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K to your heart
una mostra collettiva in cui si confrontano i lavori di undici artisti
Comunicato stampa
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K to your heart
Di Ivan Quaroni
Aprire una galleria d’arte contemporanea non è affatto difficile. Può farlo chiunque abbia risorse economiche da investire e sufficiente pazienza da seguire l’iter burocratico richiesto: licenza di vendita, osservanza delle norme di sicurezza per gli spazi pubblici, agibilità degli stessi. Poi è sufficiente avere una buona mailing list, con i nomi dei possibili collezionisti, dei giornalisti, dei critici. Et voilà, il gioco è fatto. Sì, aprire una galleria non è affatto difficile. Il difficile è condurla. Una galleria d’arte non è esattamente un negozio. O meglio, è un negozio assai particolare, perché la merce venduta non è un bene di consumo primario, non è qualcosa di necessario alla sopravvivenza del consumatore (mi si perdoni l’epiteto). Una galleria d’arte è un luogo in cui fare business, certo, ma scegliendo con cura la merce che si intende esporre e soprattutto a chi si intende proporla. Per fare questo, è necessario che la galleria abbia un suo inconfondibile identikit, formato attraverso la scelta degli artisti che si intendono promuovere e dei critici che dovranno divulgarne la conoscenza. Insomma, una galleria è si un luogo fisico, un punto di vendita, ma è anche e soprattutto un luogo di idee, un progetto in divenire, un po’ come lo furono, negli anni Settanta, i negozi londinesi di Vivian Westwood e Malcolm McLaren. Posti in cui si formano identità culturali, osservando, discutendo, magari anche acquistando.
Personalmente ho visto aprire più di una galleria, ma raramente mi è capitato di vedere in chi si assumeva quest’onere tutti i presupposti per una buona riuscita. La K Gallery, fondata da Paolo Brazzoli e Paolo Girotti (per l’occasione ribattezzati “Beati Paoli”) nasce già con un’identità forte, che consiste nella scelta di lavorare principalmente con le nuove generazioni e, in particolare, con artisti capaci di incarnare attraverso il loro lavoro lo spirito di questo tempo. Si tratti di pittura o di fotografia, di scultura o di installazione, la scelta è caduta su una rosa di artisti la cui visibilità all’interno del sistema dell’arte sta aumentando progressivamente. In alcuni casi si tratta di artisti poco più che esordienti, in altri di artisti con un curriculum di mostre nutrito.
In questa mostra di apertura, K Gallery fornisce le linee generali della propria proposta. C’è un ampio spettro di artisti Neo Pop, da Giuseppe Veneziano a Vanni Cuoghi, da Fulvia Mendini a Mauro Ceolin, da Michael Rotondi a Eloisa Gobbo, che interpretano la contemporaneità attraverso il recupero dell’immaginario popolare, spaziando dalla cronaca al fumetto, dall’illustrazione al videogame, dalla fiaba al graphic design. Poi ci sono giovani promesse come Umberto Chiodi, Emiliano Di Mauro e Massimo Gurnari, che elaborano stili originali, rincorrendo le proprie ossessioni. C’è la fotografa australiana Sharon Green, che riflette con le sue immagini cupe e seducenti sull’identità femminile. Infine c’è Enzo Forese, un fuoriclasse, le cui opere sono colte e ironiche insieme.
Ma le novità non si esauriscono in questa prima selezione, che fa da ouverture alla stagione 2006/2007. K Gallery sta lavorando per creare un link con alcune gallerie internazionali e le sorprese non mancheranno…
Mauro Ceolin
Nato a Milano nel 1963. Vive e lavora a Milano
Mauro Ceolin è un artista multimediale, la cui ricerca, fin dal 1996, consiste nello studio delle forme estetiche delle ambientazioni videoludiche e delle realtà connesse al mondo della rete informatica. Il PC, la tavoletta grafica e la penna ottica sono gli strumenti principali utilizzati dall’artista, che attraverso un paziente lavoro di ricerca iconografica sul Web, documenta e reinterpreta l’immaginario dei media contemporanei.
