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Jirí Kolár / Corrado Levi / Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte
Una personale dedicata al poeta e artista ceco Jiří Kolář. La mostra 18 modi di progettare ad Arte, dedicata a Corrado Levi, figura poliedrica e multidisciplinare dell’arte e della cultura italiana. Infine la mostra L’Ipotesi del Cristallo, a cura di Yoann Gourmel ed Élodie Royer, vincitori della V Edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Jiří Kolář - 99 Collage
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Helena Kontova
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Inaugurazione: 8 giugno 2010, ore 18.30
Dal 9 giugno al 25 luglio 2010 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta una
personale dedicata al poeta e artista ceco Jiří Kolář.
Il progetto espositivo - a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Helena Kontova - è costruito a partire dal libro Jiří Kolář,
ideato da Helena Kontova ed edito da Giancarlo Politi. Il libro, una sorta di ‘abbecedario’ scritto da Kolář stesso, ha
anche ispirato l’allestimento sviluppato nelle quattro sale al primo piano del Museo.
La mostra comprende 99 collage - una delle tecniche predilette dall’artista, da lui sviluppata a partire dagli anni
Trenta del Novecento, e vuole essere un omaggio alla sua attività attraverso un excursus dei collage più
significativi realizzati tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta.
Kolář affermava:
“La vita pone su di noi sempre nuovi strati di una carta invisibile. Uno strato ci fa dimenticare l’altro. E quando riusciamo a
staccare o addirittura a strappar via qualche strato, siamo sorpresi di quante cose stanno dentro di noi. Quante cose che il
tempo non ha eliminato ci portiamo dentro! È qualche cosa in grado di risvegliarsi, di resuscitare”.1
La carta stampata rappresenta la vera essenza dell’arte di Kolář, nei cui lavori traspare la rottura delle forme
grammaticali e l’uso di una lingua libera che utilizza i vuoti e i silenzi.
Le opere di Kolář sono realizzate con materiali eterogenei e tecniche diverse: testi stampati o scritti in lingua
straniera o in caratteri incomprensibili; segni geometrici (stelle, spirali, onde concentriche); vecchie incisioni;
riproduzioni di quadri celebri. In alcuni casi esse si ispirano alle semplici forme utilizzate da Kazimir Malevič (come
il quadrato nero), a Paul Klee o alle tele tagliate di Lucio Fontana.
L’artista ha trattato la tecnica del collage come una scienza, elencando nel suo Dizionario dei Metodi una sorta di
‘abbecedario’ di tutte le tecniche da lui inventate e utilizzate: termini originali e in alcuni casi eccentrici, come
anticollage, collages di fori, collage tattili e narrativi, froissage, poesie perforate (a colori, con nodi e lame di rasoio),
rollage, sgualciage, ventilage. O ancora i celebri chiasmage , frammenti di immagini o testi – in caratteri latini,
ebraici, gotici, arabi, ideogrammi cinesi - che Kolář trae da molteplici fonti (pagine del dizionario Larousse, della
Bibbia, del Corano; atlanti stellari, carte musicali, tabelle di orari ferroviari …) e i pazzogrammi , assemblati con i
tracciati degli elettroencefalogrammi.
1 Jiří Kolář, Giancarlo Politi Editore, 1986.
Jiří Kolář. Cenni biografici.
Jiří Kolář è nato a Protivín, nell’attuale Repubblica Ceca, nel 1914. È morto a Praga nel 2002.
È stato tra i principali esponenti dell’associazione ‘Gruppo 42’, che più delle altre scuole dell’avanguardia boema si prefisse
un’intensa mutualità tra poesia e pittura. Sostenitore di un’estetica del seriale quotidiano, realizza i primi collage già alla fine
degli anni Trenta (del 1937 è, infatti, la sua prima esposizione personale al Teatro D37, Mozarteum di Praga).
Negli anni Sessanta inizia a operare nell’ambito della poesia concreta, associando componimenti poetici a segni non verbali.
A partire da questo archetipo testuale, esplora in senso metalinguistico le innumerevoli varianti del collage.
Tra il 1959 e il 1961 lavora alle sue Básně ticha (Poesie in silenzio), rompendo con la poesia verbale verso la decostruzione
della poesia iniziata da Mallarmé e continuata da Apollinaire con i suoi calligrammi. Viene interdetto dal pubblicare o esporre nel
periodo della cosiddetta ‘normalizzazione’; firmatario della Carta 77, Jiří Kolář emigra a Parigi nel 1980, dove fonda la Revue K
(Rivista K), dedicata agli artisti di origine ceca in esilio in Francia. A seguito della ‘Rivoluzione di velluto’ del 1989 ritorna spesso
a Praga, città in cui, nel 1990 crea – insieme con il poeta e Presidente della Repubblica Ceca Václav Havel e il pittore Theodor
Pištěk – il Premio Jindřich Chalupecký (Cena Jindřicha Chalupeckého), volto a sostenere un giovane artista sotto i 35 anni.
I suoi lavori sono stati esposti in prestigiosi musei e in numerose gallerie internazionali, tra cui ricordiamo: Museum of Modern
Art, Miami; Institut für Moderne Kunst, Norimberga; Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Parigi; Galerie Lelong, Paris;
Centre George Pompidou, Parigi; Galerie Maeght, Barcellona; The Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Palazzo
Madama, Torino; Padiglione Cecoslovacchia, Biennale di Venezia; PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano; Museum of
Modern Art, Oxford; ICA Institute of Contemporary Art, Londra; Konsthall, Malmo; Fundació Joan Miró, Barcellona; Nàrodnì
Galerie, Praga; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid; Ludwig Museum of Contemporary Art, Budapest; Amos
Anderson Art Museum, Helsinki.
INFORMAZIONI
Jiří Kolář - 99 Collage
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Helena Kontova
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Per informazioni su biglietti e orari d’apertura visitare il sito www.gamec.it
Servizi Educativi
Giovanna Brambilla - e-mail: giovanna.brambilla@gamec.it
Clara Manella - e-mail: clara.manella@gamec.it
Ufficio Stampa
Manuela Blasi – e-mail: manuela.blasi@gamec.it
Visite guidate
Rachele Bellini – e-mail: visiteguidate@gamec.it
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Via S. Tomaso, 53 - 24121 Bergamo
Tel +39 035 270272 - Fax +39 035 236962 - www.gamec.it
Corrado Levi
18 modi di progettare ad Arte
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Beppe Finessi
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Inaugurazione: 8 giugno 2010, ore 18.30
Dal 9 giugno al 25 luglio 2010 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ospita la mostra
18 modi di progettare ad Arte, dedicata a Corrado Levi, figura poliedrica e multidisciplinare dell’arte e della cultura
italiana.
Artista, architetto, scrittore e critico, Corrado Levi ha sfidato e continua a sfidare le regole restrittive delle singole
discipline, aprendo di volta in volta nuove possibilità espressive nella cultura contemporanea.
