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Jesper Just – Everyone changes, be my friend
Comunicato stampa
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“Bliss and Heaven” è una citazione tratta da “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick. “The Lonely Villa” prende il titolo da un film del 1909 del precursore D.W. Griffith. I titoli dei due più recenti video di Jesper Just rivelano come il suo linguaggio di riferimento sia il cinema, anche se la finzione narrativa che mette in scena si alimenta anche di spunti letterari e teatrali. Attraverso una combinazione di parole (pochissime), gesti (spesso stravaganti), balli e musiche (in abbondanza), i protagonisti dei suoi video interpretano storie sentimentalmente grottesche e avvincenti, che ruotano attorno agli importanti temi dell’identità e delle relazioni umane, declinati al maschile. I protagonisti dei video di Just sono infatti uomini.
“Heaven and Bliss” –variazione sul tema dell’eccentrica “Beaver Trilogy” realizzata dal cineasta Trent Harris tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 - è la storia di un ragazzo che segue un maturo camionista nel rimorchio del suo tir. Una volta all’interno, egli rimane sgomento non solo per il fatto di trovarsi inaspettatamente in un teatro lirico, ma soprattutto nel vedere, al centro del palco, l’uomo che ha seguito, travestito con una parrucca bionda da donna, che interpreta un sentimentale brano di Olivia Newton-John con dolente intensità. Il video si chiude con il ragazzo che si alza in piedi emozionato ad applaudire l’esibizione dell’uomo, ora pateticamente accasciato a terra. Just ha parlato di questo video come di una rappresentazione della paura di un figlio di perdere il proprio padre. Questa bizzarra narrazione fa venire in mente alcune recenti ricerche che riferiscono di figure paterne ridimensionate, privare della loro identità socio-culturale e del loro ruolo tradizionale all’interno della struttura sociale. I due protagonisti di “Bliss and Heaven” sembrano impegnati a sperimentare nuove forme identitarie, e, particolarmente, a negoziare nuove modalità di relazione tra padre e figlio in questo assetto sociale in trasformazione. Nella narrazione però è presente una continua tensione omoerotica accentuata, per esempio, da certe inquadrature di dettagli di tono feticistico.
Su un analogo registro di ambiguità si muove anche “The Lonely Villa”, ambientato nella penombra confortevole ma equivoca di un elegante ambiente dove diversi uomini maturi siedono in silenzio, uno separato dall’altro, in attesa che i telefoni che hanno di fronte si mettano a squillare. La suspence, come spesso accade nei lavori di Just che ha tra i suoi punti di riferimento maestri del genere noir come Jean-Pierre Melleville, è alta. Un telefono squilla fin dalla prima inquadratura ma non è quello dell’attempato protagonista che, ansioso, alza a vuoto la cornetta del suo apparecchio. Dopo qualche lunghissimo secondo d’attesa finalmente suona il suo telefono e dall’altra parte del filo vediamo il volto di un giovane uomo che nello script del video viene definito suo figlio, ma la parentela non è affatto manifesta nel video: anzi, Just gioca ancora una volta con l’equivocità del loro rapporto. Il presunto figlio inizia a cantare una vecchia canzone d’amore degli anni ‘30 e il padre gli risponde con un altro motivetto dell’epoca, mentre gli altri uomini presenti nella sala fanno il coro al duetto continuando a fissare, in attesa di uno squillo, i propri telefoni. È una potente immagine di solitudine, un’ammissione di vulnerabilità emotiva a dispetto delle virili apparenze di questi uomini che, sulle prime, appaiono quasi comici proprio per l’aspetto che contrasta goffamente col loro sentimentalismo; poi l’audacia con cui si mettono in gioco, esponendo le loro emozioni, porta il pubblico a provare empatia. All’inizio si ride di loro ma poi si piange con loro.
Lavorando sui cliché con cui i vari generi cinematografici, dai film gangster al musical, hanno tratteggiato, anche con modalità opposte, l’identità maschile, Jesper Just genera altri stereotipi, modelli ricorrenti che come autore egli utilizza per sviluppare un racconto sull’emancipazione dell’identità maschile oltre le convenzioni sociali e culturali. Nella stessa ottica di reiterazione narrativa Just ricorre sempre allo stesso attore per il ruolo del giovane protagonista, che diviene così anche una sorta di alter-ego dell’artista. Di volta in volta, egli si commuove fino alle lacrime o rimane provocatoriamente indifferente davanti a balli improvvisati in suo onore da uomini maturi (“No Man is an Island”, 2002 e “Invitation to Love”, 2003); ne uccide un altro soffocandolo in un abbraccio impetuoso (“The Sweetest Embrace of All”, 2004); coinvolge in un canto corale ed emozionato i mesti avventori di un bar (“No Man is An Island II”, 2004);…I suoi interlocutori (tranne nel caso di “A Fine Romance”,2004, dove lo vediamo eseguire una lap-dance per una ragazza in una dichiarata inversione dei ruoli tra spettatore e soggetto osservato) sono sempre uomini più grandi di lui con i quali stabilisce un legame in bilico tra erotismo, complicità e amore parentale.
I video di Just sono episodi di una tragicomica messa in scena dove i protagonisti maschili (amanti o amici o padri e figli) sperimentano le varie potenzialità della propria identità e del loro ruolo sessuale, fuori e dentro vecchi e nuovi cliché ma sempre all’interno della finzione. Interpretando i ruoli che Jesper Just immagina per loro, si lasciano andare all’emotività, ballando e cantando e piangendo sulla quella sottile linea che divide l’esaltazione dalla mortificazione.
