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Ivano Piva – ap:arente’mente
Nel suo progetto fotografico sulle plastiche Ivano Piva unisce due momenti, uno performativo, dai forti risvolti ambientalisti e uno prettamente artistico, giocando su contrasti e ossimori.
Comunicato stampa
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ORGANICA
Museo di arte ambientale nel Parco del Limbara
Spazio CEDAP | Tempio Pausania (SS)
14.05.2023 | 15.06.2023
Ivano Piva
ap:arente’mente
a cura di Ivo Serafino Fenu
L’apparenza, la bella apparenza, è un’arma di seduzione di massa, una trappola visiva fatale. «Più bella è l'apparenza e peggiore l'inganno» affermava Cleone nel dramma shakespeariano Pericle, Principe di Tiro. E su questo crinale, in bilico tra apparenza e realtà, tra degrado ambientale e potere seduttivo dell’immagine, si muove l’opera inedita ap:arente'mente, che Ivano Piva ha realizzato nello spazio CEDAP per il museo d’arte contemporanea Organica, nella quale il fotografo torinese unisce due momenti, uno performativo, dai forti risvolti ambientalisti e uno prettamente artistico.
Il primo nasce da un’esperienza soggettiva dell’artista che, in parte, giustifica il titolo:
«Apparentemente tutto sembra normale. Apparentemente tutto sembra bello.
Mi siedo sulla spiaggia, lo sguardo incontra un oggetto che non dovrebbe essere qui.
Lo metto in un sacchetto, ne trovo altri, ripeto quel gesto molte volte.
Diversa la forma ma identico il pericolo. Non è più tutto così bello.
Altre persone raccolgono con me, e senza parlare,
li ripongono nel mio contenitore che si popola di frammenti colorati.
Sembrano quasi belli; apparentemente».
Anche l’atto performativo si caratterizza per una doppia valenza: una rituale, ma di una ritualità laica, civile, per un progressivo coinvolgimento partecipativo finalizzato alla sensibilizzazione dei singoli sui disastri provocati dalla dispersione delle plastiche in mare, l’altro, più sistematico, volto alla ricerca e alla catalogazione dei “reperti” di una nuova, seppur recente, archeologia delle plastiche. Ma ogni rito ha una sua liturgia codificata, con un officiante e, via via, nuovi adepti: Ivano Piva, indossando i paramenti dell’artista sciamano è, al contempo, attore protagonista e attivatore di processi emulativi virtuosi da parte di una comunità che si vorrebbe sempre più numerosa.
I dati, del resto, sono impietosi e invocano attenzione e condivisione: «In mare, sulle spiagge, lungo le coste, siamo circondati dalla plastica. In particolare, come emerge dall’indagine Beach Litter 2022 di Legambiente condotta in 62 punti del litorale, risultano 834 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia, di cui l’84% è composto da plastica e il 46% è rappresentato dagli oggetti monouso. Al primo posto della classifica dei rifiuti troviamo la plastica, seguono vetro e ceramica, metallo, carta e cartone. E ancora: sacchetti di plastica, shopper e buste. […] Possiamo quindi parlare di mare-pattumiera: c’è da dire che in questo caso non sono tanto in discussione le attività industriali e la stessa pesca, che pure contribuisce al disastro con la cattiva abitudine di gettare in acqua le cassette di polistirolo, ma quanto i nostri stili di vita, le nostre abitudini quotidiane. Il 54% dei rifiuti, infatti, sono di origine domestica e gli avanzi di plastica arrivano a mare, o sulle spiagge, perché non facciamo in modo corretto una banale raccolta differenziata. Gli inquinatori siamo noi, agenti consapevoli di una sporcizia che paghiamo tre volte: deturpando bellezze naturali dove magari trascorriamo le vacanze, gonfiando i costi necessari per le bonifiche e perfino mangiando a tavola pesci talvolta avvelenati» (www.nonsprecare.it).
Ma, come già sottolineato in apertura, Ivano Piva conferisce al suo atto di testimonianza un’efficace valenza artistica e concettuale che ne rafforza gli intenti documentari e di denuncia. Supportato da una solida preparazione in ambito grafico-pubblicitario prima e dalla fotografia di moda e di still-life poi, attua una selezione dei materiali raccolti nelle spiagge – veri e propri luoghi di un delitto ambientale sempre più macroscopico – dunque bottiglie, tappi, cannucce, matasse di reti da pesca, involucri vari e tutto ciò che è frutto di un consumismo insensato e di un’incuria irresponsabile, per poi passare a un’operazione di ri-composizione degli stessi su una lavagna luminosa al fine di ottenere immagine fotografiche di forte impatto visivo. Da tale processo nascono opere formalmente compiute, ossimoricamente astratte per quanto ottenute da materiali quanto mai concreti e identificabili, spesso con echi vagamente e volutamente riferibili ai primi acquerelli astratti di Kandinsky o alle opere più strutturate di Paul Klee, col paradosso di far precipitare la dimensione spirituale e lirica di questi, in un baratro di decadimento sociale e ambientale ben meno poetico.
