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James Yamada / Blind Mirror
Con “Unless I dream of one tonight”, quarta personale nella Galleria Raucci/Santamaria, l’artista prosegue la sua ricerca muovendosi in bilico tra il sogno e le paure che alimentano la realtà.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Gallery A: “Unless I dream of one tonight” - James Yamada
Inaugurazione venerdi 19 marzo – dalle 19 alle 21,30
Dal 19 marzo al 30 aprile 2010
Le contraddizioni del rapporto tra natura e progresso tecnologico nello sviluppo del sistema capitalistico globale sono strettamente correlate alla ricerca del lavoro di James Yamada (North Carolina, 1967 – vive a lavora a New York).
Utilizzando un linguaggio che evolve di pari passo con la tecnologia l’artista riflette sulle continue modificazioni culturali, sociali ed ambientali, evidenziando il declino morale e biologico di una società frenetica e consumistica. Paesaggi naturali ed artificiali sono spesso ibridati dall’artista che evidenzia ironicamente un confine sempre più labile ed indistinguibile. Misurandosi con diversi media (fotografia, pittura, scultura, video) Yamada smaschera l’impossibilità di imbrigliare il linguaggio in un codice univoco ma anche la volontà di lasciare allo spettatore una libera e del tutto autonoma possibilità di scelta e di interpretazione.
Con “Unless I dream of one tonight”, quarta personale nella Galleria Raucci/Santamaria, l’artista prosegue la sua ricerca muovendosi in bilico tra il sogno e le paure che alimentano la realtà.
Una serie di nuove pitture a smalto su alluminio raccontano infatti dell’ascesa della Cina, vista come una minaccia psicologica ed economica, per il predominio sulla cultura americana e occidentale. Tali dipinti sono concepiti come cartelloni pubblicitari che simbolicamente richiamano ai capisaldi del mercato globale, presentando due scritte in mandarino i cui idiogrammi recitano "Casa in vendita" e "Spazio disponibile". Accanto ad essi una serie di immagini digitali su un tessuto tipico del Nord Carolina sottolineano la paura di una società sempre più dipendente dai paesi asiatici che hanno fatto della manodopera a basso costo il proprio vessillo vincente. Una paranoia che diventa riflessione sull’importanza di un linguaggio simbolico codificato che rappresenta anche uno scontro tra culture, in bilico tra identità nazionalistiche ed economia di consumo.
Una paura che trova rifugio nel sogno, formalizzato in una scultura alta due metri, un arcaico monolite di plexiglass scuro al cui interno una luce è illusoriamente moltiplicata all’infinito. Alla sua estremità un proiettore trasmette in loop una serie di diapositive di ombre cinesi di animali. Le immagini variano da riconoscibili ad astratte imitando non solo il mondo dell’infanzia ma anche un’epoca passata, quando l’intrattenimento era più semplice, nel desiderio di un’esperienza meno mediata che può ancora suscitare meraviglia.
La stessa ispirazione è presente anche nella scultura composta da un calco di un polistirolo, come una torcia affondata in parte nella neve. Immagine onirica come lo scaldarsi accanto ad una flebile quanto ingannevole fiamma.
Yamada prova ancora una volta ad indurre il fruitore ad un’estesa riflessione, mediata da immagini evocative: al pensare in termini critici alle conseguenze delle costanti modifiche ambientali ed economiche, alla repentina ed irrefrenabile degenerazione della natura umana.
Gallery B: “Blind Mirror”
Danilo Correale - Liz Deschenes - Karl Haendel - Benoit Maire - R.H. Quaytman
Eileen Quinlan - David Robbins - Cheyney Thompson - Johan Thurfjell
Inaugurazione venerdi 19 marzo – dalle 19 alle 21,30
Dal 19 marzo al 30 aprile 2010
Le immagini riflesse non sempre sono oggettive. Nella comprensione di ciò che ci restituisce il riflesso della nostra immagine, in senso esteso, intervengono diversi fattori, soprattutto psicologici, che adattano l’immagine all’accettazione o al rifiuto. Tradizionalmente si è portati a pensare che nella fotografia, in virtù delle sue caratteristiche documentative di trascrizione del reale, risieda essenzialmente il carattere dell’oggettività. Paradossalmente però in questo mezzo squisitamente tecnico di registrazione del reale, intervengono caratteristiche personali, limitazioni ottiche e spaziali ed anche quelle sperimentali della tecnica fotografica che sovvertono l’asserzione della sua indiscutibile oggettività. Anche la tecnica usata per la produzione dell’immagine fotografica può essere connessa al materiale usato o ad altri gradienti formali tali da riconsiderarla, alla stregua della pittura o del disegno, come un mezzo di reinvenzione del reale. La trama del supporto, la qualità dei composti chimici, il tempo legato all’esposizione, ed infine le nuove tecniche di riproduzione suggeriscono riflessioni sempre diverse.