Tra i suoi lavori più significativi si possono annoverare la serie di ritratti dedicati ai game designer (Gamepeople), i paesaggi tratti dai videogame (Solid Landscapes), le sculture-oggetto realizzate con le cartucce del Gameboy e le vedute dei quartieri generali delle multinazionali dell’Elettronica di Consumo e della New Economy (Promotional Landscapes). Tra gli ultimi esiti della sua ricerca, basata su un calibrato uso di strumenti digitali ed analogici, vi sono i lavori dedicati alla costruzione di una nuova araldica contemporanea, composta di simboli, loghi e personaggi del mondo dei videogame.
Umberto Chiodi
Nato a Bentivoglio. Vive e lavora a Argelato (Bo)
Umberto Chiodi mescola l’immaginario fabulistico con le suggestioni della letteratura francese fin de siecle, elaborando una versione pop e apocalittica dello stile vittoriano. Eseguite a pastello, a olio e a bistro su carta oppure su tela, i suoi lavori evocano visioni da incubo, teatrini surreali e bislacchi in cui si muovono personaggi ibridi, metà umani e metà bestiali. Come quei miniaturisti e quei frescanti gotici dalla sfrenata fantasia, Chiodi elabora sorprendenti metamorfosi, sinopie in bilico tra la tradizione dei grilli medievali e gli stilemi del Simbolismo onirico e decadente, da Odilon Redon a Aubrey Beardsley. Come gli artisti Pop Surrealisti (Mark Ryden e Marion Peck in primis), l’artista recupera i temi della Vanitas, corredandoli con un armamentario di bizzarrie contemporanee in cui uomo e macchina, carne e tecnologia danno luogo a inquietanti mutazioni. Tuttavia, l’attitudine di Chiodi al recupero di supporti antichi e di iconografie retrò, s’inquadra all’interno di una visione critica della modernità, che si oppone all’appiattimento delle iconografie mediatiche con la forza dell’immaginazione alchemica.
Vanni Cuoghi
Nato a Genova nel 1966. Vive e lavora a Milano
I lavori di Vanni Cuoghi recuperano il linguaggio formale dell’illustrazione per l’infanzia, scomodando non solo l’immaginario favolistico classico, ma anche quello dei comics supereroistici americani. Nati come esercizi di rilassamento, come “Intervalli” tra una tela e l’altra, i piccoli sketch di Cuoghi sono divenuti col tempo il lavoro principale dell’artista. In queste scene fulminee, dipinte in punta di pennello ad acquarello oppure ad acrilico su tavole di forex, l’artista ha inserito, senza pensarci troppo, tutto ciò che gli piace o lo fa sorridere. Lo ha fatto traendo spunto dalle illustrazioni dei libri di scuola e dei sussidiari, dove si trovano le immagini più bislacche e surreali, interpretando sorprendenti fatti di cronaca, ma soprattutto saccheggiando detti, proverbi e modi di dire del nostro patrimonio linguistico. Quelle rappresentate da Cuoghi, sono scene buffe o impossibili, a volte inquietanti e crudeli, ma che posseggono il dono di una lucida e tagliente ironia.
Emiliano Di Mauro
Nato a Milano nel 1978. Vive e lavora a Milano
Emiliano Di Mauro ha elaborato una pittura asciutta e sintetica, giocata su una tavolozza bi-cromatica. Ritratti di persone, descrizioni di ambienti ed oggetti quotidiani sono rappresentati per mezzo di una tecnica povera, che limita l’apporto gestuale a pochi tratti essenziali.
Tutta la ricerca dell’artista milanese è focalizzata sul rapporto dialettico tra la luce e il soggetto. L’artista, infatti, considera la tela bianca come uno spazio percettivo denso di luce. Su quest’universo compatto, già pienamente formato, Di Mauro traccia i suoi soggetti, utilizzando un pennello o, all’occorrenza, un semplice bastoncino di legno, con cui controlla le colature di colore sulla superficie immacolata.
Quella Di Emiliano di Mauro è una pittura estremamente rarefatta che - come ho già avuto modo di scrivere - ottiene il massimo effetto con il minimo apporto.
Grazie a una grammatica basilare e all’impiego di pochi strumenti, l’artista è riuscito a formulare uno stile figurativo scarno e affascinante, ma soprattutto mai banale.