Come egli stesso si definisce:
“Sono un italiano di plurima formazione: allievo, come architetto, di Franco Albini e Carlo Mollino, come scrittore di
Karl Kraus e di Erik Satie, come artista di molte generazioni di artisti, dall’Arte Povera di cui imparo il linguaggio,
alla Transavanguardia a cui rubo la libertà, ai graffiti di cui invidio la strada, e molti altri”.
Come Alberto Savinio, come Fortunato Depero, come Bruno Munari, maestri troppo liberi per essere inquadrati in
ristretti ambiti professionali, in orti disciplinari e consuetudini storiografiche, Corrado Levi - progettista poliedrico -
viene indagato attraverso questa mostra, la prima a lui dedicata da un’istituzione museale, in cui le opere da lui
realizzate in questi ultimi cinquant’anni, tra architettura e arte, sono “tagliate” e “scomposte” per parti, e poi
aggregate in categorie nuove, riconducibili a modalità ricorrenti del suo agire.
La mostra, curata da Giacinto Di Pietrantonio e Beppe Finessi, non è una semplice raccolta di opere suddivise per
cronologia, ma vuole essere un’indagine sul pensiero dell’artista, condotta attraverso 18 differenti modi “di
progettare ad arte”, appunto.
Opere che mostrano possibilità nuove con cui impostare l’arte e la progettazione in senso lato, lasciandosi
influenzare da altre suggestioni; progetti densi di attenzioni funzionali e accortezze costruttive; progetti fatti “ad
arte” e “arte progettata”; lavori che guardano con attenzione al linguaggio del corpo, tra erotismo e humour; opere
come invenzioni produttive, messe in gioco per realizzare quelle idee.
Opere che partono anche dagli errori, che non dimenticano di inserire indizi o depistaggi, per regalare nuove chiavi
di lettura o portare lontano dall’immediata comprensione; che trovano soluzioni attraverso una teoria di variazioni,
sperimentando tutte le possibilità a portata di matita, pennello, scultura, istallazione, modello o azione.
Opere che si guardano intorno, rispettando il contesto, le preesistenze, la natura; che alludono, suggeriscono,
rimandano, tra sorriso e sogno; progetti in cui, alle volte, la scelta primaria è quella di non scegliere, lasciando
vincere il caso, dopo averlo compreso.
Una sorta di nuovo dizionario creativo per imparare a fare arte in tanti modi diversi.
Corrado Levi. Cenni biografici
Allievo di Carlo Mollino e Franco Albini. Docente di Composizione Architettonica alla Facoltà di Architettura del Politecnico di
Milano. Come architetto ha svolto attività professionale a Torino, a Milano e a Marrakech, dove vive, e ha pubblicato Trattatino
di architettura (Tranchida, Milano, 1993) e Tiro al bersaglio su problemi di architettura (Tranchida, Milano, 1994).
Sul suo lavoro di artista, esposto in Italia e all’estero dal 1983, ha pubblicato Teoria e lavori. Arte 1982-1996 (Giancarlo Politi
Editore, Milano, 1996) e Vedere l’arcobaleno con la coda dell’occhio (Charta, Milano, 2002).
L’attività critica tra arte e architettura vede la pubblicazione del fondamentale Una diversa tradizione (Clup, Milano, 1985), e del
recente E’ andata così (Electa, Milano, 2009), mentre la sperimentazione linguistica trova in Canti Spezzini (Chimera, Milano,
1986) e Marrakech Teoria (Cadmo, Firenze, 2004) i momenti di maggiore intensità.
Della sua profonda conoscenza del mondo dell’arte contemporanea scrive in Mes Amis! Mes Amis! (Edizioni Corraini, Mantova,
2007). Ha vinto il Premio In-Arch per l’architettura ed è Guanto d’Argento di Boxe Francese Savate.
INFORMAZIONI
Corrado Levi
18 modi di progettare ad Arte
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Beppe Finessi
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Per informazioni su biglietti e orari d’apertura visitare il sito www.gamec.it
Servizi Educativi
Giovanna Brambilla - e-mail: giovanna.brambilla@gamec.it
Clara Manella - e-mail: clara.manella@gamec.it
Ufficio Stampa
Manuela Blasi – e-mail: manuela.blasi@gamec.it
Visite guidate
Rachele Bellini – e-mail: visiteguidate@gamec.it
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Via S. Tomaso, 53 - 24121 Bergamo
Tel +39 035 270272 - Fax +39 035 236962 - www.gamec.it
PREMIO LORENZO BONALDI PER L’ARTE – ENTERPRIZE, V EDIZIONE
L’Ipotesi del Cristallo
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC – Spazio Zero
Artisti: Ulla von Brandenburg, Isabelle Cornaro, Julien Crépieux, Ryan Gander, Mark Geffriaud,
Adrian Ghenie, Benoît Maire, Bruno Persat, Clément Rodzielski, Bojan Šarčević
A cura di Yoann Gourmel ed Élodie Royer
Inaugurazione: 8 giugno 2010, ore 18.30
Dal 9 giugno al 25 luglio 2010 lo SpazioZero della GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di
Bergamo ospita la mostra L’Ipotesi del Cristallo, a cura di Yoann Gourmel ed Élodie Royer, vincitori della
V Edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize.
Segnalati da Florence Derieux (Direttore FRAC Champagne-Ardenne), Yoann Gourmel ed Élodie Royer sono stati
premiati nel giugno 2009 da una giuria internazionale composta da Iwona Blazwick (Direttore Whitechapel Gallery,
Londra), Rein Wolfs (Direttore Artistico Kunsthalle Fridericianum, Kassel) e Giacinto Di Pietrantonio (Direttore
GAMeC, Bergamo).
IL PREMIO
Ideato dalla GAMeC con il sostegno della famiglia Bonaldi e nato dalla volontà di ricordare la passione per l’arte e
per il collezionismo di Lorenzo Bonaldi, è unico nel suo genere, poiché volto a sostenere la ricerca di un giovane
curatore under 30 e il suo progetto di mostra.
Organizzato per la prima volta nel 2003, ha assunto cadenza biennale dal 2005.
Con questo riconoscimento si vuole sottolineare la centralità e il significato che la figura del curatore ha assunto
nel panorama artistico internazionale, oltre a incoraggiare e sostenere il talento di un giovane in un momento
estremamente vitale del suo percorso professionale.
Il Premio non è mai stato considerato un’occasione di competizione, bensì un’opportunità di crescita professionale
e confronto. Proprio per questa ragione nel 2005 è nata l’idea di affiancare nell’anno della sua assegnazione un
convegno dedicato, Qui. Enter Atlas - Simposio Internazionale di Curatori Emergenti, a cadenza biennale.