Il concetto di riproducibilità dell’opera, legato anche ad una massiccia diffusione dell’immagine e quindi della sua commercializzazione, è oggetto di nuove analisi fino ad arrivare allo studio degli infinitesimali punti che la compongono. Il carattere mitologico della riproduzione di un’immagine, nell’accezione della “gorgonizzazione” del reale, non solo assume nuove caratteristiche formali, che ibridano la pittura con la foto, ma può anche portare a ripensamenti di caratteristiche filosofiche e concettuali della rappresentazione. Ciò può far supporre che il reale non basti più e che la sua reinterpretazione possa determinare un nuovo sentimento, sia poetico che analitico. Ciò può indurre a riflettere sulla reale considerazione del contenuto dell’immagine, alienando da essa i preconcetti seduttivi della sua sistematica assimilazione e duplicazione della passiva accettazione.
E’ ovvio che parlando di arte si debba considerare la capacità e la ravvivata volontà da parte dell’artista di riformalizzare, con nuove tecniche, sperimentazioni e nuovi studi, ciò che è implicito nei messaggi sublimali dei codici delle immagini sino all’astrazione dei contenuti dell’oggetto preso in considerazione. Non sempre la strada da intraprendere è facile. Ed è tortuosa la via di chi si propone di guardare al di là del retro dello specchio.
“Blind Mirror” – Artisti in mostra
DANILO CORREALE (Napoli, 1982 – vive e lavora tra Napoli e Berlino)
Le immagini collassate di Danilo Correale nascono dalla ricostruzione e dall’approfondimento della Storia non ufficiale e secondaria. Attraverso un lavoro di decompressione l’artista demistifica la complessa relazione tra iconografia e la decodificazione di un immagine. In particolare Correale analizza le caratteristiche tecniche della fotografia ed il modo in cui il fruitore la percepisce, assemblando per la mostra una serie di immagini, apparentemente astratte, tratte da alcune delle più celebri ed ormai iconiche fotografie della storia del mondo.
LIZ DESCHENES (Boston, 1967 - vive e lavora a New York)
Il lavoro di Liz Deschenes è basato sulla percezione, la sua fotografia è del tutto priva di ogni caratterizzazione rappresentativa, perchè più che la riproducibilità dell'immagine l'artista evidenzia il valore del mezzo fotografico stesso. Tutti gli scatti sono simultaneamente raffigurazione e astrattismo, illusioni ottiche o specchianti monocromi costruiti attraverso molteplici fasi di trasposizioni e manipolazioni.
KARL HAENDEL (New York, 1976 - vive e lavora a Los Angeles)
La realtà di Karl Haendel è filtrata dal suo disegno, la matita è infatti per l’artista come un traduttore di oggettività da cristallizzare, decodificare e focalizzare. Gli otto disegni in mostra, lavoro unico, sono tratti dalle fotografie di tutti gli orologi presenti nella casa dell’artista: non una pedissequa copia della realtà ma una riflessione su come il tempo sia simile ad uno specchio, come una schiavitù con cui è sempre necessario relazionarsi, indicatori delle ore (e dell’età) che passano.
BENOÎT MAIRE (Pessac, 1978 - vive e lavora a Parigi)
Laureato in arte e Filosofia, Maire combina le due discipline con la teoria estetica e la letteratura approdando ad un’arte concettuale dalle forme spesso minimali, senza tuttavia tralasciare l’aspetto narrativo dell’opera. Così in “Testa di Medusa”, la gorgone, formalizzata come una stilizzata testa di bronzo e come una pittura semi-astratta, è condannata a fissare se stessa, fermando lo sguardo in una pietrificata sospensione a-temporale.
R. H. QUAYTMAN (Boston, 1961 - vive e lavora a New York)
Selezionata per la prossima Biennale del Whitney, R. H. Quaytman basa il suo lavoro sull’archiviazione e l’integrazione della pittura con astrazioni ottiche, fotografie serigrafate ed elementi di trompe l'oeil. Attraverso l’uso di queste tecniche, lo studio dei materiali e dei processi di produzione l’artista invita a guardare a storie perdute in qualche modo connesse al contemporaneo, esplorando sempre nuove situazioni in cui la pittura può essere vista e compresa.