Enzo Forese
Nato a Milano nel 1947. Vive e lavora a Milano
Enzo Forese è un artista vero, svincolato dai condizionamenti passeggeri del gusto e della moda. I suoi dipinti extra small, eseguiti su frammenti di carta di piccole dimensioni, sono scrigni di gemme preziose, finestre che si affacciano sui paesaggi di un mediterraneo fantastico, dove si mescolano echi della pittura di Salvo e suggestioni di matissiana memoria. Come un miniaturista medievale, Forese confina nello spazio di pochi centimetri segni precisi e colori seducenti, capaci di sprigionare folgoranti visioni poetiche. Il suo immaginario, lirico e ironico insieme, spazia dalle caste bagnanti delle Primavere alle scollacciate Pin up tanto amate dai camionisti, dalle delicate nature morte dei suoi Vasi di fiori alle multicolori geometrie disegnate su comuni pacchetti di sigarette.
Nei suoi collage come nei disegni e nei dipinti, spesso realizzati sui più umili supporti, lo stile di Forese sembra piegarsi alle necessità dell’umore, oscillando tra impulsi puristi e tentazioni ornamentali.
Eloisa Gobbo
Nata a Padova nel 1969. Vive e lavora tra Padova e Milano
Fregi e arabeschi, motivi geometrici mutuati dal visual design e dalle trame dei wallpaper, bande cromatiche di sapore Neo Geo, icone, figurine e silhouette compongono l’alfabeto visivo delle opere di Eloisa Gobbo. Un tripudio ornamentale che è il prodotto della fusione del patrimonio iconografico tradizionale e della moderna grafica, su cui, tuttavia, l’artista innesta riflessioni di stretta attualità.
Eloisa Gobbo concepisce la ricerca artistica come un tentativo di risolvere quesiti di natura esistenziale, utilizzando tecniche e media ogni volta diversi. Il suo linguaggio formale, soprattutto in passato, ha spaziato dalla pittura alla fotografia, fino all’installazione, mantenendo sempre saldo l’approccio concettuale.
Negli ultimi lavori, evoluzione dei dipinti della serie Hi and Bye incentrata sul concetto di prostituzione, l’artista utilizza il seducente linguaggio della decorazione per offrire all’osservatore messaggi dal forte impatto sociale. Così facendo, Eloisa Gobbo restituisce al termine latino decorum il suo originario significato etico.
Sharon Green
Nata a Sidney (Australia) nel 1977. Vive e lavora a Brisbane
Il lavoro fotografico di Sharon Green indaga il processo di formazione dell’identità femminile tramite immagini che alludono al difficile rapporto tra le donne e la società. Attraverso la rappresentazione di interni architettonici, nature morte e ritratti, l‘artista australiana ha elaborato uno stile suggestivo e drammatico, basato su forti contrasti chiaroscurali e su raffinati accostamenti cromatici. In particolare, Sharon Green enfatizza la qualità tattile delle superfici, delle trame dei tessuti, dei dettagli degli oggetti, usando i suoi set fotografici come metafora di un contesto storico, quello fecondo dell’epoca barocca, nel quale, a suo avviso, si sarebbe sviluppata la consapevolezza femminile. Nei suoi tableaux, le tracce e i segni della storia, come ad esempio gli abiti o i dettagli architettonici ed ornamentali, sono la testimonianza di un cambiamento, di una trasformazione delle nozioni di purezza e castità propugnate dalla Chiesa. Nelle sue foto, piene di ossimori visivi, Green racconta la nascita della nuova donna, dibattuta tra gli obblighi imposti dalle convenzioni sociali e le spinte di liberazione di una sensualità per troppo tempo repressa. Le sue eroine sono infatti preda di sentimenti contrastanti, divise tra il piacere e la paura, tra il desiderio e la ripulsa, terribilmente incerte tra orgoglio e pregiudizio, tra sesso e castità.
Massimo Gurnari
Nato a Milano nel 1981. Vive e lavora a Milano
Massimo Gurnari esordisce come writer nel 1995 con lo pseudonimo di “micro”, in seguito si accosta alla pittura elaborando uno stile che mescola elementi espressionistici, tipici della cultura del Novecento, con suggestioni Pop.
Il corpo, inteso come macchina archetipica, è il fulcro della ricerca di Gurnari, nella cui opera abbondano rappresentazioni di culturisti e pugilatori, ma anche di teschi e scheletri, elementi simbolici tradizionalmente legati al tema della Vanitas.