2
IL PROGETTO
Il progetto di Yoann Gourmel ed Élodie Royer raccoglie opere di dieci artisti contemporanei che trattano vari aspetti
della visione e diversi modi di vedere per evocare, talvolta in modo anacronistico, le modalità con cui osserviamo le
cose al giorno d'oggi, la maniera in cui guardiamo al presente. Se l'abbagliamento può essere definito come
un'impossibilità di discernere la realtà, possiamo affermare che l'era in cui viviamo, ultra-satura di conoscenze e di
immagini usa e getta, provoca un abbagliamento collettivo e simultaneo. Questo abbagliamento ripetuto, se
meditiamo sul nostro rapporto con l'epoca odierna, determina una sorta di cecità. Tuttavia, tale cecità - la perdita
forzata ma necessaria della vista che ci obbliga a guardare indietro al passato - potrebbe anche aiutarci a svelare e
a definire con precisione il cammino che ci attende.
La mostra fa inoltre riferimento alle ipotesi formulate dal filosofo italiano Giorgio Agamben in un breve saggio
intitolato Che cos'è il contemporaneo?1, in cui egli definisce il contemporaneo come “il singolare rapporto con il
proprio tempo a cui si aderisce mantenendosi a distanza” – una definizione che l’autore sviluppa ulteriormente
grazie all'analisi di vari processi (fisico, poetico, fenomenologico) che hanno qualche rapporto con la vista e il con il
processo della visione. Basandosi sulla neurofisiologia della visione, Agamben spiega, pertanto, che possiamo
considerare l'oscurità non come una mera assenza di luce, qualcosa di simile a una non-visione, ma come il
risultato di un'inattività. In questo senso, percepire l'oscurità di un'epoca non costituisce una forma di inerzia o di
passività.
Come egli infine suggerisce, “contemporaneo è colui i cui occhi ricevono direttamente i raggi dell'oscurità
proveniente dalla sua epoca”. Guardare l'oscurità sarebbe, dunque, un modo per evitare di essere accecati dalle
luci del nostro tempo. Gli artisti di tutte le epoche hanno regolarmente fatto un passo indietro nel passato per
affrontare il presente e per anticipare il futuro.
Il titolo della mostra prende il nome da un particolare tipo di calcite, lo “Spato d’Islanda”, che produce una doppia
rifrazione: un oggetto posto dietro a questo cristallo appare infatti diviso, e presenta un leggero sfasamento rispetto
alla sua forma originale.
Questa doppia rifrazione può essere attribuita a un fenomeno temporale: attraverso il cristallo, infatti, la luce
viaggia a velocità differenti; un’immagine è più vecchia dell’altra e si biforca in un’altra direzione.
In un certo senso, l’ipotesi della coesistenza di una doppia temporalità fa eco alle opere presentate nella mostra, in
cui alcuni anacronismi sembrano esistere per esprimere meglio il presente di cui fanno parte. Le figure del cieco e
dell’abbagliato (Julien Crepieux, Benoît Maire), gli standard della rappresentazione (Isabelle Cornaro, Ryan
Gander), la circolazione di immagini (Mark Geffriaud, Clément Rodzielski), la distanza da cui osserviamo le cose
del passato (Ulla von Brandenburg, Adrian Ghenie, Bojan Šarčević) sono alcuni degli elementi che caratterizzano
questa mostra e le opere in essa presentate.
La mostra è accompagnata da un disco in vinile realizzato e prodotto dall’artista Bruno Persat, che include brani,
suoni e testi suggeriti dagli artisti, legato alle opere in mostra.
1. Introduzione a un seminario tenuto da Giorgio Agamben nel 2005/2006 all'Università IUAV a Venezia dal titolo Che cos’è il comtemporaneo?, pubblicato da
Nottetempo, 2008.
3
Nello spazio espositivo i lavori dialogano tra loro in una condizione di relativa oscurità, interrotta di tanto in tanto
dalla luce prodotta da diverse sorgenti – artificiale, naturale o proveniente dalle opere stesse. Questo ambiente in
dissolvenza offre l'opportunità di stabilire delle associazioni tra opere che, sebbene diverse da un punto di vista
formale, rivelano strette connessioni l'una con l'altra.
Il catalogo della mostra contiene una conversazione tra Yoann Gourmel ed Élodie Royer sulla genesi della
proposta espositiva; immagini di tutte le opere in mostra e testi redatti dagli artisti, corredati da un intervento di
Benoît Maire intitolato Aesthetics of the the Differends, strettamente legato a una delle sue opere presenti nella
collettiva.
Originale il formato del catalogo: un opuscolo che ricorda i libretti dei dischi in vinile. Ideato dai due curatori, in
collaborazione con i graphic designer francesi Coline Sunier e Charles Mazé, questa pubblicazione bilingue
intende essere un progetto autonomo, e non un semplice catalogo illustrativo.
Distribuita gratuitamente durante il periodo dell’esposizione, la pubblicazione accompagnerà il 33 giri realizzato
dall’artista Bruno Persat, in vendita presso il bookshop del Museo.
YOANN GOURMEL ED ÉLODIE ROYER
CENNI BIOGRAFICI
Élodie Royer e Yoann Gourmel sono critici e curatori, vivono e lavorano a Parigi. Collaborano entrambi con la gb Agency di Parigi, dove hanno
recentemente curato “220 days” , una mostra in progress in collaborazione con quattro artisti (Isabelle Cornaro, Mark Geffriaud, Benoît Maire,
Raphaël Zarka) invitati in residenza da settembre 2007 a marzo 2008. Insieme, hanno organizzato le mostre “Les Feuilles” al Super e Palais de
Tokyo di Parigi (2008), “L'anomalie d'Ararat”, IrmaVepLab, Châtillon sur Marne (2008), “… with bizarre rooms in whimsical shapes (& the
library)”, alla gb Agency, Villa Warsaw, Varsavia (2006) e “Le Spectre des Armatures”, Glassbox, Parigi (2006, con Mathilde Villeneuve).
Numerosi loro testi sono stati pubblicati su riviste e cataloghi di mostre.
Élodie Royer è stata Exhibitions Coordinator alla Kadist Art Foundation di Parigi, da settembre 2006 a dicembre 2007, e al Palais de Tokyo da
gennaio 2005 a maggio 2006.
Yoann Gourmel nel 2008 è stato Guest Curator della 22a International Studios of Frac Pays de la Loire, dove ha organizzato la mostra “Chapter
1 (the discrete situations)”, che si è spostata con il titolo “Chapter 2 (the repetition)” al Parc Culturel di Rentilly nel 2009. Nel 2007 ha curato la
mostra “The Garden of Cyrus” a EMBA, Galerie Eduard Manet a Gennevilliers.