EILEEN QUINLAN (Boston, 1972 - vive e lavora a New York)
Eileen Quinlan indaga la falsa valenza dell’immagine fotografica che, secondo la sua poetica, non è una finestra sul mondo, ma piuttosto uno specchio. Le sue fotografie analogiche nascono infatti da un lento processo di interazione tra specchi, luci colorate e fumo; un’astrazione che va oltre un’accattivante bellezza formale, in un gioco di moltiplicazione e frammentazione di un’immagine specchiante che non riflette nulla.
DAVID ROBBINS (Whitefish Bay, 1957 - vive e lavora a Milwaukee)
Protagonista della scena neo-concettuale americana della seconda metà degli anni ’80, David Robbins esplora attraverso il video, la scultura e la fotografia le relazioni astratte tra identità e luogo, smascherando ironicamente le dinamiche del teatro nel fenomeno della spettacolarizzazione dell’arte contemporanea.
CHEYNEY THOMPSON (Baton Rouge, 1975 - vive e lavora a New York)
Il nucleo della ricerca dell’artista americano Cheyney Thompson è la storia, la pratica, la circolazione e la fruizione della pittura. Attraverso una serie di processi compositivi l’artista rende enigmatica la distinzione tra astrazione, realismo e fenomeni di percezione. I dipinti della sua ultima produzione compongono un immaginario puzzle visivo, apparentemente astratto, basato sui colori complementari e su dati numerici e statistici; pitture legate alle riproducibilità delle immagini, ma distorte quanto basta da essere rese uniche.
JOHAN THURFJELL (Solna, 1970 - vive e lavora a Stoccolma)
Le opere dello svedese Thurfjell sono spesso caratterizzate dall’interazione tra forma visiva e sottotesto narrativo. Attraverso dipinti e sculture l’artista ricostruisce storie di sogni, il senso di perdita e di nostalgia. Il lavoro in mostra presenta quattro acquarelli sbiaditi (caffè su carta) racchiusi in vecchie cornici. I dipinti, semplici astrazioni monocromatiche, alludono alla rimozione di vecchi ritratti fotografici: le tracce lasciate delle fotografie mancanti invocano l’assenza e la sparizione di un soggetto passato.
Inaugurazione venerdi 19 marzo – dalle 19 alle 21,30
Dal 19 marzo al 30 aprile 2010
Le contraddizioni del rapporto tra natura e progresso tecnologico nello sviluppo del sistema capitalistico globale sono strettamente correlate alla ricerca del lavoro di James Yamada (North Carolina, 1967 – vive a lavora a New York).
Utilizzando un linguaggio che evolve di pari passo con la tecnologia l’artista riflette sulle continue modificazioni culturali, sociali ed ambientali, evidenziando il declino morale e biologico di una società frenetica e consumistica. Paesaggi naturali ed artificiali sono spesso ibridati dall’artista che evidenzia ironicamente un confine sempre più labile ed indistinguibile. Misurandosi con diversi media (fotografia, pittura, scultura, video) Yamada smaschera l’impossibilità di imbrigliare il linguaggio in un codice univoco ma anche la volontà di lasciare allo spettatore una libera e del tutto autonoma possibilità di scelta e di interpretazione.
Con “Unless I dream of one tonight”, quarta personale nella Galleria Raucci/Santamaria, l’artista prosegue la sua ricerca muovendosi in bilico tra il sogno e le paure che alimentano la realtà.
Una serie di nuove pitture a smalto su alluminio raccontano infatti dell’ascesa della Cina, vista come una minaccia psicologica ed economica, per il predominio sulla cultura americana e occidentale. Tali dipinti sono concepiti come cartelloni pubblicitari che simbolicamente richiamano ai capisaldi del mercato globale, presentando due scritte in mandarino i cui idiogrammi recitano "Casa in vendita" e "Spazio disponibile". Accanto ad essi una serie di immagini digitali su un tessuto tipico del Nord Carolina sottolineano la paura di una società sempre più dipendente dai paesi asiatici che hanno fatto della manodopera a basso costo il proprio vessillo vincente. Una paranoia che diventa riflessione sull’importanza di un linguaggio simbolico codificato che rappresenta anche uno scontro tra culture, in bilico tra identità nazionalistiche ed economia di consumo.
Una paura che trova rifugio nel sogno, formalizzato in una scultura alta due metri, un arcaico monolite di plexiglass scuro al cui interno una luce è illusoriamente moltiplicata all’infinito. Alla sua estremità un proiettore trasmette in loop una serie di diapositive di ombre cinesi di animali. Le immagini variano da riconoscibili ad astratte imitando non solo il mondo dell’infanzia ma anche un’epoca passata, quando l’intrattenimento era più semplice, nel desiderio di un’esperienza meno mediata che può ancora suscitare meraviglia.
