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Julian Rosefeldt – Manifesto
L’architettura della Rotonda del Palazzo delle Esposizioni viene ridisegnata da
“Manifesto”, la video installazione articolata in 13 grandi schermi dell’artista tedesco Julian Rosefeldt.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Dal 26 febbraio al 22 aprile l’architettura della Rotonda del Palazzo delle Esposizioni viene ridisegnata da
“Manifesto”, la video installazione articolata in 13 grandi schermi dell’artista tedesco Julian Rosefeldt.
Una nuova, essenziale struttura è stata costruita all’interno dell’edificio in modo che i visitatori e le
visitatrici possano fruire una proiezione alla volta, ma anche percepire di tanto in tanto – quando immagini,
suoni e parole inaspettatamente e inspiegabilmente si sintonizzano – la potenza di un coro.
L’opera è un omaggio alla pratica novecentesca dei Manifesti, quei testi diffusi come proclami,
asseverativi e categorici, con i quali gli artisti distruggevano il passato per difendere – con parole incisive
come quelle di una poesia – una nuova visione dell’arte che fosse specchio di un mondo nuovo.
Julian Rosefeldt ha calato i manifesti del Novecento in tredici brevi film, ognuno dei quali dura 10 minuti e
30 secondi ed è ambientato in un diverso contesto. Tutti, a eccezione del prologo della durata di 4 minuti,
sono magistralmente interpretati dall’attrice australiana e due volte Premio Oscar, Cate Blanchett.
È lei a recitare – talvolta in sintonia, talvolta in paradossale contrasto rispetto all’ambientazione o alle
azioni che compie – dodici diversi copioni ciascuno dedicato a un diverso movimento artistico e composto
da un collage di manifesti.
I personaggi, ad eccezione di uno, sono tutti femminili (una scelta, nelle parole di Rosefeldt, nata per
contrastare lo spirito maschile dei manifesti la maggior parte dei quali sono scritti da uomini). Le figure
femminili, però, sono molto diverse tra loro e la maestria con la quale Cate Blanchett passa dall’una all’altra
è prova inconfutabile della bravura e della versatilità dell’attrice.
Il senzatetto - unico personaggio maschile - che vagabonda tra le rovine di un grande impianto industriale
sbraita manifesti surrealisti; l’agente di cambio, dall’immensa sala della borsa, lancia proclami futuristi;
l’operaia di un inceneritore di rifiuti evoca le visioni estreme dell’avanguardia architettonica;
un’amministratrice delegata, prendendo la parola a un party, sostiene le teorie del Vorticismo, del
Cavaliere azzurro e dell’Espressionismo astratto; una punk alterata rimugina tra sé di Stridentismo e
Creazionismo; la scienziata, approdata nella sala anecoica di un laboratorio hi-tech, partecipa i programmi
di suprematisti e costruttivisti; l’oratrice a un funerale discetta sulla morte, sul niente, sul non senso di
DADA; la burattinaia che fabbrica il suo alter ego si rivela surrealista e spazialista; una madre, raccolta la
famiglia intorno al desco, recita, come una preghiera, le intenzioni trash di un artista pop; una severa
coreografa urla al suo corpo di ballo le parole di quanti hanno teorizzato Fluxus, Merz e gli happening; una
cronista televisiva e il suo doppio, una finta corrispondente, annuncia Arte concettuale e Minimalismo; una
maestra elementare consegna ai suoi giovani allievi i precetti del nuovo cinema.
Oltre che sul lavoro di regia, che implica scrittura scenica e riprese (molte sono quelle dall’alto che
ricorrono nell’opera di Rosefeldt), l’opera si fonda su una laboriosa ricerca e selezione dei testi storici dei
manifesti del primo e del secondo Novecento. Quelli da cui l’artista ha attinto sono per l’esattezza 50,
firmati in gruppo, come quelli dei Pittori futuristi, del John Reed Club di New York, di Fluxus, di Coop
Himmelb(l)au e di Dogma 95, altri sono dichiarazioni individuali di artisti visivi, danzatori, filosofi,
antropologi, registi, femministe: (in ordine di citazione) Tristan Tzara, Philippe Soupault, Lucio Fontana,
Constant Nieuwenhuys, Aleksandr Rodchenko, Guy Debord, Filippo Tommaso Marinetti, Guillaume
Apollinaire, Dziga Vertov, Bruno Taut, Antonio Sant’Elia, Robert Venturi, Vasilij Kandinskij e Franz Marc,
Barnett Newman, Wyndham Lewis, Manuel Maples Arce, Vicente Huidobro, Naum Gabo e Anton Pevsner,
Kazimir Malevich, Olga Rozanova, Francis Picabia, Georges Ribemont-Dessaignes, Paul Éluard, Louis
Aragon, Richard Huelsenbeck, André Breton, Claes Oldenburg, Yvonne Rainer, George Maciunas, Mierle
Laderman Ukeles, Kurt Schwitters, Sol LeWitt, Elaine Sturtevant, Adrian Piper, Stan Brakhage, Jim Jarmusch,
Lars von Trier e Thomas Vinterberg, Werner Herzog, Lebbeus Woods.
