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José D’Apice – Il libro che mi manca
José D’Apice problematico esploratore dell’immaginario e dell’incosciente, torna a Milano con una mostra animata da un mondo fantastico carico di implicazioni che, ancora una volta lascerà lo spettatore estasiato dalla raffinatezza e dalla precisione maniacale delle sua tecnica.
Comunicato stampa
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José D’Apice, artista inquietante e problematico, torna a Milano con una mostra che lascia molti spunti per riflettere sull'importanza dell'individuo all’interno della società moderna, fragile e disunita, che vede la trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori che perdono le loro sicurezze a causa di una vita sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del 'gruppo' per non sentirsi esclusa e che corre sorda verso un futuro abitato da grandi incertezze.
D’Apice affronta la realtà e tutte le sue problematiche proiettando la sua interiorità verso l’esterno nello spazio limitato e disunito delle sue opere che diventano elementi di un’unica rappresentazione: pezzi di manichini, sagome umane ricostruite come improbabili puzzle, scheletri, ossa e teste ghignanti, strane bestie-oggetti aggregati con una platealità ben ponderata.
Il libro che mi manca è l’opera rappresentativa di questa mostra, si tratta della sequenza di una ventina di piccoli assemblage su base in piombo che hanno l’aspetto di libri tutti con il medesimo titolo, “La vita di….” dove sono narrate in modo allusivo le vite di vari personaggi tra i quali due famosi artisti, Fontana e Duchamp, e di altri ignoti personaggi indicati solo con le iniziali: l’imbalsamatore, l’illusionista, l’astronauta, il pastore, il mistico, il funambolo, il becchino, la fioraia, la prostituta e altri, tutti caratterizzati da uno struggente senso del tempo passato.
“Il libro che mi manca”, ovviamente è quello non ancora realizzato e che non si potrà mai finire, probabilmente relativo alla vita dell’artista.
In mostra anche Autoritratto dopo, culmine dell’autoironia grottesca di questo artista, costruita sul rovesciamento degli equilibri: in alto la testa e il busto di un navigatore con enormi denti cannibaleschi che stringono un osso, in basso due piccole braccia scheletriche e una gamba di un tavolino, che si trasforma in un piede da danzatore che regge tutta la costruzione, posato su una piccolissima sedia; l’unico riferimento ipotizzabile è la crudeltà degli europei nella conquista dell’America.
Illuminata è un dittico di facile interpretazione erotico-sessuale, che ci mostra due gambe di manichino piegate e aperte. I piedi con scarpette da ballerina poggiano su due piccole silhouette di danzatrici, mentre in centro vediamo, in basso, un vaso in cui entrano i tubi prolungamenti delle gambe, e in alto una farfalla ricamata su un frammento di tessuto.
Visione dall’alto è un grande lavoro su pergamena dove la sagoma lineare di una figura in piedi senza testa e con le braccia penzoloni è parzialmente riempita di oggetti vari che ricostruiscono in modo assurdo alcune parti del corpo. L’aspetto più inquietante sono i piedi, trasformati in appendici scimmiesche, e posati su una calotta cranica e, a fianco una piccola lavagnetta dove è disegnato un cervello: qual è il destino dell’uomo? Evoluzione o regressione, civiltà o imbarbarimento, razionalità o follia?
Piccolo atlante imperfetto del mondo, opera molto suggestiva, è un lungo polittico formato da una serie di grandi disegni, ciascuno dei quali dovrebbe rappresentare un continente, almeno se si leggono i cartigli in basso, ma questi “continenti” in effetti sono delineati come dei pezzi del corpo umano ischeletrito: il cranio, la gabbia toracica, il bacino, la parte superiore e inferiore delle gambe e i piedi. Sullo sfondo scuro si vede fluttuare una sfera che allude al nostro o a un altro pianeta.
