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Kanako Noda – In Anti Camera
La poetica dell’artista si incentra, in questa mostra, sul dialogo dell’ambiguità, nella fattispecie l’ambiguità dei luoghi. Una grande installazione in carta di riso occupa la parte centrale della galleria, creando un luogo nel luogo, dove il limite sottile delle pareti è un forte confine psichico.
Comunicato stampa
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Sabato 5 marzo 2011 la BT’F gallery di Bologna inaugura la mostra personale di Kanako Noda “In anti camera”, a cura di Marta Papini, Marco Aion Mangani e Giacomo Lion.
Architetto nell’etimo è la fusione dei due termini greci arché (che serve a denotare superiorità, preminenza, eccellenza ) e tek-ton (colui che crea).
La parola “architetto” ha in sé dunque, nella radice, direi, archetipica del termine
da una parte alcune delle qualifiche prominenti che l’uomo ha da sempre associato alle divinità uraniche, dall’altra a quelle del creatore, del poietes.
L’architetto è il Creatore Supremo.
È colui che costruisce i luoghi, i significanti del reale.
Nel momento in cui si accede ad un luogo si è in qualche modo nel mitico, in una sede, cioè, da cui la in-differenziazione del profano è esclusa in-vece della singolarizzazione ad opera del sacro.
Si entra in contatto con i princìpi originari dell’esistenza.
Cessa la de-soggettivazione dei significanti per abdicare il seggio al mitico, all’elevato, in un tempo altro, in illo tempore, un tempo che fu, o sarà mai stato, all’origine e fine delle cose.
È il medesimo della Creazione, in cui passato e futuro convergono in un presente panico.
È una meditazione da e per la funzione del sacro, quella che si esplica nelle opere di Kanako Noda e che si dichiara, soprattutto in opere come “Casa quattro e mezzo” nei termini di un dialogo sull’identità, sui suoi limiti, sulle sue dis-funzioni.
Lo spazio in-definito della sua poetica non è uno di quelli asserviti ai confini tangibili: si rivela nei principi psichici più che corporei.
E’ un luogo emotivamente mentale, così come tutti quelli ospiti della teofania, che si proietta in un altrove, spaziale e temporale.
Necessita di una partecipazione, mistica o meno.
Chiede la responsabilità dell’esistenza, un principio determinato, nel luogo ontologico-sacrale, lì dove presumibilmente si cela il più alto grado (o forse l’unico) del reale.
Marco Aion Mangani
“Sono sempre stata affascinata dagli spazi ambigui, dove non puoi distinguere chiaramente l’interno dall’esterno.
Le abitazioni tradizionali giapponesi sono solite giocare con questo tipo di ambiguità, rimanendosi aperte all’esterno e in modi diversi.
Le residenze aristocratiche private degli shoji (le note pareti in carta e legno, ndt) durante la bella stagione permettono di affacciarsi sul giardino esterno, permettendo di apprezzare la bellezza dell’esterno dall’interno.
Sebbene il confine tra l’interno e l’esterno sia vago le persone riescono comunque a vivere la loro intimità e a mantenere la loro privacy.
In Giappone la linea che separa il dentro e il fuori è più una barriera psicologica che fisica.
A volte un solo drappeggio è più che sufficiente; il rispetto della privacy è implicito.
A volte questa fragile barriera funziona meglio di un forte muro di mattoni.
Si può vedere questo principio in opera negli Emakimono, rotoli di pergamene illustrate del XI secolo.
Questi mostrano, da una prospettiva aerea, scene di vita vissute all’interno di abitazioni, normalmente tratte dal romanzo Storia di Genji, dove i nobili siedono, parlano, suonano, leggono poemi e vivono le loro avventure amorose mentre al contempo sono separati da queste evanescenti pareti divisorie.
In questo mondo un muro e una barriera ma non un ostacolo:
puoi non vedere l’altro ma sentirai la sua presenza.”
Kanako Noda
Architetto nell’etimo è la fusione dei due termini greci arché (che serve a denotare superiorità, preminenza, eccellenza ) e tek-ton (colui che crea).
La parola “architetto” ha in sé dunque, nella radice, direi, archetipica del termine
da una parte alcune delle qualifiche prominenti che l’uomo ha da sempre associato alle divinità uraniche, dall’altra a quelle del creatore, del poietes.
L’architetto è il Creatore Supremo.
È colui che costruisce i luoghi, i significanti del reale.
Nel momento in cui si accede ad un luogo si è in qualche modo nel mitico, in una sede, cioè, da cui la in-differenziazione del profano è esclusa in-vece della singolarizzazione ad opera del sacro.
Si entra in contatto con i princìpi originari dell’esistenza.
Cessa la de-soggettivazione dei significanti per abdicare il seggio al mitico, all’elevato, in un tempo altro, in illo tempore, un tempo che fu, o sarà mai stato, all’origine e fine delle cose.
È il medesimo della Creazione, in cui passato e futuro convergono in un presente panico.
È una meditazione da e per la funzione del sacro, quella che si esplica nelle opere di Kanako Noda e che si dichiara, soprattutto in opere come “Casa quattro e mezzo” nei termini di un dialogo sull’identità, sui suoi limiti, sulle sue dis-funzioni.
Lo spazio in-definito della sua poetica non è uno di quelli asserviti ai confini tangibili: si rivela nei principi psichici più che corporei.
E’ un luogo emotivamente mentale, così come tutti quelli ospiti della teofania, che si proietta in un altrove, spaziale e temporale.
Necessita di una partecipazione, mistica o meno.
Chiede la responsabilità dell’esistenza, un principio determinato, nel luogo ontologico-sacrale, lì dove presumibilmente si cela il più alto grado (o forse l’unico) del reale.
Marco Aion Mangani
“Sono sempre stata affascinata dagli spazi ambigui, dove non puoi distinguere chiaramente l’interno dall’esterno.
Le abitazioni tradizionali giapponesi sono solite giocare con questo tipo di ambiguità, rimanendosi aperte all’esterno e in modi diversi.
Le residenze aristocratiche private degli shoji (le note pareti in carta e legno, ndt) durante la bella stagione permettono di affacciarsi sul giardino esterno, permettendo di apprezzare la bellezza dell’esterno dall’interno.
Sebbene il confine tra l’interno e l’esterno sia vago le persone riescono comunque a vivere la loro intimità e a mantenere la loro privacy.
In Giappone la linea che separa il dentro e il fuori è più una barriera psicologica che fisica.
A volte un solo drappeggio è più che sufficiente; il rispetto della privacy è implicito.
A volte questa fragile barriera funziona meglio di un forte muro di mattoni.
Si può vedere questo principio in opera negli Emakimono, rotoli di pergamene illustrate del XI secolo.
Questi mostrano, da una prospettiva aerea, scene di vita vissute all’interno di abitazioni, normalmente tratte dal romanzo Storia di Genji, dove i nobili siedono, parlano, suonano, leggono poemi e vivono le loro avventure amorose mentre al contempo sono separati da queste evanescenti pareti divisorie.
In questo mondo un muro e una barriera ma non un ostacolo:
puoi non vedere l’altro ma sentirai la sua presenza.”
Kanako Noda
05
marzo 2011
Kanako Noda – In Anti Camera
Dal 05 al 30 marzo 2011
arte contemporanea
giovane arte
giovane arte
Location
BT’F ART GALLERY
Bologna, Via Castiglione, 35, (Bologna)
Bologna, Via Castiglione, 35, (Bologna)
Orario di apertura
Da lunedì a venerdì 16-19
Vernissage
5 Marzo 2011, ore 19.30
Autore
Curatore