Caroline Corbetta
“Heaven and Bliss” –variazione sul tema dell’eccentrica “Beaver Trilogy” realizzata dal cineasta Trent Harris tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 - è la storia di un ragazzo che segue un maturo camionista nel rimorchio del suo tir. Una volta all’interno, egli rimane sgomento non solo per il fatto di trovarsi inaspettatamente in un teatro lirico, ma soprattutto nel vedere, al centro del palco, l’uomo che ha seguito, travestito con una parrucca bionda da donna, che interpreta un sentimentale brano di Olivia Newton-John con dolente intensità. Il video si chiude con il ragazzo che si alza in piedi emozionato ad applaudire l’esibizione dell’uomo, ora pateticamente accasciato a terra. Just ha parlato di questo video come di una rappresentazione della paura di un figlio di perdere il proprio padre. Questa bizzarra narrazione fa venire in mente alcune recenti ricerche che riferiscono di figure paterne ridimensionate, privare della loro identità socio-culturale e del loro ruolo tradizionale all’interno della struttura sociale. I due protagonisti di “Bliss and Heaven” sembrano impegnati a sperimentare nuove forme identitarie, e, particolarmente, a negoziare nuove modalità di relazione tra padre e figlio in questo assetto sociale in trasformazione. Nella narrazione però è presente una continua tensione omoerotica accentuata, per esempio, da certe inquadrature di dettagli di tono feticistico.
Su un analogo registro di ambiguità si muove anche “The Lonely Villa”, ambientato nella penombra confortevole ma equivoca di un elegante ambiente dove diversi uomini maturi siedono in silenzio, uno separato dall’altro, in attesa che i telefoni che hanno di fronte si mettano a squillare. La suspence, come spesso accade nei lavori di Just che ha tra i suoi punti di riferimento maestri del genere noir come Jean-Pierre Melleville, è alta. Un telefono squilla fin dalla prima inquadratura ma non è quello dell’attempato protagonista che, ansioso, alza a vuoto la cornetta del suo apparecchio. Dopo qualche lunghissimo secondo d’attesa finalmente suona il suo telefono e dall’altra parte del filo vediamo il volto di un giovane uomo che nello script del video viene definito suo figlio, ma la parentela non è affatto manifesta nel video: anzi, Just gioca ancora una volta con l’equivocità del loro rapporto. Il presunto figlio inizia a cantare una vecchia canzone d’amore degli anni ‘30 e il padre gli risponde con un altro motivetto dell’epoca, mentre gli altri uomini presenti nella sala fanno il coro al duetto continuando a fissare, in attesa di uno squillo, i propri telefoni. È una potente immagine di solitudine, un’ammissione di vulnerabilità emotiva a dispetto delle virili apparenze di questi uomini che, sulle prime, appaiono quasi comici proprio per l’aspetto che contrasta goffamente col loro sentimentalismo; poi l’audacia con cui si mettono in gioco, esponendo le loro emozioni, porta il pubblico a provare empatia. All’inizio si ride di loro ma poi si piange con loro.
Lavorando sui cliché con cui i vari generi cinematografici, dai film gangster al musical, hanno tratteggiato, anche con modalità opposte, l’identità maschile, Jesper Just genera altri stereotipi, modelli ricorrenti che come autore egli utilizza per sviluppare un racconto sull’emancipazione dell’identità maschile oltre le convenzioni sociali e culturali. Nella stessa ottica di reiterazione narrativa Just ricorre sempre allo stesso attore per il ruolo del giovane protagonista, che diviene così anche una sorta di alter-ego dell’artista. Di volta in volta, egli si commuove fino alle lacrime o rimane provocatoriamente indifferente davanti a balli improvvisati in suo onore da uomini maturi (“No Man is an Island”, 2002 e “Invitation to Love”, 2003); ne uccide un altro soffocandolo in un abbraccio impetuoso (“The Sweetest Embrace of All”, 2004); coinvolge in un canto corale ed emozionato i mesti avventori di un bar (“No Man is An Island II”, 2004);…I suoi interlocutori (tranne nel caso di “A Fine Romance”,2004, dove lo vediamo eseguire una lap-dance per una ragazza in una dichiarata inversione dei ruoli tra spettatore e soggetto osservato) sono sempre uomini più grandi di lui con i quali stabilisce un legame in bilico tra erotismo, complicità e amore parentale.
I video di Just sono episodi di una tragicomica messa in scena dove i protagonisti maschili (amanti o amici o padri e figli) sperimentano le varie potenzialità della propria identità e del loro ruolo sessuale, fuori e dentro vecchi e nuovi cliché ma sempre all’interno della finzione. Interpretando i ruoli che Jesper Just immagina per loro, si lasciano andare all’emotività, ballando e cantando e piangendo sulla quella sottile linea che divide l’esaltazione dalla mortificazione.
Caroline Corbetta
06
novembre 2004
Jesper Just – Everyone changes, be my friend
Dal 06 novembre al 06 dicembre 2004
arte contemporanea
Location
GALLERIA MAZE
Torino, Via Giuseppe Mazzini, 40, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Mazzini, 40, (Torino)
Orario di apertura
mar. - ven. 15.30 - 19; sab. 15 - 19
Vernissage
6 Novembre 2004, 20-24
Autore