Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Italo Valenti
Oltre a varie opere su tela, la mostra presenta un considerevole numero delle ben note, mirabili, chine su carta
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La galleria Folini Arte Contemporanea presenta una vasta antologica di opere di Italo Valenti (Milano 1912- Ascona 1995) artista di grande e confermato interesse che operò a stretto contatto con alcune tra le più importanti personalità dell’arte astratta del secondo dopoguerra quali Jean Arp, Julius Bissier, Fritz Glarner, Ben Nicholson, Hans Richter, Mark Tobey e partecipando ad esposizioni di primario rilievo quali la nel 1958, la XXIX Biennale di Venezia, e nel 1964, Dokumenta III a Kassel.
Le opere selezionate per l’attuale mostra presso la galleria Folini Arte Contemporanea di Chiasso sono una vagliata silloge di carte e dipinti, volta a presentare al meglio le diverse stagioni espressive del maestro. Oltre a varie opere su tela, si è ritenuto di presentare un considerevole numero delle ben note, mirabili, china su carta. L’esposizione è accompagnata da un catalogo con testimonianze di Anne de Montet-Valenti, Guido Piovene, e saggi critici di Carlo Carena e Domenico D’Oora.
DOMENICO D’OORA
PER ITALO VALENTI
Non sappiamo quanto della turbinante arte prodotta in questi anni resterà nella storia, ma fin d’ora constatiamo che buona parte di essa è scomparsa dagli annali. I poco attenti o incauti, già si sono ritrovati con una collezione di inverosimili oggetti, senza che essi trovino conferma in un senso estetico o, persino, del proprio valore materiale; intanto di tante inutili teorie giustificatorie non vi è più ricordo, immediatamente sostituite da altre ugualmente superflue. Opere come quelle di Italo Valenti invece non cessano di suscitare emozione. Esse ci rammentano un’età dell’oro in cui l’arte, la pittura, nasceva dall’affinamento della propria sensibilità, dalla volontà di essere partecipi della propria epoca con l’espressione di una personale visione del mondo, instaurando con esso un rapporto lontano da clamori e mode.
Abbiamo sempre ammirato l’universo sospeso e incantato di Italo Valenti; il suo percorso artistico, nell’evolversi delle diverse tematiche, è costantemente permeato da un afflato di ricerca di una autenticità espressiva. Lontano da determinazioni e forzature esterne, ha saputo librarsi al di sopra di mode ed eventi effimeri, nonché da sovrastrutture ideologiche, affermando costantemente un proprio mondo lieto, ma non per questo meno consapevole, testimoniando l’unica via che è possibile percorrere per un’effettiva libertà. E’ così che ogni opera di Valenti, anche la più minuta, anche la più apparentemente semplice, in ragione di una sua sempre percepibile umanissima fragilità, di un’inimitabile ricerca di equilibrio e levità, realizzata in virtù delle proprie inalienabili personali motivazioni, ci apre la strada, con immensa naturalezza, verso il silenzioso senso di un’opera primigenia e assolutamente veridica.
Questa attitudine schiva ad ogni retorica, volutamente antimonumentale, è riscontrabile sin dalle prime prove pittoriche di Valenti - ed è appena il caso di notare come, all’opposto, per tanta cosiddetta arte contemporanea l’impatto dato dalla grande dimensione diviene unica ragion d’essere. Negli anni Trenta, dall’ambiente artistico di Vicenza, ove si era trasferito da Milano, e che continuerà a frequentare anche negli anni di Corrente - la sua prima personale è a Valdagno nel 1932 - assimilerà un’inclinazione magica e spiritualistica di ascendenza metafisica, che darà origine in Valenti a “lavori ispirati ad una figurazione sospesa tra rappresentazione del reale e trasfigurazione fantastica”,1 una figurazione sensibile ma non intimistica, propensione espressiva che accompagnerà per sempre l’artista.
Scorrendo i principali gruppi di tematiche che via via Valenti ha sviluppato in una coerente immaginosa sequenza, dai figurativi Trenini ai Carrettini della neve, dai Cervi Volanti ai Pesci nel giardino, agli astratto-materici Chaos, incontriamo un Valenti dalla sensibilità incantata e smarrita, saldamente acclarata e asseverata da una magistrale, sempre stupefacente freschezza. Traspare in queste opere una connaturata capacità di porre con garbo le situazioni di una favola ancora non narrata, di un dipingere con l’occhio accostato al cuore, tutti elementi che sono un esempio di opera che si valorizza per il suo costante saper essere nella storia ma fuori dalla sua descrizione, dentro una sua possibile meraviglia, via dalle sue fuorvianti mischie.
A questo proposito è emblematico che prima della guerra, nel 1937/38 a Milano, Valenti fu uno dei fondatori del movimento artistico Corrente - ed il suo dissenso con il Regime gli costò anche il carcere - così come, durante la Repubblica Sociale, si rifiutò di continuare il suo insegnamento presso l’Accademia di Brera, mentre, nel dopoguerra, opterà per il distacco da Corrente considerandola divenuta troppo coinvolta nell’agone politico.
