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Jean-Marie Barotte
personale
Comunicato stampa
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L’ANIMA, IL RITMO, LA PIETRA, LA PAROLA
Impressioni intorno alla pittura di J-M Barotte
Debora Ferrari
La pittura di Jean-Marie Barotte è un percorso dentro. Un addensarsi di indicazioni e riferimenti e luoghi che li celano per poi svelarli di nuovo. Viaggio dell’anima come egli stesso la definisce, ma non solo, occorre aggiungere: anima medesima.
Non ha occhi per la realtà chi dice che l’anima non si vede. E’ forma e forza, segno e impulso in ogni essere vivente; elegante fremito che veste le linee corporali.
Se ancora oggi l’artista ha un senso nella società contemporanea è quello dell’uomo/sacerdote, anzi del pontifex propriamente, capace di collegare i mondi sensibili a quelli metafisici.
Baratte ha sperimentato su di sé i transfert necessari all’attore per inscenare i drammi dell’anima nella sua decennale esperienza con Kantor, così forte e intensa da restare viva come esperienza anche in quella creativa dell’artista, capace a sua volta di attingere a altre forze come i testi di mistici profondi e innamorati della vita come Santa Teresa e San Giovanni della Croce. Baratte estende tutta la propria esperienza al suo modo di essere artista e pittore, cioè colui che ha visioni prima di tracciare le proprie chiamate a vivere nel mondo per gli altri dal preciso momento in cui vengono chiamate a esistere nella materia.
Osserviamo le composizioni: esse fluiscono sempre in un tracciato luminoso e materico, liquido e profondo, il più delle volte intenso da apparire come la fototraccia di una torcia che viene fatta oscillare nel cupo germoglio della notte. Una direzione, un senso, uno sfondamento, appaiono sempre a indicare una nascita e un occaso, un alba e un vespro.
In questo ondeggiare di contrapposizioni –ma gli opposti sappiamo si congiungono- raccogliamo un ritmo quasi naturale, una modalità vicina al canto gregoriano, alla musica di lontani tamburi o organi, una danza rituale, uno scandire di ore anzi di ere, con una tensione elettromagnetica viva nell’unire il polo della terra a quello del cuore, le ritmiche lunari a quelle cosmiche, i cicli del corpo eil riposo dello spirito annegato nel suo silenzio meditativo anche dopo la produzione poetica.
Le sue vie sono luce e traccia,orma e sentiero,solco senza profondità cometa via Lattea così stupendamente bidimensionale ai nostri occhi. Tutto si ricongiunge, ouroboros, principio alchemico di trasformazione morte e rinascita.
E’ un fuoco sacro questa traccia, lo stesso che ispira i profeti e gli artisti. L’ispirazione stessa sta alla meditazione come il fuoco sacro cromatico sta alla pittura nera che lo circoscrive; così entrambe possono esistere.
E’ una rivelazione quella che si crea con la pittura di Baratte, un rapporto mente/corpo impastati come pigmenti, come sangue e saliva e polvere. La mano dell’artista traccia rabdomanticamente la direzione di una non-geografia in grado di far perdere i punti cardinali del mondo per concedere all’essere di cercare se stesso nel cosmo micro e macro del proprio cuore, così come fra le stelle.
Quando ritroviamo segni simili a scritture in realtà osserviamo il cardiogramma dell’amore perché anche questo è la pittura è l’arte è la vocazione dell’artista a compiere il suo atto di povertà_rinunciare a tutto darlo ai poveri e seguire la propria missione a dar vita ai mondi.
Questa parola è in realtà un segno pre-linguistico tracciato con la volontà di far comprendere che dietro quella mano c’è un uomo e i segni sono espressioni di una civiltà, di uno spirito.
Si stagliano con veemenza queste cromie campite a ampi spazi talvolta piccoli gesti altri estesi percorsi e in alcuni casi sembrano divenire materia opaca, architettura, muro.