Lo stile dell’artista è il prodotto di un perfetto mix di suggestioni espressionistiche e di felici intuizioni Pop, che prendono corpo nel dispiegamento di una pittura ora liquida ora compatta, che alterna colature di colore alla definizione di forme nette e riserva allo sfondo il compito di organizzare lo spazio in campiture cromatiche orizzontali. Gurnari rappresenta attraverso il corpo il dramma di una potenza fittizia, di una forza muscolare destinata a un’inevitabile deriva fisiologica. Così, nelle sue opere, i corpi di forzuti energumeni sono ridotti ad impotenti busti montati su piedistalli e accanto agli animali, figure allegoriche di un’energia primigenia, compaiono pile di carne in scatola, memento mori di un’era consumistica.
Fulvia Mendini
Nata a Milano nel 1966. Vive e lavora a Milano
Fulvia Mendini si è diplomata all’Istituto Europeo del Design, dove ha studiato illustrazione e grafica. In seguito si è dedicata ad attività di progettazione nel campo della grafica, dell’editoria e dell’illustrazione prima nello studio di Michele De Lucchi, poi presso l’Atelier Mendini. Dal 1992 Fulvia Mendini ha iniziato a dipingere, approfondendo il mondo della natura e dei fiori. Il suo è un universo pittorico in cui si rintracciano molteplici influenze, dall’arte classica a quella contemporanea, dalla moda al design fino alla miniatura indiana, il tutto sapientemente mescolato in uno stile naif e raffinato allo stesso tempo. I suoi fiori, esposti nelle personali “Clorofilla” (Tad Concept Store, Roma, 2002) e “Flowering” (Showroom Roberto Musso, Milano, 2003), rappresentano un universo fiabesco in bilico tra arte pop e illustrazione per bambini. Affascinata, infatti, dall’arte del Doganiere Rousseau e di Georgia O’ Keefe, come da quella di Alex Katz e Julian Opie, Fulvia Mendini associa gli stilemi della pittura flat, limpida e lineare, con una vivace sensibilità cromatica.
Michael Rotondi
Nato a Bari nel 1977. Vive e lavora a Livorno
Michael Rotondi punta sulla commistione tra linguaggi diversi (pittura, disegno e fotografia) e sulla sovrapposizione di stilemi formali e codici antitetici per illustrare le sue bizzarre narrazioni fantastiche, frutto di una combinazione tra memorie infantili - dai cartoni animati giapponesi alle foto di famiglia - e immaginario rock contemporaneo.
Con uno stile grafico fresco e immediato, l’artista livornese racconta storie di un universo ipotetico, a metà tra realtà e science fiction, dove tutto è possibile. Così, mentre i White Stripes suonano su una vetta del Monte Bianco per un pubblico di soli UFO; un ammiraglio guida eserciti di Robot alla conquista di una città e un gruppo di aspiranti guardia marina (A.U.C.) si getta all’inseguimento di un automa impazzito che canta una canzone di Alberto Camerini. Per Rotondi, ogni quadro è come un piccolo spettacolo teatrale dove i personaggi sono marionette che imitano la vita reale.
Giuseppe Veneziano
Nato a Mazzarino (Cl) nel 1971. Vive e lavora a Milano
La pittura di Giuseppe Veneziano esplora la realtà contemporanea nel tentativo di svelare l’ambiguità dei linguaggi mediatici. Con uno stile lineare e sfacciatamente pop, erede illegittimo del fumetto di Andrea Pazienza e Filippo Scozzari, l’artista siciliano mette in scena le urgenze e le tensioni della nostra epoca selezionando dalla cronaca fatti e immagini significative. Elemento ricorrente della sua opera è l’accostamento malizioso tra personaggi differenti: in passato ha realizzato un doppio ritratto di Silvio Berlusconi e Totò Riina, mentre recentemente ha accostato l’immagine di Michael Jackson a quella di Harry Potter. Si tratta di un meccanismo figlio dello zapping televisivo, che Veneziano usa per mettere a confronto personaggi veri e di fantasia, generando una dimensione intermedia, pericolosamente in bilico tra realtà e finzione. In questa sorta di docu-fiction l’artista infila icone e simboli della società dei consumi, fatti e misfatti di questo tempo devastato e vile.