Nel prologo, invece, nel cui film vediamo una miccia che brucia, risuonano le parole del Manifesto del
Partito Comunista scritto nel 1848 da Karl Marx e Friedrich Engels, scelto, evidentemente, per sottolineare
la comune matrice rivoluzionaria di queste dichiarazioni di poetica.
Il rapporto tra la trama del film e il collage di manifesti non è sempre lo stesso, il visitatore è invitato ogni
volta a indagarlo e l’opera, nel suo insieme, genera domande più che offrire, come è nelle intenzioni dei
singoli manifesti citati, categoriche prese di posizione.
La maggior parte dei manifesti sono scritti da autori “giovani e forti”, “aggressivi”, “energici” e “temerari”,
pronti ad abbandonare il passato come una carogna e ignorare il futuro per vivere il presente: come
risuonano le loro dichiarazioni a distanza di anni? Come si combinano i loro discorsi spinti oltre i “confini
estremi della logica” con la vita di tutti i giorni di un senzacasa, di una casalinga, di una operaia o di una
insegnante?
Nonostante questi interrogativi, l’operazione di Julian Rosefeldt non suggerisce alcuna ambiguità. Al
contrario è governata da un senso di nitidezza, trasmesso dall’accuratezza della ricerca storica e
dall’originalità della regia. La pratica della citazione, inoltre, passa in secondo piano rispetto a quella della
riscrittura, suggerendo nuove sviluppi rispetto alla cultura postmoderna e ai modi della postproduzione.
L’artista, sensibile ai temi sociali e politici, ha definito Manifesto una sorta di Call of action, una chiamata
all’azione, un atto di fiducia riposto nella possibilità di cambiare il modo, invertirne le regole.
La mostra al Palazzo delle Esposizioni è accompagnata da un catalogo in lingua inglese edito da Koenig
Books con i testi di Burcu Dogramanci, Anna-Catharina con Udo Kittelmann e Reinhard Spieler, con
l’intervista di Sarah Tutton e Justin Paton all’artista e con la trascrizione dei collage di manifesti.
Al Palazzo delle Esposizioni con il biglietto di ingresso alla mostra verrà distribuito ai visitatori un libretto
con la traduzione in italiano dei collage dei manifesti.
Manifesto è un’opera, scritta, diretta e prodotta da Julian Rosefeldt. È stata commissionata dall’ACMI –
Australian Centre for the Moving Image di Melbourne, l’Art Gallery of New South Wales di Sydney, dalla
Nationalgalerie – Staatliche Museen zu Berlin e dallo Sprengel Museum di Hanover; co-prodotta da Burger
Collection Hong Kong e Ruhrtriennale e realizzata grazie al generoso sostegno di Medienboard Berlin-
Brandenburg e in cooperazione con Bayerischer Rundfunk.
L’insieme delle mostre in programma al Palazzo delle Esposizioni nella stagione inverno - primavera 2019
offre alcuni spunti per riflettere sul mezzo della comunicazione verbale, atto primo ed essenziale del vivere
in comune.
Nella mostra Testimoni dei Testimoni: Ricordare e raccontare Auschwitz (26 gennaio – 31 marzo 2019)
risuona la parola autoritaria dei poteri scellerati e quella dei sopravvissuti e dei testimoni che a quei poteri
si oppongono con la forza del ricordo e la scrittura della storia. In Manifesto vive la parola asseverativa, ma
libera, dell’arte, espressione di un azzardo che il Novecento ha usato per le sue rivoluzioni senza fare morti
e feriti. Lungo il percorso, infine, della mostra Il corpo della voce (8 aprile – 30 giugno 2019), l’uso
strumentale della voce arretrerà e se ne indagheranno gli sconfinamenti e le sperimentazioni sulle tracce di
una originaria phonè.
“Manifesto”, la video installazione articolata in 13 grandi schermi dell’artista tedesco Julian Rosefeldt.