Pittura come pietra la cui durezza e solidità divengono asserzioni dell’imperitura vitalità dell’anima. E’ un imperativo il verbo che sortisce dalle tele più essenziali e scabre, dalla voce baritonale come una nota primordiale.
Collocate tra le pietre e le colonne di un monastero, nelle antiche fodamentea delle città, in luoghi pregni di storia, esse divengono il sudario impresso del profilo di ogni anima.
Tra la terra dell’isola di Prospero dove nelle sue viscere Caliban selvaggio si ribella, e le colonne del tempio del Signore sorge una melodia, ritmata di vita e colori, buio e luce: pietra-pittura di Barotte, voce e viaggio dell’anima, parola e ritmo. Cometa colma di senso che attraversa l’oscurità del senso.
L’artista chiama a esistere ciò che prima era solo ‘in nuce’, con la semplice volontà.
Nel Medioevo del Secondo Millennio la pittura di Jean-Marie Baratte ha un evocativo potere eliomantico.
XV
Getta fuoco sull’oblio
E fuoco in petto
Non è un angolo prudente la palestra dell’anima
La sorte assume una strana espressione da eliomante
Danza per la primavera
(…)
XVI
Di che pietre, di che sangue e ferro
Di che fuoco siamo fatti
E sembriamo di pura nuvola
E ci lapidano, ci chiamano
Illusi
Come campiamo giorno e notte
Dio solo sa.
(…)
Ma la visione del desiderio si desta carne un giorno
E dove prima non risplendeva che un deserto nudo
Adesso ride una città, bella come tu l’hai voluta
(…)
Amico (…) sogniamo, cantiamo, edifichiamo!
Odisseo Elitis, Sole il primo,
Guanda, Milano, 1979
Impressioni intorno alla pittura di J-M Barotte
Debora Ferrari
La pittura di Jean-Marie Barotte è un percorso dentro. Un addensarsi di indicazioni e riferimenti e luoghi che li celano per poi svelarli di nuovo. Viaggio dell’anima come egli stesso la definisce, ma non solo, occorre aggiungere: anima medesima.
Non ha occhi per la realtà chi dice che l’anima non si vede. E’ forma e forza, segno e impulso in ogni essere vivente; elegante fremito che veste le linee corporali.
Se ancora oggi l’artista ha un senso nella società contemporanea è quello dell’uomo/sacerdote, anzi del pontifex propriamente, capace di collegare i mondi sensibili a quelli metafisici.
Baratte ha sperimentato su di sé i transfert necessari all’attore per inscenare i drammi dell’anima nella sua decennale esperienza con Kantor, così forte e intensa da restare viva come esperienza anche in quella creativa dell’artista, capace a sua volta di attingere a altre forze come i testi di mistici profondi e innamorati della vita come Santa Teresa e San Giovanni della Croce. Baratte estende tutta la propria esperienza al suo modo di essere artista e pittore, cioè colui che ha visioni prima di tracciare le proprie chiamate a vivere nel mondo per gli altri dal preciso momento in cui vengono chiamate a esistere nella materia.
Osserviamo le composizioni: esse fluiscono sempre in un tracciato luminoso e materico, liquido e profondo, il più delle volte intenso da apparire come la fototraccia di una torcia che viene fatta oscillare nel cupo germoglio della notte. Una direzione, un senso, uno sfondamento, appaiono sempre a indicare una nascita e un occaso, un alba e un vespro.
In questo ondeggiare di contrapposizioni –ma gli opposti sappiamo si congiungono- raccogliamo un ritmo quasi naturale, una modalità vicina al canto gregoriano, alla musica di lontani tamburi o organi, una danza rituale, uno scandire di ore anzi di ere, con una tensione elettromagnetica viva nell’unire il polo della terra a quello del cuore, le ritmiche lunari a quelle cosmiche, i cicli del corpo eil riposo dello spirito annegato nel suo silenzio meditativo anche dopo la produzione poetica.