Nell’opera pittorica di Valenti è evidente così, l’intendimento a distinguersi da forme artistiche improntate all’esasperazione vitalistica o alla critica esistenzialista della realtà. Egli opta con spontaneità, quasi fosse un’inclinazione naturale, per una progressiva depurazione e sintesi che, nel tempo, si tradurrà sempre più in un lineare processo di rarefazione e riduzione all'essenziale di temi e soggetti. Essi conserveranno sempre - scevri da elitaria alterigia - nella loro declinazione formale, trasognata e fantastica, un legame con il reale, a volte solo un rimando. Pare quasi che l’artista, nel proprio limpido universo, così asservisse la realtà, o che volesse evidenziare e trovare la conferma che in essa, sin dai primordi, in ogni stagione dell’esistenza, operi e sia influente una certa qual aurea legge soggettiva, certamente magica perché imponderabile, armonica e pura perché totalmente affermativa; che perduri, in altre parole, un’opzione esistenziale ancora immaginabile, forse possibile, eredità di un persistere di una mitica età dell’oro.
Anche quando l’opera di Valenti, in seguito al suo definitivo trasferimento in Ticino a Muralto, avvenuto nel 1952, frequentando la “ comunità culturale costituita a Lugano, a Locarno, ad Ascona” 2 a contatto con artisti quali Julius Bissier, Ben Nicholson, Fritz Glarner, Hans Richter, Jean Arp (con gli ultimi tre condivise lo studio negli ateliers di Remo Rossi) si rivolgerà decisamente a esiti geometrizzanti di grande sintesi astratta, essa mai si assoggetterà a rigidi dettati razionalistici. Manterrà invece un sua ineffabile delicatezza fatta di esemplare armonia compositiva e incomparabile levità cromatica, equilibrate dinamicamente in euritmiche composizioni, a volte brevi e minute, altre volte ampie e distese, ma sempre efficaci metafore di profonde emozioni.
Con l’Italia, Italo Valenti intratterrà rapporti esponendo in mostre collettive e in rassegne di carattere storico come alle Quadriennali di Roma e Torino. Sarà presente alla Biennale di Venezia del 1948, del 1950 e del 1958. Continuerà altresì a tenere mostre personali nelle più qualificate gallerie milanesi quali Il Milione, nel 1955, la Gian Ferrari, nel 1960, e la Vismara nel 1974.
Perdureranno significative anche le collaborazioni con scrittori e poeti, iniziate con l’amicizia risalente alla gioventù e in seguito sempre coltivata con l’editore Neri Pozza, e successivamente con le lezioni di pittura impartite, nel proprio atelier, all’amico Eugenio Montale nel 1946. Da ciò nasceranno pregevoli edizioni d’arte. Ricordiamo in particolare la fruttuosa amicizia e collaborazione con Carlo Carena, che permise a Valenti di confrontarsi con l’opera di alcuni poeti latini: ad esempio nel 1974 con il volume sull’opera di Lucrezio e nel 1981 con il pregiato “Paesaggi Virgiliani” per il quale realizzerà un’acquatinta. In ambito insubrico rammentiamo i collages - Valenti apprezzava l’opera di François Lafranca come eccellente stampatore delle sue litografie e maestro artigiano della produzione della carta - per i I Re magi di Piero Chiara del 1978. Otto poesie di E. Montale e un collage di I. Valenti, del 1976 e successivamente, sempre con Montale, Mottetti, con un commento di Dante Isella, del 1980. Seguono i volumi Le Lune e Les Magiciennes, con poesie di Anne de Montet, a cura di Sergio Grandini, 1983. E’ testimonianza, singolare traccia di quanto fosse forte la vicinanza di Valenti con il mondo letterario, anche l’omaggio Per Italo Valenti3, con una poesia inedita di Vittorio Sereni, edito in occasione del settantesimo compleanno dell’artista a cura di Giorgio Lucini e Vanni Scheiwiller.
Dagli anni Cinquanta l’opera di Valenti si dispiegherà in una lunga, felice stagione creativa che concretizzerà sempre più una ricerca verso l’”essenziale”, mediante la creazione di innumerevoli capolavori. Dalla serie delle Hollande ai Liuti, alle Lune, vi è un alternarsi di magistrali incursioni sperimentali, che segnano la coerenza di un percorso esistenziale tutto interno a una intenzionalità espressiva volta a disvelare una dimensione di intima vitalità poetica. Sarà nel suddividere il campo pittorico in nitide forme piane e distese, con un’evocativa relazione tra le singole zone di colore, a volte in netto contrasto timbrico altre in soffuso connubio tonale - dove lo squillare di un giallo, l’avvampare di un rosso, l’ottenebrarsi di un grigio, nelle singole valenze, e nei nessi che stabiliscono, si sapranno reciprocamente magnificare - che si svolgerà un procedere che enuncia un’armoniosa essenza visiva di una situazione, l’incanto della sua manifestazione, lo stupore del suo palesarsi.
A volte l’aspetto delle opere di Valenti sembra conservare ancora una lontana memoria della realtà, solo un’eco, quasi una incantata reminiscenza, spesso dimentica della sua origine, che resta racchiusa unicamente nella referenzialità dei titoli. Tale specie di stratagemma richiede una percezione più sensibile, che trova la sua motivazione e il suo definitivo compimento nel totale coinvolgimento emotivo di chi osserva, percependo, fruendo l’opera, stabilendo una relazione, entrando in connubio con la sua poetica realtà, del tutto intensa ed effusiva.