Di Ivan Quaroni
Aprire una galleria d’arte contemporanea non è affatto difficile. Può farlo chiunque abbia risorse economiche da investire e sufficiente pazienza da seguire l’iter burocratico richiesto: licenza di vendita, osservanza delle norme di sicurezza per gli spazi pubblici, agibilità degli stessi. Poi è sufficiente avere una buona mailing list, con i nomi dei possibili collezionisti, dei giornalisti, dei critici. Et voilà, il gioco è fatto. Sì, aprire una galleria non è affatto difficile. Il difficile è condurla. Una galleria d’arte non è esattamente un negozio. O meglio, è un negozio assai particolare, perché la merce venduta non è un bene di consumo primario, non è qualcosa di necessario alla sopravvivenza del consumatore (mi si perdoni l’epiteto). Una galleria d’arte è un luogo in cui fare business, certo, ma scegliendo con cura la merce che si intende esporre e soprattutto a chi si intende proporla. Per fare questo, è necessario che la galleria abbia un suo inconfondibile identikit, formato attraverso la scelta degli artisti che si intendono promuovere e dei critici che dovranno divulgarne la conoscenza. Insomma, una galleria è si un luogo fisico, un punto di vendita, ma è anche e soprattutto un luogo di idee, un progetto in divenire, un po’ come lo furono, negli anni Settanta, i negozi londinesi di Vivian Westwood e Malcolm McLaren. Posti in cui si formano identità culturali, osservando, discutendo, magari anche acquistando.
Personalmente ho visto aprire più di una galleria, ma raramente mi è capitato di vedere in chi si assumeva quest’onere tutti i presupposti per una buona riuscita. La K Gallery, fondata da Paolo Brazzoli e Paolo Girotti (per l’occasione ribattezzati “Beati Paoli”) nasce già con un’identità forte, che consiste nella scelta di lavorare principalmente con le nuove generazioni e, in particolare, con artisti capaci di incarnare attraverso il loro lavoro lo spirito di questo tempo. Si tratti di pittura o di fotografia, di scultura o di installazione, la scelta è caduta su una rosa di artisti la cui visibilità all’interno del sistema dell’arte sta aumentando progressivamente. In alcuni casi si tratta di artisti poco più che esordienti, in altri di artisti con un curriculum di mostre nutrito.
In questa mostra di apertura, K Gallery fornisce le linee generali della propria proposta. C’è un ampio spettro di artisti Neo Pop, da Giuseppe Veneziano a Vanni Cuoghi, da Fulvia Mendini a Mauro Ceolin, da Michael Rotondi a Eloisa Gobbo, che interpretano la contemporaneità attraverso il recupero dell’immaginario popolare, spaziando dalla cronaca al fumetto, dall’illustrazione al videogame, dalla fiaba al graphic design. Poi ci sono giovani promesse come Umberto Chiodi, Emiliano Di Mauro e Massimo Gurnari, che elaborano stili originali, rincorrendo le proprie ossessioni. C’è la fotografa australiana Sharon Green, che riflette con le sue immagini cupe e seducenti sull’identità femminile. Infine c’è Enzo Forese, un fuoriclasse, le cui opere sono colte e ironiche insieme.
Ma le novità non si esauriscono in questa prima selezione, che fa da ouverture alla stagione 2006/2007. K Gallery sta lavorando per creare un link con alcune gallerie internazionali e le sorprese non mancheranno…
Mauro Ceolin
Nato a Milano nel 1963. Vive e lavora a Milano
Mauro Ceolin è un artista multimediale, la cui ricerca, fin dal 1996, consiste nello studio delle forme estetiche delle ambientazioni videoludiche e delle realtà connesse al mondo della rete informatica. Il PC, la tavoletta grafica e la penna ottica sono gli strumenti principali utilizzati dall’artista, che attraverso un paziente lavoro di ricerca iconografica sul Web, documenta e reinterpreta l’immaginario dei media contemporanei.
Tra i suoi lavori più significativi si possono annoverare la serie di ritratti dedicati ai game designer (Gamepeople), i paesaggi tratti dai videogame (Solid Landscapes), le sculture-oggetto realizzate con le cartucce del Gameboy e le vedute dei quartieri generali delle multinazionali dell’Elettronica di Consumo e della New Economy (Promotional Landscapes). Tra gli ultimi esiti della sua ricerca, basata su un calibrato uso di strumenti digitali ed analogici, vi sono i lavori dedicati alla costruzione di una nuova araldica contemporanea, composta di simboli, loghi e personaggi del mondo dei videogame.