Le sue vie sono luce e traccia,orma e sentiero,solco senza profondità cometa via Lattea così stupendamente bidimensionale ai nostri occhi. Tutto si ricongiunge, ouroboros, principio alchemico di trasformazione morte e rinascita.
E’ un fuoco sacro questa traccia, lo stesso che ispira i profeti e gli artisti. L’ispirazione stessa sta alla meditazione come il fuoco sacro cromatico sta alla pittura nera che lo circoscrive; così entrambe possono esistere.
E’ una rivelazione quella che si crea con la pittura di Baratte, un rapporto mente/corpo impastati come pigmenti, come sangue e saliva e polvere. La mano dell’artista traccia rabdomanticamente la direzione di una non-geografia in grado di far perdere i punti cardinali del mondo per concedere all’essere di cercare se stesso nel cosmo micro e macro del proprio cuore, così come fra le stelle.
Quando ritroviamo segni simili a scritture in realtà osserviamo il cardiogramma dell’amore perché anche questo è la pittura è l’arte è la vocazione dell’artista a compiere il suo atto di povertà_rinunciare a tutto darlo ai poveri e seguire la propria missione a dar vita ai mondi.
Questa parola è in realtà un segno pre-linguistico tracciato con la volontà di far comprendere che dietro quella mano c’è un uomo e i segni sono espressioni di una civiltà, di uno spirito.
Si stagliano con veemenza queste cromie campite a ampi spazi talvolta piccoli gesti altri estesi percorsi e in alcuni casi sembrano divenire materia opaca, architettura, muro.
Pittura come pietra la cui durezza e solidità divengono asserzioni dell’imperitura vitalità dell’anima. E’ un imperativo il verbo che sortisce dalle tele più essenziali e scabre, dalla voce baritonale come una nota primordiale.
Collocate tra le pietre e le colonne di un monastero, nelle antiche fodamentea delle città, in luoghi pregni di storia, esse divengono il sudario impresso del profilo di ogni anima.
Tra la terra dell’isola di Prospero dove nelle sue viscere Caliban selvaggio si ribella, e le colonne del tempio del Signore sorge una melodia, ritmata di vita e colori, buio e luce: pietra-pittura di Barotte, voce e viaggio dell’anima, parola e ritmo. Cometa colma di senso che attraversa l’oscurità del senso.
L’artista chiama a esistere ciò che prima era solo ‘in nuce’, con la semplice volontà.
Nel Medioevo del Secondo Millennio la pittura di Jean-Marie Baratte ha un evocativo potere eliomantico.
XV
Getta fuoco sull’oblio
E fuoco in petto
Non è un angolo prudente la palestra dell’anima
La sorte assume una strana espressione da eliomante
Danza per la primavera
(…)
XVI
Di che pietre, di che sangue e ferro
Di che fuoco siamo fatti
E sembriamo di pura nuvola
E ci lapidano, ci chiamano
Illusi
Come campiamo giorno e notte
Dio solo sa.
(…)
Ma la visione del desiderio si desta carne un giorno
E dove prima non risplendeva che un deserto nudo
Adesso ride una città, bella come tu l’hai voluta
(…)
Amico (…) sogniamo, cantiamo, edifichiamo!
Odisseo Elitis, Sole il primo,
Guanda, Milano, 1979
12
febbraio 2006
Jean-Marie Barotte
Dal 12 al 28 febbraio 2006
arte contemporanea
Location
CHIOSTRO DI VOLTORRE
Gavirate, Piazza Chiostro, 23, (Varese)
Gavirate, Piazza Chiostro, 23, (Varese)
Biglietti
libero per soci Chiostro Card, ingresso 2.50€ a persona, 5 € a famiglia
Orario di apertura
da mar a dom 10-17
Vernissage
12 Febbraio 2006, ore 15.30
Autore