Per l’artista, ed anche per l’osservatore più avveduto, questo risulta un connaturato stile di vita, come quello di Jim Ede, curatore della Tate Gallery di Londra, grande estimatore dell’opera di Valenti. Della sua abitazione, Kettle’s Yard, a Cambridge, fece uno straordinario esempio di legame di estetica e vita, di way of life4, collezionando ed esponendo nella sua dimora - ora divenuta museo - con apparente semplicità, raffinato esito di un’indispensabile spiritualità quotidiana, antichi manufatti e reperti naturali, affiancati a opere di C. Brancusi, W. Congdon, H. Gaudier-Brzeska, N. Gabo, B. Nicholson, H. Moore. Accanto ad essi figurano dipinti di Valenti tra cui tre grandi collages, che lo stesso Jim Ede aveva personalmente “scoperto” e acquistato, colpito dalla loro grande qualità, nella sua visita a Documenta III a Kassel, nel 1964.
Quella di Kassel, è solo una delle innumerevoli esposizioni in prestigiosi spazi e musei pubblici e rinomate gallerie private, che si susseguiranno in ambito internazionale, principalmente al Nord Europa e in America. Valenti fu invitato a partecipare in mostre collettive, tra le cui al Carnegie Institute di Pittsburg, nel 1961, al Kunstmuseum di San Gallo, nel 1963. Spicca anche Peintres du silence al Musée Jenisch di Vevey con opere di Bissier, Morandi, Nicholson, Rothko, Tobey, poi a Palazzo Reale (Corrente 30 anni dopo) a Milano, nel 1985. Vi furono pure mostre personali, tra cui, alla Frankfurter Westend Galerie, a Francoforte s. M. nel 1979, al Kunsthaus, di Zurigo, e alla Scottish National Gallery of Modern Art, di Edimburgo nel 1980, al Kunstverein di Friburgo nel 1981, alla Fondation Pierre Gianadda, Martigny, nel 1987, a Venezia alla Fondazione Querini Stampalia, nel 1992 o antologiche come quella alla Basilica Palladiana, a Vicenza, nel 2001.
Le opere selezionate per l’attuale mostra presso la galleria Folini Arte Contemporanea di Chiasso sono una vagliata silloge di carte e dipinti, volta a presentare al meglio le diverse stagioni espressive del maestro.
Oltre a varie opere su tela, si è ritenuto di presentare un considerevole numero delle ben note, mirabili, china su carta. In queste carte l’artista Valenti definisce e sa cogliere d’intuito, in pochissimi subitanei, sintetici segni, tracciati con maestria assoluta nel biancore del foglio, con un emozionato accenno figurale, una situazione, narrare una favola, come un haiku, sintesi di idea e immagine. Egli sa così annunciare un modo d’intendere l’esistenza permeata di grandi, liberi e universali valori poetici. Qui, e come in tutta l’opera di Italo Valenti, è pur sempre vivissima una sorta di raffinata e pervasiva ironia, che consente e aiuta ad affrontare quelle asperità dell’esistenza che, invero solo a un cuore disattento, potrebbe sembrare che Valenti abbia aver voluto mettere fra parentesi. Non è così. In Valenti si ode il risuonare, lieve e sottile, di una vita amorevole sebbene arcana, le cui manifestazioni, per unico tramite della nostra sensibilità, ci possono essere note, mentre le sue logiche ancora ci sfuggono. L’arte di Italo Valenti decisamente, benché nel più suadente dei modi, ci mostra che nulla di quanto concerne la vita, nella sua essenza, può prescindere dalla bellezza.
Luino, dicembre 2007
1 In: G. Menato, Italo Valenti 1912 - 1995, catalogo della mostra alla Basilica Palladiana, Salone degli Zavattari, Edisai edizioni, Vicenza, 2001.
2 Per un completa disanima e documentazione dell’opera del Nostro si veda: C. Carena, S. Pult. Italo Valenti, Catalogo ragionato, Archivio Valenti Ascona, Skira editore, Milano, 1998.
3 Per Italo Valenti, plaquette in otto esemplari a cura di G. Lucini e V. Scheiwiller, con una poesia inedita di V. Sereni, e quattro omaggi di colore di E. Della Torre, A. Kalczynska, V. Matino, C. Nangeroni, Milano, 29 aprile 1982.
4 Cfr., J. Ede, A way of life, Cambridge University Press, Cambridge, 1984.
Carlo Carena
Ritrovare Italo Valenti
Ritrovare un artista come Italo Valenti è ogni volta un piacere sopraffino, un’emozione che si ravviva, un’esperienza che sempre arricchisce. Non lo si ritrova mai invano, anche se lo si fosse incontrato cento volte com’era nella vita, poiché si ha a che fare non soltanto con uno dei maggiori pittori italiani del Novecento, ma con uno spirito ricco che ci trasmette discretamente la sua lezione. Al fondo, ma poi non troppo profondo, della sua pittura, stanno una cultura vasta e una vera sensibilità poetica; un riflessione filosofica che risale alla mitologia greca e si espande a scrittori e sapienti dell’Oriente, in cerca del senso delle cose e del mistero dell’universo.