Una nuova, essenziale struttura è stata costruita all’interno dell’edificio in modo che i visitatori e le
visitatrici possano fruire una proiezione alla volta, ma anche percepire di tanto in tanto – quando immagini,
suoni e parole inaspettatamente e inspiegabilmente si sintonizzano – la potenza di un coro.
L’opera è un omaggio alla pratica novecentesca dei Manifesti, quei testi diffusi come proclami,
asseverativi e categorici, con i quali gli artisti distruggevano il passato per difendere – con parole incisive
come quelle di una poesia – una nuova visione dell’arte che fosse specchio di un mondo nuovo.
Julian Rosefeldt ha calato i manifesti del Novecento in tredici brevi film, ognuno dei quali dura 10 minuti e
30 secondi ed è ambientato in un diverso contesto. Tutti, a eccezione del prologo della durata di 4 minuti,
sono magistralmente interpretati dall’attrice australiana e due volte Premio Oscar, Cate Blanchett.
È lei a recitare – talvolta in sintonia, talvolta in paradossale contrasto rispetto all’ambientazione o alle
azioni che compie – dodici diversi copioni ciascuno dedicato a un diverso movimento artistico e composto
da un collage di manifesti.
I personaggi, ad eccezione di uno, sono tutti femminili (una scelta, nelle parole di Rosefeldt, nata per
contrastare lo spirito maschile dei manifesti la maggior parte dei quali sono scritti da uomini). Le figure
femminili, però, sono molto diverse tra loro e la maestria con la quale Cate Blanchett passa dall’una all’altra
è prova inconfutabile della bravura e della versatilità dell’attrice.
Il senzatetto - unico personaggio maschile - che vagabonda tra le rovine di un grande impianto industriale
sbraita manifesti surrealisti; l’agente di cambio, dall’immensa sala della borsa, lancia proclami futuristi;
l’operaia di un inceneritore di rifiuti evoca le visioni estreme dell’avanguardia architettonica;
un’amministratrice delegata, prendendo la parola a un party, sostiene le teorie del Vorticismo, del
Cavaliere azzurro e dell’Espressionismo astratto; una punk alterata rimugina tra sé di Stridentismo e
Creazionismo; la scienziata, approdata nella sala anecoica di un laboratorio hi-tech, partecipa i programmi
di suprematisti e costruttivisti; l’oratrice a un funerale discetta sulla morte, sul niente, sul non senso di
DADA; la burattinaia che fabbrica il suo alter ego si rivela surrealista e spazialista; una madre, raccolta la
famiglia intorno al desco, recita, come una preghiera, le intenzioni trash di un artista pop; una severa
coreografa urla al suo corpo di ballo le parole di quanti hanno teorizzato Fluxus, Merz e gli happening; una
cronista televisiva e il suo doppio, una finta corrispondente, annuncia Arte concettuale e Minimalismo; una
maestra elementare consegna ai suoi giovani allievi i precetti del nuovo cinema.
Oltre che sul lavoro di regia, che implica scrittura scenica e riprese (molte sono quelle dall’alto che
ricorrono nell’opera di Rosefeldt), l’opera si fonda su una laboriosa ricerca e selezione dei testi storici dei
manifesti del primo e del secondo Novecento. Quelli da cui l’artista ha attinto sono per l’esattezza 50,
firmati in gruppo, come quelli dei Pittori futuristi, del John Reed Club di New York, di Fluxus, di Coop
Himmelb(l)au e di Dogma 95, altri sono dichiarazioni individuali di artisti visivi, danzatori, filosofi,
antropologi, registi, femministe: (in ordine di citazione) Tristan Tzara, Philippe Soupault, Lucio Fontana,
Constant Nieuwenhuys, Aleksandr Rodchenko, Guy Debord, Filippo Tommaso Marinetti, Guillaume
Apollinaire, Dziga Vertov, Bruno Taut, Antonio Sant’Elia, Robert Venturi, Vasilij Kandinskij e Franz Marc,
Barnett Newman, Wyndham Lewis, Manuel Maples Arce, Vicente Huidobro, Naum Gabo e Anton Pevsner,
Kazimir Malevich, Olga Rozanova, Francis Picabia, Georges Ribemont-Dessaignes, Paul Éluard, Louis
Aragon, Richard Huelsenbeck, André Breton, Claes Oldenburg, Yvonne Rainer, George Maciunas, Mierle
Laderman Ukeles, Kurt Schwitters, Sol LeWitt, Elaine Sturtevant, Adrian Piper, Stan Brakhage, Jim Jarmusch,
Lars von Trier e Thomas Vinterberg, Werner Herzog, Lebbeus Woods.
