E’ una pittura che sceglie figure umane colte nella loro solitudine esistenziale, in quella alienazione urbana in cui tutti noi ci troviamo ripetutamente immersi. E come l’obbiettivo di una macchina fotografica che ritaglia una porzione di spazio, di campo visivo preciso, Irene impressiona sulla tela, con tempi fotografici vicini a quello dell’ infinito, un mondo che corrisponde all’attimo fuggente, a una percezione sottile, impalpabile, che l’occhio umano mai potrebbe cogliere. Non è la ricostruzione realistica di uno stato di cose riscontrabili nella realtà, ma è l’attimo prima che precede la realtà, quello che precede la posizione statica dell’immagine. Le figure vengono rappresentate prima della loro percezione stabile, afferrabile; si ha così un’effetto scia che avvolge le figure e che ci lasciano intuire il movimento ma non l’azione, ossia la finalità del movimento stesso. E quindi il tema delle opere resta inconscio, nascosto, a livello subliminale. Il colore si impregna dell’effetto scia che Irene da alle figure e al paesaggio circostante, un paesaggio neutro, a volte totalmente assente e tutto diviene colore fluido, slabbrato, gocciolante, un effetto tremolante e cinetico (che chiamo trail-painting) che esalta la poetica della solitudine dell’uomo prigioniero della modernità in cui vive.



Antonio Lo Cicero.