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Keith Haring – Irriverenza Indecenza Innocenza
Omaggio a Keith Haring dalla collezione privata Rosini Gutman
Comunicato stampa
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Quando nel 1984 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna arrivò la mostra “Arte di frontiera. New York Graffiti”, si notarono per le strade del centro personaggi bizzarri portatori di uno stile nuovo.
Si trattava infatti di un gruppo di talenti dell’uptown newyorkese invitati all’ombra delle Due Torri dalla critica d’arte e professoressa del Dams Francesca Alinovi, che non vide mai la sua mostra realizzata, perché fu uccisa l’anno prima, come le cronache ci raccontano.
I loro nomi erano Keith Haring, Basquiat, Futura 2000, Quinones, Rammelzee. Allora stavano crescendo, oggi sono diventati icone, come del resto è toccato al loro verbo, il graffito. Ma a quei tempi la bomboletta stava ancora avanzando sia nell’immaginario collettivo, sia nell’olimpo delle gallerie. Dalla strada cominciava ad entrare nei templi dell’arte, sconvolgendo le regole del gioco. E dando corpo a un sogno: la cultura bassa scuoteva quella alta e infrangeva i punti di vista dati per certi. A rifletterci bene il dibattito sui contesti e le sedi è ancora aperto per molti artisti di questo ambito, ma forse è proprio così che va con una forma culturale destabilizzante.
Nel 1984, sempre a Bologna, era più che mai attivo il salone da parrucchiere di Marco Zanardi, che dal 1978, da quando aveva deciso di lasciare Milano, si era dato nome Orea Malià, aprendo in via Ugo Bassi, dove solo un anno prima avanzavano i carri armati contro gli studenti.
Dalla sua bottega, frequentata da artisti coetanei quali Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza e amata da Francesca Alinovi che qui scolpiva il suo famoso taglio, anche Orea Malià infrangeva i codici e devastava la tradizione, eliminando i caschi per signora e sostituendo un lascito del dopoguerra con il phon e il tocco umano per realizzare messe in piega impeccabili ma anche carré teutonici, ciuffi, creste, rasature estreme e colorare i capelli dell’arcobaleno.
Proprio in quell’anno, il caso volle che da Orea arrivasse un ragazzo -accompagnato da alcuni rapper del giro di Afrika Bambaataa - che apprezzò molto il salone e lasciò la sua firma sul muro precedentemente affrescato in puro stile postmoderno, da Fabrizio Passarella. Marco, all’epoca, non sapeva si trattasse di Jean-Michel Basquiat, già pupillo di Warhol, arrivato al salone su suggerimento di un comune amico. Quella scritta quindi, sfuggì all’archiviazione e al tempo o meglio, in puro stile graffiti, fu ricoperta da altri strati di libera espressione pittorica. SE andassimo a grattare il muro adesso…forse…. E comunque nel cuore di Marco Orea Malià, questo è sempre stato un cruccio. Soprattutto vista la sua curiosità per il nuovo, il poco conosciuto, lo sconosciutissimo: è cosa nota, infatti, che vari clienti gli abbiano pagato i tagli in opere, non avendo molti soldi. E tra questi anche un Cattelan agli inizi.
Il negozio Orea Malià è stato, fin dalla sua origine, concepito come una galleria d’arte. Con pareti invase da poesia e visione in continua mutazione. C’è stato anche un momento, proprio in quegli anni Ottanta così carichi di stimoli, in cui Marco ha cercato di imitare lo stile Haring. Perché era proprio lui, con i suoi collaboratori, che si occupava del decor in negozio. Il che succede tuttora. Ma del resto, che altro poteva fare se non citare la sua stessa generazione? Se non dar spazio a quel germe creativo che correva nel sangue dei ragazzi di quegli anni Ottanta? Haring 1958, Basquait 1960, Orea Malià 1955. Di mezzo migliaia di chilometri, un paio di forbici invece di una bomboletta, ma assolutamente la stessa visione. E’ un dato di fatto e finalmente, a 33 anni dalla nascita del marchio, per Marco Zanardi si chiude un cerchio e si realizza il sogno di una vita.
Preannunciato lo scorso anno dalle mostre allestite in negozio durante Arte Fiera e curate da Beatrice Baccarani e Hansy Lumen, “Fake To Fake” in collaborazione col fotografo Giovanni Bortolani e “Drive me to hell”, alleanza con gli artisti Federico Ajello e Emmanuel Signorino, si concretizza quest’anno il progetto OreArt, che sarà tenuto a battesimo dall’esposizione IRRIVERENZA__INDECENZA__INNOCENZA. Omaggio a Keith Haring. Collezione Rosini Gutman, dal 29 gennaio 2011.