La stessa ispirazione è presente anche nella scultura composta da un calco di un polistirolo, come una torcia affondata in parte nella neve. Immagine onirica come lo scaldarsi accanto ad una flebile quanto ingannevole fiamma.
Yamada prova ancora una volta ad indurre il fruitore ad un’estesa riflessione, mediata da immagini evocative: al pensare in termini critici alle conseguenze delle costanti modifiche ambientali ed economiche, alla repentina ed irrefrenabile degenerazione della natura umana.
Gallery B: “Blind Mirror”
Danilo Correale - Liz Deschenes - Karl Haendel - Benoit Maire - R.H. Quaytman
Eileen Quinlan - David Robbins - Cheyney Thompson - Johan Thurfjell
Inaugurazione venerdi 19 marzo – dalle 19 alle 21,30
Dal 19 marzo al 30 aprile 2010
Le immagini riflesse non sempre sono oggettive. Nella comprensione di ciò che ci restituisce il riflesso della nostra immagine, in senso esteso, intervengono diversi fattori, soprattutto psicologici, che adattano l’immagine all’accettazione o al rifiuto. Tradizionalmente si è portati a pensare che nella fotografia, in virtù delle sue caratteristiche documentative di trascrizione del reale, risieda essenzialmente il carattere dell’oggettività. Paradossalmente però in questo mezzo squisitamente tecnico di registrazione del reale, intervengono caratteristiche personali, limitazioni ottiche e spaziali ed anche quelle sperimentali della tecnica fotografica che sovvertono l’asserzione della sua indiscutibile oggettività. Anche la tecnica usata per la produzione dell’immagine fotografica può essere connessa al materiale usato o ad altri gradienti formali tali da riconsiderarla, alla stregua della pittura o del disegno, come un mezzo di reinvenzione del reale. La trama del supporto, la qualità dei composti chimici, il tempo legato all’esposizione, ed infine le nuove tecniche di riproduzione suggeriscono riflessioni sempre diverse.
Il concetto di riproducibilità dell’opera, legato anche ad una massiccia diffusione dell’immagine e quindi della sua commercializzazione, è oggetto di nuove analisi fino ad arrivare allo studio degli infinitesimali punti che la compongono. Il carattere mitologico della riproduzione di un’immagine, nell’accezione della “gorgonizzazione” del reale, non solo assume nuove caratteristiche formali, che ibridano la pittura con la foto, ma può anche portare a ripensamenti di caratteristiche filosofiche e concettuali della rappresentazione. Ciò può far supporre che il reale non basti più e che la sua reinterpretazione possa determinare un nuovo sentimento, sia poetico che analitico. Ciò può indurre a riflettere sulla reale considerazione del contenuto dell’immagine, alienando da essa i preconcetti seduttivi della sua sistematica assimilazione e duplicazione della passiva accettazione.
E’ ovvio che parlando di arte si debba considerare la capacità e la ravvivata volontà da parte dell’artista di riformalizzare, con nuove tecniche, sperimentazioni e nuovi studi, ciò che è implicito nei messaggi sublimali dei codici delle immagini sino all’astrazione dei contenuti dell’oggetto preso in considerazione. Non sempre la strada da intraprendere è facile. Ed è tortuosa la via di chi si propone di guardare al di là del retro dello specchio.
“Blind Mirror” – Artisti in mostra
DANILO CORREALE (Napoli, 1982 – vive e lavora tra Napoli e Berlino)
Le immagini collassate di Danilo Correale nascono dalla ricostruzione e dall’approfondimento della Storia non ufficiale e secondaria. Attraverso un lavoro di decompressione l’artista demistifica la complessa relazione tra iconografia e la decodificazione di un immagine. In particolare Correale analizza le caratteristiche tecniche della fotografia ed il modo in cui il fruitore la percepisce, assemblando per la mostra una serie di immagini, apparentemente astratte, tratte da alcune delle più celebri ed ormai iconiche fotografie della storia del mondo.
LIZ DESCHENES (Boston, 1967 - vive e lavora a New York)
Il lavoro di Liz Deschenes è basato sulla percezione, la sua fotografia è del tutto priva di ogni caratterizzazione rappresentativa, perchè più che la riproducibilità dell'immagine l'artista evidenzia il valore del mezzo fotografico stesso. Tutti gli scatti sono simultaneamente raffigurazione e astrattismo, illusioni ottiche o specchianti monocromi costruiti attraverso molteplici fasi di trasposizioni e manipolazioni.
