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Katia Margolis – Walk in Progress
Mostra personale
Comunicato stampa
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"Come scrive Jurij Lotman, la cultura può essere intesa come l’insieme dell’informazione non genetica, come la memoria non ereditaria dell’umanità che acquisisce contenuto conservando e accumulando informazioni. La lotta per la memoria è imprescindibile dalla storia intellettuale dell’umanità, tant’è vero che la distruzione di una cultura si manifesta anzitutto con la distruzione della memoria, con l’annientamento dei testi, con l’oblio dei nessi.
La parola chiave di Walk in Progress di Katia Margolis è proprio ‘memoria’, concetto sul quale l’artista si concentra per comprendere quale sia il rapporto tra passato e futuro e quale sia il ruolo dei ricordi nella costruzione dell’identità individuale e collettiva. Si potrebbe dire che Katia Margolis riesca a passare dalla “cultura della memoria“ alla “cultura dell’attenzione”; un’attenzione verso “il piccolo”, che da sempre caratterizza le sue creazioni, dove l’attrazione di ciò che sembra inesprimibile, ineffabile, indicibile – si sarebbe tentati di scrivere ‘invisibile’ – è sempre più forte…
....Colte dallo sguardo nella loro interezza – o in qualche loro dettaglio – le cose si vedono restituito il significato primario: perdono il loro significato palese, vengono trasferite in un’altra dimensione e si elevano nel rango compositivo e, perciò, semantico: non mere rappresentazioni, ma designazioni di luogo, portatrici di esistenza non dichiarata, sottintesa.
Estrapolati dai legami funzionali, gli oggetti intrattengono rapporti che sono il risultato di una composizione. Perciò l’immagine contiene in sé un’informazione (consapevole crittogramma o inconsapevole traccia lasciata).
Assenza, impercettibilità, neutralità. Non è il vuoto, tuttavia, a essere un elemento costitutivo, bensì il pieno. Niente bianco che allude al vuoto in queste tele, bensì colore che si raggruma e si fa materia viva e pulsante: barbagli di carta; guizzi di segni grafici, indizi di una storia che viene da lontano, bisbigli, gocce, strappi, addii. E tutto mediato dal colore, che esplode potente nelle tele (la tradizione pittorica russa privilegia da sempre il colore, non il segno). La pennellata è vigorosa, libera, quasi autosufficiente, non più costretta nella linea: si espande, cresce. Insomma, vive."
Silvia Burini
Katia Margolis
Walk in Progress
Questa è una mostra dei volti cari che non si vedono più, ma che si rivelano attraverso le cose visibili di ogni giorno. Questa è una mostra delle voci amate che non si intendono bene, ma che parlano attraverso spazi e silenzi. Questa è una mostra della luce che entra anche attraverso ferite aperte. È una mostra dell’inverso delle cose e degli eventi il cui senso è ancora oscuro. Dei segni della presenza. Delle gocce di cera che cadono sulla superficie di un tavolo. Una mostra dei paesaggi interiori, della memoria che lì fa crescere i propri semi, dei colori semplici da trovare sotto i piedi, camminando per la terra congelata di un campo di novembre o, per quello stesso campo, tra i rigagnoli che riflettono gli ampi cieli d’aprile. È una mostra di attesa in cammino.
Katia Margolis
***
Silvia Burini
Come scrive Jurij Lotman, la cultura può essere intesa come l’insieme dell’informazione non genetica, come la memoria non ereditaria dell’umanità che acquisisce contenuto conservando e accumulando informazioni. La lotta per la memoria è imprescindibile dalla storia intellettuale dell’umanità, tant’è vero che la distruzione di una cultura si manifesta anzitutto con la distruzione della memoria, con l’annientamento dei testi, con l’oblio dei nessi.