Una mostra per tre ambienti: il salone, cuore solare, ospiterà 50 opere di Haring, (serigrafie e litografie provenienti dalla galleria di Napoli di Lucio Amelio e da quella newyorkese di Tony Shafrazi) aprendosi con l’opera dedicata alla lotta all’Apartheid. La “sala scura”, ovvero la sala d’aspetto e di intrattenimento per i clienti, diventerà una teca in cui raccogliere 8 opere erotiche di grandissima ironia. E poi la terza dimensione, la facciata del palazzo di fronte a quello di Orea Malià: qui le creazioni “antropomorfe” di Haring acquisteranno vita grazie al lavoro di animazione del collettivo Hansy Lumen e vedremo storie da tempo narrate, con occhi nuovi, però.
“Sconfinamenti”, “incursioni oltre gli spazi predefiniti”: modi di dire cari alla cultura alternativa di quegli anni Ottanta, che davvero Orea Malià ha saputo fare suoi, predicando un verbo tricologico oltre le generazioni e le apparenze, mandate continuamente in corto circuito. E appropriandosi, con garbo e riconoscenza, di alcune citazioni…diventate filosofia di vita.
Diceva Keith Haring: “Se cerco di modellare la mia vita su quello di qualcun altro, finisco per sprecarla riproducendo le cose per puro e vacuo spirito di accettazione. Ma se vivo la vita a modo mio e faccio in modo che gli altri artisti mi influenzino solo come riferimenti esterni o come punti di partenza, posso costruire una consapevolezza ancora maggiore, invece di restarmene qui inattivo”.
Diceva Francesca Alinovi: “Liberi da tendenze e da stili, da impostazioni schematiche e da schiavitù tecniche gli artisti, oggi, fanno ciò che vogliono e, vorrei aggiungere, possono fare tutto".
Si trattava infatti di un gruppo di talenti dell’uptown newyorkese invitati all’ombra delle Due Torri dalla critica d’arte e professoressa del Dams Francesca Alinovi, che non vide mai la sua mostra realizzata, perché fu uccisa l’anno prima, come le cronache ci raccontano.
I loro nomi erano Keith Haring, Basquiat, Futura 2000, Quinones, Rammelzee. Allora stavano crescendo, oggi sono diventati icone, come del resto è toccato al loro verbo, il graffito. Ma a quei tempi la bomboletta stava ancora avanzando sia nell’immaginario collettivo, sia nell’olimpo delle gallerie. Dalla strada cominciava ad entrare nei templi dell’arte, sconvolgendo le regole del gioco. E dando corpo a un sogno: la cultura bassa scuoteva quella alta e infrangeva i punti di vista dati per certi. A rifletterci bene il dibattito sui contesti e le sedi è ancora aperto per molti artisti di questo ambito, ma forse è proprio così che va con una forma culturale destabilizzante.
Nel 1984, sempre a Bologna, era più che mai attivo il salone da parrucchiere di Marco Zanardi, che dal 1978, da quando aveva deciso di lasciare Milano, si era dato nome Orea Malià, aprendo in via Ugo Bassi, dove solo un anno prima avanzavano i carri armati contro gli studenti.
Dalla sua bottega, frequentata da artisti coetanei quali Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza e amata da Francesca Alinovi che qui scolpiva il suo famoso taglio, anche Orea Malià infrangeva i codici e devastava la tradizione, eliminando i caschi per signora e sostituendo un lascito del dopoguerra con il phon e il tocco umano per realizzare messe in piega impeccabili ma anche carré teutonici, ciuffi, creste, rasature estreme e colorare i capelli dell’arcobaleno.
Proprio in quell’anno, il caso volle che da Orea arrivasse un ragazzo -accompagnato da alcuni rapper del giro di Afrika Bambaataa - che apprezzò molto il salone e lasciò la sua firma sul muro precedentemente affrescato in puro stile postmoderno, da Fabrizio Passarella. Marco, all’epoca, non sapeva si trattasse di Jean-Michel Basquiat, già pupillo di Warhol, arrivato al salone su suggerimento di un comune amico. Quella scritta quindi, sfuggì all’archiviazione e al tempo o meglio, in puro stile graffiti, fu ricoperta da altri strati di libera espressione pittorica. SE andassimo a grattare il muro adesso…forse…. E comunque nel cuore di Marco Orea Malià, questo è sempre stato un cruccio. Soprattutto vista la sua curiosità per il nuovo, il poco conosciuto, lo sconosciutissimo: è cosa nota, infatti, che vari clienti gli abbiano pagato i tagli in opere, non avendo molti soldi. E tra questi anche un Cattelan agli inizi.