Erano certamente stati d’animo diffusi nella cultura a cui dapprima Italo Valenti appartenne nei suoi bei venti e trent’anni: la Milano anni Trenta e Quaranta che opponeva al fracasso del Futurismo e del regime alcuni cenacoli appartati di poeti e di artisti, anche di filosofi. Lì una ricerca silenziosa che ripercorreva lontani cammini e insieme aderiva alla sensibilità di un’epoca che, in chi più in chi meno, percepiva il suo come un momento fragile e instabile; si poneva alla ricomposizione delle forme nella loro quintessenza, eppure con un fermo riconoscimento della realtà.
Lì e allora si consumava in Valenti un contrasto che lo appartava dai colleghi, pur nel suo caldo bisogno dell’amicizia e nella condivisione aperta del lavoro. Le sue città e i loro arredi, le auto o i treni, sono giocattoli visti con meraviglia e desiderio infantili; gli abitanti vi si aggirano come in un teatrino (spesso anche visivamente rappresentato) e vivono in un balletto surreale, con dense pennellate a olio e netti colori: non con netti contorni bensì sintetizzati in forme geometriche che spiano quello che sarà, in una coerenza tangibile, contrassegno della sua necessità e serietà, il cammino di questo artista di rara unitarietà pur in successioni evolutive che permettono di distinguere e storicizzare i ‘periodi’ della sua pittura.
L’evoluzione fu uno sboccio di forme da forme, una progressiva conquista di assolutezza come bisogno interiore di chi ha scrutato il mondo senza mai mescolarvisi per ciò che vi trovava di assurdo, di rozzo e di vano, selezionando intorno a sé persone, cose, luoghi come selezionava i suoi colleghi del passato cercando quelli più taciti e lineari: egli stesso additava l’Angelico e Giorgione, citava Memling e Vermeer.
La mostra presente ci porta agli esiti finali e trionfali di questo percorso. Il Blu è degli anni di passaggio, quelli di fine Cinquanta, fra i più tormentosi e impressionanti di Valenti: materie turbinanti che fanno esplodere le forme in un colorismo acceso. Poi la suggestione ispirata da due città patria di splendidi pittori e pitture: Amsterdam è del 1967 (l’artista ha 45 anni) e dell’anno dopo è Vicenza, dove Valenti adolescente visse a lungo, rivisitata a distanza di tempo: Amsterdam sembra stendere le sue mura rosse sul canale, mentre la città veneta si ricompone nella sua perfezione palladiana (presto apparirà sull’orizzonte il tema di Mesure).
Ed ecco immediatamente (1968) l’Isola del sole, rappresentante di uno degli altri temi, sognanti e agognati, di Valenti, un grande utopista; poi, con Liuti, del ’72, un mirabile esemplare delle grandi composizioni cromatiche a blu e verde care all’artista, che ne trarrà superbe tele a vaste campiture, come di cielo e terra accostati e sovrapposti, ritti o reclinati. Mentre Paese, del ’69, dà un primo esempio dell’uso dei trapezi, altro modulo elaborato in tutte le dimensioni e combinazioni.
I collages sono rappresentati in questa mostra da un esemplare della piena maturità, Signes, 1984. Intorno ad esso si svilupparono altri ‘paesaggi’ valentiani legati sovente alla Svizzera: Sils, Viamala, o ai viaggi di verifica e di godimento in Grecia o in Olanda, nella più acuta solarità o nei bassi profili dei prati e delle acque; oppure quadri con titoli insistenti attorno agli eroi della mitologia mediterranea o alla lontana Cina: gli ‘antenati’ o ‘archetipi’ come egli li definiva. E poi le Lune, altro vero ‘mito’ di Valenti. Quelle loro masse in bilico su parallelepipedi dànno luogo a variazioni spaziali e cromatiche con tutti gli strumenti della pittura contemporanea, olî e collages appunto, o chine e incisioni spesso colorate con piacevole effetto anche decorativo. L’eleganza è una costante da sottolineare non meno nella varietà di temi pittorici del nostro artista.
Con le lune e i notturni entriamo ancora una volta nel mistero simbolico, nelle sue più suggestive allusioni. Le Maghe, precoci nella pittura di Valenti, ci guardano nelle loro pose e stature ieratiche, sembrano interrogarci sole, malinconiche o accasciate da chissà quale consapevolezza, o in gruppi in cui si combinano di triangoli e piramidi. Mentre i Traghettatori, in neri stiffelius e cilindri come in Renoir o Toulouse-Lautrec, soprattutto nei disegni guidano con lunghi remi le gondole su sconfinate lagune, chissà dove, come altrettanti Caronti nella notte.
Non si smetterebbe mai di contemplare e di fantasticare su queste forme e creazioni poetiche, sulle quali Valenti stesso era reticente quanto invece era espansivo sulle sue letture, sui suoi esperimenti, sulla propria vicenda di pittore in Italia e poi in Svizzera. Là aveva attinto la grande tradizione pittorica toscana e veneta, di linea e di colore; qui aveva incontrato ambienti e colleghi affini per interessi e inclinazioni, artisti come Nicholson e Remo Rossi, scrittori come Andersch e Golo Mann, e la moglie Anne de Montet, che condivise e sostenne con lui tanta storia e ricchezza. Di tutto ciò conviene tener conto per apprezzare davvero l’arte di Italo Valenti; e di queste sue ‘astrazioni’ non solo dalle forme ma dal mondo stesso
Le opere selezionate per l’attuale mostra presso la galleria Folini Arte Contemporanea di Chiasso sono una vagliata silloge di carte e dipinti, volta a presentare al meglio le diverse stagioni espressive del maestro. Oltre a varie opere su tela, si è ritenuto di presentare un considerevole numero delle ben note, mirabili, china su carta. L’esposizione è accompagnata da un catalogo con testimonianze di Anne de Montet-Valenti, Guido Piovene, e saggi critici di Carlo Carena e Domenico D’Oora.
