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James Rosen – Ros-en-velopes
Per l’occasione la Galleria del Carbone ha voluto rendere omaggio all’artista statunitense che ha vissuto per qualche anno, negli anni ‘80, a Ferrara, Rosen in questa città ha elaborato la sua idea di arte, le sue “visioni”, nate dalla suggestioni della “scuola ferrarese” di Schifanoia.
Comunicato stampa
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ROS-EN-VELOPES
Non poteva esistere un miglior mezzo per la trasmissione dei pensieri e delle idee di James Rosen, scritte o disegnate, delle buste di carta. In molte altre maniere Rosen può essere immaginato vivere in epoche antiche; lo vedo come un pittore sulla strada da Siena a Firenze alla fine del 1300 evitare la peste per poi in qualche modo cadere improvvisamente nella New York del 1958 dove la sua trecentezza si fonde con le diverse preoccupazioni e approcci di un altro momento di transizione della storia dell’arte. Ma le buste postali francobollate cosi come le conosciamo sono un’invenzione del 19 secolo e quindi il suo arrivo (di Rosen) deve seguire la loro apparizione. Il doppio significato envelope/envelop (busta/avvolgere) riflette una dualità; un oggetto cosi come un’azione, proprio come i dipinti di Rosen, che sono oggetti che richiudono, ma anche atti a schiudere i loro contenuti in un processo di scoperta in presenza di un lettore o, con le parole di Rosen, un “osservatore capace”.
Rosen non vuole che i suoi dipinti siano auto espressivi; li intende come eventi visivi, campi, luoghi per la convergenza di esperienze ed idee – suscitando nuove esperienze e pensieri nell’osservatore. (Immaginate un ampio cono di queste idee ed esperienze, restringersi con il raggiungimento del piano d’immagine da dietro, come le luci che colpiscono il vetro di un mirino, che poi si allargano, al di fuori, verso lo spettatore dal suo punto più stretto verso la superfice della tela).
Le buste ed il loro contenuto, tuttavia, offrono una visuale più vicina della personalità di Rosen di quanto facciano i suoi dipinti, e gli consentono di esprimere i suoi pensieri più direttamente possibile, che rimangono, abbastanza spesso, obliqui. Non gli ho mai chiesto, ma penso che direbbe che il processo attraverso il quale i suoi lettori (e spettatori) si fanno strada attraverso i veli del suo linguaggio e della sua pittura è parte critica del capirli, e per quanto quelle parole ed immagini a dapprima possano essere oscure a volte, sono irriducibili e “di prima qualità” per lui.
Rosen dice: “Mi piace l’idea che ogni busta contenga la cura, il giudizio e la destrezza che do a (tutti) i miei lavori…sono state spedite con nessun altro ‘motivo d’interesse’ se non portare quel messaggio ad ogni destinatario.” Questo interesse personale distingue la sua arte trasportata per posta da quella di Ray Johnson, a cui viene accreditato il Mail Art movement sviluppatosi grossomodo parallelamente ai lavori di Rosen verso la metà degli anni ’50 (ma apparentemente senza la consapevolezza degli artisti, sebbene i loro mondi abbiano brevemente condiviso qualche confine a New York). Johnson e altri artisti della corrispondenza utilizzarono fonti popolari in modo idiosincratico, a volte impegnandosi in spedizioni e manipolazioni sequenziali per ogni destinatario, nelle quali il concetto di riciclo ironico funziona e le immagini, e l’azione del compierle attraverso il vettore postale, costituivano gran parte del significato. Le Ros-en-velopes sono caratterizzate dalla loro non consapevole natura, dell’essere indirizzate ad un unico destinatario e del contenere immagini ed idee specificatamente per questi. La tela delle traiettorie tracciata da questi voli singoli non è una considerazione primaria per James Rosen; è un risultato piuttosto che una raison d’etre, sebbene aggiunga completezza a questo lavoro. E mentre Ros-en-velopes sono centripete, Johnson e i suoi coetanei si sono impegnati in una comune, centrifuga estroversa iniziativa con una motivazione di carattere più socio-politicamente interessata rispetto a Rosen.