Con il sostegno di:
4
Yoann Gourmel and Élodie Royer
L’IPOTESI DEL CRISTALLO
Ulla von Brandenburg, Isabelle Cornaro, Julien Crépieux, Ryan Gander, Mark Geffriaud, Adrian Ghenie,
Benoît Maire, Bruno Persat, Clément Rodzielski, Bojan Šarčević
… chi viaggia verso est ruotando il busto il più possibile verso nord e allo stesso tempo buttando la gamba destra
per quanto possibile verso sud, poi ruotando il busto il più possibile verso sud e allo stesso tempo buttando la
gamba sinistra il più possibile verso nord…
Questo è il comunicato stampa di una mostra che ha già avuto diversi titoli e ha assunto una miriade di forme, e
che, tuttavia, non si è ancora svolta, ma nondimeno ha luogo e avrà avuto luogo.
Questa mostra si sarebbe potuta intitolare “Le présent est une chose du passé, maintenant” / “Il presente è una
cosa del passato, ormai” . Per un breve periodo, di fatto, il titolo è stato proprio questo, finché l'affermazione di tale
formula non verificabile è stata ridotta a uno slogan lineare e tautologico.
Quello che ha suscitato il nostro interesse nell'uso di tale titolo – l'originale – è il modo in cui ritrae il tempo presente
come un arco di tempo entro il quale vivere senza abitarvi. Un passo avanti o indietro scompare nel momento
stesso in cui è compiuto.
Il contemporaneo come un nomade del presente.
- Tu credi?
- Non interrompere, andiamo avanti, procediamo come esploratori che cercano la strada attraverso ostacoli ed
errori, vagabondando e speculando, giusto per vedere. E poi non siamo sicuri di voler dimostrare qualcosa. Ci
interessa solo stare a vedere dove ci porta tutto questo.
Così, in principio, abbiamo cercato di guardare da un'opera all'altra, da una mostra all'altra, per capire perché, al
giorno d'oggi, in molte pratiche artistiche esista quest'attrazione per le immagini del passato, questo uso di forme e
di storie di elementi esistenti: dall'appropriazione al palinsesto, dalla storiografia alla decontestualizzazione
attraverso il semplice rimettere in circolazione le cose.
Come una “presa di posizione”, attraverso queste immagini e queste storie che confluiscono in montaggi, collage ,
assemblaggi e collisioni che distinguono cose solitamente in relazione tra loro e mettono in connessione cose
solitamente separate. Operazioni che collegano diverse temporalità osservandone le traiettorie e ciò che le separa.
Un'attrazione per gli intervalli.
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… siamo in cerca della nostra strada nella notte
Gli artisti hanno sempre guardato al passato e alla storia con regolarità per confrontarli con il presente e per
anticipare il futuro. Ma oggi sembrerebbe trattarsi più di un tentativo di costruire un'archeologia soggettiva sulla
base di immagini, idee, opere del passato, nella prospettiva di una (re)distribuzione frammentaria del visibile.
“Che cos'è il contemporaneo?” è il titolo della prima lezione di un corso di filosofia tenuto nel 2005-2006 da Giorgio
Agamben all’Università IUAV di Venezia.
Ciò che a noi interessa è il modo in cui il filosofo definisce “coloro che sono realmente contemporanei, che
appartengono veramente al loro tempo come coloro che non coincidono perfettamente con esso né si adeguano
alle sue pretese. Perciò, in questo senso, essi non sono adeguati; ma, proprio per questo, proprio attraverso
questo scarto e questo anacronismo, essi sono capaci più degli altri di percepire e afferrare il proprio tempo”.
Egli poi sviluppa questa definizione attraverso diversi processi (fisico, poetico, fenomenologico) legati allo sguardo
e alla visione.
Egli perciò aggiunge che “il contemporaneo è colui che tiene fisso lo sguardo sul suo tempo per percepirne non le
luci, ma il buio. (…) Colui che non si lascia accecare dalle luci del secolo e riesce a scorgere in esse la parte
dell’ombra, la loro intima oscurità”. Ma, continua, “il contemporaneo non è soltanto colui che, percependo il buio del
presente, afferra una luce che non può mai raggiungere il proprio destino; è anche colui che, dividendo e
interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo
inedito la storia, di "citarla" secondo una necessità che non proviene in alcun modo dal suo arbitrio, ma da
un'esigenza a cui egli non può non rispondere. È come se quell’invisibile luce che è il buio del presente, proiettasse
la sua ombra sul passato e questo, toccato da questo fascio d’ombra, acquisisse la capacità di rispondere alle
tenebre del presente”.
Questa mostra si sarebbe potuta intitolare “Quali visioni nel buio della luce” o “Quali visioni nel buio senz'ombra di
luce e ombra”, come esclama una voce in Compagnia di Samuel Beckett. “Occhi chiusi spalancati”, scrive egli,
nella costante ricerca, nel suo lavoro, della luce, e giù giù fino ad arrivare ai modi in cui essa è oscurata.
… l’inevitabile modalità del visibile
Alla fine la mostra è stata intitolata “L’Ipotesi del Cristallo” dal nome di una varietà di calcite che offre una prova
della doppia rifrazione. Spiegazioni. Un oggetto posizionato dietro un cristallo d'Islanda appare doppio,
leggermente spostato rispetto all'originale. Una doppia rifrazione che potrebbe essere attribuita a un fenomeno
temporale: se l'immagine di questo oggetto appare doppia è perché i raggi luminosi che attraversano il cristallo si
dividono in fasci veloci e fasci lenti; una delle immagini è più vecchia dell'altra e i raggi sono piegati ad angoli
differenti – determinati dalla velocità – nel momento in cui escono dal cristallo.
In un certo senso, questa ipotesi della coesistenza di una doppia temporalità fa da eco alle opere degli artisti in
mostra, in cui certi anacronismi sembrano esistere allo scopo di esprimere meglio il presente di cui sono parte.
La figura cieca che incrocia la figura abbacinata, gli standard della rappresentazione, la circolazione delle
immagini, il modo in cui sono mostrate e rappresentate, la distanza da cui guardiamo le cose del passato, sono
solo alcuni degli elementi intorno a questa mostra e alle opere in essa presentate. A volte è possibile dire delle
cose descrivendo semplicemente i contorni di ciò che le contiene.
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INFORMAZIONINFORMAZIONI
PREMIO LORENZO BONALDI PER L’ARTE – ENTERPRIZE, V EDIZIONE
L’Ipotesi del Cristallo
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC – Spazio Zero
Artisti: Ulla von Brandenburg, Isabelle Cornaro, Julien Crépieux, Ryan Gander, Mark Geffriaud,
Adrian Ghenie, Benoît Maire, Bruno Persat, Clément Rodzielski, Bojan Šarčević
A cura di Yoann Gourmel ed Élodie Royer
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Per informazioni su biglietti e orari d’apertura
visitare il sito www.gamec.it
Servizi Educativi
Giovanna Brambilla - e-mail: giovanna.brambilla@gamec.it
Clara Manella - e-mail: clara.manella@gamec.it
Ufficio Stampa
Manuela Blasi – e-mail: manuela.blasi@gamec.it
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Via S. Tomaso, 53 - 24121 Bergamo
Tel +39 035 270272 - Fax +39 035 236962 - www.gamec.it
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Helena Kontova
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Inaugurazione: 8 giugno 2010, ore 18.30
Dal 9 giugno al 25 luglio 2010 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta una
personale dedicata al poeta e artista ceco Jiří Kolář.