La parola chiave di Walk in Progress di Katia Margolis è proprio ‘memoria’, concetto sul quale l’artista si concentra per comprendere quale sia il rapporto tra passato e futuro e quale sia il ruolo dei ricordi nella costruzione dell’identità individuale e collettiva. Si potrebbe dire che Katia Margolis riesca a passare dalla “cultura della memoria“ alla “cultura dell’attenzione”; un’attenzione verso “il piccolo”, che da sempre caratterizza le sue creazioni, dove l’attrazione di ciò che sembra inesprimibile, ineffabile, indicibile – si sarebbe tentati di scrivere ‘invisibile’ – è sempre più forte…
Anche in questa mostra le opere di Katia Margolis dischiudono allo spettatore l’incanto del mondo quotidiano, ma non così come esso appare all’occhio in un preciso attimo: sono piuttosto tracce, segni, evocazioni, come a dire che il mondo è un testo che dobbiamo imparare a leggere attraverso gli occhi dell’artista, il cui sguardo non è mai casuale, bensì “disciplinato” da una sorta di premonizione che si avvale di minimi accorgimenti, così che la “sorpresa” non sia del tutto tale quando si affaccia quel “qualcosa” che il pittore registra. Nessuna distrazione, quindi, ma acuita concentrazione alleata con il suo apparente nemico: l’incanto. Vedere non è solo gesto attivo, ma anche passivo, sembra dirci Katia Margolis, che sa farsi possedere dall’immagine, ma anche filtrarla e trasmetterla mediata dall’occhio che trasfigura e “deconsuetizza” il quotidiano: laddove uno sguardo non lo svelerebbe, il gesto artistico della artista “ri-vela”.
Traspare, mai banalmente, l’ossatura delle cose dalle opere di Katia Margolis, che rincorre sollecita una specie di ordine primordiale dell’universo “riposatosi” nell’occhio, ma in movimento. La passeggiata, quindi, con i suoi appunti visivi dove vivi e morti coesistono come in un quadro di Chagall, con pari naturalezza, quasi che appartenessero allo stesso mondo. Non li vediamo distintamente, ma baluginano nelle cose amate, vissute e rese eterne dallo sguardo dell’artista: piccole nature morte, un bicchiere, un cucchiaino, una mela, ma anche – per contrasto – squarci sul cielo infinito, spazi che spirano un vento di voci perdute, ma presenti. Katia Margolis guarda le cose con occhio straniante: alcuni oggetti è come se venissero scelti per “imparare” a vedere il mondo. Le nature morte diventano una specie di esercizio di nominazione e l’artista, novello Adamo, dà un nome agli oggetti impressisi sulla retina come se fosse la prima volta. Per Katia Margolis il mondo oggettuale rappresenta un vero e proprio universo, un mondo a sé dotato di vita interiore, con oggetti che interagiscono, comunicano nella loro lingua di oggetti; nello stesso tempo sono memorabilia di coloro che più non sono, eppure sono.
Colte dallo sguardo nella loro interezza – o in qualche loro dettaglio – le cose si vedono restituito il significato primario: perdono il loro significato palese, vengono trasferite in un’altra dimensione e si elevano nel rango compositivo e, perciò, semantico: non mere rappresentazioni, ma designazioni di luogo, portatrici di esistenza non dichiarata, sottintesa.
Estrapolati dai legami funzionali, gli oggetti intrattengono rapporti che sono il risultato di una composizione. Perciò l’immagine contiene in sé un’informazione (consapevole crittogramma o inconsapevole traccia lasciata).
Assenza, impercettibilità, neutralità. Non è il vuoto, tuttavia, a essere un elemento costitutivo, bensì il pieno. Niente bianco che allude al vuoto in queste tele, bensì colore che si raggruma e si fa materia viva e pulsante: barbagli di carta; guizzi di segni grafici, indizi di una storia che viene da lontano, bisbigli, gocce, strappi, addii. E tutto mediato dal colore, che esplode potente nelle tele (la tradizione pittorica russa privilegia da sempre il colore, non il segno). La pennellata è vigorosa, libera, quasi autosufficiente, non più costretta nella linea: si espande, cresce. Insomma, vive.