Ricevere posta da chiunque di questi giorni è certamente degno di nota. Riceverne una da James Rosen è una gradevole occasione; un avvincente o bellissimo oggetto quasi miracolosamente arriva attraverso un sistema di consegna di informazioni morente. Eleva il mondano atto di mandare e ricevere posta “materiale”, qualcosa che è stato sinonimo nella pratica di civilizzazione per secoli, ma che sta scomparendo nel processo della collettiva virtualizzazione. Le lettere sono piene di notizie e potenti idee. A volte contengono disegni, esortazioni, poemi, frammenti di pensieri aforistici letti come poesia. Le immagini sono, sia dentro che fuori, spesso deliziose o umoristiche e, a volte, sorprendentemente realizzate. Ma ricevere una delle sue lettere può anche evocare trepidazione. Le idee trasmesse dalla sua distinta e deliberata mano sono, come quella calligrafia, bellissime di per sé, ma spesso difficili da decifrare. I contesti possono a volte essere involuti, ma anche quasi urgenti nella loro acutezza, veemenza o affezione. Queste missive sono ricordi generosi del fatto che un dono porta peso e responsabilità. Se non altro, il destinatario di una lettera di James Rosen realizza in fretta che lui o lei avranno difficolta nel rispondere con la stessa eloquenza di visuale (il che non ferma alcuni di noi dal compiere occasionali tentativi).
Sono riuscito ad ottenere la mia prima Ros-en-velope da un amico comune poco dopo essere stato introdotto a James Rosen. Altre, speditemi direttamente, sono presto susseguite. Le buste sono lavori rimarcabili di per sé, senza considerare ciò che contengono, con francobolli attentamente posati e i loro timbri (non tutti attuali ma a volte tirati fuori da negozi di design del passato) o disegni – sia giocosi che seri – insieme ad onorificenze, divertenti pezzi strappati da pubblicità, o anche grossi oggetti incollati. Occasionalmente le buste sono riutilizzate; in un altro processo di involuzione sono completamente aperte e ripiegate ed incollate al contrario. E tutte sono arrivate a destinazione, anche con indirizzi lievemente inclinati o codici postali sbagliati, spessi oggetti poco aderenti e complicate chiusure ad hoc (di questo abbiamo scherzato insieme). A volte sono tornato ad aprire qualche di queste buste e ho trovato un particolare trascurato aderente o nascosto al suo interno. Con le buste James Rosen coglie l’opportunità di indulgere un suo interesse al loro interno, assieme a disegni e arrangiamenti di forme, gli elementi della scrittura e del design; la forma delle lettere, il copione, i caratteri tipografici, i giochi di parole e le arguzie verbali, sia per il piacere ottico che per la personificazione di un significato. Le buste non sono semplici oggetti e in questa misura riflettono perfettamente il mittente.
Ad un certo punto ho scoperto che Rosen aveva creato delle relazioni con i lavoratori alle poste, e li affascinava o costringeva a timbrare i francobolli a seconda dei suoi “suggerimenti”. Ne sono stato testimone a Trepassey (Newfoundland) dove il viaggio all’ufficio postale era un importante evento quasi quotidiano. Le donne li lo adulavano e lui ha ottenuto gli onnipresenti cerchi dove lo soddisfacevano. Quindi, molte delle buste sono effettivamente lavori collaborativi di design, nonché di irregolarità. Molte cose accadono alle lettere. Altri codici ed etichette vengono attaccate, oggetti vengono parzialmente strappati e ripiegati, lettere vengono mal indirizzate e recuperate; i travagli di qualcosa gestito attraverso selezionatrici ad alta velocità, mischiato con la posta di politici e discount, ficcate in borse, lanciate su areoplani e camion, e consegnate sotto la pioggia o la neve. Una busta da James Rosen è un’esperienza; e nel momento in cui ti raggiunge ne ha generalmente ne passata una. Inizialmente ti senti come se fossi l’Unico che possa aver ricevuto qualcosa di così singolare come una lettera da James Rosen. Poi ne ricevi un’altra e un’altra ancora e realizzi che letteralmente uniche come sono, ce ne sono molte altre che attraversano il globo in ogni momento. L’esperienza di riceverle anziché perdere di valore, ne guadagna e ti porta a fermarti e considerare che questa enorme produzione esista dietro le fatiche del suo studio. Sebbene non intenzionalmente create per esserlo, queste corrispondenze - di un vasto, continuo convulso lavoro di arte materialmente fluttuante nello spazio e attraverso il tempo – sono un lavoro diacronico come direbbe Rosen. Assomiglia alla musica di due compositori che interessano a Rosen; Morton Feldman e John Cage in una fusione dei loro approcci, dove il tempo è elastico e fatti interessanti occorrono tra gli intervalli di eventi intenzionali. Il tempo che impiega una lettera a transitare da James Rosen a uno di noi sembra permetterne una “transizione”, una naturale gestazione; per capire ogni lavoro di Rosen, che sia un dipinto o una busta, (o quest’uomo di per se), richiede tempo e impegno proporzionale alle idee e al processo dietro di loro.