Una peculiarità di tutte le opere di José D’Apice è l’effetto iperreale derivato dalla precisione maniacale dell’elaborazione figurativa che, attraverso il disegno, la tecnica mista e il collage, crea una nuova e suggestiva dimensione.
D’Apice affronta la realtà e tutte le sue problematiche proiettando la sua interiorità verso l’esterno nello spazio limitato e disunito delle sue opere che diventano elementi di un’unica rappresentazione: pezzi di manichini, sagome umane ricostruite come improbabili puzzle, scheletri, ossa e teste ghignanti, strane bestie-oggetti aggregati con una platealità ben ponderata.
Il libro che mi manca è l’opera rappresentativa di questa mostra, si tratta della sequenza di una ventina di piccoli assemblage su base in piombo che hanno l’aspetto di libri tutti con il medesimo titolo, “La vita di….” dove sono narrate in modo allusivo le vite di vari personaggi tra i quali due famosi artisti, Fontana e Duchamp, e di altri ignoti personaggi indicati solo con le iniziali: l’imbalsamatore, l’illusionista, l’astronauta, il pastore, il mistico, il funambolo, il becchino, la fioraia, la prostituta e altri, tutti caratterizzati da uno struggente senso del tempo passato.
“Il libro che mi manca”, ovviamente è quello non ancora realizzato e che non si potrà mai finire, probabilmente relativo alla vita dell’artista.
In mostra anche Autoritratto dopo, culmine dell’autoironia grottesca di questo artista, costruita sul rovesciamento degli equilibri: in alto la testa e il busto di un navigatore con enormi denti cannibaleschi che stringono un osso, in basso due piccole braccia scheletriche e una gamba di un tavolino, che si trasforma in un piede da danzatore che regge tutta la costruzione, posato su una piccolissima sedia; l’unico riferimento ipotizzabile è la crudeltà degli europei nella conquista dell’America.
Illuminata è un dittico di facile interpretazione erotico-sessuale, che ci mostra due gambe di manichino piegate e aperte. I piedi con scarpette da ballerina poggiano su due piccole silhouette di danzatrici, mentre in centro vediamo, in basso, un vaso in cui entrano i tubi prolungamenti delle gambe, e in alto una farfalla ricamata su un frammento di tessuto.
Visione dall’alto è un grande lavoro su pergamena dove la sagoma lineare di una figura in piedi senza testa e con le braccia penzoloni è parzialmente riempita di oggetti vari che ricostruiscono in modo assurdo alcune parti del corpo. L’aspetto più inquietante sono i piedi, trasformati in appendici scimmiesche, e posati su una calotta cranica e, a fianco una piccola lavagnetta dove è disegnato un cervello: qual è il destino dell’uomo? Evoluzione o regressione, civiltà o imbarbarimento, razionalità o follia?
Piccolo atlante imperfetto del mondo, opera molto suggestiva, è un lungo polittico formato da una serie di grandi disegni, ciascuno dei quali dovrebbe rappresentare un continente, almeno se si leggono i cartigli in basso, ma questi “continenti” in effetti sono delineati come dei pezzi del corpo umano ischeletrito: il cranio, la gabbia toracica, il bacino, la parte superiore e inferiore delle gambe e i piedi. Sullo sfondo scuro si vede fluttuare una sfera che allude al nostro o a un altro pianeta.
Una peculiarità di tutte le opere di José D’Apice è l’effetto iperreale derivato dalla precisione maniacale dell’elaborazione figurativa che, attraverso il disegno, la tecnica mista e il collage, crea una nuova e suggestiva dimensione.
12
maggio 2011
José D’Apice – Il libro che mi manca
Dal 12 maggio al 25 giugno 2011
arte contemporanea
serata - evento
serata - evento
Location
FABBRICA EOS
Milano, Piazzale Antonio Baiamonti, 2, (Milano)
Milano, Piazzale Antonio Baiamonti, 2, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 10.00-13.00; 16.00-19.00
Vernissage
12 Maggio 2011, dalle ore 18,30
Autore