Umberto Chiodi
Nato a Bentivoglio. Vive e lavora a Argelato (Bo)
Umberto Chiodi mescola l’immaginario fabulistico con le suggestioni della letteratura francese fin de siecle, elaborando una versione pop e apocalittica dello stile vittoriano. Eseguite a pastello, a olio e a bistro su carta oppure su tela, i suoi lavori evocano visioni da incubo, teatrini surreali e bislacchi in cui si muovono personaggi ibridi, metà umani e metà bestiali. Come quei miniaturisti e quei frescanti gotici dalla sfrenata fantasia, Chiodi elabora sorprendenti metamorfosi, sinopie in bilico tra la tradizione dei grilli medievali e gli stilemi del Simbolismo onirico e decadente, da Odilon Redon a Aubrey Beardsley. Come gli artisti Pop Surrealisti (Mark Ryden e Marion Peck in primis), l’artista recupera i temi della Vanitas, corredandoli con un armamentario di bizzarrie contemporanee in cui uomo e macchina, carne e tecnologia danno luogo a inquietanti mutazioni. Tuttavia, l’attitudine di Chiodi al recupero di supporti antichi e di iconografie retrò, s’inquadra all’interno di una visione critica della modernità, che si oppone all’appiattimento delle iconografie mediatiche con la forza dell’immaginazione alchemica.
Vanni Cuoghi
Nato a Genova nel 1966. Vive e lavora a Milano
I lavori di Vanni Cuoghi recuperano il linguaggio formale dell’illustrazione per l’infanzia, scomodando non solo l’immaginario favolistico classico, ma anche quello dei comics supereroistici americani. Nati come esercizi di rilassamento, come “Intervalli” tra una tela e l’altra, i piccoli sketch di Cuoghi sono divenuti col tempo il lavoro principale dell’artista. In queste scene fulminee, dipinte in punta di pennello ad acquarello oppure ad acrilico su tavole di forex, l’artista ha inserito, senza pensarci troppo, tutto ciò che gli piace o lo fa sorridere. Lo ha fatto traendo spunto dalle illustrazioni dei libri di scuola e dei sussidiari, dove si trovano le immagini più bislacche e surreali, interpretando sorprendenti fatti di cronaca, ma soprattutto saccheggiando detti, proverbi e modi di dire del nostro patrimonio linguistico. Quelle rappresentate da Cuoghi, sono scene buffe o impossibili, a volte inquietanti e crudeli, ma che posseggono il dono di una lucida e tagliente ironia.
Emiliano Di Mauro
Nato a Milano nel 1978. Vive e lavora a Milano
Emiliano Di Mauro ha elaborato una pittura asciutta e sintetica, giocata su una tavolozza bi-cromatica. Ritratti di persone, descrizioni di ambienti ed oggetti quotidiani sono rappresentati per mezzo di una tecnica povera, che limita l’apporto gestuale a pochi tratti essenziali.
Tutta la ricerca dell’artista milanese è focalizzata sul rapporto dialettico tra la luce e il soggetto. L’artista, infatti, considera la tela bianca come uno spazio percettivo denso di luce. Su quest’universo compatto, già pienamente formato, Di Mauro traccia i suoi soggetti, utilizzando un pennello o, all’occorrenza, un semplice bastoncino di legno, con cui controlla le colature di colore sulla superficie immacolata.
Quella Di Emiliano di Mauro è una pittura estremamente rarefatta che - come ho già avuto modo di scrivere - ottiene il massimo effetto con il minimo apporto.
Grazie a una grammatica basilare e all’impiego di pochi strumenti, l’artista è riuscito a formulare uno stile figurativo scarno e affascinante, ma soprattutto mai banale.
Enzo Forese
Nato a Milano nel 1947. Vive e lavora a Milano
Enzo Forese è un artista vero, svincolato dai condizionamenti passeggeri del gusto e della moda. I suoi dipinti extra small, eseguiti su frammenti di carta di piccole dimensioni, sono scrigni di gemme preziose, finestre che si affacciano sui paesaggi di un mediterraneo fantastico, dove si mescolano echi della pittura di Salvo e suggestioni di matissiana memoria. Come un miniaturista medievale, Forese confina nello spazio di pochi centimetri segni precisi e colori seducenti, capaci di sprigionare folgoranti visioni poetiche. Il suo immaginario, lirico e ironico insieme, spazia dalle caste bagnanti delle Primavere alle scollacciate Pin up tanto amate dai camionisti, dalle delicate nature morte dei suoi Vasi di fiori alle multicolori geometrie disegnate su comuni pacchetti di sigarette.