Le Ros-en-velopes che abbiamo selezionato da presentare a questa mostra, dalle migliaia esistenti, erano dapprima limitate a quelle spedite a me, a Gianni Cestari, a Gianfranco Goberti, a Claudia Gross e a Leigh Ann Hallberg; un gruppo di artisti le cui traiettorie si sono incrociate a Ferrara, in Italia, con James Rosen da nesso. Leigh Ann Hallberg ed io abbiamo esposto alcune delle “Missive ed allegati” di Rosen nel nostro studio all’inizio del 2011; recentemente abbiamo realizzato che Gianfranco stava considerando di fare lo stesso, nel suo studio di Ferrara, da almeno due anni. (Come mi ha ricordato Claudia, è probabile che ciascuno di noi avesse accarezzato l’idea di esibire le buste). Inizialmente avevamo pianificato di scegliere 25 buste a testa, che sarebbero poi state arrangiate di curatori ad ogni evento. Ma il progetto si è poi espanso coinvolgendo altre buste da un numero assai più ampio di persone. Sebbene sia importante capire che nessuna di queste “Missive ed Allegati” era creata per nessun altro che il destinatario, e certamente senza l’intenzione di esibirle pubblicamente in gruppo, a volte ho sentito come se Rosen avesse un tacito piano che avrebbe rivelato solo attraverso occasionali indiretti suggerimenti con l’obbiettivo finale di unire tutte le persone importanti per lui, per quanto brevemente, in un luogo. Questa convergenza delle Ros-en-vellopes raggiunge questo scopo solo parzialmente e metaforicamente. Ma ci inserisce tra i fortunati destinatari, rivelati attraverso questi segmenti ambulanti del pensiero di Jim, le sue vedute, le sue opere, anche oltre le nostre relazioni personali e associazioni con lui. Si spera che queste relazioni – di persone, immagini parole ed idee – allo stesso modo intrighino piacevolmente lo spettatore.
“...I'd like to think the form-components become the envelope - as being inseparable from the envelope. I... do not see the forms as an enhancement of the surface; rather, as having become the surface.”
“…Mi piace pensare che i componenti diventino la busta – come ad essere inseparabili dalla busta. Io…non vedo le forme come un miglioramento della superfice; piuttosto, come divenute la superfice.”
James Rosen
Paul Bright
Director, Hanes Gallery
2013
Traduzione di Marcello Sita
Non poteva esistere un miglior mezzo per la trasmissione dei pensieri e delle idee di James Rosen, scritte o disegnate, delle buste di carta. In molte altre maniere Rosen può essere immaginato vivere in epoche antiche; lo vedo come un pittore sulla strada da Siena a Firenze alla fine del 1300 evitare la peste per poi in qualche modo cadere improvvisamente nella New York del 1958 dove la sua trecentezza si fonde con le diverse preoccupazioni e approcci di un altro momento di transizione della storia dell’arte. Ma le buste postali francobollate cosi come le conosciamo sono un’invenzione del 19 secolo e quindi il suo arrivo (di Rosen) deve seguire la loro apparizione. Il doppio significato envelope/envelop (busta/avvolgere) riflette una dualità; un oggetto cosi come un’azione, proprio come i dipinti di Rosen, che sono oggetti che richiudono, ma anche atti a schiudere i loro contenuti in un processo di scoperta in presenza di un lettore o, con le parole di Rosen, un “osservatore capace”.
Rosen non vuole che i suoi dipinti siano auto espressivi; li intende come eventi visivi, campi, luoghi per la convergenza di esperienze ed idee – suscitando nuove esperienze e pensieri nell’osservatore. (Immaginate un ampio cono di queste idee ed esperienze, restringersi con il raggiungimento del piano d’immagine da dietro, come le luci che colpiscono il vetro di un mirino, che poi si allargano, al di fuori, verso lo spettatore dal suo punto più stretto verso la superfice della tela).
Le buste ed il loro contenuto, tuttavia, offrono una visuale più vicina della personalità di Rosen di quanto facciano i suoi dipinti, e gli consentono di esprimere i suoi pensieri più direttamente possibile, che rimangono, abbastanza spesso, obliqui. Non gli ho mai chiesto, ma penso che direbbe che il processo attraverso il quale i suoi lettori (e spettatori) si fanno strada attraverso i veli del suo linguaggio e della sua pittura è parte critica del capirli, e per quanto quelle parole ed immagini a dapprima possano essere oscure a volte, sono irriducibili e “di prima qualità” per lui.
