 1947 - bronzo (h. 30)
Ragazza Toscana, 1949 - pietra (h. 40)
Veggente, 1949 - pietra (h. 37)
Renaiolo, 1949 - marmo (h. 37)
Il Volto, 1950 - marmo (h. 39)
Iorio Vivarelli è nato a Fognano ( Pistoia) il 12 giugno del 1922. Terminati gli studi alla Scuola Artigiana , si scrisse all’Istituto d’Arte di Firenze . Nel 1942 venne chiamato alle armi prima in Montenegro poi in Albania e da qui, dopo l’8 settembre 1943, iniziarono per lui due anni di prigionia fatta di umiliazioni e sofferenze passando dalla Bulgaria all’Ungheria, all’Austria e alla Germania da cui l’anno seguente riuscì a fuggire per far ritorno in Italia. Nel 1949 si stabilì a Firenze e nello stesso anno sposò Gianna Pini, compagna silenziosa e musa ispiratrice della sua attività.
Nel 1951 iniziò a lavorare alla Fonderia Michelucci dove incontrò l’architetto Giovanni Michelucci con il quale stabilì una profonda amicizia e ne nacque una proficua collaborazione artistica. Furono realizzati, ad esempio, i famosi Crocifissi per la Chiesa della Vergine di Pistoia e per quella di San Giovanni dell’Autostrada del Sole a Campi Bisenzio.
Un altro significativo incontro professionale avvenne nel 1955, con l’architetto russo – americano Oskar Stonorov, conosciuto a Firenze in occasione della mostra di Wright a Palazzo Strozzi. Con Stonorov affrontò i problemi del rapporto tra scultura e architettura urbana dal cui esito usciranno le opere per le grandi piazze di Philadelphia e Detroit. Nel 1964 insieme a Oscar Stonorov vinse il Primo Premio per il Concorso Internazionale per Piazza Kennendy a Philadelphia.
Seguirono anni ricchi di contatti con talenti artistici quali Rafael Alberti, Rodriguez Aguielra, Miguel Angel Asturias e Le Corbusier e con istituzioni come l’UAW Family Education Center presieduta da Walter Reuther nel Black Lake del Michigan presso la quale lavorò per sei anni consecutivi. Nel 1966 partecipò , da protagonista , alla formazione del Gruppo Intrarealista firmando a Barcellona il Manifesto assieme a pittori, scultori e letterati di varia nazionalità fra cui: Giovanni Bassi, Cardona Torrandell, Cesareo Rodriguez Aguilera, Abel Valmitjana, Norman Narotzky, Carlos Mensa, Federico Fellini, José Augustin Goytisolo , Jaime Cubell, Novello Finotti, Silvano Girardello, Gian Lorenzo Mellini.
Oltre alla committenza privata ed al lavoro presso la Fonderia Michelucci tra il 1958 e il 1977 insegnò Arte dei Metalli e Oreficeria presso l’Itituto d’Arte Policarpo Petrocchi a Pistoia. L’attività di insegnante proseguì nel 1983/84 preso l’UIA Università Internazionale d’Arte a Firenze. Degli anni Settanta sono da ricordare una serie di monumenti pubblici quali il Monumento a Giacomo Matteotti a Roma Lungotevere, 1974, ma anche arditi progetti non realizzati riferiti all’uomo al suo ambiente e alla sua collettività, come Salviamo la Vittima 1967, proposta ideale per una testimonianza mediterranea per il porto di Taranto e nel 1974 per la Chiesa di Longarone realizzata dall’Architetto Michelucci.
Nel 1976 iniziò la sua produzione come medaglista: significativa è stata nel 1977 per la Zecca di San Marino la realizzazione della Monetazione Ecologica e l’anno successivo, sempre per San Marino, la Monetazione Aurea. Negli anni Settanta è stato promotore anche di due premi importanti per Pistoia, ovvero il Premio San Giorgio e il Premio Vallecorsi per il quale, tra l’altro, ha realizzato una galleria di ritratti per gli attori del Pistoia Teatro.