DOMENICO D’OORA
PER ITALO VALENTI
Non sappiamo quanto della turbinante arte prodotta in questi anni resterà nella storia, ma fin d’ora constatiamo che buona parte di essa è scomparsa dagli annali. I poco attenti o incauti, già si sono ritrovati con una collezione di inverosimili oggetti, senza che essi trovino conferma in un senso estetico o, persino, del proprio valore materiale; intanto di tante inutili teorie giustificatorie non vi è più ricordo, immediatamente sostituite da altre ugualmente superflue. Opere come quelle di Italo Valenti invece non cessano di suscitare emozione. Esse ci rammentano un’età dell’oro in cui l’arte, la pittura, nasceva dall’affinamento della propria sensibilità, dalla volontà di essere partecipi della propria epoca con l’espressione di una personale visione del mondo, instaurando con esso un rapporto lontano da clamori e mode.
Abbiamo sempre ammirato l’universo sospeso e incantato di Italo Valenti; il suo percorso artistico, nell’evolversi delle diverse tematiche, è costantemente permeato da un afflato di ricerca di una autenticità espressiva. Lontano da determinazioni e forzature esterne, ha saputo librarsi al di sopra di mode ed eventi effimeri, nonché da sovrastrutture ideologiche, affermando costantemente un proprio mondo lieto, ma non per questo meno consapevole, testimoniando l’unica via che è possibile percorrere per un’effettiva libertà. E’ così che ogni opera di Valenti, anche la più minuta, anche la più apparentemente semplice, in ragione di una sua sempre percepibile umanissima fragilità, di un’inimitabile ricerca di equilibrio e levità, realizzata in virtù delle proprie inalienabili personali motivazioni, ci apre la strada, con immensa naturalezza, verso il silenzioso senso di un’opera primigenia e assolutamente veridica.
Questa attitudine schiva ad ogni retorica, volutamente antimonumentale, è riscontrabile sin dalle prime prove pittoriche di Valenti - ed è appena il caso di notare come, all’opposto, per tanta cosiddetta arte contemporanea l’impatto dato dalla grande dimensione diviene unica ragion d’essere. Negli anni Trenta, dall’ambiente artistico di Vicenza, ove si era trasferito da Milano, e che continuerà a frequentare anche negli anni di Corrente - la sua prima personale è a Valdagno nel 1932 - assimilerà un’inclinazione magica e spiritualistica di ascendenza metafisica, che darà origine in Valenti a “lavori ispirati ad una figurazione sospesa tra rappresentazione del reale e trasfigurazione fantastica”,1 una figurazione sensibile ma non intimistica, propensione espressiva che accompagnerà per sempre l’artista.
Scorrendo i principali gruppi di tematiche che via via Valenti ha sviluppato in una coerente immaginosa sequenza, dai figurativi Trenini ai Carrettini della neve, dai Cervi Volanti ai Pesci nel giardino, agli astratto-materici Chaos, incontriamo un Valenti dalla sensibilità incantata e smarrita, saldamente acclarata e asseverata da una magistrale, sempre stupefacente freschezza. Traspare in queste opere una connaturata capacità di porre con garbo le situazioni di una favola ancora non narrata, di un dipingere con l’occhio accostato al cuore, tutti elementi che sono un esempio di opera che si valorizza per il suo costante saper essere nella storia ma fuori dalla sua descrizione, dentro una sua possibile meraviglia, via dalle sue fuorvianti mischie.
A questo proposito è emblematico che prima della guerra, nel 1937/38 a Milano, Valenti fu uno dei fondatori del movimento artistico Corrente - ed il suo dissenso con il Regime gli costò anche il carcere - così come, durante la Repubblica Sociale, si rifiutò di continuare il suo insegnamento presso l’Accademia di Brera, mentre, nel dopoguerra, opterà per il distacco da Corrente considerandola divenuta troppo coinvolta nell’agone politico.
Nell’opera pittorica di Valenti è evidente così, l’intendimento a distinguersi da forme artistiche improntate all’esasperazione vitalistica o alla critica esistenzialista della realtà. Egli opta con spontaneità, quasi fosse un’inclinazione naturale, per una progressiva depurazione e sintesi che, nel tempo, si tradurrà sempre più in un lineare processo di rarefazione e riduzione all'essenziale di temi e soggetti. Essi conserveranno sempre - scevri da elitaria alterigia - nella loro declinazione formale, trasognata e fantastica, un legame con il reale, a volte solo un rimando. Pare quasi che l’artista, nel proprio limpido universo, così asservisse la realtà, o che volesse evidenziare e trovare la conferma che in essa, sin dai primordi, in ogni stagione dell’esistenza, operi e sia influente una certa qual aurea legge soggettiva, certamente magica perché imponderabile, armonica e pura perché totalmente affermativa; che perduri, in altre parole, un’opzione esistenziale ancora immaginabile, forse possibile, eredità di un persistere di una mitica età dell’oro.