Nei suoi collage come nei disegni e nei dipinti, spesso realizzati sui più umili supporti, lo stile di Forese sembra piegarsi alle necessità dell’umore, oscillando tra impulsi puristi e tentazioni ornamentali.
Eloisa Gobbo
Nata a Padova nel 1969. Vive e lavora tra Padova e Milano
Fregi e arabeschi, motivi geometrici mutuati dal visual design e dalle trame dei wallpaper, bande cromatiche di sapore Neo Geo, icone, figurine e silhouette compongono l’alfabeto visivo delle opere di Eloisa Gobbo. Un tripudio ornamentale che è il prodotto della fusione del patrimonio iconografico tradizionale e della moderna grafica, su cui, tuttavia, l’artista innesta riflessioni di stretta attualità.
Eloisa Gobbo concepisce la ricerca artistica come un tentativo di risolvere quesiti di natura esistenziale, utilizzando tecniche e media ogni volta diversi. Il suo linguaggio formale, soprattutto in passato, ha spaziato dalla pittura alla fotografia, fino all’installazione, mantenendo sempre saldo l’approccio concettuale.
Negli ultimi lavori, evoluzione dei dipinti della serie Hi and Bye incentrata sul concetto di prostituzione, l’artista utilizza il seducente linguaggio della decorazione per offrire all’osservatore messaggi dal forte impatto sociale. Così facendo, Eloisa Gobbo restituisce al termine latino decorum il suo originario significato etico.
Sharon Green
Nata a Sidney (Australia) nel 1977. Vive e lavora a Brisbane
Il lavoro fotografico di Sharon Green indaga il processo di formazione dell’identità femminile tramite immagini che alludono al difficile rapporto tra le donne e la società. Attraverso la rappresentazione di interni architettonici, nature morte e ritratti, l‘artista australiana ha elaborato uno stile suggestivo e drammatico, basato su forti contrasti chiaroscurali e su raffinati accostamenti cromatici. In particolare, Sharon Green enfatizza la qualità tattile delle superfici, delle trame dei tessuti, dei dettagli degli oggetti, usando i suoi set fotografici come metafora di un contesto storico, quello fecondo dell’epoca barocca, nel quale, a suo avviso, si sarebbe sviluppata la consapevolezza femminile. Nei suoi tableaux, le tracce e i segni della storia, come ad esempio gli abiti o i dettagli architettonici ed ornamentali, sono la testimonianza di un cambiamento, di una trasformazione delle nozioni di purezza e castità propugnate dalla Chiesa. Nelle sue foto, piene di ossimori visivi, Green racconta la nascita della nuova donna, dibattuta tra gli obblighi imposti dalle convenzioni sociali e le spinte di liberazione di una sensualità per troppo tempo repressa. Le sue eroine sono infatti preda di sentimenti contrastanti, divise tra il piacere e la paura, tra il desiderio e la ripulsa, terribilmente incerte tra orgoglio e pregiudizio, tra sesso e castità.
Massimo Gurnari
Nato a Milano nel 1981. Vive e lavora a Milano
Massimo Gurnari esordisce come writer nel 1995 con lo pseudonimo di “micro”, in seguito si accosta alla pittura elaborando uno stile che mescola elementi espressionistici, tipici della cultura del Novecento, con suggestioni Pop.
Il corpo, inteso come macchina archetipica, è il fulcro della ricerca di Gurnari, nella cui opera abbondano rappresentazioni di culturisti e pugilatori, ma anche di teschi e scheletri, elementi simbolici tradizionalmente legati al tema della Vanitas.
Lo stile dell’artista è il prodotto di un perfetto mix di suggestioni espressionistiche e di felici intuizioni Pop, che prendono corpo nel dispiegamento di una pittura ora liquida ora compatta, che alterna colature di colore alla definizione di forme nette e riserva allo sfondo il compito di organizzare lo spazio in campiture cromatiche orizzontali. Gurnari rappresenta attraverso il corpo il dramma di una potenza fittizia, di una forza muscolare destinata a un’inevitabile deriva fisiologica. Così, nelle sue opere, i corpi di forzuti energumeni sono ridotti ad impotenti busti montati su piedistalli e accanto agli animali, figure allegoriche di un’energia primigenia, compaiono pile di carne in scatola, memento mori di un’era consumistica.