KARL HAENDEL (New York, 1976 - vive e lavora a Los Angeles)
La realtà di Karl Haendel è filtrata dal suo disegno, la matita è infatti per l’artista come un traduttore di oggettività da cristallizzare, decodificare e focalizzare. Gli otto disegni in mostra, lavoro unico, sono tratti dalle fotografie di tutti gli orologi presenti nella casa dell’artista: non una pedissequa copia della realtà ma una riflessione su come il tempo sia simile ad uno specchio, come una schiavitù con cui è sempre necessario relazionarsi, indicatori delle ore (e dell’età) che passano.
BENOÎT MAIRE (Pessac, 1978 - vive e lavora a Parigi)
Laureato in arte e Filosofia, Maire combina le due discipline con la teoria estetica e la letteratura approdando ad un’arte concettuale dalle forme spesso minimali, senza tuttavia tralasciare l’aspetto narrativo dell’opera. Così in “Testa di Medusa”, la gorgone, formalizzata come una stilizzata testa di bronzo e come una pittura semi-astratta, è condannata a fissare se stessa, fermando lo sguardo in una pietrificata sospensione a-temporale.
R. H. QUAYTMAN (Boston, 1961 - vive e lavora a New York)
Selezionata per la prossima Biennale del Whitney, R. H. Quaytman basa il suo lavoro sull’archiviazione e l’integrazione della pittura con astrazioni ottiche, fotografie serigrafate ed elementi di trompe l'oeil. Attraverso l’uso di queste tecniche, lo studio dei materiali e dei processi di produzione l’artista invita a guardare a storie perdute in qualche modo connesse al contemporaneo, esplorando sempre nuove situazioni in cui la pittura può essere vista e compresa.
EILEEN QUINLAN (Boston, 1972 - vive e lavora a New York)
Eileen Quinlan indaga la falsa valenza dell’immagine fotografica che, secondo la sua poetica, non è una finestra sul mondo, ma piuttosto uno specchio. Le sue fotografie analogiche nascono infatti da un lento processo di interazione tra specchi, luci colorate e fumo; un’astrazione che va oltre un’accattivante bellezza formale, in un gioco di moltiplicazione e frammentazione di un’immagine specchiante che non riflette nulla.
DAVID ROBBINS (Whitefish Bay, 1957 - vive e lavora a Milwaukee)
Protagonista della scena neo-concettuale americana della seconda metà degli anni ’80, David Robbins esplora attraverso il video, la scultura e la fotografia le relazioni astratte tra identità e luogo, smascherando ironicamente le dinamiche del teatro nel fenomeno della spettacolarizzazione dell’arte contemporanea.
CHEYNEY THOMPSON (Baton Rouge, 1975 - vive e lavora a New York)
Il nucleo della ricerca dell’artista americano Cheyney Thompson è la storia, la pratica, la circolazione e la fruizione della pittura. Attraverso una serie di processi compositivi l’artista rende enigmatica la distinzione tra astrazione, realismo e fenomeni di percezione. I dipinti della sua ultima produzione compongono un immaginario puzzle visivo, apparentemente astratto, basato sui colori complementari e su dati numerici e statistici; pitture legate alle riproducibilità delle immagini, ma distorte quanto basta da essere rese uniche.
JOHAN THURFJELL (Solna, 1970 - vive e lavora a Stoccolma)
Le opere dello svedese Thurfjell sono spesso caratterizzate dall’interazione tra forma visiva e sottotesto narrativo. Attraverso dipinti e sculture l’artista ricostruisce storie di sogni, il senso di perdita e di nostalgia. Il lavoro in mostra presenta quattro acquarelli sbiaditi (caffè su carta) racchiusi in vecchie cornici. I dipinti, semplici astrazioni monocromatiche, alludono alla rimozione di vecchi ritratti fotografici: le tracce lasciate delle fotografie mancanti invocano l’assenza e la sparizione di un soggetto passato.
19
marzo 2010
James Yamada / Blind Mirror
Dal 19 marzo al 30 aprile 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA RAUCCI/SANTAMARIA
Napoli, Corso Amedeo Di Savoia Duca D'aosta, 190, (Napoli)
Napoli, Corso Amedeo Di Savoia Duca D'aosta, 190, (Napoli)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 11-13.30 e 15-18.30
Vernissage
19 Marzo 2010, dalle ore 19.00 alle 21.30
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