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Jean Revillard – Jungles
Le «giungle di Calais» sono dei resti di sottobosco, spinosi e scarni, sul margine di questa piccola città del nord della Francia, con un campanile e un porto. Calais è una città ai bordi del canale e del tunnel sotto la Manica. Vi si spalanca la via verso l’Inghilterra e pertanto la città risucchia i migranti clandestini: negli anni 1990, Croati, Bosniaci e Kosovari…
Comunicato stampa
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Le «giungle di Calais» sono dei resti di sottobosco, spinosi e scarni, sul margine di questa piccola città del nord della
Francia, con un campanile e un porto. Calais è una città ai bordi del canale e del tunnel sotto la Manica. Vi si spalanca
la via verso l’Inghilterra e pertanto la città risucchia i migranti clandestini: negli anni 1990, Croati, Bosniaci e
Kosovari.
In seguito: Afghani, Curdi, Irakeni, Iraniani, Pakistani, Somali, Etiopi... Essi sono alla fine del loro viaggio e alla fine della
loro corsa. Gli abitanti di Calais li considerano come dei «poveri disgraziati». Alcune associazioni locali, come La Belle
Etoile, C’sur, Salam, e Le Secours Catholique vengono loro in aiuto. A Sangatte, nel 1999, un capannone in disuso del
cantiere del tunnel sotto la Manica viene convertito in centro di accoglienza per rifugiati. Un immenso salone senza
pareti divisorie, con tende distribuite dalla Croce Rossa e dall’HCR (High Commissioner for Refugees), dà ricovero agli
800 migranti che trascinano le loro illusioni nella regione. Oggi il traffico è in aumento, tanto che 1500 migranti aspettano
pazientemente tra Dunkerque e Cherbourg, a Calais, St-Georges-sur-Las, Loone-Plage, Grande-Sainte, Teteghem,
Wisques, Norrent-Fontes, Angres, Steenvoorde e Steenwerck.
Ma Calais resta il punto strategico di passaggio e questi migranti, per la maggior parte giovani uomini, si arenano nelle
giungle a tre chilometri dal centro della città, occupando abusivamente dei pezzi di terreno boscoso, accanto alla fabbrica
chimica, vicino all’autostrada e in riva al mare. Angoli abbandonati dove neanche i cani vanno a pisciare. Si
nascondono in capanne dissimulate tra le macchie boschive. Da tre a dieci giovani per ogni tugurio. Hanno tra i 10 e
i 25 anni. Da tre giorni a cinque mesi di attesa prima di riuscire a passare. Perché bisogna trovare il camion che va in
Inghilterra e non in Belgio. Inoltre bisogna pagare i traghettatori che controllano i parcheggi. Da tre giorni a cinque mesi
schivando le retate della polizia e la distruzione periodica delle giungle, operata con mezzi cingolati.
Da tre giorni a cinque mesi per avere la meglio su una potente organizzazione anti-migratoria: 12 milioni di euro all’anno
per rendere sicuro il porto e risistemarlo con barriere e reticolati; 500 poliziotti adibiti esclusivamente a prevenire
gli imbarchi clandestini. Ogni giorno vengono arrestati trenta migranti nella cinta della zona portuaria. Ogni settimana,
tuttavia, un centinaio di loro riesce a raggiungere l’altra costa del canale.
Quest’opera presenta un lavoro fotografico sulle capanne di Calais. È stato premiato nel 2008 con un World Press
Photo, categoria «Problemi Contemporanei», ed uno Swiss Press, categoria «Estero». Queste fotografie mostrano le
capanne senza i loro abitanti, i migranti. Dei pezzi di teloni, coperte o cartoni, assemblati alla meglio tra gli alberi. A
mezza strada fra l’abisso e le illusioni. Queste fotografie dimostrano che la chiusura di Sangatte non ha cambiato nulla.
Calais rimane sempre un punto strategico per la migrazione, semplicemente perché vi passano moltissimi camion.