Dagli anni ottanta al duemila ha eseguto rilevanti opere pubbliche, fra le quali, nel 1986 la Fontana d’acciaio e plexiglas per la Città di Prato, nel 1979 il monumento Il sacrificio, una morte per la vita per Fognano e nel 1987 l’opera Inno alla vita per la città di Nagasaki (Giappone), per non dimenticare l’immane distruzione della bomba atomica.
Iorio Vivarelli è morto a Pistoia nel settembre 2008.
Alle radici dell’Etruria
Jorio Vivarelli, la prima grafica e i riflessi dell’ esperienza storica
- Quando da piccino dicevano che i miei disegni erano brutti, voleva dire che andavano bene e li mettevo via - cosi mi racconta Jorio Vivarelli in una mattina inondata di luglio, mentre il ventilatore ronza piano.
- Un giorno feci il ritratto a mia madre. Come mi hai fatto brutta! - disse. Una lacrima è stretta a fatica sul ciglio dell’occhio.
- E invece era bella?
- Era bella.
“Il brutto-bello”: questa è l’arte, anzi la perfezione dell’arte, perché va al di là di un giudizio estetico. Il brutto o il bello è l’eterna domanda dell’artista, dove bellezza è espressione di misura. I disegni di Jorio Vivarelli sono linee pulite: la proiezione esatta del pensiero, dell’idea. Se non c’è il disegno non c’è forma. È l’inizio, è il progetto della scultura. La prima grafica colpisce per essenzialità. Sono i volti semplici di uomini contadini, tagliati aspramente, come graffiati su un sasso. Sono gli stessi volti che vediamo tradotti nelle sculture della ricerca emozionale. Scolpite tra il 1947 e il ‘74, le teste sembrano seguire la lezione di Michelangelo, che liberava le forme già contenute nella pietra. Anche Jorio cercava in un torrente, il Riolunato, forme di pietra in cui riconoscere la sua ispirazione.
Oltre ai ritratti, i disegni raffigurano un albero, nudi classici e un nudo di donna a forma di ocarina.
Jorio Vivarelli viene spesso chiamato “scultore etrusco”. Non so fino a che punto abbia influito su di lui l’arte etrusca, quanto l’abbia conosciuta e osservata. Però non sfugge la presenza di echi di espressioni artistiche varie, lontane e sapienti. Incatramate nella terra di un passato che, al di là dello studio, della conoscenza o della ricerca, “esistono in sé’.
Alcune teste, come quelle delle terrecotte modellate negli anni del secondo dopoguerra, come la Figura o L’idiota, ad esempio, ricordano i canopi di Chiusi, urne cinerarie con il coperchio antropomorfo. Ancora, i modellini delle fontane in bronzo e le fontane stesse riportano ad alcune decorazioni del periodo orientalizzante. Una figura seduta può sembrare una “mater matuta”, per non parlare della precisa impronta classica del guerriero di gesso del 1933 o dei bronzetti, che risuonano di etrusco, nuragico, greco...
I sette libri di storia dell’arte, che mise nello zaino quando partì soldato, furono con ogni probabilità consumati a furia di essere letti. Costituivano, forse, un legame con la bellezza, unica distrazione dal brutto della guerra, ma evidentemente anche fonte di riflessione e di studio.
Il cammino dell’artista all’inizio è cauto, quasi timido come certe sfumature dei pastelli e delle matite usate per questi primi disegni, poi diventa sempre più incisivo e vigoroso.
La Crocifissione in legno del 1956, nella Chiesa della Vergine a Pistoia, delinea preziosi ed esatti bizantinismi sia nel modellato del torso, sia nel panneggio, ma le crocifissioni in bronzo esplodono in una drammaticità così potente da far risuonare il ventre cavo del metallo. E con soluzioni geniali. Ad esempio, il volto del Cristo della Crocifissione del 1963, ma anche quello nella celebre Chiesa dell’Autostrada, è come avviluppato in un sudario che incorniciano il volto e pende come ragnatela di dolore.
