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Jason Oddy – Within
Jason Oddy (Londra, 1967) presenta a Camera16 una vasta selezione di scatti nei quali riesce ad immortalare l’architettura e a catturare, estraniandosi dal contesto e isolandosi dalle persone e dai rumori, sensazioni e segnali che altrimenti passerebbero inosservati.
Comunicato stampa
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Jason Oddy (Londra, 1967) presenta a Camera16 una vasta selezione di scatti nei quali riesce ad immortalare l’architettura e a catturare, estraniandosi dal contesto e isolandosi dalle persone e dai rumori, sensazioni e segnali che altrimenti passerebbero inosservati. Si tratta in fondo di stanze come le altre: quattro mura, un soffitto, un pavimento…. ma guardando con attenzione, quei luoghi così anonimi prendono una connotazione particolare, ed ecco comparire un sanatorio, un ospedale, la sede delle Nazioni Unite, luoghi di potere, di controllo, di profonde emozioni, luoghi nei quali distacco e asetticità sono solo una facciata, non-luoghi, punti in cui risuona ancora l’eco di una presenza umana, che li ha segnati negli anni a tal punto da modificarne i connotati.
La ricerca di Oddy è ancorata ad una irresistibile fascinazione per lo spazio, per le strutture architettoniche, non una semplice attrazione verso luoghi importanti, sedi e siti dove il potere, la storia, un’ ideologia o semplicemente una qualche strana forma di logica convergono, ma verso precise sezioni in cui storie parallele si concentrato: il punto di fuga di un corridoio, un quadro appeso di traverso, la porzione di una parete con più interruttori o con un’ insolita combinazione di colori. Dettagli come sintomi di qualcosa così radicato ed allo stesso tempo così discreto da non essere minimamente percettibile. Il vero soggetto non è lo spazio concreto, ma l’empatia che si instaura con esso, le fotografie non sono semplici immagini di interni ma le tracce visibili di un rapporto di simbiosi, di una profonda relazione in cui il fotografo scompare diventando parte del tutto, assorbito non solo dal compito di elaborazione e di messa a fuoco, ma dal contesto.
Questo annullamento dei singoli non è però un processo a senso unico, c’è uno scambio reciproco tra chi è passato, tra ciò che è accaduto e chi è fisicamente presente.
Normalmente questi effetti passano inosservati: nati e circondati da un'architettura siamo sotto il suo incantesimo dall'inizio, siamo oggetto di osservazione da sempre, ma con uno sguardo costante, molto più determinante rispetto al nostro che cambia sempre punto di vista.
Rendere questa interazione, tra soggetto e spazio, visibile non è un compito facile.
Eppure la capacità della fotografia di catturare non solo un momento nel tempo ma anche di congelare una posizione nello spazio, significa che forse più di ogni altro mezzo può essere una rappresentazione degli effetti dello spazio stesso, di come ci si perde in esso, di come si cambia. Forse allora possiamo cominciare a comprendere le azioni di un'architettura che non smette mai di lavorare su di noi, un’architettura così radicata in noi che la sua struttura è la nostra struttura.
I ritratti di spazi vuoti ed immobili ci chiedono solo di contemplare la bellezza e il valore che il mondo artificiale contiene.
La ricerca di Oddy è ancorata ad una irresistibile fascinazione per lo spazio, per le strutture architettoniche, non una semplice attrazione verso luoghi importanti, sedi e siti dove il potere, la storia, un’ ideologia o semplicemente una qualche strana forma di logica convergono, ma verso precise sezioni in cui storie parallele si concentrato: il punto di fuga di un corridoio, un quadro appeso di traverso, la porzione di una parete con più interruttori o con un’ insolita combinazione di colori. Dettagli come sintomi di qualcosa così radicato ed allo stesso tempo così discreto da non essere minimamente percettibile. Il vero soggetto non è lo spazio concreto, ma l’empatia che si instaura con esso, le fotografie non sono semplici immagini di interni ma le tracce visibili di un rapporto di simbiosi, di una profonda relazione in cui il fotografo scompare diventando parte del tutto, assorbito non solo dal compito di elaborazione e di messa a fuoco, ma dal contesto.
Questo annullamento dei singoli non è però un processo a senso unico, c’è uno scambio reciproco tra chi è passato, tra ciò che è accaduto e chi è fisicamente presente.
Normalmente questi effetti passano inosservati: nati e circondati da un'architettura siamo sotto il suo incantesimo dall'inizio, siamo oggetto di osservazione da sempre, ma con uno sguardo costante, molto più determinante rispetto al nostro che cambia sempre punto di vista.
Rendere questa interazione, tra soggetto e spazio, visibile non è un compito facile.
Eppure la capacità della fotografia di catturare non solo un momento nel tempo ma anche di congelare una posizione nello spazio, significa che forse più di ogni altro mezzo può essere una rappresentazione degli effetti dello spazio stesso, di come ci si perde in esso, di come si cambia. Forse allora possiamo cominciare a comprendere le azioni di un'architettura che non smette mai di lavorare su di noi, un’architettura così radicata in noi che la sua struttura è la nostra struttura.
I ritratti di spazi vuoti ed immobili ci chiedono solo di contemplare la bellezza e il valore che il mondo artificiale contiene.
13
gennaio 2011
Jason Oddy – Within
Dal 13 gennaio al 19 febbraio 2011
fotografia
Location
CAMERA16 CONTEMPORARY ART
Milano, Via Carlo Pisacane, 16, (Milano)
Milano, Via Carlo Pisacane, 16, (Milano)
Orario di apertura
da martedi a sabato 15 - 19
Vernissage
13 Gennaio 2011, ore 18.30
Autore
Curatore