Il progetto espositivo - a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Helena Kontova - è costruito a partire dal libro Jiří Kolář,
ideato da Helena Kontova ed edito da Giancarlo Politi. Il libro, una sorta di ‘abbecedario’ scritto da Kolář stesso, ha
anche ispirato l’allestimento sviluppato nelle quattro sale al primo piano del Museo.
La mostra comprende 99 collage - una delle tecniche predilette dall’artista, da lui sviluppata a partire dagli anni
Trenta del Novecento, e vuole essere un omaggio alla sua attività attraverso un excursus dei collage più
significativi realizzati tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta.
Kolář affermava:
“La vita pone su di noi sempre nuovi strati di una carta invisibile. Uno strato ci fa dimenticare l’altro. E quando riusciamo a
staccare o addirittura a strappar via qualche strato, siamo sorpresi di quante cose stanno dentro di noi. Quante cose che il
tempo non ha eliminato ci portiamo dentro! È qualche cosa in grado di risvegliarsi, di resuscitare”.1
La carta stampata rappresenta la vera essenza dell’arte di Kolář, nei cui lavori traspare la rottura delle forme
grammaticali e l’uso di una lingua libera che utilizza i vuoti e i silenzi.
Le opere di Kolář sono realizzate con materiali eterogenei e tecniche diverse: testi stampati o scritti in lingua
straniera o in caratteri incomprensibili; segni geometrici (stelle, spirali, onde concentriche); vecchie incisioni;
riproduzioni di quadri celebri. In alcuni casi esse si ispirano alle semplici forme utilizzate da Kazimir Malevič (come
il quadrato nero), a Paul Klee o alle tele tagliate di Lucio Fontana.
L’artista ha trattato la tecnica del collage come una scienza, elencando nel suo Dizionario dei Metodi una sorta di
‘abbecedario’ di tutte le tecniche da lui inventate e utilizzate: termini originali e in alcuni casi eccentrici, come
anticollage, collages di fori, collage tattili e narrativi, froissage, poesie perforate (a colori, con nodi e lame di rasoio),
rollage, sgualciage, ventilage. O ancora i celebri chiasmage , frammenti di immagini o testi – in caratteri latini,
ebraici, gotici, arabi, ideogrammi cinesi - che Kolář trae da molteplici fonti (pagine del dizionario Larousse, della
Bibbia, del Corano; atlanti stellari, carte musicali, tabelle di orari ferroviari …) e i pazzogrammi , assemblati con i
tracciati degli elettroencefalogrammi.
1 Jiří Kolář, Giancarlo Politi Editore, 1986.
Jiří Kolář. Cenni biografici.
Jiří Kolář è nato a Protivín, nell’attuale Repubblica Ceca, nel 1914. È morto a Praga nel 2002.
È stato tra i principali esponenti dell’associazione ‘Gruppo 42’, che più delle altre scuole dell’avanguardia boema si prefisse
un’intensa mutualità tra poesia e pittura. Sostenitore di un’estetica del seriale quotidiano, realizza i primi collage già alla fine
degli anni Trenta (del 1937 è, infatti, la sua prima esposizione personale al Teatro D37, Mozarteum di Praga).
Negli anni Sessanta inizia a operare nell’ambito della poesia concreta, associando componimenti poetici a segni non verbali.
A partire da questo archetipo testuale, esplora in senso metalinguistico le innumerevoli varianti del collage.
Tra il 1959 e il 1961 lavora alle sue Básně ticha (Poesie in silenzio), rompendo con la poesia verbale verso la decostruzione
della poesia iniziata da Mallarmé e continuata da Apollinaire con i suoi calligrammi. Viene interdetto dal pubblicare o esporre nel
periodo della cosiddetta ‘normalizzazione’; firmatario della Carta 77, Jiří Kolář emigra a Parigi nel 1980, dove fonda la Revue K
(Rivista K), dedicata agli artisti di origine ceca in esilio in Francia. A seguito della ‘Rivoluzione di velluto’ del 1989 ritorna spesso
a Praga, città in cui, nel 1990 crea – insieme con il poeta e Presidente della Repubblica Ceca Václav Havel e il pittore Theodor
Pištěk – il Premio Jindřich Chalupecký (Cena Jindřicha Chalupeckého), volto a sostenere un giovane artista sotto i 35 anni.
I suoi lavori sono stati esposti in prestigiosi musei e in numerose gallerie internazionali, tra cui ricordiamo: Museum of Modern
Art, Miami; Institut für Moderne Kunst, Norimberga; Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Parigi; Galerie Lelong, Paris;
Centre George Pompidou, Parigi; Galerie Maeght, Barcellona; The Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Palazzo
Madama, Torino; Padiglione Cecoslovacchia, Biennale di Venezia; PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano; Museum of
Modern Art, Oxford; ICA Institute of Contemporary Art, Londra; Konsthall, Malmo; Fundació Joan Miró, Barcellona; Nàrodnì
Galerie, Praga; Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid; Ludwig Museum of Contemporary Art, Budapest; Amos
Anderson Art Museum, Helsinki.
INFORMAZIONI
Jiří Kolář - 99 Collage
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Helena Kontova
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Per informazioni su biglietti e orari d’apertura visitare il sito www.gamec.it
Servizi Educativi
Giovanna Brambilla - e-mail: giovanna.brambilla@gamec.it
Clara Manella - e-mail: clara.manella@gamec.it
Ufficio Stampa
Manuela Blasi – e-mail: manuela.blasi@gamec.it
Visite guidate
Rachele Bellini – e-mail: visiteguidate@gamec.it
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Via S. Tomaso, 53 - 24121 Bergamo
Tel +39 035 270272 - Fax +39 035 236962 - www.gamec.it
Corrado Levi
18 modi di progettare ad Arte
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Beppe Finessi
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Inaugurazione: 8 giugno 2010, ore 18.30
Dal 9 giugno al 25 luglio 2010 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ospita la mostra
18 modi di progettare ad Arte, dedicata a Corrado Levi, figura poliedrica e multidisciplinare dell’arte e della cultura
italiana.
Artista, architetto, scrittore e critico, Corrado Levi ha sfidato e continua a sfidare le regole restrittive delle singole
discipline, aprendo di volta in volta nuove possibilità espressive nella cultura contemporanea.
Come egli stesso si definisce:
“Sono un italiano di plurima formazione: allievo, come architetto, di Franco Albini e Carlo Mollino, come scrittore di
Karl Kraus e di Erik Satie, come artista di molte generazioni di artisti, dall’Arte Povera di cui imparo il linguaggio,
alla Transavanguardia a cui rubo la libertà, ai graffiti di cui invidio la strada, e molti altri”.