Rosen dice: “Mi piace l’idea che ogni busta contenga la cura, il giudizio e la destrezza che do a (tutti) i miei lavori…sono state spedite con nessun altro ‘motivo d’interesse’ se non portare quel messaggio ad ogni destinatario.” Questo interesse personale distingue la sua arte trasportata per posta da quella di Ray Johnson, a cui viene accreditato il Mail Art movement sviluppatosi grossomodo parallelamente ai lavori di Rosen verso la metà degli anni ’50 (ma apparentemente senza la consapevolezza degli artisti, sebbene i loro mondi abbiano brevemente condiviso qualche confine a New York). Johnson e altri artisti della corrispondenza utilizzarono fonti popolari in modo idiosincratico, a volte impegnandosi in spedizioni e manipolazioni sequenziali per ogni destinatario, nelle quali il concetto di riciclo ironico funziona e le immagini, e l’azione del compierle attraverso il vettore postale, costituivano gran parte del significato. Le Ros-en-velopes sono caratterizzate dalla loro non consapevole natura, dell’essere indirizzate ad un unico destinatario e del contenere immagini ed idee specificatamente per questi. La tela delle traiettorie tracciata da questi voli singoli non è una considerazione primaria per James Rosen; è un risultato piuttosto che una raison d’etre, sebbene aggiunga completezza a questo lavoro. E mentre Ros-en-velopes sono centripete, Johnson e i suoi coetanei si sono impegnati in una comune, centrifuga estroversa iniziativa con una motivazione di carattere più socio-politicamente interessata rispetto a Rosen.
Ricevere posta da chiunque di questi giorni è certamente degno di nota. Riceverne una da James Rosen è una gradevole occasione; un avvincente o bellissimo oggetto quasi miracolosamente arriva attraverso un sistema di consegna di informazioni morente. Eleva il mondano atto di mandare e ricevere posta “materiale”, qualcosa che è stato sinonimo nella pratica di civilizzazione per secoli, ma che sta scomparendo nel processo della collettiva virtualizzazione. Le lettere sono piene di notizie e potenti idee. A volte contengono disegni, esortazioni, poemi, frammenti di pensieri aforistici letti come poesia. Le immagini sono, sia dentro che fuori, spesso deliziose o umoristiche e, a volte, sorprendentemente realizzate. Ma ricevere una delle sue lettere può anche evocare trepidazione. Le idee trasmesse dalla sua distinta e deliberata mano sono, come quella calligrafia, bellissime di per sé, ma spesso difficili da decifrare. I contesti possono a volte essere involuti, ma anche quasi urgenti nella loro acutezza, veemenza o affezione. Queste missive sono ricordi generosi del fatto che un dono porta peso e responsabilità. Se non altro, il destinatario di una lettera di James Rosen realizza in fretta che lui o lei avranno difficolta nel rispondere con la stessa eloquenza di visuale (il che non ferma alcuni di noi dal compiere occasionali tentativi).
Sono riuscito ad ottenere la mia prima Ros-en-velope da un amico comune poco dopo essere stato introdotto a James Rosen. Altre, speditemi direttamente, sono presto susseguite. Le buste sono lavori rimarcabili di per sé, senza considerare ciò che contengono, con francobolli attentamente posati e i loro timbri (non tutti attuali ma a volte tirati fuori da negozi di design del passato) o disegni – sia giocosi che seri – insieme ad onorificenze, divertenti pezzi strappati da pubblicità, o anche grossi oggetti incollati. Occasionalmente le buste sono riutilizzate; in un altro processo di involuzione sono completamente aperte e ripiegate ed incollate al contrario. E tutte sono arrivate a destinazione, anche con indirizzi lievemente inclinati o codici postali sbagliati, spessi oggetti poco aderenti e complicate chiusure ad hoc (di questo abbiamo scherzato insieme). A volte sono tornato ad aprire qualche di queste buste e ho trovato un particolare trascurato aderente o nascosto al suo interno. Con le buste James Rosen coglie l’opportunità di indulgere un suo interesse al loro interno, assieme a disegni e arrangiamenti di forme, gli elementi della scrittura e del design; la forma delle lettere, il copione, i caratteri tipografici, i giochi di parole e le arguzie verbali, sia per il piacere ottico che per la personificazione di un significato. Le buste non sono semplici oggetti e in questa misura riflettono perfettamente il mittente.