Anche quando l’opera di Valenti, in seguito al suo definitivo trasferimento in Ticino a Muralto, avvenuto nel 1952, frequentando la “ comunità culturale costituita a Lugano, a Locarno, ad Ascona” 2 a contatto con artisti quali Julius Bissier, Ben Nicholson, Fritz Glarner, Hans Richter, Jean Arp (con gli ultimi tre condivise lo studio negli ateliers di Remo Rossi) si rivolgerà decisamente a esiti geometrizzanti di grande sintesi astratta, essa mai si assoggetterà a rigidi dettati razionalistici. Manterrà invece un sua ineffabile delicatezza fatta di esemplare armonia compositiva e incomparabile levità cromatica, equilibrate dinamicamente in euritmiche composizioni, a volte brevi e minute, altre volte ampie e distese, ma sempre efficaci metafore di profonde emozioni.
Con l’Italia, Italo Valenti intratterrà rapporti esponendo in mostre collettive e in rassegne di carattere storico come alle Quadriennali di Roma e Torino. Sarà presente alla Biennale di Venezia del 1948, del 1950 e del 1958. Continuerà altresì a tenere mostre personali nelle più qualificate gallerie milanesi quali Il Milione, nel 1955, la Gian Ferrari, nel 1960, e la Vismara nel 1974.
Perdureranno significative anche le collaborazioni con scrittori e poeti, iniziate con l’amicizia risalente alla gioventù e in seguito sempre coltivata con l’editore Neri Pozza, e successivamente con le lezioni di pittura impartite, nel proprio atelier, all’amico Eugenio Montale nel 1946. Da ciò nasceranno pregevoli edizioni d’arte. Ricordiamo in particolare la fruttuosa amicizia e collaborazione con Carlo Carena, che permise a Valenti di confrontarsi con l’opera di alcuni poeti latini: ad esempio nel 1974 con il volume sull’opera di Lucrezio e nel 1981 con il pregiato “Paesaggi Virgiliani” per il quale realizzerà un’acquatinta. In ambito insubrico rammentiamo i collages - Valenti apprezzava l’opera di François Lafranca come eccellente stampatore delle sue litografie e maestro artigiano della produzione della carta - per i I Re magi di Piero Chiara del 1978. Otto poesie di E. Montale e un collage di I. Valenti, del 1976 e successivamente, sempre con Montale, Mottetti, con un commento di Dante Isella, del 1980. Seguono i volumi Le Lune e Les Magiciennes, con poesie di Anne de Montet, a cura di Sergio Grandini, 1983. E’ testimonianza, singolare traccia di quanto fosse forte la vicinanza di Valenti con il mondo letterario, anche l’omaggio Per Italo Valenti3, con una poesia inedita di Vittorio Sereni, edito in occasione del settantesimo compleanno dell’artista a cura di Giorgio Lucini e Vanni Scheiwiller.
Dagli anni Cinquanta l’opera di Valenti si dispiegherà in una lunga, felice stagione creativa che concretizzerà sempre più una ricerca verso l’”essenziale”, mediante la creazione di innumerevoli capolavori. Dalla serie delle Hollande ai Liuti, alle Lune, vi è un alternarsi di magistrali incursioni sperimentali, che segnano la coerenza di un percorso esistenziale tutto interno a una intenzionalità espressiva volta a disvelare una dimensione di intima vitalità poetica. Sarà nel suddividere il campo pittorico in nitide forme piane e distese, con un’evocativa relazione tra le singole zone di colore, a volte in netto contrasto timbrico altre in soffuso connubio tonale - dove lo squillare di un giallo, l’avvampare di un rosso, l’ottenebrarsi di un grigio, nelle singole valenze, e nei nessi che stabiliscono, si sapranno reciprocamente magnificare - che si svolgerà un procedere che enuncia un’armoniosa essenza visiva di una situazione, l’incanto della sua manifestazione, lo stupore del suo palesarsi.
A volte l’aspetto delle opere di Valenti sembra conservare ancora una lontana memoria della realtà, solo un’eco, quasi una incantata reminiscenza, spesso dimentica della sua origine, che resta racchiusa unicamente nella referenzialità dei titoli. Tale specie di stratagemma richiede una percezione più sensibile, che trova la sua motivazione e il suo definitivo compimento nel totale coinvolgimento emotivo di chi osserva, percependo, fruendo l’opera, stabilendo una relazione, entrando in connubio con la sua poetica realtà, del tutto intensa ed effusiva.
Per l’artista, ed anche per l’osservatore più avveduto, questo risulta un connaturato stile di vita, come quello di Jim Ede, curatore della Tate Gallery di Londra, grande estimatore dell’opera di Valenti. Della sua abitazione, Kettle’s Yard, a Cambridge, fece uno straordinario esempio di legame di estetica e vita, di way of life4, collezionando ed esponendo nella sua dimora - ora divenuta museo - con apparente semplicità, raffinato esito di un’indispensabile spiritualità quotidiana, antichi manufatti e reperti naturali, affiancati a opere di C. Brancusi, W. Congdon, H. Gaudier-Brzeska, N. Gabo, B. Nicholson, H. Moore. Accanto ad essi figurano dipinti di Valenti tra cui tre grandi collages, che lo stesso Jim Ede aveva personalmente “scoperto” e acquistato, colpito dalla loro grande qualità, nella sua visita a Documenta III a Kassel, nel 1964.