Il negozio Orea Malià è stato, fin dalla sua origine, concepito come una galleria d’arte. Con pareti invase da poesia e visione in continua mutazione. C’è stato anche un momento, proprio in quegli anni Ottanta così carichi di stimoli, in cui Marco ha cercato di imitare lo stile Haring. Perché era proprio lui, con i suoi collaboratori, che si occupava del decor in negozio. Il che succede tuttora. Ma del resto, che altro poteva fare se non citare la sua stessa generazione? Se non dar spazio a quel germe creativo che correva nel sangue dei ragazzi di quegli anni Ottanta? Haring 1958, Basquait 1960, Orea Malià 1955. Di mezzo migliaia di chilometri, un paio di forbici invece di una bomboletta, ma assolutamente la stessa visione. E’ un dato di fatto e finalmente, a 33 anni dalla nascita del marchio, per Marco Zanardi si chiude un cerchio e si realizza il sogno di una vita.
Preannunciato lo scorso anno dalle mostre allestite in negozio durante Arte Fiera e curate da Beatrice Baccarani e Hansy Lumen, “Fake To Fake” in collaborazione col fotografo Giovanni Bortolani e “Drive me to hell”, alleanza con gli artisti Federico Ajello e Emmanuel Signorino, si concretizza quest’anno il progetto OreArt, che sarà tenuto a battesimo dall’esposizione IRRIVERENZA__INDECENZA__INNOCENZA. Omaggio a Keith Haring. Collezione Rosini Gutman, dal 29 gennaio 2011.
Una mostra per tre ambienti: il salone, cuore solare, ospiterà 50 opere di Haring, (serigrafie e litografie provenienti dalla galleria di Napoli di Lucio Amelio e da quella newyorkese di Tony Shafrazi) aprendosi con l’opera dedicata alla lotta all’Apartheid. La “sala scura”, ovvero la sala d’aspetto e di intrattenimento per i clienti, diventerà una teca in cui raccogliere 8 opere erotiche di grandissima ironia. E poi la terza dimensione, la facciata del palazzo di fronte a quello di Orea Malià: qui le creazioni “antropomorfe” di Haring acquisteranno vita grazie al lavoro di animazione del collettivo Hansy Lumen e vedremo storie da tempo narrate, con occhi nuovi, però.
“Sconfinamenti”, “incursioni oltre gli spazi predefiniti”: modi di dire cari alla cultura alternativa di quegli anni Ottanta, che davvero Orea Malià ha saputo fare suoi, predicando un verbo tricologico oltre le generazioni e le apparenze, mandate continuamente in corto circuito. E appropriandosi, con garbo e riconoscenza, di alcune citazioni…diventate filosofia di vita.
Diceva Keith Haring: “Se cerco di modellare la mia vita su quello di qualcun altro, finisco per sprecarla riproducendo le cose per puro e vacuo spirito di accettazione. Ma se vivo la vita a modo mio e faccio in modo che gli altri artisti mi influenzino solo come riferimenti esterni o come punti di partenza, posso costruire una consapevolezza ancora maggiore, invece di restarmene qui inattivo”.
Diceva Francesca Alinovi: “Liberi da tendenze e da stili, da impostazioni schematiche e da schiavitù tecniche gli artisti, oggi, fanno ciò che vogliono e, vorrei aggiungere, possono fare tutto".
29
gennaio 2011
Keith Haring – Irriverenza Indecenza Innocenza
Dal 29 gennaio al 27 febbraio 2011
arte contemporanea
Location
OREA MALIA’
Bologna, Via Ugo Bassi, 15, (Bologna)
Bologna, Via Ugo Bassi, 15, (Bologna)
Orario di apertura
dal martedì al sabato dalle 9,30 alle 19
domenica 30 gennaio e 27 febbraio dalle 16 alle 20
Vernissage
29 Gennaio 2011, ore 20 sarà supportato da una proiezione video nella notte di Art White Night sui palazzi di via Ugo Bassi, con i famosi pupazzi di Keith Haring che giocheranno fra i balconi e le finestre, a cura di Federico Ajello.
Sito web
www.artefiera.bolognafiere.it/eventi/arte-fiera-off
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