Silvia Burini
La parola chiave di Walk in Progress di Katia Margolis è proprio ‘memoria’, concetto sul quale l’artista si concentra per comprendere quale sia il rapporto tra passato e futuro e quale sia il ruolo dei ricordi nella costruzione dell’identità individuale e collettiva. Si potrebbe dire che Katia Margolis riesca a passare dalla “cultura della memoria“ alla “cultura dell’attenzione”; un’attenzione verso “il piccolo”, che da sempre caratterizza le sue creazioni, dove l’attrazione di ciò che sembra inesprimibile, ineffabile, indicibile – si sarebbe tentati di scrivere ‘invisibile’ – è sempre più forte…
....Colte dallo sguardo nella loro interezza – o in qualche loro dettaglio – le cose si vedono restituito il significato primario: perdono il loro significato palese, vengono trasferite in un’altra dimensione e si elevano nel rango compositivo e, perciò, semantico: non mere rappresentazioni, ma designazioni di luogo, portatrici di esistenza non dichiarata, sottintesa.
Estrapolati dai legami funzionali, gli oggetti intrattengono rapporti che sono il risultato di una composizione. Perciò l’immagine contiene in sé un’informazione (consapevole crittogramma o inconsapevole traccia lasciata).
Assenza, impercettibilità, neutralità. Non è il vuoto, tuttavia, a essere un elemento costitutivo, bensì il pieno. Niente bianco che allude al vuoto in queste tele, bensì colore che si raggruma e si fa materia viva e pulsante: barbagli di carta; guizzi di segni grafici, indizi di una storia che viene da lontano, bisbigli, gocce, strappi, addii. E tutto mediato dal colore, che esplode potente nelle tele (la tradizione pittorica russa privilegia da sempre il colore, non il segno). La pennellata è vigorosa, libera, quasi autosufficiente, non più costretta nella linea: si espande, cresce. Insomma, vive."
Silvia Burini
Katia Margolis
Walk in Progress
Questa è una mostra dei volti cari che non si vedono più, ma che si rivelano attraverso le cose visibili di ogni giorno. Questa è una mostra delle voci amate che non si intendono bene, ma che parlano attraverso spazi e silenzi. Questa è una mostra della luce che entra anche attraverso ferite aperte. È una mostra dell’inverso delle cose e degli eventi il cui senso è ancora oscuro. Dei segni della presenza. Delle gocce di cera che cadono sulla superficie di un tavolo. Una mostra dei paesaggi interiori, della memoria che lì fa crescere i propri semi, dei colori semplici da trovare sotto i piedi, camminando per la terra congelata di un campo di novembre o, per quello stesso campo, tra i rigagnoli che riflettono gli ampi cieli d’aprile. È una mostra di attesa in cammino.
Katia Margolis
***
Silvia Burini
Come scrive Jurij Lotman, la cultura può essere intesa come l’insieme dell’informazione non genetica, come la memoria non ereditaria dell’umanità che acquisisce contenuto conservando e accumulando informazioni. La lotta per la memoria è imprescindibile dalla storia intellettuale dell’umanità, tant’è vero che la distruzione di una cultura si manifesta anzitutto con la distruzione della memoria, con l’annientamento dei testi, con l’oblio dei nessi.