Ad un certo punto ho scoperto che Rosen aveva creato delle relazioni con i lavoratori alle poste, e li affascinava o costringeva a timbrare i francobolli a seconda dei suoi “suggerimenti”. Ne sono stato testimone a Trepassey (Newfoundland) dove il viaggio all’ufficio postale era un importante evento quasi quotidiano. Le donne li lo adulavano e lui ha ottenuto gli onnipresenti cerchi dove lo soddisfacevano. Quindi, molte delle buste sono effettivamente lavori collaborativi di design, nonché di irregolarità. Molte cose accadono alle lettere. Altri codici ed etichette vengono attaccate, oggetti vengono parzialmente strappati e ripiegati, lettere vengono mal indirizzate e recuperate; i travagli di qualcosa gestito attraverso selezionatrici ad alta velocità, mischiato con la posta di politici e discount, ficcate in borse, lanciate su areoplani e camion, e consegnate sotto la pioggia o la neve. Una busta da James Rosen è un’esperienza; e nel momento in cui ti raggiunge ne ha generalmente ne passata una. Inizialmente ti senti come se fossi l’Unico che possa aver ricevuto qualcosa di così singolare come una lettera da James Rosen. Poi ne ricevi un’altra e un’altra ancora e realizzi che letteralmente uniche come sono, ce ne sono molte altre che attraversano il globo in ogni momento. L’esperienza di riceverle anziché perdere di valore, ne guadagna e ti porta a fermarti e considerare che questa enorme produzione esista dietro le fatiche del suo studio. Sebbene non intenzionalmente create per esserlo, queste corrispondenze - di un vasto, continuo convulso lavoro di arte materialmente fluttuante nello spazio e attraverso il tempo – sono un lavoro diacronico come direbbe Rosen. Assomiglia alla musica di due compositori che interessano a Rosen; Morton Feldman e John Cage in una fusione dei loro approcci, dove il tempo è elastico e fatti interessanti occorrono tra gli intervalli di eventi intenzionali. Il tempo che impiega una lettera a transitare da James Rosen a uno di noi sembra permetterne una “transizione”, una naturale gestazione; per capire ogni lavoro di Rosen, che sia un dipinto o una busta, (o quest’uomo di per se), richiede tempo e impegno proporzionale alle idee e al processo dietro di loro.
Le Ros-en-velopes che abbiamo selezionato da presentare a questa mostra, dalle migliaia esistenti, erano dapprima limitate a quelle spedite a me, a Gianni Cestari, a Gianfranco Goberti, a Claudia Gross e a Leigh Ann Hallberg; un gruppo di artisti le cui traiettorie si sono incrociate a Ferrara, in Italia, con James Rosen da nesso. Leigh Ann Hallberg ed io abbiamo esposto alcune delle “Missive ed allegati” di Rosen nel nostro studio all’inizio del 2011; recentemente abbiamo realizzato che Gianfranco stava considerando di fare lo stesso, nel suo studio di Ferrara, da almeno due anni. (Come mi ha ricordato Claudia, è probabile che ciascuno di noi avesse accarezzato l’idea di esibire le buste). Inizialmente avevamo pianificato di scegliere 25 buste a testa, che sarebbero poi state arrangiate di curatori ad ogni evento. Ma il progetto si è poi espanso coinvolgendo altre buste da un numero assai più ampio di persone. Sebbene sia importante capire che nessuna di queste “Missive ed Allegati” era creata per nessun altro che il destinatario, e certamente senza l’intenzione di esibirle pubblicamente in gruppo, a volte ho sentito come se Rosen avesse un tacito piano che avrebbe rivelato solo attraverso occasionali indiretti suggerimenti con l’obbiettivo finale di unire tutte le persone importanti per lui, per quanto brevemente, in un luogo. Questa convergenza delle Ros-en-vellopes raggiunge questo scopo solo parzialmente e metaforicamente. Ma ci inserisce tra i fortunati destinatari, rivelati attraverso questi segmenti ambulanti del pensiero di Jim, le sue vedute, le sue opere, anche oltre le nostre relazioni personali e associazioni con lui. Si spera che queste relazioni – di persone, immagini parole ed idee – allo stesso modo intrighino piacevolmente lo spettatore.
“...I'd like to think the form-components become the envelope - as being inseparable from the envelope. I... do not see the forms as an enhancement of the surface; rather, as having become the surface.”
“…Mi piace pensare che i componenti diventino la busta – come ad essere inseparabili dalla busta. Io…non vedo le forme come un miglioramento della superfice; piuttosto, come divenute la superfice.”
James Rosen
Paul Bright
Director, Hanes Gallery
2013
Traduzione di Marcello Sita
18
giugno 2015
James Rosen – Ros-en-velopes
Dal 18 giugno al 05 luglio 2015
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato 17-19
Vernissage
18 Giugno 2015, ore 18.00
Autore
Curatore