Quella di Kassel, è solo una delle innumerevoli esposizioni in prestigiosi spazi e musei pubblici e rinomate gallerie private, che si susseguiranno in ambito internazionale, principalmente al Nord Europa e in America. Valenti fu invitato a partecipare in mostre collettive, tra le cui al Carnegie Institute di Pittsburg, nel 1961, al Kunstmuseum di San Gallo, nel 1963. Spicca anche Peintres du silence al Musée Jenisch di Vevey con opere di Bissier, Morandi, Nicholson, Rothko, Tobey, poi a Palazzo Reale (Corrente 30 anni dopo) a Milano, nel 1985. Vi furono pure mostre personali, tra cui, alla Frankfurter Westend Galerie, a Francoforte s. M. nel 1979, al Kunsthaus, di Zurigo, e alla Scottish National Gallery of Modern Art, di Edimburgo nel 1980, al Kunstverein di Friburgo nel 1981, alla Fondation Pierre Gianadda, Martigny, nel 1987, a Venezia alla Fondazione Querini Stampalia, nel 1992 o antologiche come quella alla Basilica Palladiana, a Vicenza, nel 2001.
Le opere selezionate per l’attuale mostra presso la galleria Folini Arte Contemporanea di Chiasso sono una vagliata silloge di carte e dipinti, volta a presentare al meglio le diverse stagioni espressive del maestro.
Oltre a varie opere su tela, si è ritenuto di presentare un considerevole numero delle ben note, mirabili, china su carta. In queste carte l’artista Valenti definisce e sa cogliere d’intuito, in pochissimi subitanei, sintetici segni, tracciati con maestria assoluta nel biancore del foglio, con un emozionato accenno figurale, una situazione, narrare una favola, come un haiku, sintesi di idea e immagine. Egli sa così annunciare un modo d’intendere l’esistenza permeata di grandi, liberi e universali valori poetici. Qui, e come in tutta l’opera di Italo Valenti, è pur sempre vivissima una sorta di raffinata e pervasiva ironia, che consente e aiuta ad affrontare quelle asperità dell’esistenza che, invero solo a un cuore disattento, potrebbe sembrare che Valenti abbia aver voluto mettere fra parentesi. Non è così. In Valenti si ode il risuonare, lieve e sottile, di una vita amorevole sebbene arcana, le cui manifestazioni, per unico tramite della nostra sensibilità, ci possono essere note, mentre le sue logiche ancora ci sfuggono. L’arte di Italo Valenti decisamente, benché nel più suadente dei modi, ci mostra che nulla di quanto concerne la vita, nella sua essenza, può prescindere dalla bellezza.
Luino, dicembre 2007
1 In: G. Menato, Italo Valenti 1912 - 1995, catalogo della mostra alla Basilica Palladiana, Salone degli Zavattari, Edisai edizioni, Vicenza, 2001.
2 Per un completa disanima e documentazione dell’opera del Nostro si veda: C. Carena, S. Pult. Italo Valenti, Catalogo ragionato, Archivio Valenti Ascona, Skira editore, Milano, 1998.
3 Per Italo Valenti, plaquette in otto esemplari a cura di G. Lucini e V. Scheiwiller, con una poesia inedita di V. Sereni, e quattro omaggi di colore di E. Della Torre, A. Kalczynska, V. Matino, C. Nangeroni, Milano, 29 aprile 1982.
4 Cfr., J. Ede, A way of life, Cambridge University Press, Cambridge, 1984.
Carlo Carena
Ritrovare Italo Valenti
Ritrovare un artista come Italo Valenti è ogni volta un piacere sopraffino, un’emozione che si ravviva, un’esperienza che sempre arricchisce. Non lo si ritrova mai invano, anche se lo si fosse incontrato cento volte com’era nella vita, poiché si ha a che fare non soltanto con uno dei maggiori pittori italiani del Novecento, ma con uno spirito ricco che ci trasmette discretamente la sua lezione. Al fondo, ma poi non troppo profondo, della sua pittura, stanno una cultura vasta e una vera sensibilità poetica; un riflessione filosofica che risale alla mitologia greca e si espande a scrittori e sapienti dell’Oriente, in cerca del senso delle cose e del mistero dell’universo.
Erano certamente stati d’animo diffusi nella cultura a cui dapprima Italo Valenti appartenne nei suoi bei venti e trent’anni: la Milano anni Trenta e Quaranta che opponeva al fracasso del Futurismo e del regime alcuni cenacoli appartati di poeti e di artisti, anche di filosofi. Lì una ricerca silenziosa che ripercorreva lontani cammini e insieme aderiva alla sensibilità di un’epoca che, in chi più in chi meno, percepiva il suo come un momento fragile e instabile; si poneva alla ricomposizione delle forme nella loro quintessenza, eppure con un fermo riconoscimento della realtà.