La parola chiave di Walk in Progress di Katia Margolis è proprio ‘memoria’, concetto sul quale l’artista si concentra per comprendere quale sia il rapporto tra passato e futuro e quale sia il ruolo dei ricordi nella costruzione dell’identità individuale e collettiva. Si potrebbe dire che Katia Margolis riesca a passare dalla “cultura della memoria“ alla “cultura dell’attenzione”; un’attenzione verso “il piccolo”, che da sempre caratterizza le sue creazioni, dove l’attrazione di ciò che sembra inesprimibile, ineffabile, indicibile – si sarebbe tentati di scrivere ‘invisibile’ – è sempre più forte…
Anche in questa mostra le opere di Katia Margolis dischiudono allo spettatore l’incanto del mondo quotidiano, ma non così come esso appare all’occhio in un preciso attimo: sono piuttosto tracce, segni, evocazioni, come a dire che il mondo è un testo che dobbiamo imparare a leggere attraverso gli occhi dell’artista, il cui sguardo non è mai casuale, bensì “disciplinato” da una sorta di premonizione che si avvale di minimi accorgimenti, così che la “sorpresa” non sia del tutto tale quando si affaccia quel “qualcosa” che il pittore registra. Nessuna distrazione, quindi, ma acuita concentrazione alleata con il suo apparente nemico: l’incanto. Vedere non è solo gesto attivo, ma anche passivo, sembra dirci Katia Margolis, che sa farsi possedere dall’immagine, ma anche filtrarla e trasmetterla mediata dall’occhio che trasfigura e “deconsuetizza” il quotidiano: laddove uno sguardo non lo svelerebbe, il gesto artistico della artista “ri-vela”.
Traspare, mai banalmente, l’ossatura delle cose dalle opere di Katia Margolis, che rincorre sollecita una specie di ordine primordiale dell’universo “riposatosi” nell’occhio, ma in movimento. La passeggiata, quindi, con i suoi appunti visivi dove vivi e morti coesistono come in un quadro di Chagall, con pari naturalezza, quasi che appartenessero allo stesso mondo. Non li vediamo distintamente, ma baluginano nelle cose amate, vissute e rese eterne dallo sguardo dell’artista: piccole nature morte, un bicchiere, un cucchiaino, una mela, ma anche – per contrasto – squarci sul cielo infinito, spazi che spirano un vento di voci perdute, ma presenti. Katia Margolis guarda le cose con occhio straniante: alcuni oggetti è come se venissero scelti per “imparare” a vedere il mondo. Le nature morte diventano una specie di esercizio di nominazione e l’artista, novello Adamo, dà un nome agli oggetti impressisi sulla retina come se fosse la prima volta. Per Katia Margolis il mondo oggettuale rappresenta un vero e proprio universo, un mondo a sé dotato di vita interiore, con oggetti che interagiscono, comunicano nella loro lingua di oggetti; nello stesso tempo sono memorabilia di coloro che più non sono, eppure sono.
Colte dallo sguardo nella loro interezza – o in qualche loro dettaglio – le cose si vedono restituito il significato primario: perdono il loro significato palese, vengono trasferite in un’altra dimensione e si elevano nel rango compositivo e, perciò, semantico: non mere rappresentazioni, ma designazioni di luogo, portatrici di esistenza non dichiarata, sottintesa.
Estrapolati dai legami funzionali, gli oggetti intrattengono rapporti che sono il risultato di una composizione. Perciò l’immagine contiene in sé un’informazione (consapevole crittogramma o inconsapevole traccia lasciata).
Assenza, impercettibilità, neutralità. Non è il vuoto, tuttavia, a essere un elemento costitutivo, bensì il pieno. Niente bianco che allude al vuoto in queste tele, bensì colore che si raggruma e si fa materia viva e pulsante: barbagli di carta; guizzi di segni grafici, indizi di una storia che viene da lontano, bisbigli, gocce, strappi, addii. E tutto mediato dal colore, che esplode potente nelle tele (la tradizione pittorica russa privilegia da sempre il colore, non il segno). La pennellata è vigorosa, libera, quasi autosufficiente, non più costretta nella linea: si espande, cresce. Insomma, vive.
Silvia Burini
13
febbraio 2010
Katia Margolis – Walk in Progress
Dal 13 febbraio al 06 marzo 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA S. EUFEMIA
Venezia, Giudecca, 597, (Venezia)
Venezia, Giudecca, 597, (Venezia)
Orario di apertura
Lu - Sa. 15.00 - 18.30
Vernissage
13 Febbraio 2010, ore 18.30
Autore