La prassi del riutilizzo di materiali sottratti alla più banale dimensione quotidiana per un utilizzo estetico ha origini nobili in ambito artistico già dai primi del Novecento ma, per Ivano Piva, il riferimento è quanto mai preciso e assolutamente dichiarato: l’opera del fotografo statunitense Irving Penn dal quale attinge sia per il suo stile classico e sia nella peculiare presentazione di figura e oggetti in forte contrasto con uno sfondo per lo più bianco. Ma la consonanza più diretta è soprattutto coi cicli Cigarettes e, soprattutto, Street Material presentato al Metropolitan Museum di New York nel 1977, nel quale Penn fotografava gli oggetti di scarto, smarriti o abbandonati nelle strade urbane, trasformandoli in soggetti fotografici e ponendosi, con tale operazione, al crocevia di questioni artistiche e antropologiche insieme, in una sorta di archeologia del quotidiano il cui fine ultimo era quello di conferire loro un nuovo valore estetico.
Il fine del progetto di Ivano Piva è opposto: se Irving Penn celebrava i “tesori dei rifiuti della città” trasformandoli in opere d'arte, Piva, viceversa, esaltandone le qualità formali e orchestrandoli in composizioni seducenti alla vista e intriganti nel gioco delle citazioni, non mira a creare opere d’arte bensì trappole visive, veri e propri attrattori d’attenzione e quelle forme che ci seducono e ci ammaliano per la loro “bella apparenza”, in realtà acquistano il significato sinistro di una sorta di memento mori per una contemporaneità alla deriva, vittima e carnefice di se stessa, inconsapevole «del terribile dubbio delle apparenze, | della finale incertezza, che possiamo venir delusi» (Walt Whitman).
Ivo Serafino Fenu
Ivano Piva nasce a Torino dove studia grafica pubblicitaria ma viene presto assorbito dalla fotografia. Prima assiste fotografi di Moda a Milano, poi di still-life a New York in studi specializzati nella “food photography”. Dal 1985 si occupa prevalentemente di fotografia commerciale, collaborando con aziende e agenzie di pubblicità. Docente in tecniche di ripresa all’Istituto Europeo di Design dal 2003 al 2021, predilige la semplicità nella comunicazione. Attualmente vive a Monteleone Roccadoria, il secondo paese più piccolo della Sardegna, dove ha scelto di trasferirsi e lavorare.
Museo di arte ambientale nel Parco del Limbara
Spazio CEDAP | Tempio Pausania (SS)
14.05.2023 | 15.06.2023
Ivano Piva
ap:arente’mente
a cura di Ivo Serafino Fenu
L’apparenza, la bella apparenza, è un’arma di seduzione di massa, una trappola visiva fatale. «Più bella è l'apparenza e peggiore l'inganno» affermava Cleone nel dramma shakespeariano Pericle, Principe di Tiro. E su questo crinale, in bilico tra apparenza e realtà, tra degrado ambientale e potere seduttivo dell’immagine, si muove l’opera inedita ap:arente'mente, che Ivano Piva ha realizzato nello spazio CEDAP per il museo d’arte contemporanea Organica, nella quale il fotografo torinese unisce due momenti, uno performativo, dai forti risvolti ambientalisti e uno prettamente artistico.
Il primo nasce da un’esperienza soggettiva dell’artista che, in parte, giustifica il titolo:
«Apparentemente tutto sembra normale. Apparentemente tutto sembra bello.
Mi siedo sulla spiaggia, lo sguardo incontra un oggetto che non dovrebbe essere qui.
Lo metto in un sacchetto, ne trovo altri, ripeto quel gesto molte volte.
Diversa la forma ma identico il pericolo. Non è più tutto così bello.
Altre persone raccolgono con me, e senza parlare,
li ripongono nel mio contenitore che si popola di frammenti colorati.
Sembrano quasi belli; apparentemente».
Anche l’atto performativo si caratterizza per una doppia valenza: una rituale, ma di una ritualità laica, civile, per un progressivo coinvolgimento partecipativo finalizzato alla sensibilizzazione dei singoli sui disastri provocati dalla dispersione delle plastiche in mare, l’altro, più sistematico, volto alla ricerca e alla catalogazione dei “reperti” di una nuova, seppur recente, archeologia delle plastiche. Ma ogni rito ha una sua liturgia codificata, con un officiante e, via via, nuovi adepti: Ivano Piva, indossando i paramenti dell’artista sciamano è, al contempo, attore protagonista e attivatore di processi emulativi virtuosi da parte di una comunità che si vorrebbe sempre più numerosa.