Nel prologo, invece, nel cui film vediamo una miccia che brucia, risuonano le parole del Manifesto del
Partito Comunista scritto nel 1848 da Karl Marx e Friedrich Engels, scelto, evidentemente, per sottolineare
la comune matrice rivoluzionaria di queste dichiarazioni di poetica.
Il rapporto tra la trama del film e il collage di manifesti non è sempre lo stesso, il visitatore è invitato ogni
volta a indagarlo e l’opera, nel suo insieme, genera domande più che offrire, come è nelle intenzioni dei
singoli manifesti citati, categoriche prese di posizione.
La maggior parte dei manifesti sono scritti da autori “giovani e forti”, “aggressivi”, “energici” e “temerari”,
pronti ad abbandonare il passato come una carogna e ignorare il futuro per vivere il presente: come
risuonano le loro dichiarazioni a distanza di anni? Come si combinano i loro discorsi spinti oltre i “confini
estremi della logica” con la vita di tutti i giorni di un senzacasa, di una casalinga, di una operaia o di una
insegnante?
Nonostante questi interrogativi, l’operazione di Julian Rosefeldt non suggerisce alcuna ambiguità. Al
contrario è governata da un senso di nitidezza, trasmesso dall’accuratezza della ricerca storica e
dall’originalità della regia. La pratica della citazione, inoltre, passa in secondo piano rispetto a quella della
riscrittura, suggerendo nuove sviluppi rispetto alla cultura postmoderna e ai modi della postproduzione.
L’artista, sensibile ai temi sociali e politici, ha definito Manifesto una sorta di Call of action, una chiamata
all’azione, un atto di fiducia riposto nella possibilità di cambiare il modo, invertirne le regole.
La mostra al Palazzo delle Esposizioni è accompagnata da un catalogo in lingua inglese edito da Koenig
Books con i testi di Burcu Dogramanci, Anna-Catharina con Udo Kittelmann e Reinhard Spieler, con
l’intervista di Sarah Tutton e Justin Paton all’artista e con la trascrizione dei collage di manifesti.
Al Palazzo delle Esposizioni con il biglietto di ingresso alla mostra verrà distribuito ai visitatori un libretto
con la traduzione in italiano dei collage dei manifesti.
Manifesto è un’opera, scritta, diretta e prodotta da Julian Rosefeldt. È stata commissionata dall’ACMI –
Australian Centre for the Moving Image di Melbourne, l’Art Gallery of New South Wales di Sydney, dalla
Nationalgalerie – Staatliche Museen zu Berlin e dallo Sprengel Museum di Hanover; co-prodotta da Burger
Collection Hong Kong e Ruhrtriennale e realizzata grazie al generoso sostegno di Medienboard Berlin-
Brandenburg e in cooperazione con Bayerischer Rundfunk.
L’insieme delle mostre in programma al Palazzo delle Esposizioni nella stagione inverno - primavera 2019
offre alcuni spunti per riflettere sul mezzo della comunicazione verbale, atto primo ed essenziale del vivere
in comune.
Nella mostra Testimoni dei Testimoni: Ricordare e raccontare Auschwitz (26 gennaio – 31 marzo 2019)
risuona la parola autoritaria dei poteri scellerati e quella dei sopravvissuti e dei testimoni che a quei poteri
si oppongono con la forza del ricordo e la scrittura della storia. In Manifesto vive la parola asseverativa, ma
libera, dell’arte, espressione di un azzardo che il Novecento ha usato per le sue rivoluzioni senza fare morti
e feriti. Lungo il percorso, infine, della mostra Il corpo della voce (8 aprile – 30 giugno 2019), l’uso
strumentale della voce arretrerà e se ne indagheranno gli sconfinamenti e le sperimentazioni sulle tracce di
una originaria phonè.
26
febbraio 2019
Julian Rosefeldt – Manifesto
Dal 26 febbraio al 22 aprile 2019
arte contemporanea
Location
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
Roma, Via Nazionale, 194, (Roma)
Roma, Via Nazionale, 194, (Roma)
Biglietti
Intero € 10; ridotto € 8
Orario di apertura
Domenica, martedì, mercoledì e giovedì: dalle 10.00 alle 20.00; venerdì e sabato: dalle 10.00 alle 22.30; lunedì chiuso
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