Come Alberto Savinio, come Fortunato Depero, come Bruno Munari, maestri troppo liberi per essere inquadrati in
ristretti ambiti professionali, in orti disciplinari e consuetudini storiografiche, Corrado Levi - progettista poliedrico -
viene indagato attraverso questa mostra, la prima a lui dedicata da un’istituzione museale, in cui le opere da lui
realizzate in questi ultimi cinquant’anni, tra architettura e arte, sono “tagliate” e “scomposte” per parti, e poi
aggregate in categorie nuove, riconducibili a modalità ricorrenti del suo agire.
La mostra, curata da Giacinto Di Pietrantonio e Beppe Finessi, non è una semplice raccolta di opere suddivise per
cronologia, ma vuole essere un’indagine sul pensiero dell’artista, condotta attraverso 18 differenti modi “di
progettare ad arte”, appunto.
Opere che mostrano possibilità nuove con cui impostare l’arte e la progettazione in senso lato, lasciandosi
influenzare da altre suggestioni; progetti densi di attenzioni funzionali e accortezze costruttive; progetti fatti “ad
arte” e “arte progettata”; lavori che guardano con attenzione al linguaggio del corpo, tra erotismo e humour; opere
come invenzioni produttive, messe in gioco per realizzare quelle idee.
Opere che partono anche dagli errori, che non dimenticano di inserire indizi o depistaggi, per regalare nuove chiavi
di lettura o portare lontano dall’immediata comprensione; che trovano soluzioni attraverso una teoria di variazioni,
sperimentando tutte le possibilità a portata di matita, pennello, scultura, istallazione, modello o azione.
Opere che si guardano intorno, rispettando il contesto, le preesistenze, la natura; che alludono, suggeriscono,
rimandano, tra sorriso e sogno; progetti in cui, alle volte, la scelta primaria è quella di non scegliere, lasciando
vincere il caso, dopo averlo compreso.
Una sorta di nuovo dizionario creativo per imparare a fare arte in tanti modi diversi.
Corrado Levi. Cenni biografici
Allievo di Carlo Mollino e Franco Albini. Docente di Composizione Architettonica alla Facoltà di Architettura del Politecnico di
Milano. Come architetto ha svolto attività professionale a Torino, a Milano e a Marrakech, dove vive, e ha pubblicato Trattatino
di architettura (Tranchida, Milano, 1993) e Tiro al bersaglio su problemi di architettura (Tranchida, Milano, 1994).
Sul suo lavoro di artista, esposto in Italia e all’estero dal 1983, ha pubblicato Teoria e lavori. Arte 1982-1996 (Giancarlo Politi
Editore, Milano, 1996) e Vedere l’arcobaleno con la coda dell’occhio (Charta, Milano, 2002).
L’attività critica tra arte e architettura vede la pubblicazione del fondamentale Una diversa tradizione (Clup, Milano, 1985), e del
recente E’ andata così (Electa, Milano, 2009), mentre la sperimentazione linguistica trova in Canti Spezzini (Chimera, Milano,
1986) e Marrakech Teoria (Cadmo, Firenze, 2004) i momenti di maggiore intensità.
Della sua profonda conoscenza del mondo dell’arte contemporanea scrive in Mes Amis! Mes Amis! (Edizioni Corraini, Mantova,
2007). Ha vinto il Premio In-Arch per l’architettura ed è Guanto d’Argento di Boxe Francese Savate.
INFORMAZIONI
Corrado Levi
18 modi di progettare ad Arte
a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Beppe Finessi
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC, Bergamo
Per informazioni su biglietti e orari d’apertura visitare il sito www.gamec.it
Servizi Educativi
Giovanna Brambilla - e-mail: giovanna.brambilla@gamec.it
Clara Manella - e-mail: clara.manella@gamec.it
Ufficio Stampa
Manuela Blasi – e-mail: manuela.blasi@gamec.it
Visite guidate
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GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo
Via S. Tomaso, 53 - 24121 Bergamo
Tel +39 035 270272 - Fax +39 035 236962 - www.gamec.it
PREMIO LORENZO BONALDI PER L’ARTE – ENTERPRIZE, V EDIZIONE
L’Ipotesi del Cristallo
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC – Spazio Zero
Artisti: Ulla von Brandenburg, Isabelle Cornaro, Julien Crépieux, Ryan Gander, Mark Geffriaud,
Adrian Ghenie, Benoît Maire, Bruno Persat, Clément Rodzielski, Bojan Šarčević
A cura di Yoann Gourmel ed Élodie Royer
Inaugurazione: 8 giugno 2010, ore 18.30
Dal 9 giugno al 25 luglio 2010 lo SpazioZero della GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di
Bergamo ospita la mostra L’Ipotesi del Cristallo, a cura di Yoann Gourmel ed Élodie Royer, vincitori della
V Edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte – EnterPrize.
Segnalati da Florence Derieux (Direttore FRAC Champagne-Ardenne), Yoann Gourmel ed Élodie Royer sono stati
premiati nel giugno 2009 da una giuria internazionale composta da Iwona Blazwick (Direttore Whitechapel Gallery,
Londra), Rein Wolfs (Direttore Artistico Kunsthalle Fridericianum, Kassel) e Giacinto Di Pietrantonio (Direttore
GAMeC, Bergamo).
IL PREMIO
Ideato dalla GAMeC con il sostegno della famiglia Bonaldi e nato dalla volontà di ricordare la passione per l’arte e
per il collezionismo di Lorenzo Bonaldi, è unico nel suo genere, poiché volto a sostenere la ricerca di un giovane
curatore under 30 e il suo progetto di mostra.
Organizzato per la prima volta nel 2003, ha assunto cadenza biennale dal 2005.
Con questo riconoscimento si vuole sottolineare la centralità e il significato che la figura del curatore ha assunto
nel panorama artistico internazionale, oltre a incoraggiare e sostenere il talento di un giovane in un momento
estremamente vitale del suo percorso professionale.
Il Premio non è mai stato considerato un’occasione di competizione, bensì un’opportunità di crescita professionale
e confronto. Proprio per questa ragione nel 2005 è nata l’idea di affiancare nell’anno della sua assegnazione un
convegno dedicato, Qui. Enter Atlas - Simposio Internazionale di Curatori Emergenti, a cadenza biennale.
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IL PROGETTO
Il progetto di Yoann Gourmel ed Élodie Royer raccoglie opere di dieci artisti contemporanei che trattano vari aspetti
della visione e diversi modi di vedere per evocare, talvolta in modo anacronistico, le modalità con cui osserviamo le
cose al giorno d'oggi, la maniera in cui guardiamo al presente. Se l'abbagliamento può essere definito come
un'impossibilità di discernere la realtà, possiamo affermare che l'era in cui viviamo, ultra-satura di conoscenze e di
immagini usa e getta, provoca un abbagliamento collettivo e simultaneo. Questo abbagliamento ripetuto, se
meditiamo sul nostro rapporto con l'epoca odierna, determina una sorta di cecità. Tuttavia, tale cecità - la perdita
forzata ma necessaria della vista che ci obbliga a guardare indietro al passato - potrebbe anche aiutarci a svelare e
a definire con precisione il cammino che ci attende.