Fulvia Mendini
Nata a Milano nel 1966. Vive e lavora a Milano
Fulvia Mendini si è diplomata all’Istituto Europeo del Design, dove ha studiato illustrazione e grafica. In seguito si è dedicata ad attività di progettazione nel campo della grafica, dell’editoria e dell’illustrazione prima nello studio di Michele De Lucchi, poi presso l’Atelier Mendini. Dal 1992 Fulvia Mendini ha iniziato a dipingere, approfondendo il mondo della natura e dei fiori. Il suo è un universo pittorico in cui si rintracciano molteplici influenze, dall’arte classica a quella contemporanea, dalla moda al design fino alla miniatura indiana, il tutto sapientemente mescolato in uno stile naif e raffinato allo stesso tempo. I suoi fiori, esposti nelle personali “Clorofilla” (Tad Concept Store, Roma, 2002) e “Flowering” (Showroom Roberto Musso, Milano, 2003), rappresentano un universo fiabesco in bilico tra arte pop e illustrazione per bambini. Affascinata, infatti, dall’arte del Doganiere Rousseau e di Georgia O’ Keefe, come da quella di Alex Katz e Julian Opie, Fulvia Mendini associa gli stilemi della pittura flat, limpida e lineare, con una vivace sensibilità cromatica.
Michael Rotondi
Nato a Bari nel 1977. Vive e lavora a Livorno
Michael Rotondi punta sulla commistione tra linguaggi diversi (pittura, disegno e fotografia) e sulla sovrapposizione di stilemi formali e codici antitetici per illustrare le sue bizzarre narrazioni fantastiche, frutto di una combinazione tra memorie infantili - dai cartoni animati giapponesi alle foto di famiglia - e immaginario rock contemporaneo.
Con uno stile grafico fresco e immediato, l’artista livornese racconta storie di un universo ipotetico, a metà tra realtà e science fiction, dove tutto è possibile. Così, mentre i White Stripes suonano su una vetta del Monte Bianco per un pubblico di soli UFO; un ammiraglio guida eserciti di Robot alla conquista di una città e un gruppo di aspiranti guardia marina (A.U.C.) si getta all’inseguimento di un automa impazzito che canta una canzone di Alberto Camerini. Per Rotondi, ogni quadro è come un piccolo spettacolo teatrale dove i personaggi sono marionette che imitano la vita reale.
Giuseppe Veneziano
Nato a Mazzarino (Cl) nel 1971. Vive e lavora a Milano
La pittura di Giuseppe Veneziano esplora la realtà contemporanea nel tentativo di svelare l’ambiguità dei linguaggi mediatici. Con uno stile lineare e sfacciatamente pop, erede illegittimo del fumetto di Andrea Pazienza e Filippo Scozzari, l’artista siciliano mette in scena le urgenze e le tensioni della nostra epoca selezionando dalla cronaca fatti e immagini significative. Elemento ricorrente della sua opera è l’accostamento malizioso tra personaggi differenti: in passato ha realizzato un doppio ritratto di Silvio Berlusconi e Totò Riina, mentre recentemente ha accostato l’immagine di Michael Jackson a quella di Harry Potter. Si tratta di un meccanismo figlio dello zapping televisivo, che Veneziano usa per mettere a confronto personaggi veri e di fantasia, generando una dimensione intermedia, pericolosamente in bilico tra realtà e finzione. In questa sorta di docu-fiction l’artista infila icone e simboli della società dei consumi, fatti e misfatti di questo tempo devastato e vile.
29
settembre 2006
K to your heart
Dal 29 settembre al 29 ottobre 2006
arte contemporanea
Location
KGALLERY ARTE CONTEMPORANEA
Legnano, Piazza Europa, 15, (Milano)
Legnano, Piazza Europa, 15, (Milano)
Orario di apertura
dal giovedì al sabato, dalle 16.30 alle 19.30 e su appuntamento
Vernissage
29 Settembre 2006, ore 19
Autore
Curatore