Lì e allora si consumava in Valenti un contrasto che lo appartava dai colleghi, pur nel suo caldo bisogno dell’amicizia e nella condivisione aperta del lavoro. Le sue città e i loro arredi, le auto o i treni, sono giocattoli visti con meraviglia e desiderio infantili; gli abitanti vi si aggirano come in un teatrino (spesso anche visivamente rappresentato) e vivono in un balletto surreale, con dense pennellate a olio e netti colori: non con netti contorni bensì sintetizzati in forme geometriche che spiano quello che sarà, in una coerenza tangibile, contrassegno della sua necessità e serietà, il cammino di questo artista di rara unitarietà pur in successioni evolutive che permettono di distinguere e storicizzare i ‘periodi’ della sua pittura.
L’evoluzione fu uno sboccio di forme da forme, una progressiva conquista di assolutezza come bisogno interiore di chi ha scrutato il mondo senza mai mescolarvisi per ciò che vi trovava di assurdo, di rozzo e di vano, selezionando intorno a sé persone, cose, luoghi come selezionava i suoi colleghi del passato cercando quelli più taciti e lineari: egli stesso additava l’Angelico e Giorgione, citava Memling e Vermeer.
La mostra presente ci porta agli esiti finali e trionfali di questo percorso. Il Blu è degli anni di passaggio, quelli di fine Cinquanta, fra i più tormentosi e impressionanti di Valenti: materie turbinanti che fanno esplodere le forme in un colorismo acceso. Poi la suggestione ispirata da due città patria di splendidi pittori e pitture: Amsterdam è del 1967 (l’artista ha 45 anni) e dell’anno dopo è Vicenza, dove Valenti adolescente visse a lungo, rivisitata a distanza di tempo: Amsterdam sembra stendere le sue mura rosse sul canale, mentre la città veneta si ricompone nella sua perfezione palladiana (presto apparirà sull’orizzonte il tema di Mesure).
Ed ecco immediatamente (1968) l’Isola del sole, rappresentante di uno degli altri temi, sognanti e agognati, di Valenti, un grande utopista; poi, con Liuti, del ’72, un mirabile esemplare delle grandi composizioni cromatiche a blu e verde care all’artista, che ne trarrà superbe tele a vaste campiture, come di cielo e terra accostati e sovrapposti, ritti o reclinati. Mentre Paese, del ’69, dà un primo esempio dell’uso dei trapezi, altro modulo elaborato in tutte le dimensioni e combinazioni.
I collages sono rappresentati in questa mostra da un esemplare della piena maturità, Signes, 1984. Intorno ad esso si svilupparono altri ‘paesaggi’ valentiani legati sovente alla Svizzera: Sils, Viamala, o ai viaggi di verifica e di godimento in Grecia o in Olanda, nella più acuta solarità o nei bassi profili dei prati e delle acque; oppure quadri con titoli insistenti attorno agli eroi della mitologia mediterranea o alla lontana Cina: gli ‘antenati’ o ‘archetipi’ come egli li definiva. E poi le Lune, altro vero ‘mito’ di Valenti. Quelle loro masse in bilico su parallelepipedi dànno luogo a variazioni spaziali e cromatiche con tutti gli strumenti della pittura contemporanea, olî e collages appunto, o chine e incisioni spesso colorate con piacevole effetto anche decorativo. L’eleganza è una costante da sottolineare non meno nella varietà di temi pittorici del nostro artista.
Con le lune e i notturni entriamo ancora una volta nel mistero simbolico, nelle sue più suggestive allusioni. Le Maghe, precoci nella pittura di Valenti, ci guardano nelle loro pose e stature ieratiche, sembrano interrogarci sole, malinconiche o accasciate da chissà quale consapevolezza, o in gruppi in cui si combinano di triangoli e piramidi. Mentre i Traghettatori, in neri stiffelius e cilindri come in Renoir o Toulouse-Lautrec, soprattutto nei disegni guidano con lunghi remi le gondole su sconfinate lagune, chissà dove, come altrettanti Caronti nella notte.
Non si smetterebbe mai di contemplare e di fantasticare su queste forme e creazioni poetiche, sulle quali Valenti stesso era reticente quanto invece era espansivo sulle sue letture, sui suoi esperimenti, sulla propria vicenda di pittore in Italia e poi in Svizzera. Là aveva attinto la grande tradizione pittorica toscana e veneta, di linea e di colore; qui aveva incontrato ambienti e colleghi affini per interessi e inclinazioni, artisti come Nicholson e Remo Rossi, scrittori come Andersch e Golo Mann, e la moglie Anne de Montet, che condivise e sostenne con lui tanta storia e ricchezza. Di tutto ciò conviene tener conto per apprezzare davvero l’arte di Italo Valenti; e di queste sue ‘astrazioni’ non solo dalle forme ma dal mondo stesso
29
febbraio 2008
Italo Valenti
Dal 29 febbraio al 12 aprile 2008
arte contemporanea
Location
FOLINI ARTE CONTEMPORANEA
Chiasso, Via Livio, 1, (Mendrisio)
Chiasso, Via Livio, 1, (Mendrisio)
Orario di apertura
da martedì a venerdì 14- 18.30, sabato 10-12 e 14- 18.30 o su appuntamento
Vernissage
29 Febbraio 2008, ore 18
Autore