La mostra fa inoltre riferimento alle ipotesi formulate dal filosofo italiano Giorgio Agamben in un breve saggio
intitolato Che cos'è il contemporaneo?1, in cui egli definisce il contemporaneo come “il singolare rapporto con il
proprio tempo a cui si aderisce mantenendosi a distanza” – una definizione che l’autore sviluppa ulteriormente
grazie all'analisi di vari processi (fisico, poetico, fenomenologico) che hanno qualche rapporto con la vista e il con il
processo della visione. Basandosi sulla neurofisiologia della visione, Agamben spiega, pertanto, che possiamo
considerare l'oscurità non come una mera assenza di luce, qualcosa di simile a una non-visione, ma come il
risultato di un'inattività. In questo senso, percepire l'oscurità di un'epoca non costituisce una forma di inerzia o di
passività.
Come egli infine suggerisce, “contemporaneo è colui i cui occhi ricevono direttamente i raggi dell'oscurità
proveniente dalla sua epoca”. Guardare l'oscurità sarebbe, dunque, un modo per evitare di essere accecati dalle
luci del nostro tempo. Gli artisti di tutte le epoche hanno regolarmente fatto un passo indietro nel passato per
affrontare il presente e per anticipare il futuro.
Il titolo della mostra prende il nome da un particolare tipo di calcite, lo “Spato d’Islanda”, che produce una doppia
rifrazione: un oggetto posto dietro a questo cristallo appare infatti diviso, e presenta un leggero sfasamento rispetto
alla sua forma originale.
Questa doppia rifrazione può essere attribuita a un fenomeno temporale: attraverso il cristallo, infatti, la luce
viaggia a velocità differenti; un’immagine è più vecchia dell’altra e si biforca in un’altra direzione.
In un certo senso, l’ipotesi della coesistenza di una doppia temporalità fa eco alle opere presentate nella mostra, in
cui alcuni anacronismi sembrano esistere per esprimere meglio il presente di cui fanno parte. Le figure del cieco e
dell’abbagliato (Julien Crepieux, Benoît Maire), gli standard della rappresentazione (Isabelle Cornaro, Ryan
Gander), la circolazione di immagini (Mark Geffriaud, Clément Rodzielski), la distanza da cui osserviamo le cose
del passato (Ulla von Brandenburg, Adrian Ghenie, Bojan Šarčević) sono alcuni degli elementi che caratterizzano
questa mostra e le opere in essa presentate.
La mostra è accompagnata da un disco in vinile realizzato e prodotto dall’artista Bruno Persat, che include brani,
suoni e testi suggeriti dagli artisti, legato alle opere in mostra.
1. Introduzione a un seminario tenuto da Giorgio Agamben nel 2005/2006 all'Università IUAV a Venezia dal titolo Che cos’è il comtemporaneo?, pubblicato da
Nottetempo, 2008.
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Nello spazio espositivo i lavori dialogano tra loro in una condizione di relativa oscurità, interrotta di tanto in tanto
dalla luce prodotta da diverse sorgenti – artificiale, naturale o proveniente dalle opere stesse. Questo ambiente in
dissolvenza offre l'opportunità di stabilire delle associazioni tra opere che, sebbene diverse da un punto di vista
formale, rivelano strette connessioni l'una con l'altra.
Il catalogo della mostra contiene una conversazione tra Yoann Gourmel ed Élodie Royer sulla genesi della
proposta espositiva; immagini di tutte le opere in mostra e testi redatti dagli artisti, corredati da un intervento di
Benoît Maire intitolato Aesthetics of the the Differends, strettamente legato a una delle sue opere presenti nella
collettiva.
Originale il formato del catalogo: un opuscolo che ricorda i libretti dei dischi in vinile. Ideato dai due curatori, in
collaborazione con i graphic designer francesi Coline Sunier e Charles Mazé, questa pubblicazione bilingue
intende essere un progetto autonomo, e non un semplice catalogo illustrativo.
Distribuita gratuitamente durante il periodo dell’esposizione, la pubblicazione accompagnerà il 33 giri realizzato
dall’artista Bruno Persat, in vendita presso il bookshop del Museo.
YOANN GOURMEL ED ÉLODIE ROYER
CENNI BIOGRAFICI
Élodie Royer e Yoann Gourmel sono critici e curatori, vivono e lavorano a Parigi. Collaborano entrambi con la gb Agency di Parigi, dove hanno
recentemente curato “220 days” , una mostra in progress in collaborazione con quattro artisti (Isabelle Cornaro, Mark Geffriaud, Benoît Maire,
Raphaël Zarka) invitati in residenza da settembre 2007 a marzo 2008. Insieme, hanno organizzato le mostre “Les Feuilles” al Super e Palais de
Tokyo di Parigi (2008), “L'anomalie d'Ararat”, IrmaVepLab, Châtillon sur Marne (2008), “… with bizarre rooms in whimsical shapes (& the
library)”, alla gb Agency, Villa Warsaw, Varsavia (2006) e “Le Spectre des Armatures”, Glassbox, Parigi (2006, con Mathilde Villeneuve).
Numerosi loro testi sono stati pubblicati su riviste e cataloghi di mostre.
Élodie Royer è stata Exhibitions Coordinator alla Kadist Art Foundation di Parigi, da settembre 2006 a dicembre 2007, e al Palais de Tokyo da
gennaio 2005 a maggio 2006.
Yoann Gourmel nel 2008 è stato Guest Curator della 22a International Studios of Frac Pays de la Loire, dove ha organizzato la mostra “Chapter
1 (the discrete situations)”, che si è spostata con il titolo “Chapter 2 (the repetition)” al Parc Culturel di Rentilly nel 2009. Nel 2007 ha curato la
mostra “The Garden of Cyrus” a EMBA, Galerie Eduard Manet a Gennevilliers.
Con il sostegno di:
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Yoann Gourmel and Élodie Royer
L’IPOTESI DEL CRISTALLO
Ulla von Brandenburg, Isabelle Cornaro, Julien Crépieux, Ryan Gander, Mark Geffriaud, Adrian Ghenie,
Benoît Maire, Bruno Persat, Clément Rodzielski, Bojan Šarčević
… chi viaggia verso est ruotando il busto il più possibile verso nord e allo stesso tempo buttando la gamba destra
per quanto possibile verso sud, poi ruotando il busto il più possibile verso sud e allo stesso tempo buttando la
gamba sinistra il più possibile verso nord…
Questo è il comunicato stampa di una mostra che ha già avuto diversi titoli e ha assunto una miriade di forme, e
che, tuttavia, non si è ancora svolta, ma nondimeno ha luogo e avrà avuto luogo.