I dati, del resto, sono impietosi e invocano attenzione e condivisione: «In mare, sulle spiagge, lungo le coste, siamo circondati dalla plastica. In particolare, come emerge dall’indagine Beach Litter 2022 di Legambiente condotta in 62 punti del litorale, risultano 834 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia, di cui l’84% è composto da plastica e il 46% è rappresentato dagli oggetti monouso. Al primo posto della classifica dei rifiuti troviamo la plastica, seguono vetro e ceramica, metallo, carta e cartone. E ancora: sacchetti di plastica, shopper e buste. […] Possiamo quindi parlare di mare-pattumiera: c’è da dire che in questo caso non sono tanto in discussione le attività industriali e la stessa pesca, che pure contribuisce al disastro con la cattiva abitudine di gettare in acqua le cassette di polistirolo, ma quanto i nostri stili di vita, le nostre abitudini quotidiane. Il 54% dei rifiuti, infatti, sono di origine domestica e gli avanzi di plastica arrivano a mare, o sulle spiagge, perché non facciamo in modo corretto una banale raccolta differenziata. Gli inquinatori siamo noi, agenti consapevoli di una sporcizia che paghiamo tre volte: deturpando bellezze naturali dove magari trascorriamo le vacanze, gonfiando i costi necessari per le bonifiche e perfino mangiando a tavola pesci talvolta avvelenati» (www.nonsprecare.it).
Ma, come già sottolineato in apertura, Ivano Piva conferisce al suo atto di testimonianza un’efficace valenza artistica e concettuale che ne rafforza gli intenti documentari e di denuncia. Supportato da una solida preparazione in ambito grafico-pubblicitario prima e dalla fotografia di moda e di still-life poi, attua una selezione dei materiali raccolti nelle spiagge – veri e propri luoghi di un delitto ambientale sempre più macroscopico – dunque bottiglie, tappi, cannucce, matasse di reti da pesca, involucri vari e tutto ciò che è frutto di un consumismo insensato e di un’incuria irresponsabile, per poi passare a un’operazione di ri-composizione degli stessi su una lavagna luminosa al fine di ottenere immagine fotografiche di forte impatto visivo. Da tale processo nascono opere formalmente compiute, ossimoricamente astratte per quanto ottenute da materiali quanto mai concreti e identificabili, spesso con echi vagamente e volutamente riferibili ai primi acquerelli astratti di Kandinsky o alle opere più strutturate di Paul Klee, col paradosso di far precipitare la dimensione spirituale e lirica di questi, in un baratro di decadimento sociale e ambientale ben meno poetico.
La prassi del riutilizzo di materiali sottratti alla più banale dimensione quotidiana per un utilizzo estetico ha origini nobili in ambito artistico già dai primi del Novecento ma, per Ivano Piva, il riferimento è quanto mai preciso e assolutamente dichiarato: l’opera del fotografo statunitense Irving Penn dal quale attinge sia per il suo stile classico e sia nella peculiare presentazione di figura e oggetti in forte contrasto con uno sfondo per lo più bianco. Ma la consonanza più diretta è soprattutto coi cicli Cigarettes e, soprattutto, Street Material presentato al Metropolitan Museum di New York nel 1977, nel quale Penn fotografava gli oggetti di scarto, smarriti o abbandonati nelle strade urbane, trasformandoli in soggetti fotografici e ponendosi, con tale operazione, al crocevia di questioni artistiche e antropologiche insieme, in una sorta di archeologia del quotidiano il cui fine ultimo era quello di conferire loro un nuovo valore estetico.
Il fine del progetto di Ivano Piva è opposto: se Irving Penn celebrava i “tesori dei rifiuti della città” trasformandoli in opere d'arte, Piva, viceversa, esaltandone le qualità formali e orchestrandoli in composizioni seducenti alla vista e intriganti nel gioco delle citazioni, non mira a creare opere d’arte bensì trappole visive, veri e propri attrattori d’attenzione e quelle forme che ci seducono e ci ammaliano per la loro “bella apparenza”, in realtà acquistano il significato sinistro di una sorta di memento mori per una contemporaneità alla deriva, vittima e carnefice di se stessa, inconsapevole «del terribile dubbio delle apparenze, | della finale incertezza, che possiamo venir delusi» (Walt Whitman).
Ivo Serafino Fenu
Ivano Piva nasce a Torino dove studia grafica pubblicitaria ma viene presto assorbito dalla fotografia. Prima assiste fotografi di Moda a Milano, poi di still-life a New York in studi specializzati nella “food photography”. Dal 1985 si occupa prevalentemente di fotografia commerciale, collaborando con aziende e agenzie di pubblicità. Docente in tecniche di ripresa all’Istituto Europeo di Design dal 2003 al 2021, predilige la semplicità nella comunicazione. Attualmente vive a Monteleone Roccadoria, il secondo paese più piccolo della Sardegna, dove ha scelto di trasferirsi e lavorare.
14
maggio 2023
Ivano Piva – ap:arente’mente
Dal 14 maggio al 15 giugno 2023
fotografia
Location
Museo di arte ambientale Organica
Tempio Pausania, Strada Statale 392 del Lago del Coghinas, (SS)
Tempio Pausania, Strada Statale 392 del Lago del Coghinas, (SS)
Orario di apertura
da martedì a giovedì: dalle 12 alle 17 e da venerdì a domenica: dalle 12 alle 18
chiusura: lunedì
Autore
Curatore
Autore testo critico