Niente è cambiato, tranne le violenze della polizia che sono aumentate; tranne le mafie dei traghettatori che vi sono
sbarcati; tranne i migranti che stasera dormono all’aperto.
Francia, con un campanile e un porto. Calais è una città ai bordi del canale e del tunnel sotto la Manica. Vi si spalanca
la via verso l’Inghilterra e pertanto la città risucchia i migranti clandestini: negli anni 1990, Croati, Bosniaci e
Kosovari.
In seguito: Afghani, Curdi, Irakeni, Iraniani, Pakistani, Somali, Etiopi... Essi sono alla fine del loro viaggio e alla fine della
loro corsa. Gli abitanti di Calais li considerano come dei «poveri disgraziati». Alcune associazioni locali, come La Belle
Etoile, C’sur, Salam, e Le Secours Catholique vengono loro in aiuto. A Sangatte, nel 1999, un capannone in disuso del
cantiere del tunnel sotto la Manica viene convertito in centro di accoglienza per rifugiati. Un immenso salone senza
pareti divisorie, con tende distribuite dalla Croce Rossa e dall’HCR (High Commissioner for Refugees), dà ricovero agli
800 migranti che trascinano le loro illusioni nella regione. Oggi il traffico è in aumento, tanto che 1500 migranti aspettano
pazientemente tra Dunkerque e Cherbourg, a Calais, St-Georges-sur-Las, Loone-Plage, Grande-Sainte, Teteghem,
Wisques, Norrent-Fontes, Angres, Steenvoorde e Steenwerck.
Ma Calais resta il punto strategico di passaggio e questi migranti, per la maggior parte giovani uomini, si arenano nelle
giungle a tre chilometri dal centro della città, occupando abusivamente dei pezzi di terreno boscoso, accanto alla fabbrica
chimica, vicino all’autostrada e in riva al mare. Angoli abbandonati dove neanche i cani vanno a pisciare. Si
nascondono in capanne dissimulate tra le macchie boschive. Da tre a dieci giovani per ogni tugurio. Hanno tra i 10 e
i 25 anni. Da tre giorni a cinque mesi di attesa prima di riuscire a passare. Perché bisogna trovare il camion che va in
Inghilterra e non in Belgio. Inoltre bisogna pagare i traghettatori che controllano i parcheggi. Da tre giorni a cinque mesi
schivando le retate della polizia e la distruzione periodica delle giungle, operata con mezzi cingolati.
Da tre giorni a cinque mesi per avere la meglio su una potente organizzazione anti-migratoria: 12 milioni di euro all’anno
per rendere sicuro il porto e risistemarlo con barriere e reticolati; 500 poliziotti adibiti esclusivamente a prevenire
gli imbarchi clandestini. Ogni giorno vengono arrestati trenta migranti nella cinta della zona portuaria. Ogni settimana,
tuttavia, un centinaio di loro riesce a raggiungere l’altra costa del canale.
Quest’opera presenta un lavoro fotografico sulle capanne di Calais. È stato premiato nel 2008 con un World Press
Photo, categoria «Problemi Contemporanei», ed uno Swiss Press, categoria «Estero». Queste fotografie mostrano le
capanne senza i loro abitanti, i migranti. Dei pezzi di teloni, coperte o cartoni, assemblati alla meglio tra gli alberi. A
mezza strada fra l’abisso e le illusioni. Queste fotografie dimostrano che la chiusura di Sangatte non ha cambiato nulla.
Calais rimane sempre un punto strategico per la migrazione, semplicemente perché vi passano moltissimi camion.
Niente è cambiato, tranne le violenze della polizia che sono aumentate; tranne le mafie dei traghettatori che vi sono
sbarcati; tranne i migranti che stasera dormono all’aperto.
27
maggio 2011
Jean Revillard – Jungles
Dal 27 maggio al 23 luglio 2011
arte contemporanea
Location
WEBER & WEBER ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
Torino, Via San Tommaso, 7, (Torino)
Torino, Via San Tommaso, 7, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a sabato 15.30-19.30
Vernissage
27 Maggio 2011, dalle ore 18 alle ore 22.30
Autore