Questa mostra si sarebbe potuta intitolare “Le présent est une chose du passé, maintenant” / “Il presente è una
cosa del passato, ormai” . Per un breve periodo, di fatto, il titolo è stato proprio questo, finché l'affermazione di tale
formula non verificabile è stata ridotta a uno slogan lineare e tautologico.
Quello che ha suscitato il nostro interesse nell'uso di tale titolo – l'originale – è il modo in cui ritrae il tempo presente
come un arco di tempo entro il quale vivere senza abitarvi. Un passo avanti o indietro scompare nel momento
stesso in cui è compiuto.
Il contemporaneo come un nomade del presente.
- Tu credi?
- Non interrompere, andiamo avanti, procediamo come esploratori che cercano la strada attraverso ostacoli ed
errori, vagabondando e speculando, giusto per vedere. E poi non siamo sicuri di voler dimostrare qualcosa. Ci
interessa solo stare a vedere dove ci porta tutto questo.
Così, in principio, abbiamo cercato di guardare da un'opera all'altra, da una mostra all'altra, per capire perché, al
giorno d'oggi, in molte pratiche artistiche esista quest'attrazione per le immagini del passato, questo uso di forme e
di storie di elementi esistenti: dall'appropriazione al palinsesto, dalla storiografia alla decontestualizzazione
attraverso il semplice rimettere in circolazione le cose.
Come una “presa di posizione”, attraverso queste immagini e queste storie che confluiscono in montaggi, collage ,
assemblaggi e collisioni che distinguono cose solitamente in relazione tra loro e mettono in connessione cose
solitamente separate. Operazioni che collegano diverse temporalità osservandone le traiettorie e ciò che le separa.
Un'attrazione per gli intervalli.
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… siamo in cerca della nostra strada nella notte
Gli artisti hanno sempre guardato al passato e alla storia con regolarità per confrontarli con il presente e per
anticipare il futuro. Ma oggi sembrerebbe trattarsi più di un tentativo di costruire un'archeologia soggettiva sulla
base di immagini, idee, opere del passato, nella prospettiva di una (re)distribuzione frammentaria del visibile.
“Che cos'è il contemporaneo?” è il titolo della prima lezione di un corso di filosofia tenuto nel 2005-2006 da Giorgio
Agamben all’Università IUAV di Venezia.
Ciò che a noi interessa è il modo in cui il filosofo definisce “coloro che sono realmente contemporanei, che
appartengono veramente al loro tempo come coloro che non coincidono perfettamente con esso né si adeguano
alle sue pretese. Perciò, in questo senso, essi non sono adeguati; ma, proprio per questo, proprio attraverso
questo scarto e questo anacronismo, essi sono capaci più degli altri di percepire e afferrare il proprio tempo”.
Egli poi sviluppa questa definizione attraverso diversi processi (fisico, poetico, fenomenologico) legati allo sguardo
e alla visione.
Egli perciò aggiunge che “il contemporaneo è colui che tiene fisso lo sguardo sul suo tempo per percepirne non le
luci, ma il buio. (…) Colui che non si lascia accecare dalle luci del secolo e riesce a scorgere in esse la parte
dell’ombra, la loro intima oscurità”. Ma, continua, “il contemporaneo non è soltanto colui che, percependo il buio del
presente, afferra una luce che non può mai raggiungere il proprio destino; è anche colui che, dividendo e
interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo
inedito la storia, di "citarla" secondo una necessità che non proviene in alcun modo dal suo arbitrio, ma da
un'esigenza a cui egli non può non rispondere. È come se quell’invisibile luce che è il buio del presente, proiettasse
la sua ombra sul passato e questo, toccato da questo fascio d’ombra, acquisisse la capacità di rispondere alle
tenebre del presente”.
Questa mostra si sarebbe potuta intitolare “Quali visioni nel buio della luce” o “Quali visioni nel buio senz'ombra di
luce e ombra”, come esclama una voce in Compagnia di Samuel Beckett. “Occhi chiusi spalancati”, scrive egli,
nella costante ricerca, nel suo lavoro, della luce, e giù giù fino ad arrivare ai modi in cui essa è oscurata.
… l’inevitabile modalità del visibile
Alla fine la mostra è stata intitolata “L’Ipotesi del Cristallo” dal nome di una varietà di calcite che offre una prova
della doppia rifrazione. Spiegazioni. Un oggetto posizionato dietro un cristallo d'Islanda appare doppio,
leggermente spostato rispetto all'originale. Una doppia rifrazione che potrebbe essere attribuita a un fenomeno
temporale: se l'immagine di questo oggetto appare doppia è perché i raggi luminosi che attraversano il cristallo si
dividono in fasci veloci e fasci lenti; una delle immagini è più vecchia dell'altra e i raggi sono piegati ad angoli
differenti – determinati dalla velocità – nel momento in cui escono dal cristallo.
In un certo senso, questa ipotesi della coesistenza di una doppia temporalità fa da eco alle opere degli artisti in
mostra, in cui certi anacronismi sembrano esistere allo scopo di esprimere meglio il presente di cui sono parte.
La figura cieca che incrocia la figura abbacinata, gli standard della rappresentazione, la circolazione delle
immagini, il modo in cui sono mostrate e rappresentate, la distanza da cui guardiamo le cose del passato, sono
solo alcuni degli elementi intorno a questa mostra e alle opere in essa presentate. A volte è possibile dire delle
cose descrivendo semplicemente i contorni di ciò che le contiene.
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INFORMAZIONINFORMAZIONI
PREMIO LORENZO BONALDI PER L’ARTE – ENTERPRIZE, V EDIZIONE
L’Ipotesi del Cristallo
9 giugno – 25 luglio 2010
GAMeC – Spazio Zero
Artisti: Ulla von Brandenburg, Isabelle Cornaro, Julien Crépieux, Ryan Gander, Mark Geffriaud,
Adrian Ghenie, Benoît Maire, Bruno Persat, Clément Rodzielski, Bojan Šarčević
A cura di Yoann Gourmel ed Élodie Royer
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Per informazioni su biglietti e orari d’apertura
visitare il sito www.gamec.it
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Giovanna Brambilla - e-mail: giovanna.brambilla@gamec.it
Clara Manella - e-mail: clara.manella@gamec.it
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Manuela Blasi – e-mail: manuela.blasi@gamec.it
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giugno 2010
Jirí Kolár / Corrado Levi / Premio Lorenzo Bonaldi per l’Arte
Dall'otto giugno al 25 luglio 2010
arte contemporanea
Location
GAMEC – GALLERIA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
Bergamo, Via San Tomaso, 53, (Bergamo)
Bergamo, Via San Tomaso, 53, (Bergamo)
Vernissage
8 Giugno 2010, ore 18.30
Autore
Curatore