Un simile sudario ricopre il Cristo uscente dal sarcofago, nella formella del secondo pulpito, nella Chiesa di San Lorenzo, opera fondamentale di Donatello risalente al 1461. Cristo è affranto dalla fatica della sua resurrezione , come lo era per il dolore della morte. Una soluzione raccolta da Iorio Vivarelli che dà spessore e profondità al rilievo di Vivarelli e diventa scultura, si moltiplica proprio nei grandi celebri crocifissi.
Il confronto con tante opere dell’arte antica non sia fuorviante: non si parla di semplice influenza, dimostra invece sapienza e grande cultura artistica. Studio, conoscenza e consapevolezza.
Tuttavia l’essere “etrusco” per Iorio Vivarelli significa fondamentalmente essere legato ad una terra che gli appartiene. Un’immagine interiorizzata fin da piccino, quando già sapeva la differenza tra brutto, bello e brutto-bello.
L’Etruria è per Vivarelli la curva placida di una donna addormentata. Le superfici trattate in modo delicatissimo. Il colore della pietra come una tavolozza su cui ognuno può immaginare il paesaggio che desidera: il giallo delle spighe, il rosso dei papaveri, l’erba alta di certe primavere. Le colline toscane, insomma...
Maria Milvia Morciano
Docente di Archeologia
Università degli Studi di Macerata
LISTA OPERE
Disegni
Ritratto, 1946 - pastello (21,6 x 13,6)
Ritratto di Giannetta,1948 - china marrone (30,3 x 20,5)
Ritratto (la madre), 1947 - china (29,7 x 20,5)
Ritratto, 1948 - china marrone (29,7 x 20,3)
Ritratto, 1949 - matita (29 x 20,9)
Ritratto (la moglie), 1949 - china marrone (18,4 x 25,2)
Ritratto (studio), 1949 - carboncino (33,3 x 26,1)
Ritratto, 1950 - sanguigna (50 x 35)
Autoritratto, 1950 - inchiostro (38,5 x 25)
Cristo (studio), 1950 - sanguigna (49,8 x 35)
Ritratto del padre, 1950 - matita (37 x 25)
Ritratto della madre, 1950 - matita (30,6 x 23,5)
Ritratto, 1950 - carboncino (36,5 x 24,5)
Studio per pietra, 1951 - pastello (35,9 x 24,5)
Ritratto, 1952 - pastello (35,5 x 25)
Ritratto (studio), 1952 - pastello (37,7 x 24,8)
Ritratto, 1953 - china (22 x 17)
Ritratto, 1953 - pastello (33,5 x 24,8)
Ritratto, 1953 - acquerello (26,9 x 20,4)
Ritratto, 1954 - sanguigna (31,2 x 23,2)
Studio per pietre, 1955 - penna a feltro (40,7 x 32,8)
Cristo, 1956 - china (44,5 x 32,3)
Crocifissione (studio), 1956 - penna (16,8 x 24,3)
Crocifissione (studio), 1956 - china (27,8 x 21,9)
Crocifissione (studio), 1959 - carboncino (42 x 28,2)
Sculture
L'idiota, 1948 - terracotta (h. 28)
L' accattone, 1949 - terracotta (h. 33)
Maschera il bendato, 1946 - bronzo (h. 31)
Bimbo infelice, 1946 - bronzo (h. 27,5)
Gli occhi sono di vetro, 1947 - bronzo (h. 34)
Colono, 1947 - bronzo (h. 30)
Ragazza Toscana, 1949 - pietra (h. 40)
Veggente, 1949 - pietra (h. 37)
Renaiolo, 1949 - marmo (h. 37)
Il Volto, 1950 - marmo (h. 39)
18
dicembre 2010
Iorio Vivarelli – Ritratti 1940–1950
Dal 18 dicembre 2010 al 22 gennaio 2011
disegno e grafica
Location
FONDAZIONE MARINO MARINI
Pistoia, Corso Silvano Fedi, 30, (Pistoia)
Pistoia, Corso Silvano Fedi, 30, (Pistoia)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato dalle ore 10,00 alle ore 17,00
Chiuso la domenica
Vernissage
18 Dicembre 2010, ore 18
Sito web
www.fondazionevivarelli.it
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